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La storia della decolonizzazione nel continente africano




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LA STORIA DELLA DECOLONIZZAZIONE NEL CONTINENTE AFRICANO

Pur non trattandosi solo di un evento storico, poiché le componenti culturali giocano un ruolo fondamentale, può essere utile analizzare la decolonizzazione sotto il profilo storico limitando lo studio ad alcuni decenni (dagli anni '40 agli anni '90), tenendo però debitamente conto delle molteplici cause e implicazioni derivatene.

Le prime colonie a conquistare, o molto spesso ad ottenere, l'indipendenza furono quelle britanniche. Già dagli anni '20 infatti il governo inglese aveva assunto una linea d'azione più elastica rispetto ad altre potenze coloniali: si erano inaugurati i protettorati[1], e al governo coloniale si erano affiancati funzionari locali. Nel 1926, nel corso della Conferenza Imperiale, la Gran Bretagna inaugurò il termine Commonwealth, che da allora avrebbe indicato, secondo la sua stessa definizione, quel "gruppo di comunità autogovernantisi composto dalla Gran Bretagna e dai dominions ". Nel 1931 il Parlamento Britannico avrebbe poi emanato lo Statuto di Westminster che sanciva l'uguaglianza tra i dominions britannici e la madrepatria, in modo tale che le ex-colonie potessero respingere qualunque legge promulgata dal Parlamento se non fosse stata approvata dai rispettivi parlamenti nazionali, con la possibilità quindi di legiferare all'interno del proprio Paese.

Già negli anni '30 la Gran Bretagna si poneva quindi sulla strada di un lento processo di mutamento dei rapporti con le colonie, si trattava sì di un inizio, ma lo speciale statuto di dominion veniva concesso con molte riserve e per lungo tempo rimase effettivo solo sulla carta.

Nel 1941, al momento della firma della Carta Atlantica, gli Stati Uniti però mossero obiezioni all'esistenza di un potere coloniale britannico: rifacendosi ai Quattordici punti di Wilson[3] imposero la costituzione di mandati di durata limitata (una sorta di incarico di salvaguardia che una nazione occidentale si assumeva nei confronti di un territorio) che avrebbero dovuto preparare le colonie ad un futuro di indipendenza.

Alla fine del conflitto mondiale l'Inghilterra si trovò divisa tra le tendenze della politica interna, e dell'opinione pubblica, schierata per la maggior parte a favore del colonialismo, e la necessità dell'alleanza con gli Stati Uniti che si muovevano su una linea dichiaratamente anti-coloniale. L'esigenza dell'appoggio americano fece sì che il Regno Unito si dimostrasse più mite in fatto di concessioni alle colonie, e fu così che nel 1947 l'India ottenne l'indipendenza. Fiore all'occhiello dell'Impero inglese, colonia cruciale per l'importanza strategica ed economica, nel corso della I Guerra Mondiale l'India aveva ottenuto la promessa formale di un futuro auto governo, che non si era poi concretizzato alla fine del conflitto. Il mancato rispetto delle condizioni fomentò le spinte nazionaliste, che già da tempo si muovevano nella regione, e decretò la nascita, negli anni '20, del Congresso nazionale Indiano, con a capo il carismatico Mohandas Karamchand Gandhi. Portando avanti tra la popolazione la proposta di un'indipendenza da ottenersi attraverso la non-violenza, Gandhi ottenne importanti concessioni nel corso degli anni '40 fino alla concessione massima nel 1947.

Da quella data storica si fa simbolicamente iniziare la decolonizzazione e negli anni '50 conquistarono l'indipendenza anche alcune colonie francesi.

La situazione che concerneva i possedimenti coloniali francesi era molto più o meno simile a quella del Regno Unito, il governo francese infatti non ammetteva alcuna concessione in fatto d'indipendenza politica alle colonie, anzi i metodi e le procedure di governo erano invariate dal primo '800. le colonie potevano giovare di particolari accordi o leggi che davano alcuni incarichi burocratici a funzionari locali, ma il potere politico vero e proprio veniva designato da Parigi, tramite governatori nominati dal Presidente della Repubblica. Era quindi logico pensare che le stesse colonie si sentissero oppresse e infatti i sentimenti di rivendicazione nazionalista non tardarono ad emergere. Prima tra tutte toccò al Sud-Est Asiatico dove la Francia possedeva il territorio dell'Indocina che nel 1946 iniziò una cruenta guerra, conclusasi dopo sanguinosi anni di conflitto nel 1954, quando la vittoria dei Vietminh sancì l'indipendenza del Vietnam. Negli anni seguenti si sarebbe affrancata poi anche tutta la regione circostante.

In questo modo all'inizio degli anni '50 il controllo coloniale francese si poteva dire attivo e incisivo solo sull'Africa.

L'Africa nel corso del XIX secolo era stata suddivisa tra i maggiori stati europei in colonie che avevano dato origine anche a conflitti tra potenze per il possesso di territori di particolare interesse economico. Basta ricordar i casi del Marocco e le guerre anglo-boere in Sudafrica.

Per meglio analizzare le conseguenze e tracciare un profilo comune al continente africano sulla questione della decolonizzazione, è necessaria un'analisi dei diversi casi nazionali, delle vicende che hanno portato all'indipendenza ogni stato.

Africa Mediterranea

L'Africa del Nord era stata divisa nella prima metà dell'800 tra colonie francesi e inglesi:

Il Marocco, retto da un sultanato fino ai primi del '900, venne indebolito dalla Spagna, quando il Marocco decise di opporsi all'invasione francese in Algeria. Nel 1905 e nel 1911 il territorio marocchino divenne oggetto di contesa tra Francia e Germania: la prima, appoggiata dall'Inghilterra attraverso l'Intesa Cordiale del 1904, la seconda decisa ad impedire uno strapotere della sua storica rivale. Le cosiddette crisi marocchine portarono l'Europa sull'orlo di una guerra, ma alla fine la Francia ebbe il protettorato sul Marocco e la Germania in cambio una parte del Congo francese. Durante la Seconda Guerra Mondiale i nazionalisti fondarono il partito Istiqlal con l'appoggio del sultano, che, esiliato in un primo momento, fu riammesso al potere proprio nel 1956, anno in cui la Francia concedeva l'indipendenza (escludendo alcune città come Tangeri e Tarfaya che tornarono libere nel 1958. Gli anni successivi furono caratterizzati da lotte civili a cui pose fine Hassan II che a fine degli ani '60 impose un regime autoritario, che cercò di defilarsi rispetto alla questione israeliana restando così isolato rispetto alla comunità araba. Negli anni '80 Hassan cercò di rinsaldare i rapporti su più fronti e a fine degli anni '90 propose una nuova Costituzione che seguita da elezioni cambiò il panorama politico marocchino. I problemi di ordine economico e di politica estera lasciarono però pesantemente il segno nel governo che ancora oggi sembra incapace di affrontare i problemi che attanagliano il Paese. Lo stesso panorama interno è nutrito di particolarismi (alle elezioni del 2002 si sono presentati 22 partiti) e non riesce a trovare un punto di coalizione.

La Tunisia, terra di popolazioni berbere, durante il Congresso di Berlino del 1878, venne ceduta alla Francia, che vi stanziò un protettorato. I movimenti nazionalisti furono stroncati da una dura repressione, ma nel corso della Seconda Guerra Mondiale riemersero più forti nel fronte del Neo-Destur sotto la guida di Habib Burghiba. Nel 1954 una rivolta di grandi dimensioni costrinse la Francia, già impegnata in Indocina, ad avviare trattati di pacificazione, che nel 1956 portarono all'indipendenza. Rieletto tre volte presidente della repubblica, Burghiba, avviò il Paese verso un lento sviluppo, costellato di crisi con l'ex-madrepatria, soprattutto in fatto di politica estera, ma venne destituito da un golpe ad opera di Ben Alì nel 1987. Il nuovo presidente limitò fin da subito le libertà costituzionali e pilotò le elzioni per tre successivi mandati, fino al 2001 quando con una modifica della Costituzione ha tolto ogni limite di tempo alla sua carica.

L'Algeria, dopo un periodo di prosperità sotto gli Spagnoli, la regione iniziò una lenta decadenza nell'800, decadenza che la portò a cadere sotto la Francia nel 1834. Qui dopo iniziali contrasti, il governo francese instaurò un suo dipartimento: l'Algeria era in definitiva divenuta una regione francese al di fuori del territorio strettamente europeo. Fu così che Parigi incoraggiò l'insediamento di coloni che presero il nome di pieds noir. I Francesi insediatisi divennero la classe dirigente del Paese, creando scuole, banche, industrie, avviando quindi un'economia sul modello europeo. La popolazione si trovò del tutto svantaggiata, privata di qualunque potere e ridotta ad una condizione pressoché servile nei confronti dei colonizzatori. Negli anni '30 iniziò un movimento nazionalista che avrebbe dato origine nel 1954 al FLN (Fronte di liberazione nazionale), guidato da Ahmed Ben Bella. Il 1° novembre di quell'anno ebbe inizio la guerra di liberazione che avrebbe trascinato la Francia in un duro conflitto fatto di episodi di guerriglia. Nel 1957 il conflitto si spostò verso Algeri dove ebbe luogo la battaglia d'Algeri. La repressione francese fu durissima e costellata di episodi di violenza indiscriminata, a questo si oppose l'opinione pubblica francese e il governo si vide costretto a richiamare nel 1958 De Gaulle al potere. Il vecchio generale comprese l'impossibilità di continuare un conflitto contro una terra pronta a tutto per l'indipendenza. Fu così che nel 1959 indisse un referendum tra la popolazione algerina e nel 1962 finalmente a Evian si firmò l'armistizio, l'Algeria acquisì l'indipendenza e i coloni furono costretti a tornare in Francia per evitare le ritorsioni e le vendette. Attualmente l'Algeria è una repubblica presidenziale, ma ha attraversato lunghi periodo di crisi, sotto il controllo del FLN e poi dei militari che hanno preso il potere in seguito alla guerra civile scoppiata nel 1991.

La Libia, soggetta al colonialismo italiano dal 1912, cedette alla pressione delle truppe degli "invasori" solo nel 1931. Nel corso del conflitto mondiale acquisì l'indipendenza, riconosciutagli dalle Nazioni Unite nel 1949. in seguito la Libia vide l'instaurarsi di una monarchia, che venne rovesciata da un golpe nel 1969. al potere salì il colonnello Muammar Gheddafi che da allora diede vita ad una democrazia popolare diretta. Questo è il termine usato per indicare l'ordinamento di uno stato, che sembra invece sottoposto ad una dittatura militare, colpita da embargo negli anni '90 per sospetta collaborazione con terroristi e detenzione di armi di distruzione di massa.

L'Egitto, colonia inglese, aveva ottenuto l'indipendenza formale già nel 1922, che si era poi trasformata nella presenza di truppe inglesi sul Canale di Suez e il controllo sulla politica estera. La monarchia egiziana si era così avviata verso una lenta decadenza, perché impossibilitata nella dinamica politica. Le spinte nazionaliste si riaccesero negli anni '40 con la setta dei Fratelli Musulmani, e nel 1952 un gruppo di ufficiali, guidati da Gamal Abdel Nasser, presero il potere e instaurarono un regime militare. Nasser decise per una politica estera basata sul principio di non-allineamento, non accettò l'appoggio o la collaborazione con alcun paese occidentale e si oppose alla legittimazione dello Stato di Israele. Nel 1967 fu al centro della guerra israeliana per il controllo del Sinai, conflitto che si risolse con l'intervento degli Stati Uniti che riaffermarono il potere egiziano sulla penisola. Il Medio Oriente (Siria, Iraq), influenzato dall'esempio dell'Egitto, vide presto emergere nuovi leader e regimi sul modello nasseriano, tanto che questo fenomeno prese il nome di nasserismo, ovvero l'espressione del socialismo arabo. Nel 1970 si inaugurò l'epoca Sadat, successore di Nasser morto improvvisamente: la sua linea politica si fece più liberale e portò nel biennio 1974-1975 ad accordi di pace con Israele ed infine ad un vero e proprio trattato di pace nel marzo 1979 dopo gli Accordi di Camp David del 1978. Nel 1981 il leader venne però assassinato, e al potere salì Mubarak, liberale come il predecessore, ma con interessi nel riallacciare rapporti con i Paesi Arabi. Con la Guerra del Golfo e il segnale di arresto del processo di pace in Israele a fine degli anni '90, l'Egitto si è portato su posizioni contrarie agli Stati Uniti, nello stesso momento in cui tornava oggetto dell'intifada. Negli ultimi dieci anni si sono infatti intensificati gli attentati rivendicati dagli estremisti islamici, che hanno causato non pochi problemi ad un governo non molto stabile.

L'Africa sudanese

il Sudan, divenuto dominion inglese con ingerenza egiziana, si trovò diviso tra un Nord mussulmano, a cui fu concessa più autonomia, e un Sud cristiano, luogo di ribellioni, che divenne oggetto di stretto controllo anche da parte egiziana. In questo modo si aprì un divario destinato a rappresentare una frattura insanabile, infatti la stessa indipendenza, ottenuta nel 1956, fu diretta da uomini politici del Nord, che non tardarono ad attuare oppressioni su un Sud verso cui nutrivano risentimenti etnici e religiosi. Si avviò un conflitto civile cruentissimo che si concluse con l'ascesa al potere per mezzo di un golpe di Nimeiri. Una nuova rivolta negli anni '80 sconvolse nuovamente il precario equilibrio, e dopo anni di sanguinose lotte, si affermò El-Bashir. Questi inaugurò un nuovo regime basato sulla legge islamica, la sharia, e negli ani '90 fu sospettato di appoggio al terrorismo islamico e fu fatto oggetto di embargo internazionale. Una nuova ribellione nel 1997, costrinse il leader a cedere il potere parlamentare a El-Turabi che riuscì a d ottenere una tregua dalla guerriglia. L'anno seguente El-Bashir tolse ogni potere a El-Turabi e riaprì il conflitto civile. Nel 2001 il Sudan si è schierato contro il terrorismo islamici, riuscendo così ad annullare le sanzioni impostegli dall'ONU.

Il Ciad (Tchad), entrato nel 1920 fra le colonie francesi, ottenne un'indipendenza poco cruenta nel 1960 e portò al potere presidenziale François Tombalbaye, che però già nel 1962 abolì le libertà costituzionali, e nel 1966 nacque il Fronte di Liberazione Nazionale (Frolinat). Nel 1975 un golpe portò il generale Felix Malluom al potere, ma la guerra civile non vide la sua conclusione, che portò un nuovo leader Habre. Nello stesso periodo il conflitto si estendeva a tutto il Paese e entravano in gioco anche i Paesi limitrofi che si andavano schierando a fianco delle fazioni in lotta. Finalmente nel 1996 Idriss Déby pacificò il Paese, e nel 1997 avvennero le prime elezioni libere che videro la vittoria del suo partito e la sua nomina a presidente. Attualmente il paese è dilaniato da episodi di lotta tra un Nord colpito dalla desertificazione e un Sud relativamente più prospero.

Il Niger, colonia francese indipendente dal 1946, assunse la completa indipendenza nel 1960, che inaugurò una repubblica sotto la guida di Diori, che venne però presto rovesciato e fu un susseguirsi ininterrotto di golpe su golpe. Il potere si indebolì fortemente e iniziò anche una sporadica guerriglia tuareg. Alla fine degli anni '90 sembravano ricostituiti i poteri costituzionali, ma nel 2002 una regione del Paese è esplosa una rivolta duramente repressa. Attualmente pur essendo il terzo produttore mondiale di uranio ha un'economia fragilissima e soggetta a continui crolli.

Il Mali, il Senegal e la Mauritania: i primi due costituivano una sola colonia francese che fu divisa alla fine degli anni '40. Il Mali cadde subito in mano ai militari e diversi colpi di stato lo portarono ad avere una democrazia solo a fine degli anni '80. oggi è considerato uno dei migliori esempi di democrazia africana. Il Senegal, dopo l'indipendenza del 1960 nominò suo presidente Léopold Senghor ispiratore del socialismo africano e della teoria della negritude (di cui si parlerà in seguito). Accusato di corruzione, venne deposto e gli subentrò Diouf, che dovette far fronte anche ad una guerra civile per motivi di etnie, e una guerra con la Mauritania. Questo stato resosi indipendente dalla Francia nel 1960 fu oggetto di diversi colpi di stato che portarono i militari al potere, élite che ancora oggi detiene il controllo del Paese.

L'Africa occidentale

Capo Verde, Sao Tomé e Principe, Guinea-Bissau, colonie portoghesi affrancatesi negli anni '50, i tre Stati si sono costituiti in democrazie più o meno stabili, indebolite dalla pesante situazione economica che relega i tre Paesi nel Terzo Mondo.

La Guinea,  si proclamò repubblica nel 1958 e nominò suo presidente Touré, ispiratore della lotta anti-francese. Il leader applicò un sistema socialista, che però non sortì gli effetti desiderati, anzi isolò il Paese e lo portò alla bancarotta. Il governo si fece allora più liberale e si promulgò una nuova Costituzione all'inizio degli anni '80. Gli anni hanno visto il concentrarsi degli sforzi dei diversi governi nel sopperire agli errori e alle mancanza del passato.

Il Burkina Faso, il Benin, la Costa d'Avorio, ex colonie francesi hanno vissuto tutti in modo traumatico il passaggio all'indipendenza. Il Burkina soggetto a molteplici colpi di stato è ancora oggi in una situazione precaria sull'orlo della guerra civile, il Benin ha assistito a ben sei golpe in sei anni. L'economia del Paese è rimasta bloccata dai continui cambi di tendenze e attualmente è sottoposto ad un regime. Una situazione simile vive anche la Costa d'Avorio che dopo diverse dittature militari ora si trova controllata da un regime autocratico con la complicità dell'esercito. L'instabilità politica prolungata ha fatto sì che questi Paesi siano ora tra i più poveri al mondo.

Il Gambia e la Sierra Leone, colonie inglesi, vennero integrate nel Commonweatlh ed ebbero l'indipendenza rispettivamente nel 1965 e nel 1961. Il Gambia divenne una repubblica presidenziale nel 1970 quando venne eletto Jawara che rimase al potere fino al 1994, quando un colpo di stato portò al comando dello stato Jammeh. Nel 1997, le successive elezioni, videro ancora la sua vittoria, che fu però contestata, soprattutto da manifestazioni di studenti. Al 2001 Jammeh è ancora presidente, è sospettato di brogli elettorali, ma le libertà costituzionali sono state sospese. La Sierra Leone subito dopo l'indipendenza ha visto, nel 1967, l'insediamento al potere di Stevens, capo del partito All people's Congress. Da allora si è inaugurato il monopartitismo, che nei primi ani '90 ha provocato differenti golpe finché non si è re-insediato il presidente Kabbah, mentre i ribelli iniziavano una lunga azione di guerriglia che ancora oggi li vede impegnati contro l'esercito regolare. Il dato sconvolgente di questa guerra civile è che in prima linea combattono bambini e ragazzi che ogni anno pagano un fortissimo prezzo in vite umane.

Il Ghana e il Togo: dopo l'indipendenza dal Regno Unito, ottenuta nel 1957, il Ghana venne guidato attraverso gli anni '60 dal partito popolare il cui leader, Nkrumah venne eletto presidente. Purtroppo la sua presidenza si trasformò ben presto in una dittatura e iniziarono le repressioni nei confronti degli oppositori. Nel 1966 venne deposto da un colpo di stato, ne seguì un governo popolare, che non riuscì però ad imporsi, aprendo così la strada ad una nuova dittatura militare. Nel 1981 salì al potere Rawlings che guidò il Paese fino agli anni '90, quando stese una nuova Costituzione e avviò finalmente una forma democratica di governo. Il Togo, invece era parte di una colonia più vasta che venne smembrata e in parte integrata nel Ghana. Divenne indipendente nel 1960 e da allora il potere democratico fu più volte contestato e soffocato dal leader-dittatore Eyadéma. Attualmente le libertà sono soppresse e il dittatore, si può affermare che regni incontrastato.

La Nigeria, colonia costituita secondo le esigenze politiche del Regno Unito, entrò a far parte del Commonwealth come Paese indipendente nel 1960. purtroppo però la sconsideratezza di una suddivisione arbitraria, portarono le tre principali etnie, gli hausa, i yoruba e gli ibo, a cercare di affermare la propria supremazia e provocando così sanguinose lotte intestine che causarono innumerevoli colpi si stato. Le diverse etnie cercarono di costituirsi secondo un modello federale e ne nacque la Repubblica del Biafra, fondata dall'etnia ibo, che ebbe però breve durata (1967-1970)a causa dei lunghi conflitto che generò. Dal 1970 il potere giace nelle mani dei militari, colonnelli su colonnelli si sono succeduti al potere senza risolvere la difficile crisi in cui versava il paese. Attualmente il sistema democratico è accusato di brogli elettorali e i dirigenti politici di traffici illeciti.

L'Africa centrale

la Repubblica Centrafricana, il Gabon, il Camerun, la Repubblica del Congo e la Guinea Equatoriale hanno in comune una sorte simile all'indomani dell'indipendenza ottenuta rispettivamente nel 1960 per i primi quattro  e nel 1968 per l'ultimo. La prima, dopo il periodo da colonia francese ha visto al potere il presidente Dacko, spodestato da un colpo di stato ad opera di Bokassa, che ha instaurato un pesante regime dittatoriale. Tornato al potere grazie all'intervento della Francia, Dacko ha governato il suo Paese negli anni '80, finchè non è stato nuovamente spodestato da Kolingba che dagli anni '90 controlla ormai il potere. Il Gabon come il Camerun, la Repubblica del Congo e la Guinea Equatoriale ha visto un debole potere centrale passato di colpo di stato in colpo di stato. Le elezioni tenutisi negli ultimi anni, tra il 2001 e il 2002, in tutti e quattro i Paesi sono state pilotate dai partiti al potere che ormai si sono costituiti in vere e proprie dittature militari.

La Repubblica democratica del Congo (ex Zaire), ex colonia belga resa indipendente nel 1960 ha avuto come primo presidente Lumumba, promulgatore di uno stato unitario, contro gli oppositori che invece preferivano una confederazione. Negli anni '60 la regione del Katanga, ricca di miniere, e ancora oggetto delle mire belghe, compì una secessione. Il presidente venne assassinato e il potere finì nelle mani di Mobuto che instaurò una lunga dittatura, nel corso della quale cambiò il nome del Paese in Zaire (1971) e tentò invano di reprimere le rivolte dei seguaci di Lumumba. Il suo potere entrò definitivamente in crisi nei primi anni '90 quando reparti dell'esercito disertarono e il conflitto del vicino Ruanda si spostò nel territorio zairese. Con un colpo di stato il potere cadde nelle mani di Kabila, fino al 2001, anno della sua morte, quando è passato al figlio Joseph. Attualmente il Paese è sotto una dittatura militare, che non ha però di certo spento i moti di secessione del Katanga o dei ribelli.

L'Africa orientale

l'Eritrea, l'Etiopia e la Somalia, soggette al colonialismo italiano guadagnarono l'indipendenza negli anni '60. L'Eritrea e l'Etiopia, prima unite sotto il governo di Hailé Selassié, si divisero: la prima si costituì repubblica, la seconda venne controllata dal colonnello Menghistu, a cui nel 1996 succedette Zenawi con elezioni più democratiche. La Somalia acquistata l'indipendenza nel 1960 vide al potere con un colpo di stato Barre. Il leader impose un'impronta socialista alla politica tentando una nazionalizzazione dell'economia. I contrasti etnici scoppiati all'interno del Paese, hanno fatto sì che l'ONU vi inviasse un suo contingente per tentare una soluzione pacifica.

Il Gibuti e la Tanzania, il primo ottenne l'inidpendenza nel 1977, la seconda nel 1964. il primo vide ben presto l'emerger di un governo autocratico sotto Aptidon e successivamente sotto Guelleh. La Tanzania inaugurò invece una repubblica socialista secondo le intenzioni del suo leader Nyerere che iniziò la nazionalizzazione dell'impresa. Nel 1985 il suo successore Mwinyi cambiò rotta optando per una liberalizzazione.

L'Uganda, il Ruanda e il Burundi, furono accomunati dalle stesse vicende in fatto di contrasti etnici. L'Uganda resasi indipendente dal Regno Unito nel 1962 vide la presidenza di Obote, scacciato da un golpe operato nel 1971 da Idi Amin Dada, e il ritorno al potere del vecchio leader nel 1980. Gli anni '80 videro la guerriglia di Dada al Nord e quella dei ribelli di Museveni, leader che assumerà poi la guida del Paese negli anni '90 per essere poi riconfermato nel 2001. Invece in Burundi come in Ruanda convivevano due etnie, quella hutu e quella tutsi, che entrarono presto in lotta. In Burundi i Tutsi detenevano il potere, mentre gli Hutu avevano la maggioranza elettorale. Un golpe portò nel 1966 al potere un tutsi, Micombero, e nel 1972 una dura rappresaglia hutu colpì l'altra etnia. Nel 1993 le elezioni diedero il potere agli hutu, ma nel 1994 il presidente morì in un incidente con il presidente ruandese. Dal 1998 si sono aperti i colloqui di apce tra le due etnie e nel 2000 si è pervenuti ad un governo equamente diviso. Il Ruanda, vide anch'esso l'infiammarsi del conflitto hutu-tutsi già nel 1963. I contrasti e le tensioni diedero luogo a numerosi episodi di guerriglia e rappresaglia, finchè nel 1994, la morte del presidente hutu scatenò quest'etnia contro i tutsi. Il massacro che ne seguì prese le forme di un genocidio che non risparmiò nemmeno gli hutu moderati. Lo stesso anno i tutsi riuscirono comunque ad arrivare al potere e da allora iniziò un esodo di massa degli hutu verso il Burundi e l'Uganda. Nonostante le molteplici assicurazione riguardo la sicurezza degli hutu in patria, essi si rifiutarono i tornare e solo l'intervento dell'ex-presidente USA Jimmy Carter nel 1995, che si faceva garante per il loro ritorno, iniziò un lungo e difficile rimpatrio che risulta difficoltoso anche per le resistenze della popolazione che teme ancora ritorsioni.

Il Kenya, vide fin dal 1944 la nascita di un movimento nazionalistico (Kenya African Union) con a capo Kenyatta. Nel 1952 la setta dei Mau Mau si ribellò al governo inglese, ne seguì una violenta repressione che coinvolse lo stesso leader del KAU. Successivamente venne concesso l'autogoverno, e le prime elezioni libere del 1963 videro la vittoria di Kenyatta, poco dopo il Kenya entrava nel Commonwealth. Nel 1978 le elezioni furono vinte da Moi, che inaugurò presto il monopartitismo, fino al 2002 quando finalmente il potere arrivò a Kibaki, leader moderato e democratico che ristabilì le libertà costituzionali.

L'Africa meridionale

Il Sudafrica, Paese di colonizzazione inglese attraverso la Compagnia delle Indie, e di coloni boeri provenienti dall'Olanda. Questi nuovi coloni diedero origine ad una loro cultura l'afrikaans; nell'800 i contrasti tra boeri e inglesi portarono i primi a fondare le repubbliche indipendenti di Orange e Transvaal. In quest'ultimo territorio si scoprirono giacimenti di diamanti che riaccesero le mire inglesi sul Sudafrica. Dopo un duro conflitto, il leader boero Paul Krüger divenne presidente del Transvaal dopo averne cacciato gli inglesi. A fine '800 si riaprì il conflitto, di nuovo per il controllo delle miniere d'oro, e nel 1902 si arrivò al passaggio dell'Orange e del Transvaal sotto la corona inglese. Nel 1910 l'Unione Sudafricana divenne dominion all'interno del Commonwealth. Negli anni '50 le Nazioni Unite affidarono al Sudafrica il controllo sulla Namibia, per revocarlo poi nel 1966. a questo punto il Sudafrica non accettò però la risoluzione e si vide la discesa sul campo delle potenze internazionali. La crisi fu scongiurata e nel 1988 fu riconosciuta l'indipendenza della Namibia da parte del Sudafrica. Già nel 1912 nacquero i primi movimenti ce rivendicavano i diritti delle popolazioni di colore. La discriminazione che fin dagli inizi della colonia aveva colpito la maggioranza nera, esplose nel 1948 quando il primo ministro Malan emanò una serie di leggi che rendevano subalterna la posizione dei neri. Non solo essi non avevano uguali diritti, ma vennero ghettizzati e umiliati, si trattava dell'apartheid, la piaga razzista che si abbatté sul Sudafrica proprio quando in Occidente si urlava contro le atrocità naziste. Alla lunga serie di leggi razziali si oppose il partito ANC alla cui guida si mise Nelson Mandela. I contrasti sempre più violenti sfociarono in episodi sanguinosi, come la manifestazione di Sharpeville repressa nel sangue nel 1960, all'indomani della quale si proclamò lo stato d'emergenza durante il quale vennero sospesi i partiti. L'ANC rifiutò questa risoluzione e Mandela venne condannato all'ergastolo. Le pressioni degli Stati Uniti per la cessazione dell'apartheid portarono la tensione ad alti livelli e ancora una volta finì in un massacro la manifestazione di Soweto nel 1976. l'opinione pubblica mondiale rimase molto colpita da questo fatto e iniziò a mobilitarsi. Alla fine degli anni '70 iniziò a vedersi uno spiraglio. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti misero in crisi il Paese, il nuovo presidente De Klerk, da metà degli anni '80, iniziò il processo di chiusura dell'apartheid, liberò Mandela e nel 1993 i due ricevettero il Nobel per la pace. Nel 1994 le prime elezioni libere videro la vittoria dell'ANC e Mandela fu eletto presidente. Attualmente l'ANC è ancora il partito dominante, anche se è stato condannato da tribunali internazionali per episodi di violenza cruente nel periodo di lotta all'apartheid.

L'Angola, lo Zambia, il Malawi e il Mozambico, ottenuta l'indipendenza negli anni '60, furono soggetti a regimi militari che abolirono le repubbliche tramite colpi di stato. Da ricordare la parentesi di tentata nazionalizzazione dell'economia nello Zambia, il multipartitismo avviato nel 1994 in Malawi, e l'intervento delle Nazioni Unite con un programma di aiuti in Mozambico.

Lo Zimbabwe, la Namibia, il Botswana, il Lesotho e il Madagascar, hanno visto nascere democrazie molto deboli che presto di sono tramutate in dittature o regimi autocratici. Importante ricordare il caso della Namibia oggetto di scontro per le superpotenze intervenute a fianco di differenti fazioni, fino all'indipendenza vera e propria del 1973.


Come si è potuto vedere da questa breve analisi i Paesi che hanno vissuto la decolonizzazione hanno mantenuto, dal punto di vista geografico, l'originaria suddivisione in colonie, arbitrariamente fatta secondo sconsiderate regole di influenza politica. Le Conferenze europee non hanno mai tenuto conto delle differenti etnie e tribù presenti nel continente africano. In questo modo si sono originate fratture insanabili e conflitti tra etnie che in non pochi casi hanno condotto a genocidi. Per la popolazione africana l'appartenenza tribale sembra essere l'elemento di coesione fondamentale anche laddove esso non dovrebbe rientrare, come nel campo politico. Gli odi e i risentimenti secolari tra tribù hanno molte volte portato a guerre ed ad un uso indiscriminato del potere e della forza da esso derivata. Vani sono stati i sogni del Socialismo africano di Nyerere o della negritude[4] di Senghor: il primo imponeva una preparazione politica che quasi nessun leader poteva vantare, la seconda prevedeva il superamento di particolarismi troppo radicati nella stessa anima africana.

Il socialismo fu certamente il modello politico di riferimento, sembrava essere forse la soluzione ottimale per Paesi in cerca di uguaglianza dopo decenni di oppressione coloniale, ma non si realizzò: le istituzioni erano troppo deboli, all'indomani dell'indipendenza molti Stati si trovarono con un sistema politico inadatto alle loro esigenze, ma allo stesso tempo indispensabile per la loro sopravvivenza dal momento che non parevano esserci alternative. La democrazia venne imposta e non guadagnata o costruita, e il risultato fu una fragilità di tutte le istituzioni politiche che ben presto caddero sotto golpe e colpi di stato, che trasferirono il potere nelle mani di capi militari. La politica precaria, spesso contraddittoria o rivolta a questioni territoriali bloccarono del tutto lo sviluppo dei Paesi africani, che soggetti a carestie, epidemie, devastazioni, scesero ben presto sotto la soglia di povertà, dando origine al cosiddetto Terzo Mondo, l'insieme dei Paesi in via di sviluppo. I denominatori comuni che si possono trovare tra questi Stati sono la mancanza di un'evoluzione del regime di proprietà che rimane ancorato a tradizioni feudali, una scarsa produttività data dalla mancanza di attrezzature adatte e dalla tendenza dei colonizzatori a creare Paesi a monocultura. Altro elemento da non sottovalutare è la modesta partecipazione al mercato internazionale, si tratta per lo più di Paesi esportatori di materie prime, il cui commercio è gestito molte volte da società internazionali. Questo ultimo dato rientra sotto il fenomeno del neocolonialismo che sembra riemergere sul piano economico. Si tratta di una forma di dipendenza in termini economici dai Paesi più sviluppati, per mezzo di aiuti finanziari e rapporti commerciali privilegiati che permettono la sopravvivenza di uno scambio. Queste forme di ingerenza economica sono state dettate da interessi, soprattutto riguardo le materie prime di cui molti Stati sono esportatori, e hanno determinato in alcuni casi intromissioni nelle questioni politiche e appoggi a fazioni in lotta civile. In questo modo i precari equilibri che spesso si stavano costruendo, sono stati spazzati via, la democrazia è diventata un'utopia per molti Paesi e la il bilancio economico negativo, endemico come le stesse gravi carestie.

Attualmente la decolonizzazione è oggetto di dibattito: per alcuni è stato un fenomeno causato dall'Occidente che ha portato un intero continente sull'orlo di una crisi totale, per altri è stata invece fonte di beneficio, come sorta di contributo allo sviluppo di Paesi che altrimenti sarebbero rimasti lontani dall'ottica occidentale. La questione rimane aperta, di certo si può affermare che la decolonizzazione ha pagato un altissimo prezzo in termini di vite umane ad una libertà che appare ancora lontana per molte realtà del continente africano, e permane forse l'interrogativo riguardo la legittimità dell'imposizione di un intervento occidentale su una cultura, dei popoli e una storia lontani sì dalla visione occidentale, ma degni di ugual rispetto.

Ecco una cartina,

con le tappe

della decolonizzazione

africana:

 


















Forma di tutela politica e militare esercitata dall'impero inglese sulle colonie

Ex colonia affrancatasi, che mantiene però legami con la madre patria, soprattutto in funzione di interessi economici. Secondo la definizione data alla fondazione del Commonwealth, nel 1926, essi costituiscono 'comunità autonome, di status uguale, senza alcun rapporto di subordinazione in ogni aspetto dei loro affari interni e internazionali, sebbene unite dalla comune fedeltà alla corona'.

Woodrow Wilson, presidente americano (1913-1921) presentò una tesi rivoluzionaria sul piano diplomatico, nel corso delle trattative di pace del 1918. Si trattava dei cosiddetti Quattordici punti, tra le cui molte tesi in fatto di diplomazia, si affermava anche il diritto di autodeterminazione dei popoli.

Fu un movimento culturale, di cui il futuro presidente senegalese si fece portavoce: si auspicava la ripresa delle tradizioni e della cultura africana da opporsi al razzismo, una sorte di comune storia culturale africana per coglierne le particolarità in un contesto però più ampio e totalmente pacifico.

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