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La Sinistra Italiana e la guerra civile in Spagna
Il Centro Studi Pietro Tresso ha recentemente pubblicato il n.27 dei suoi quaderni di Studi e ricerche, dedicato a 'I bordighisti nella guerra civile spagnola'.
Il lavoro, di Augustín Guillamón Iborra, ricostruisce le vicende politiche della Frazione Italiana della Sinistra comunista' di fronte alla guerra civile spagnola: dalle analisi di Prometeo e di Bilan sul tema, alla scissione che ne conseguì, operata da quanti vedevano possibilità di sviluppo della guerra della democrazia contro il fascismo in guerra del proletariato contro la borghesia; dalla partecipazione di questi compagni alla colonna Internazionale Lenin del Poum, alla delegazione della Frazione a Barcellona per discutere direttamente con la minoranza, il Poum e l'anarchico Berneri. Chiude il lavoro di A.G.Iborra il breve capitolo 'L'isolamento della frazione e i limiti della sua analisi'.
Il libretto è certamente uno studio interessante di uno dei passaggi cruciali nella vita della Frazione di Sinistra in Francia e merita di essere conosciuto soprattutto per la fedele ricostruzione della posizione della Frazione sugli sviluppi della guerra civile a partire dalla sollevazione operaia del 19 luglio 1936.
Qui Iborra riconosce, dalle rilettura degli scritti di Bilan e di Prometeo, l'estrema coerenza della Frazione al punto di vista di classe: la sua analisi prescinde dai luoghi comuni ideologici allora prevalenti nel movimento operaio - dopo la sconfitta dell'esperienza bolscevica del '17 - per mantenersi solidamente sul terreno dei rapporti di forza fra le classi. Così la Frazione fu in grado di riconoscere la sconfitta subita dal proletariato spagnolo nelle sue insurrezioni rivoluzionarie del dicembre 1933 e dell'ottobre 1934, e di giudicare quella del 19 luglio 1936 come l'estremo soprassalto di autonomia delle rivendicazioni e dell'azione pratica della classe operaia, protese all'attacco.
Il 19 luglio, due giorni dopo il proclama di Franco dal Marocco per la presa delle città da parte delle guarnigione spagnole, il proletariato di Barcellona si scagliò a mani nude contro le prime caserme, verso le due del pomeriggio del giorno seguente era padrone di Barcellona. Sempre il 20 cadevano nelle mani del proletariato semi-disarmato le città di Madrid, di Valenza, di Malaga.
Leggiamo da Bilan n.36 'La lezione degli avvenimenti di Spagna - La lotta delle classi è il solo motore degli avvenimenti attuali':
'L'effervescenza del proletariato a Barcellona era al suo parossismo. La domenica mattina (19) tutto il proletariato, armato con mezzi di fortuna e in gran parte senza armi, è nelle strade. Alle cinque si scatena la battaglia. Circondata dagli operai la Guardia d'Assalto e una parte della Guardia civile deve marciare contro i militari. Subito il coraggio e l'eroismo degli operai, fra i quali si distinguono particolarmente quelli della Cnt e della FAI hanno ragione dei punti essenziali della sollevazione, perché qui e là i soldati fraternizzano con i proletari, come tutta la caserma Terragona. La sera i soldati sono vinti e il generale Godet capitola. Da quel momento l'armamento dei proletari diviene generale..'
Ma alla eroica azione proletaria del 19 luglio seguì l'intruppamento dietro le logiche della guerra inter borghese.
'Sembra che dal 24, sotto la pressione della Generalità, la maggior parte delle organizzazioni operaie tentino di frenare il movimento rivendicativo. I social-centristi (leggi gli stalinisti, ndr) di Barcellona sono contro il prolungamento dello sciopero, la Cnt ha dato l'ordine del rientro al lavoro, il Poum si sforza di mantenere il suo programma di rivendicazioni, ma non dice se approva o no il rientro.
Dal 24 si organizza la partenza delle colonne per Saragozza. Ma occorre che gli operai partano avendo la sensazione d'aver ottenuto soddisfazione in materia delle loro rivendicazioni. La Generalità emana un decreto: i giorni di sciopero saranno pagati. Ma anche qui nella maggior parte delle fabbriche gli operai, armi alla mano, avevano già ottenuto soddisfazioni parziali.
Poiché grazie ai partiti e alle organizzazioni sindacali che si richiamano al proletariato, la borghesia è riuscita a far cessare lo sciopero generale e che nelle imprese occupate dagli operai la settimana di 36 ore è instaurata ipso facto, il 26 luglio la Generalità emana un decreto che instaura la settimana di 40 ore con un aumento del 15%.
E mentre la Generalità si sforza di inquadrare l'esplosione dei contrasti sociali, arriviamo al 28 luglio, che segna una svolta importante della situazione. Il Poum, che controlla, attraverso la Fous, il Sindacato mercantile (sindacato di impiegati), e qualche piccola impresa, lancia la parola d'ordine della ripresa del lavoro per gli operai che non si trovano nelle milizie. Occorre creare la mistica della marcia su Saragozza. Prendiamo Saragozza, si dirà agli operai, poi regoleremo i conti con la Generalità e con Madrid.'
La Frazione vede ancora nelle giornate del maggio '37 a Barcellona i proletari in lotta, ma questa volta sulla difensiva e ormai completamente disarmati dell'arma vincente: quella politica.
Dal Manifesto 'Piombo, mitraglia, prigione: è così che il Fronte Popolare risponde agli operai di Barcellona che osano resistere all'attacco capitalista' (in Bilan n.4, maggio -giugno 1937), riportiamo, e anche Iborra riporta:
'Il 19 luglio i proletari di Barcellona schiacciarono a pugni nudi l'attacco dei battaglioni di Franco che erano armati fino ai denti.
Il 4 maggio 1937 quegli stessi proletari armati hanno lasciato sul selciato delle strade un numero di vittime molto maggiore che in luglio, quando dovettero respingere Franco, ed è il governo antifascista - che comprende gli anarchici e con il quale il Poum è indirettamente solidale - a scatenare la ciurmaglia delle forze repressive contro gli operai'
Su questi giudizi una minoranza dissente: per essa quella che è in atto è ancora l'iniziativa proletaria verso la rivoluzione. Non conta che il moto di classe si sia arreso al governo di alleanza delle forze politiche pseudo-operaie con la borghesia; non basta che alle 'necessità della guerra antifascista' si sia piegata ogni pur minima autonomia della classe e ogni rivendicazione. Per sostenere che l'iniziativa di classe è in piedi, la minoranza si accontenta del dato formale: gli operai sono in armi; la condotta della guerra antifascista è determinata dal Comitato centrale delle milizie. E' solo con la fine di questa formalità, cioè con lo scioglimento del Comitato centrale delle milizie e la militarizzazione di queste alle dipendenze del Ministero della Difesa, che la minoranza della Frazione rinuncia alla partecipazione attiva alla guerra per dedicarsi alla 'vigilanza estrema per impedire che la massa inquadrata nel nuovo organismo militare possa trasformarsi in uno strumento della borghesia che verrà un giorno o l'altro utilizzato contro gli stessi interessi della classe lavoratrice'.
Iborra ripercorre quei dissensi in una sintesi certamente illuminante per quanti desiderino approfondire la conoscenza della Frazione di sinistra.
Questa adesione della Frazione al metodo e al punto di vista di classe in questo aspetto dell'analisi si integra con l'altro lato del problema: perché la classe operaia non avanza con le insurrezioni dei primi anni '30 per soccombere poi alla politica di guerra inter borghese? La risposta data dalla Frazione a questa domanda è sintetizzabile nella assenza del partito rivoluzionario. Qui fa bene Iborra a insistere 'sull'importanza di non confondere la posizione della Frazione a proposito della assenza di un partito - il quale non esiste per 'mancanza di maturità' della classe operaia spagnola, perché non è emerso 'pazientemente ed accanitamente' dalle lotte operaie dei decenni precedenti, con la posizione dei trotskisti o degli Amigos de Durruti in merito alla crisi della direzione rivoluzionaria, che verrebbe risolta sostituendo una 'cattiva' direzione con la propria affinché gli 'errori' e i 'tradimenti' della organizzazione madre (la Cnt, il Poum) fossero rettificati e il partito venisse orientato e incamminato sulla strada giusta'. (pag. 36).
La posizione della Frazione è dunque distinta, formalmente corretta, ma porta con sé il limite che Iborra accenna e non sviluppa, anche perché esulerebbe dal tema del lavoro. E il limite è sì, forse, in una sottovalutazione della 'rivoluzione economica e sociale sviluppatasi in Catalogna' (pag.38) ,ma è soprattutto nella sottovalutazione del proprio ruolo. Allo slancio della minoranza verso il precipizio politico di considerare le organizzazione di sinistra della guerra civile come organizzazione di classe, che sbagliano, ma in qualche modo ricuperabili, reagì con la chiusura simmetricamente opposta: denuncia del ruolo controrivoluzionario di quelle organizzazioni come ammissione della propria impotenza e non come terreno di sviluppo del proprio intervento.
Quale rapporto ci sia fra questo atteggiamento e l'altro grave handicap della Frazione che Iborra indica in chiusura è tema che l'autore non affronta e che merita una attenta riflessione, soprattutto per quei tanti che acriticamente rivendicano la propria perfetta continuità con la Frazione.
Scrive Iborra:
' Ma il fattore che maggiormente pesò sul futuro della Frazione, fu senza alcun dubbio il progressivo deteriorarsi della sua capacità di analisi teorica. Mentre la situazione storica evolveva verso un inevitabile scontro bellico fra le grandi potenze imperialiste, la Frazione teorizzò una nuova ondata di lotte rivoluzionarie. Sarebbe stato proprio questo grave errore di analisi, al quale si deve aggiungere il suo tremendo isolamento, a portare allo scioglimento della Frazione al momento dello scoppio della seconda guerra mondiale'.
Val la pena ricordare che fra le altre posizioni caratteristiche c'era il riconoscimento dell'Urss come stato operaio degenerato, comunque non capitalista e che l'iniziativa dello scioglimento venne da quanti quelle teorizzazioni avevano sostenuto sulle pagine di Bilan, e fu respinta dagli altri che la Frazione ricostituirono. E' questo infatti uno fra i molti segnali che la Frazione non fu quell'entità omogenea e coerente che qualcuno vuole presentare, quale propria paternità. Anche in questo senso il lavoro di Iborra è un valido documento.
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