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La Rivoluzione Industriale




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La Rivoluzione Industriale



Rivoluzione e significato:


Il termine "rivoluzione" è l'unico termine appropriato per indicare la trasformazione produttiva che iniziò in Inghilterra alla fine del '700, perché essa determinò una trasformazione profonda  dei rapporti di classe, della cultura, della politica, delle condizioni generali di vita, e coinvolse direttamente o indirettamente tutta l'umanità.


Dove?


La rivoluzione industriale è un processo di lungo periodo e di dimensioni tendenzialmente mondiali: iniziato negli ultimi decenni del '700 in Inghilterra, esso si è successivamente dilatato all'Europa centro -occidentale (Belgio, Francia, Germania), agli Stati Uniti, al Giappone, all'Europa orientale e meridionale (Russia, Italia), ed è tuttora in corso di svolgimento nei paesi in via di sviluppo.


Chi?


In Inghilterra il rinnovamento tecnologico si iniziò nel campo dell'industria tessile nel 1733 quando John Kay inventò la cosiddetta "spoletta automatica o volante" . Ad essa seguirono altre invenzioni, come la filatrice meccanica o giannetta del tessitore James Hargreaves (1754) e la water-frame (telaio ad acqua) di Richard Arkwright (1768). Ma il balzo decisivo fu compiuto dallo scozzese James Watt che intorno al 1780 applicò all'industria tessile la macchina a vapore, costruita nel 1712 da Thomas Newcomen.


Quando?


La rivoluzione industriale iniziò nel secolo XVIII - XIX, in Inghilterra, più precisamente tra il 1760 e il 1815. L'Inghilterra non era né il più ricco né il più popolato paese dell'Europa,una serie di fattori misero le basi di uno sviluppo industriale. Nei decenni centrali dell'800 la Gran Bretagna era ormai un paese caratterizzato dalla forza espansiva del suo solido settore industriale, con un vantaggio su tutti gli altri Stati che sarebbe rimasto inalterato fino all'inizio del '900.


Perché?


Una delle ragioni per le quali l'Inghilterra fu la nazione primogenita dell'industria fu la superiorità dei suoi tecnici nel corso del secolo XVIII: una superiorità cosi netta che, persino dopo l'invenzione e l'adozione delle prime macchine per filare e per tessere, occorsero parecchi decenni perché all'estero si imparasse a ricostruirle, e spesso le copie stesse furono realizzate mediante il contributo di tecnici inglesi 





La Rivoluzione Industriale



Alla fine del '700 prende inizio in Inghilterra una trasformazione dei metodi di produzione che, per le sue conseguenze economiche, sociali, politiche e culturali, ha avuto un'importanza decisiva nel determinare le condizioni di vita dell'umanità e che viene giustamente definita "Rivoluzione Industriale".

Il termine rivoluzione è appropriato perché questa trasformazione produttiva ha modificato profondamente i costumi, i rapporti di classe, la cultura, la politica, insomma le condizioni generali di vita dei popoli.

Infatti i vecchi metodi di distribuzione (commercio per strada, per nave) vengono modificati dalla maggior velocità ottenuta con l'uso della macchina a vapore, quelli di trasformazione delle materie prime in prodotti finiti (lavoro a domicilio, manifatture) lasciano il posto alle fabbriche e alle industrie. Inoltre l'adozione sistematica delle macchine capovolse il tradizionale rapporto perché i lavoratori diventano semplici inservienti.

I forti investimenti richiesti dalle industrie porta a una netta divisione tra capitale e lavoro cosicché gli operai, separati dai mezzi di produzione che non possiedono, non possono più vendere, come faceva l'artigiano, le merci da loro prodotte, ma devono vendere come merce la propria forza lavoro.

Infine la loro condizione è profondamente diversa da quella delle classi subalterne dell'antichità e del medioevo (schiavi e servi della gleba) perché gli operai diventano di fatto i protagonisti di questo nuovo processo produttivo in quanto elemento indispensabile del sistema capitalistico.

Una delle ragioni che rese l'Inghilterra la nazione primogenita dell'industria fu la superiorità dei suoi tecnici durante il secolo XVIII. Questo primato tecnologico scaturisce dalla tradizione empiristica iniziata con Bacone (filosofo inglese) che aveva intuito il legame stretto che esiste tra l'aumento della conoscenza e l'accrescimento delle possibilità di controllare le forze della natura.

Altro motivo fu la mobilità della società inglese, la cui borghesia aveva dimostrato notevole imprenditorialità e intuizione nel servirsi di metodi e strumenti di lavoro assolutamente nuovi; le classi medie, da dove provenivano gli inventori delle macchine, non si vergognavano di dedicarsi ai problemi della tecnica e alle attività manuali.

Anche il quadro politico era in Inghilterra più favorevole che altrove, perché con le rivoluzioni del '600, la borghesia aveva la possibilità di condizionare il potere politico: ciò aveva permesso la trasformazione capitalistica dell'agricoltura, l'abolizione delle dogane interne, lo sviluppo di una rete di strade e canali navigabili con la conseguente formazione di un ampio mercato unico nazionale. Infine il decollo della rivoluzione industriale scaturì dall'aumento della domanda interna e dal passaggio dal sistema di lavoro tradizionale dove la quasi totalità dei capitali era impiegata in salari e nell'acquisto di materie prime, riservando un minimo di investimenti in impianti fissi, (macchine ed edifici), al nuovo sistema industriale dove si investiva soprattutto nelle macchine e nelle attrezzature che sono fonte di profitto solo se sfruttate a fondo.

La rivoluzione industriale fu inizialmente un fenomeno tipicamente inglese e, contrariamente a quanto si crede non iniziò dalle città, ma dalle zone rurali: nei piccoli centri delle contee. E fu preparato e preceduto dalla diffusione di un sistema decentrato di produzione organizzato sul lavoro a domicilio, detto putting-out system.

Londra era a quei tempi una città ribollente di attività economiche e produttive ma non fu tuttavia la sede delle trasformazioni più importanti.

I luoghi tipici della nascita del sistema-fabbrica concepito come capannone o edificio nel quale vengono installate macchine per la produzione di serie di prodotti tessili o per la lavorazione del ferro si trovavano altrove: a Manchester, a Sheffield, nello Hallomshire, a Nottingham.

Le prime fabbriche in senso moderno sorsero negli stessi luoghi in cui esisteva una già articolata produzione, potremmo dire una tradizione artigianale dello stesso tipo di quella impiantata.

In Inghilterra il rinnovamento tecnologico, che fu la premessa per la Rivoluzione Industriale, si iniziò nel campo dell'industria tessile nel 1733 quando John Kay, un giovane apprendista e poi operaio alle dipendenze di un tessitore, inventò la cosiddetta spoletta automatica o volante che permise di raddoppiare la capacità produttiva dei telai. Ad essa seguirono altre invenzioni, come la filatrice meccanica o giannetta di James Hargreaves, che era mezzo tessitore e mezzo carpentiere, (1754) e la water-frame (telaio ad acqua, che era un filatoio automatico azionato ad energia idraulica) di Richard Arkwright, un barbiere e parrucchiere che sarebbe diventato in breve il prototipo del capitalista riuscito (l'uomo fatto da sé) e anche fortunato, (1768). Ma il balzo decisivo fu compiuto per merito dello scozzese James Watt che intorno al 1780 applicò all'industria tessile la macchina a vapore, costruita nel 1712 da Thomas Newcomen, modificandola e trasformandola da macchina a vapore in macchina motrice. 


Premesse rivoluzione industriale:


Premesse politiche


Agli inizi del Seicento in Inghilterra, dopo la morte di Elisabetta I, sale sul trono la dinastia degli Stuart. Il nuovo sovrano è Giacomo I che unisce sotto il suo potere Inghilterra, Scozia e Irlanda. Giacomo vuole realizzare una monar­chia assoluta, sul tipo di quella francese. Inoltre cerca di abolire i poteri del parla­mento, ma così facendo scontenta gran parte dei suoi sudditi, soprattutto la borghesia e la piccola nobiltà, che si vedono private della possibilità di di­fendere in parlamento i propri interessi.

II progetto di Giacomo I è ripreso da suo figlio, che sciolse il parlamento. Poi tenta di imporre alla Scozia calvinista la religione anglicana per questo motivo nel 1638 la Scozia si ribella, seguita suc­cessivamente anche dall'Irlanda dove nu­merosi sono i cattolici. Per trovare il denaro necessario a repri­mere queste ribellioni, il re è costretto a convocare il parlamento. Questo però non è disposto a concedere nulla al re se non in cambio della garanzia di non essere più sciolto. Al rifiuto di Carlo I segue la guerra civile che scoppia nel 1642. Nella guerra civile si combattevano i sostenitori del re e i so­stenitori del parlamento. La guerra dura sette anni. Dopo un primo momento favorevole ai sostenitori del re, sono quelli del parlamento a prendere il sopravvento. E ciò soprattutto per merito di un abile capo politico e militare: Oliver Cromwell.  Sconfitto militarmente, Carlo I viene fatto prigioniero e il 30 gennaio 1649, dopo essere stato processato, viene decapitato.

Dopo la decapitazione di Carlo I, l'Inghilterra diviene una repubblica. Nel 1653 Cromwell incomincia a governare in modo autoritario, reprimendo nel sangue ogni forma di opposizione. In campo economico Cromwell mira a sviluppare i commerci. Potenzia la mari­na e promulga l'Atto di Navigazione. Vi si stabilisce che il commercio tra l'Inghilterra e le colonie dovesse essere effettuato solo da navi inglesi. Cromwell conserva il potere fino alla sua morte, che avviene nel 1658. Ma subito dopo il paese entra in crisi. Si decide allora di convocare il parlamento che invita il figlio di Carlo I, Carlo II Stuart, a tornare patria e a regnare. La situazione precipita nuovamente nel 1685 alla morte di Carlo II. Gli succede infatti il fratello, il cattolico Giacomo II Stuart, che cerca di ristabilire la monar­chia assoluta.

Il parlamento offre allora il trono a un no­bile olandese, Guglielmo d'Orange e Maria Stuart. Giacomo II re fugge in Francia e Guglielmo sbarca in Inghilterra. Ma prima di affidare a Guglielmo il potere, il parlamento inglese pretende dai due nuovi sovrani un particolare impegno. E cioè che firmino la Dichiarazione dei diritti, un documento in cui si afferma che il potere della monarchia non è più asso­luto, ma limitato dai diritti dei cittadini e dalle leggi approvate dal parlamento. Solo dopo aver firmato fedeltà alla Di­chiarazione dei diritti. nel 1689 Guglielmo viene incoronato Re d'Inghilterra. Nasce così la monarchia costituzionale, una forma di governo in cui anche il re deve rispettare la costituzione, cioè la legge fondamentale di uno Stato, quella che stabilisce come deve essere organiz­zato.

L'Inghilterra diventa quindi prima di altri uno stato liberale, cioè uno Stato in cui vi è una costitu­zione e un equilibrio tra i tre poteri fondamentali dello Stato. Il governo comanda, ma attraverso le leggi approvate dal parlamento. Il parlamento fa le leggi, ma deve elegge­re un governo. I giudici giudicano, ma in base alle leggi scritte dal parlamento.

Per il liberale ogni cittadino ha diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni religiose, morali, politiche, qualunque esse siano. Così come ogni cittadino deve essere la­sciato libero di intraprendere qualsiasi iniziativa economica. Nell'economia, infatti, i liberali sono libe­risti. Credono cioè che l'iniziativa economica deve essere assolutamente libera. Ovvero tutti devono avere il diritto di far affari, commerciare o produrre, come meglio credono, è la concorrenza che spinge tutti a conseguire i migliori risultati. Inoltre lo Stato non deve occuparsi di questio­ni economiche. Questa situazione politica favorisco lo sviluppo industriale, avvantaggiato anche dal fatto che l' Inglilterra è una grossa potenza coloniale.

La prima metà del diciassettesimo secolo, infatti, vede lo stabilizzarsi delle prime colonie inglesi nel Nord America: i Padri Pellegrini salpano alla volta del New England nel 1620. Queste colonie attraggono un grande numero di rifugiati dalla persecuzione religiosa. I coloni inglesi si insediano anche nelle Indie occidentali. I regni di George I e del suo successore George II sono periodi di grande espansione coloniale, durante i quali l'Inghilterra arriva ad un conflitto di interessi con la Francia in India ed in Nord America. L'Inghilterra in questo modo si crea un vero e proprio Impero coloniale, sfruttato a fini commerciali. Più che mai il raggiungimento di una superiorità navale diviene una assoluta necessità. La colonizzazione britannica in India è nelle mani della Compagnia delle Indie Orientali, fondata nel 1660, che si arricchisce con la crescita della domanda di The di qualità, di seta e di cotone. Dapprima la Compagnia delle Indie Orientali ha solo intenti commerciali, ma ben presto diviene effettivamente padrona dell'India cacciando via i suoi rivali francesi.

La rivalità in Nord America ha invece altre conseguenze, perchè i francesi possiedono i territori che oggi sono l'est del Canada. Questa rivalità porta alla 'guerra dei sette anni', che finisce con il Trattato di Parigi nel 1763, quando il Canada diviene britannico e la Gran Bretagna ottiene ulteriori vantaggi in India e da altre parti del mondo.

Questi sono i trionfi dell'espansione mercantile che posano le fondamenta per la crescita all'estero della potenza dell'Impero Britannico, ed all'interno della nazione portano benessere e ricchezza con la crescita dell'industria, grazie sopratutto all'apporto di numerose quantità di materie prime a basso costo.



Premesse tecnologiche-culturali


La rivoluzione industriale è accompagnata da varie invenzioni che ne favoriscono lo sviluppo. Il settore dove appaiono le prime invenzioni è il settore tessile, con John Kay, che inventa la spoletta volante, permettendo ai tessitori di raddoppiare la pro­duzione e di migliorare la qualità; James Hargreaves, che inventa la filatrice meccanica con la quale è possibile moltiplicare il quantitativo di materiale lavorato nelle venti­quattr'ore; Richard Arkwright, che crea il dispositivo per ottenere fili di ogni grossezza e di grande resistenza e che orga­nizza le prime filande su base industriale. Ma l'invenzione più importante significativa e quella di James Watt, che costruisce la prima macchina a vapo­re della storia, mettendo in tal modo a disposizione dell'umanità una forza motrice di rilevante potenza e durata, capace di produrre gran­di quantità di energia e quindi di abbassare i tempi necessari alla la­vorazione delle merci. Fino ad allora infatti le uniche fonti di energia sono state solo quelle offerte dall'uomo, dagli animali, dal vento o dall'acqua, tutte forme di energia instabile e temporanea e come tale incapace di far funzionare in modo costante e continuo le nuove fabbriche. La scoperta della macchina a vapore oltre a migliorare e ad intensificare la produzione determina una svolta decisiva nell'impiego dei capitali in campo industriale e conseguentemente una radicale trasformazione della società. Infatti le prime macchine, usate per filare e tessere, sono per lo più in legno ed estremamente semplici e poco costose Ec­co perché i primi realizzatori della rivoluzione industria­le, non appartengono alla ricca borghesia commerciale, in genere poco disposta a prendere in considerazione questa nuova fonte di guadagno, bensì al folto gruppo degli artigiani e dei piccoli proprietari di campagna: questi, per l'appunto, a causa delle limita­te somme indispensabili per avviare un'attività industriale e dei pos­sibili lauti guadagni che essa comporta, sono almeno in un primo momento in grado di finanziare da soli le nuove imprese. In seguito, però, dopo che entrano in funzione sempre più numerosi i telai meccanici e le macchine a vapore, si rese indispensabile un maggio­re impegno finanziario per l'acquisto degli impianti, divenuti ben presto ampi e complessi e come tali particolarmente costosi: ecco perché a poco a poco molte piccole imprese scompaiono o si vedono costrette a riunirsi in società al fine di organizzare la produzione su basi economicamente più solide e con possibilità di più ampio in­serimento nei mercati. È per l'appunto da questo processo di concentrazione delle mac­chine e dei capitali che ha origine in breve tempo una solida clas­se di imprenditori e di industriali.

Lo sviluppo della rivoluzione industriale è favorito anche da una nuova corrente di pensiero detta illuminismo. Il termine illuminismo deriva da 'lume', cioè 'luce'; gli illuministi in­tendono 'illuminare' gli uomini con la luce della ragione e della scienza, per contrastare l'antico regime, cioè l'insieme de­gli aspetti politici, sociali e giuridici che caratterizzarono la storia dell'Europa dal XVI al XVIII secolo.

L'intelligenza, la ragione, il metodo sperimentale sono le parole d'ordine per combattere l'ignoranza e la superstizione. Gli illuministi criticano anche la Chie­sa, il cui comandamento è credere nel mistero, cioè avere fede. Ciò è proprio il contrario di quello che gli illuministi af­fermano. Il loro obiettivo principale è favorire il raggiungimento della felicità, cioè delle migliori condizioni di vita possibili per il maggior numero di persone. Così gli illu­ministi e in generale gli uomini di cultura si pongono l'importante compito di in­formare l'opinione pubblica sulla necessità di progredire e di migliorare la loro situazione.

L'illuminismo  ha inizio in Inghilterra, poi si sviluppa soprattutto in Francia, per merito di importanti filosofi come Char­les Montesquieu, Voltaire Jean-Jacques Russeau. Gli illuministi sono uniti dal desiderio di dare battaglia a quanto di ar­retrato c'è nella cultura, nella società e nella politica.

Per far conoscere a più persone possibili tutto ciò che l'uomo aveva prodotto con la ragione e con la scienza, gli illuministi danno vita a una grandiosa opera: L'enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. L'Enciclopedia, in 28 volumi, richiese oltre vent'anni di lavoro ed il suo successo è enorme. Diviene l'ope­ra più rappresentativa dell'Illuminismo. L'obiettivo non è solo quello di trasmettere delle conoscenze, ma di diffondere le nuove idee dell'Illuminismo. Gli illuministi si rivolgono soprattutto a quella parte di società, la borghesia, che è critica nei confronti della società tradizionale fondata sui privilegi e non sulla legge.



Premesse Economiche


L'agricoltura si è liberata dai vecchi vincoli feudali grazie al processo delle enclosures, ovvero le recinzioni delle terre comuni e dei campi aperti. Le recinzioni consistono inizialmente in un recinto semplice per poi arrivare a dei veri e propri muri di pietra. Le terre, vengono confiscate ai contadini e ai piccoli proprietari, diventano di proprietà di privati che, sfruttando le nuove tecniche e la crescente richiesta di prodotti agricoli sui mercati cittadini, ottengono un notevole aumento della produttività e del profitto. Ne derivano però gravi problemi per i contadini, spesso privati della terra senza alcun rimborso. Il processo costituisce un elemento fondamentale nel passaggio dall'agricoltura di sussistenza a quella moderna di mercato.

Il fenomeno, ha inizio in Inghilterra, per poi espandersi in tutta Europa, e grandi masse rurali si riducono a tale miseria che molti sono costretti a migrare nelle città, andando ad unirsi al proletariato urbano. Così ben presto i proprietari terrieri diventano una forza politica dominante. Grazie alla proprietà privata quindi nasce l'industriale: infatti il proprietario terriero investe denaro per lo sfruttamento dei campi introducendo nuove tecnologie. Quest'ultime portano ad una moltiplicazione della produzione, riducendo il bisogno di lavoro. Il proprietario terriero vende i prodotti del campo accumulando capitale, che a sua volta investe per comprare macchinari, forza lavoro ecc. per la costituzione di un'azienda. Nel caso in cui il capitale non bastasse si ricorre ai prestiti, da qui un grande sviluppo delle banche.

Inoltre le colonie permettevano all'Inghilterra di importare alcune materie prime a basso costo, come il cotone, necessarie alla nascente industria tessile, e di esportare i suoi manufatti industriali.




Premesse sociali


La spinta iniziale della rivoluzione industriale va ricercata tra le conseguenze della rivoluzione agraria incoraggiata dall'introduzione di nuove piante alimentari di provenienza americana, quali la patata e il mais. Nelle campagne inglesi sono stati avviati profondi cambiamenti. Molte terre comuni che comprendevano piccole strisce di boschi e di pascoli sono diventate proprietà di priva­ti che le hanno riunite in campi più grandi recintandole con siepi e muretti. Qui dentro i proprietari si impegnarono per rendere l'agricoltura più moderna e produttiva. Vengono inventati nuovi metodi per non far rovinare il terreno come la rotazione triennale. Questo sistema si chiama anche 'tre campi', perché il terreno è diviso in tre parti, su cui si succedono, nell'arco di tre anni: il grano invernale, il grano primaverile (oppure l'orzo), il maggese, ed infine al riposo. L'anno successivo, si invertono le parti. Così grazie alla produzione agricola migliora anche l'allevamento. Il bestiame viene selezionato e produce in abbondanza lana, lat­te, carne e quindi forniscono anche letame il principale tipo di concime allora conosciuto. L'accresciuta produttività agricola, produce maggior offerta diversificata dei prodotti oltre alla minor richiesta di manodopera. Quast'ultima carenza provoca l'incremento di lavoratori disponibili e attratti dalla città, quest'ultimi si aggiungono alle masse rurali costrette ad abbandonare le campagne per l'eliminazione delle terre comuni. Questo flusso di manodopera si riversa nei centri manifatturieri alla ricerca di un lavoro, alimentando la formazione del proletariato urbano. Inoltre alla fine del Cinquecento ha comin­ciato a svilupparsi in Inghilterra il lavoro a domicilio, cioè un lavoro eseguito a casa propria ma per conto di altri. Ben presto però artigiani e lavoranti a domicilio non riescono più a soddisfare la crescente domanda di prodotti che viene dalle colonie e dalla popolazione in aumento. È necessario quindi sostituire i vecchi metodi di lavoro con altri che permettessero di produrre di più, in minor tempo senza aumentare i costi. Dando così l'impulso per la rivoluzione industriale.

Prima della rivoluzione agricola sono frequenti le carestie. Pri­vate del cibo, milioni di persone muoiono o si indeboliscono a tal punto da essere facile preda di malattie. Inoltre la mortalità infantile è molto elevata: le madri partorivano in casa, l'i­giene è scarsa. Anche negli ospedali la sopravvivenza è difficile: le tecniche chirurgiche sono arretrate e raramente viene scoperto qualche nuovo medica­mento per curare le numerose infezioni.

La rivoluzione agricola modifica radi­calmente tale situazione. Le innovazioni scientifiche e tecniche vengono presto in­trodotte anche in medicina. L'igiene migliora decisamente e la mortalità infantile dimi­nuisce. Strumenti sempre più moderni mi­gliorarono la qualità degli interventi chi­rurgici. Il tenore e le condizioni di vita migliorano notevolmente creando una società adatta ad accogliere la rivoluzione industriale, soprattutto per lo straordinario incremento demografico, che aumenta l'offerta di lavoro. Mai la storia dell'umanità ha cono­sciuto uno sviluppo simile.


IL FATTO


Perché la rivoluzione industriale e ciò che ne comporta avvenne in Inghilterra?


L'Inghilterra del XVIII secolo è il "luogo economico" nel quale avvenne la prima rivoluzione industriale, che fu una rivoluzione energetica sia dal punto di vista scientifico culturale che sotto il profilo pratico.  

Una delle ragioni per la quale l'Inghilterra fu la nazione dove l'industria ebbe origine, fu la superiorità dei suoi tecnici: una superiorità così netta che, persino dopo l'invenzione e l'adozione delle prime macchine per filare e per tessere, occorsero parecchi decenni perché all'estero s'imparasse a ricostruirle, e spesso le copie furono realizzate mediante il contributo di tecnici inglesi, che conoscevano bene la matematica e la fisica.

Altro fattore importante fu l'agricoltura, infatti l'Inghilterra fu la prima ad avere un'agricoltura di mercato (per profitto), che unita all'innovazione tecnologica, liberò della manodopera dalle campagne verso la città che troverà occupazione nella nascente industria.

La disponibilità di ingente manodopera a basso costo contribuì in maniera fondamentale al decollo industriale del paese.

Inoltre l'Inghilterra si trova in una posizione geografica favorevole, questo le consentì una facile difesa dei propri confini ed una rapida espansione dell'attività commerciale che si rivolgeva sempre di più ai traffici extra-europei. Altro importante fattore è la rivoluzione agricola sviluppatasi nel corso del settecento, che agevolò lo sviluppo industriale e demografico.

All'inizio del '700 l'Inghilterra era già una monarchia costituzionale in cui si era formata una classe di ricchi borghesi ed imprenditori che investì ingenti capitali, accumulati con il commercio e con l'agricoltura nell'industria meccanica e quella tessile (miniere, mulini e filatoi).

Il grande impegno profuso in questi settori fece sentire la necessità di una maggiore disponibilità di energia meccanica per far muovere i telai, per trasportare il carbone e soprattutto per pompare in superficie l'acqua che s'infiltrava nel fondo delle miniere ed ostacolava gli scavi.

Prima dell'avvento della macchina  a vapore, l'acqua veniva estratta dalle miniere per mezzo di ruote a pale mosse dalla corrente di fiumi. Le ruote a pala furono sostituite dalle macchine a vapore che non avevano bisogno di corsi d'acqua per essere alimentate ma di combustibile. La macchina a vapore divenne il vero emblema della rivoluzione in corso, perché con essa si usava per la prima volta il calore per produrre energia meccanica e perché la sua introduzione nelle fabbriche costituiva la caratteristica principale e l'atto di nascita del moderno modo di produzione.

Tra il '700 e l' '800 la macchina  a vapore si diffuse anche nel resto dell'Europa.


Watt e la macchina a vapore


Nella seconda metà del settecento ebbe inizio in Inghilterra (e si diffuse gradualmente in Europa e in America Settentrionale) un processo di industrializzazione che provocò cambiamenti tanto profondi in tutti gli aspetti della vita umana da essere definito "rivoluzione industriale".

Si trattò di una rivoluzione tecnologica che comportò trasformazioni sociali ed economiche sempre più rapide, ma soprattutto in continua evoluzione.

Da quel momento la vita dell'uomo non fu più la stessa, vennero gradatamente modificati o cancellati usi e costumi radicati nel tempo; si aprono tra i ceti sociali nuove tensioni che avrebbero condizionato il successivo sviluppo della storia.

La prima macchina  a vapore fu inventata nel 1690 dal francese Denis Papin e venne usata per il pompaggio dell'acqua. Più avanti, nel 1705 il britannico Thomas Newcomen inventò il motore atmosferico.

Partendo dall'idea di migliorare il motore di Newcomen, lo scozzese James Watt (1736-1819) realizzò una serie di importanti invenzioni, che portarono allo sviluppo della moderna macchina a vapore.

La macchina a vapore sostituì in gran parte le tradizionali fonti di energia che presentavano l'inconveniente o di non essere disponibili nelle quantità, nei tempi e luoghi richiesti, o di non essere instancabili e adeguate alle nuove macchine utensili (energia muscolare dell'uomo e degli animali). Inoltre i giacimenti di carbone erano abbondantissimi e soprattutto, la macchina a vapore consentiva di produrre energia di una intensità e di una concentrazione senza precedenti. Con l'adozione della macchina  a vapore la richiesta di ferro e di leghe adeguate subì un rapido incremento.

Infatti fu possibile produrre quantitativi di ferro maggiori, di migliore qualità e costo quando si passò da una siderurgia fondata sul carbone di legna a quella che sfruttava il carbon coke. Prima che s'introducesse questo distillato del carbon fossile, la ghisa che si otteneva dalla lavorazione di metalli ferrosi era dura e nel contempo fragile, e dunque di difficile lavorazione.

L'innovazione avvenne in due fasi successive. Prima s'introdussero - con lentezza - altiforni a coke da cui si otteneva ghisa migliore; in un secondo tempo si utilizzò un nuovo procedimento (scoperto da Henry Cort nel 1783) - che pure impiegava il carbon coke - per la raffinazione e la laminazione della ghisa. E con questo in Inghilterra la produzione di carbone passò da duemilioni e mezzo di tonnellate nel 1700, a cinquemilioni nel 1750 e a diecimilioni nel 1802.

La prima delle invenzioni di Watt fu un motore dotato di una camera di condensazione del vapore separata, mediante la quale si riuscivano a ridurre le perdite di vapore che si verificavano nell'alternarsi di riscaldamenti e di raffreddamenti del cilindro. Nel motore di Watt, infatti, il cilindro era isolato e rimaneva alla temperatura del vapore.

La camera di condensazione separata veniva raffreddata ad acqua ed era dotata di una pompa, utilizzata sia per ricreare una depressione sufficiente ad aspirare il vapore dal cilindro sia per rimuovere l'acqua dalla camera stessa.

Un'altra radicale innovazione dei primi motori di Watt consisteva nel fatto che in essi era la pressione del vapore, e non la pressione atmosferica, a compiere lavoro utile. Watt inventò anche il modo di trasformare il moto rettilineo alternativo dello stantuffo nel moto rotatorio e continuo di un volano, utilizzando dapprima un sistema di ruote dentate, e poi con un sistema di biella-manovella simile a quello delle macchine  a vapore moderne.

La macchina a vapore di Watt si basa sul fatto che il vapore tende ad espandersi. Se viene compresso in un cilindro esso esercita sulle pareti di questo un'enorme forza, la quale, opportunamente diretta e regolata, può essere sfruttata per mettere in movimento delle macchine. In altre parole la macchina a vapore serve a trasformare l'energia termica in energia meccanica, cioè a sfruttare calore per produrre del movimento.

Nel 1776 Watt la brevettò per le macchine tessili (filatoi, telai ecc..); successivamente la macchina a vapore fu utilizzata nelle miniere, nelle fonderie e per muovere imbarcazioni e veicoli.

E così con il passare del tempo nelle comunicazioni terrestri fu la ferrovia la vera protagonista della rivoluzione dei trasporti, grazie alla combinazione fra la locomotiva a vapore e le rotaie in ferro. La locomotiva fu pronta ad essere adoperata per i trasporti su rotaia nel 1835 e in pochi anni la Gran Bretagna assistette alla costruzione di una vasta rete ferroviaria.

La macchina a vapore è costituita da caldaia, apparato della distribuzione del vapore, cilindri, bielle e ruote motrici.  La caldaia è la parte in cui si ottiene la produzione di vapore; nel focolare annesso alla caldaia viene bruciato carbon fossile, i fumi caldi prodotti attraversando i tubi, trasformano progressivamente l'acqua della caldaia in vapore. I fumi fuoriescono dal fumaiolo, mentre il vapore si raccoglie in una cupola, sistemata nella parte alta della caldaia. Dopo di che il vapore passa all'apparato di distribuzione. Nel cilindro avviene la trasformazione dell'energia termica in energia meccanica.

Il pistone che si muove dentro il cilindro viene sospinto dal vapore in entrambi i sensi: è composto da una manovella, una biella e una guida rettilinea prismatica (glifo).

La macchina a vapore venne utilizzata soprattutto nell'industria tessile, ma anche in quella mineraria, applicata agli impianti per il pompaggio dell'acqua e per il sollevamento dei minerali.


Le  conseguenze della Rivoluzione Industriale


L'aumento della popolazione


Lo sviluppo dell'economia europea fu accompagnato dal rapido incremento della popolazione. Questo aumento costituì un mutamento radicale nella storia della popolazione europea rispetto ai secoli passati, quando qualsiasi incremento rilevante veniva prima o poi annullato da qualche catastrofe, naturale o umana( epidemie, carestie, guerre). Ci fu, infatti, una progressiva diminuzione del tasso di mortalità, collegata al lento miglioramento dei livelli di vita e dell'alimentazione, alla totale scomparsa della peste e ai progressi della medicina e dell'igiene.


L'urbanesimo


Un altro dei fenomeni tipici dell'800 fu l'urbanesimo, ossia lo spostamento di popolazione dalle campagne e dalle piccole località verso i centri urbani. L'urbanesimo portò con se uno sconvolgimento dei modi di vita una profonda modificazione dei comportamenti sociali, politici e religiosi una trasformazione delle condizioni di lavoro, delle abitudini alimentari, dei rapporti familiari e dei modi di pensare. Gli elementi decisivi di questi processi furono l'industrializzazione e lo sviluppo delle attività terziarie e burocratiche insediate essenzialmente nelle città, le quali accentuarono la loro funzione produttiva accanto a quelle amministrative commerciali, civili e intellettuali. Le città esercitarono così un costante richiamo sulle sovrabbondanti e povere popolazioni rurali e sugli artigiani disseminate nelle campagne e minacciati dalla disoccupazione a causa della concorrenza dei prodotti industriali. Questo spostamento lento e continuo nella seconda metà dell'800 provocò una riduzione della popolazione agricola. Tempo di città, l'800 segnò anche l'avvio del tempo delle metropoli, i grandi centri con molte centinaia di migliaia di abitanti. Se all'inizio del secolo le due sole città del mondo che contavano più di mezzo milione di abitanti erano Londra (950.000) e Parigi (550.000), intorno al 1900 vi erano già 11 città con oltre un milione di abitanti di cui sei in Europa (Londra, Parigi, Berlino, Vienna, Pietrogrado e Mosca).

L'espansione delle città produsse in un primo tempo un doloroso peggioramento delle condizioni abitative e igieniche dei quartieri popolari e urbani. La precarietà dell'esistenza, aggravata dalla scarsità di abitazioni popolari e dal rincaro degli affitti, favoriva a sua volta dei fenomeni negativi come l'ubriachezza il furto e la prostituzione, tanto da generare nell'opinione pubblica borghese l'identificazione fra "classi lavoratrici" e "classi pericolose".


Il nuovo volto delle città

Le fabbriche sorsero in tutta l'Inghilterra, in particolare nelle regioni settentrionali e occidentali, più ricche di carbone e di ferro. Intorno alla fabbrica prosperavano tutte le attività utili per il sostentamento e  per le necessità quotidiane di un numero sempre crescente di operai, impiegati, addetti ai servizi (cioè persone che, si dedicano non alla produzione, ma all'organizzazione). Nei pressi si stabilì una folta schiera di artigiani (sarti, calzolai, panettieri), piccoli e grandi commercianti. Il settore impiegatizio, in forte espansione, richiedeva personale sempre più qualificato e preparato a rispondere alle esigenze di una città che si ingrandiva. Lo stile di vita cambiò completamente, ma le città non erano strutturate in modo da ricevere un numero sempre crescente di abitanti. All'incremento demografico urbano non corrispose un adeguato sviluppo urbanistico: vennero occupati tutti gli spazi liberi (piazze e giardini compresi) e costruiti nuovi quartieri formati da una massa disordinata di edifici con strade strette, contorte e sporche, quasi sempre prive dei più elementari servizi igienici. Le case erano abitate dalle cantine sino alle soffitte, e spesso in una sola stanza si affollavano tre generazioni. Tuttavia, nonostante le pessime condizioni degli alloggi, gli affitti erano altissimi a causa dell'enorme richiesta, conseguente al continuo afflusso di lavoratori che abbandonavano la campagna per la città.

I quartieri operai

Le casupole degli operai sorgevano irregolarmente intorno alla fabbrica; costruite con materiali scadenti, si degradavano rapidamente e non duravano più di quaranta anni. I problemi più gravi in questi quartieri erano l'approvvigionamento dell'acqua e lo smaltimento dei rifiuti. Infatti le case operaie non avevano ne acqua ne fognature. C'era una fontanella in ogni quartiere, dove occorreva far la coda anche di notte per prendere un po' di acqua. E siccome le tubazioni erano costruite da società private, si doveva pagare.

Talvolta vi era un unico gabinetto per trenta case; i liquami erano raccolti in pozzi neri svuotati periodicamente da società private; se lo svuotamento tardava, i liquami filtravano nei cortili e nelle strade,  producendo fetide pozzanghere dove abitualmente giocavano i bambini.

Le famiglie di allora assai numerose erano costrette a vivere in uno o due locali, ricavati in edifici malsani, dove mancavano spesso aria e luce. Così gran parte delle attività domestiche venivano svolte in  strada, dove giocavano anche i bambini.



La borghesia industriale


La rivoluzione industriale e i processi a essa connessi portarono all'ascesa del ceto degli industriali, che a fine secolo si sarebbe affermato come la forza dirigente delle classi dominanti in quei paesi in cui era più progredita la modernizzazione industriale. Pur nella diversità delle origini il padronato industriale era caratterizzato da alcuni aspetti distintivi comuni, quali lo spirito di iniziativa imprenditoriale e il gusto del rischio, il   senso degli affari e la dedizione al lavoro. All'interno delle loro aziende questi capitani d'industria erano investiti di un autorità assoluta, a volte mitigata a un paternalismo che induceva gli imprenditori più sensibili a cercare di legare i lavoratori all'azienda con iniziative assistenziali e previdenziali e con la costruzione di alloggi e scuole per i dipendenti.


Gli operai     


Parallelamente nel corso dell'Ottocento il proletariato industriale accrebbe la sua consistenza numerica con l'apporto massiccio di schiere di lavoratori di origine rurale concentrandosi in unità produttive di ampie dimensioni, le fabbriche, così che i salariati occuparono un posto sempre più importante nelle società europee. La traumatica durezza del «regime di fabbrica», quale si manifestò dapprima in Inghilterra e poi negli altri paesi dell'Europa agli inizi della rivoluzione industriale, colpì gli osservatori del tempo, che dedicarono      ampie inchieste ai fenomeni legati all'industrializzazione.

La condizione operaia era fatta di sei intere giornate lavorative settimanali (senza periodi annuali di ferie) protratte per 12-16 ore in ambienti spesso malsani; e i ritmi, regolati dall'automatismo delle macchine, erano sfibranti e logoranti anche sul piano psichico per la ripetitività delle mansioni, che provocava una caduta dei livelli di attenzione, responsabile tra l'altro dell'elevato numero di infortuni sul lavoro. Gli operai erano inoltre esposti al rischio della disoccupazione e della malattia in un periodo in cui non esistevano ancora forme di assistenza pubblica. Quanto ai salari, a parte quelli più elevati della manodopera qualificata e degli operai «di mestiere» - artigiani dediti a lavorazioni che richiedevano una elevata capacità professionale -, la grande massa della manodopera generica percepiva retribuzioni bassissime al limite della possibilità di sopravvivenza. Una parte rilevante delle maestranze, specie nel settore tessile, era poi formata da fanciulli dai 5-6 anni in su e da donne, in generale giovani nubili che lasciavano la fabbrica dopo il matrimonio o dopo la nascita del primo figlio. E questo fenomeno - le ampie dimensioni del lavoro  minorile e femminile - aveva la sua spiegazione nel basso costo di quella forza lavoro, pagata con salari assai inferiori a quelli degli uomini adulti. Assai rigorosa era infine la disciplina all'interno degli stabilimenti, sanzionata da regolamenti che erano l'espressione unilaterale dell'autorità padronale e che veniva fatta osservare dall'occhiuto controllo dei capi», individui di piena fiducia dell'imprenditore. I regolamenti riguardavano generalmente l'obbligo del rispetto e dell'obbedienza ai direttori e ai capi e quello della perquisizione personale all'uscita; ma non mancavano casi in cui le norme interferivano anche nel comportamento personale dei dipendenti fuori della fabbrica, prevedendo ad esempio il licenziamento di chi avesse tenuto notoriamente «cattiva condotta nella sua vita privata».


La tirannide della macchina e i bassi salari


L'intera questione appare oggi assai più di natura sociale e culturale che economica;la disciplina della fabbrica - con i suoi ritmi e i suoi tempi segnati dall'orologio aziendale, uno degli strumenti principali che regolano la vita di fabbrica - era un'autentica novità sentita dolorosamente dalla classe lavoratrice e imposta dalla borghesia imprenditoriale. Nell'ambiente malsano e degradante della fabbrica, che mutava i gesti del lavoro e segnava la sua logica meccanica sul corpo stesso dell'operaio, era il significato antropologico e psicologico del lavoro che veniva mutando: i ritmi biologici della fatica fisica e mentale dovevano ormai adattarsi a quelli della macchina, che non conosceva soste, pause o discontinuità. Il tempo omogeneo e astratto segnato dall'orologio doveva sostituire quello tradizionale, segnato dalle stagioni, dall'alternarsi del giorno e della notte, dalla diversa durata della giornata. Le macchine erano state introdotte tanto per aumentare la produzione che per ridurre i costi, ma dal punto di vista della creazione di un proletariato disciplinato era il secondo aspetto a contare di più; gli industriali dichiararono più volte che solo una politica dei bassi salari avrebbe costretto gli operai a lavorare continuamente, senza assentarsi quando ritenevano di aver guadagnato un salario sufficiente.


L'associazionismo operaio


Questa dolorosa situazione conobbe un lento miglioramento a partire dal 1840, - grazie all'innalzamento dei salari e dei consumi e ai primi interventi degli Stati, che a partire dall'Inghilterra emanarono una serie di leggi per limitare l'impiego e l'orario di lavoro di donne e bambini. Sul relativo miglioramento delle condizioni di vita operaie influì soprattutto l'azione degli stessi lavoratori, che si riunirono per creare cooperative (cioè associazioni) di produzione e lavoro, basate sul lavoro dei soci, e società di assistenza reciproca (o di «mutuo soccorso»), al fine di aiutare finanziariamente gli iscritti che non potevano lavorare per malattia o che erano disoccupati. Più avanti, e specie dalla metà del secolo, i lavoratori dei paesi industrializzati dell'Europa continentale costruirono forme di organizzazione permanente di tipo sindacale. Nei sindacati e nelle leghe di categoria gli operai si raccoglievano non più per scopi assistenziali ma per decidere azioni- compreso lo sciopero - dirette a migliorare e a tutelare le loro condizioni all'interno delle officine e ad avviare procedure per concordare i contratti con il padronato. Gli obbiettivi principali di queste lotte erano la riduzione della giornata lavorativa, l'aumento dei salari e il riconoscimento di un maggior rispetto per la persona dei lavoratori. Anche in questo caso le prime esperienze e di un sindacalismo fondato sugli interessi di categoria, con l'acquisizione degli elementi essenziali di una coscienza collettiva di classe, furono anticipate in Inghilterra a partire dalla fine degli anni venti, dopo che in nome del liberismo economico erano state abolite le "Combination Laws" che nel 1789 e 1800 avevano sancito l'illegittimità di qualsiasi associazioni per la difesa degli operai.


La diffusione dell'istruzione


Lo sviluppo economico e il generale progresso della società promossero la lotta contro l'analfabetismo, che fu condotta con vario impegno dai governi degli Stati più progrediti. Le classi dirigenti erano infatti consapevoli che la scuola primaria poteva contribuire sia a formare individui in grado di svolgere le mansioni lavorative più complesse richieste dall'industria moderna, sia a trasmettere nei ceti inferiori i valori di ordine e disciplina necessari per conservare la pace sociale e scongiurare il pericolo rivoluzionario. Il processo di alfabetizzazione fu abbastanza rapido in paesi come la Svezia, la Prussia e la Scozia, dove la percentuale degli analfabeti adulti si aggirava alla metà del secolo intorno al 20%. La conquista dell'alfabeto fu più lenta in Francia, nell'impero austriaco, e soprattutto in Russia, in Spagna e in Italia, paesi in cui a quella stessa data gli analfabeti erano ancora l'80-90% della popolazione. E sarà solo a partire dagli anni Ottanta dell'Ottocento che l'istruzione elementare compirà decisivi passi avanti, grazie all'introduzione dell'obbligo della frequenza scolastica per i fanciulli. L'insegnamento secondario nei seminari, nei ginnasi e nei licei - a base essenzialmente letteraria - e quello universitario furono riservati quasi esclusivamente ai figli maschi delle famiglie appartenenti ai ceti superiori; anche se prese a svilupparsi una rete di scuole tecniche e professionali destinate a preparare i giovani delle famiglie meno abbienti, ma non povere, all'esercizio di mestieri qualificati e di attività commerciali. Gli effetti dell'espansione delle istituzioni scolastiche - laiche o religiose che fossero - si concentrarono in ogni modo essenzialmente nelle città e tra la popolazione di sesso maschile. Assai più lungo e contrastato fu invece il cammino della donna verso l'acquisizione di una istruzione di base e di una cultura più alta: una conseguenza, questa, della generale condizione di inferiorità in cui le donne erano ancora costrette. Lo sviluppo dell'istruzione, l'urbanesimo, il crescente interesse dell'opinione pubblica per la vita politica, i progressi tecnici realizzati dall'arte della stampa (fusione meccanica dei caratteri mobili tipografici, macchine stampanti a vapore e prime presse rotative) diedero un nuovo impulso all'editoria e al giornalismo. Così, limitandoci a un solo esempio, il numero dei libri pubblicati annualmente in Germania passi) tra il 1821 e il 1841 da 4000 a 12.000. Particolarmente vivaci furono l'incremento del numero delle pubblicazioni periodiche (giornali e riviste) - che divennero sempre più specializzate indirizzandosi ai settori di pubblico - e l'aumento del numero delle copie stampate. E a tale proposito basterà ricordare che i quotidiani parigini, i quali nei primi anni del secolo diffondevano poche migliaia di copie, nel 1870 ne stampavano circa un milione.


Spirito Religioso


La rivoluzione industriale non solo portò cambiamenti dal punto di vista politico, sociale ed economico ma anche e soprattutto dal punto di vista culturale. Soprattutto cambia la visione del mondo e lo spirito religioso, infatti, la società inizia a fare a meno della religione arrivando anche a privarsi di essa. La popolazione  in generale vivendo in condizioni disagiate, ma soprattutto gli operai, ormai schiavi del duro lavoro iniziano a convincersi che la religione è inutile. Ormai privati dalla speranza di ottenere il benché minimo miglioramento delle loro condizioni di vita la gente incomincia a smettere di credere in Dio, permettendo così lo sviluppo di una società areligiosa.


La diffusione delle idee del positivismo e del socialismo favorirono la formazione dello spirito laico, che anteponeva i valori terreni a quelli religiosi e portava con sé la diffusione crescente di forme di distacco dalla religione e di indifferenza nei suoi confronti. La Chiesa cattolica rispose a questi nuovi problemi con un atteggiamento di intransigente difesa della fede tradizionale e di rifiuto delle nuove dottrine scientifiche. Sul piano economico- sociale i cattolici intransigenti auspicavano una riorganizzazione della società ispirata al modello di una società imperniata sulle «corporazioni» dei secoli passati, cioè su associazioni di mestiere di cui dovevano far parte contemporaneamente sia i datori dì lavoro che i lavoratori dipendenti. Questa concezione contrapponeva all'individualismo e all'egoismo, di cui si attribuiva la colpa alle dottrine liberali e socialiste, che esaltava il ruolo delle comunità «naturali» come la famiglia, negava la divisione in classi e mirava alla conciliazione tra capitale e lavoro.


Formazione del capitale

Per costruire una fabbrica, per acquistare macchinari e materie prime, per immagazzinare, trasportare e vendere i prodotti anche a distanza, per pagare i salari agli operai occorreva molto denaro. Se poi i prodotti si fossero venduti bene, il denaro speso sarebbe rientrato, anche in misura maggiore. E il guadagno, o il profitto, cioè la differenza in più, sarebbe andato a chi aveva impiegato quel denaro. Dunque il profitto era il compenso per aver rischiato il denaro, spendendo per produrre delle merci prima di averle vendute e senza la certezza di poterle vendere. Senza disporre di denaro, di capitali da investire (cioè da spendere, da impiegare) non era possibile costituire un' azienda (impresa). Il sistema dunque si basava sulla disponibilità di un capitale e sul suo investimento nella produzione industriale. Chi si prendeva carico di realizzare questo investimento, l'imprenditore, poteva guadagnare moltissimo, o poco, o anche fallire se non vendeva la merce o se i clienti non lo pagavano.

Prendendo come esempio il seguente schema si deduce che:

AB: corrisponde all'orario di lavoro di un operaio (mediamente dalle 12 alle 16 ore);

AC: corrisponde alla retribuzione minima per la sopravvivenza dell'operaio;

AD: retribuzione ideale per favorire l'aumento del profitto spettante all'imprenditore


Le ore di lavoro dell'operaio andavano dalle 12 alle 16 ore, oltre questo limite l'operaio non può reggere fisicamente lo sforzo e per questo diminuisce la sua produttività. Per questa sua prestazione l'operaio riceve un salario (bassissimo) perciò l'obbiettivo del buon imprenditore dovrebbe essere quello di diminuire il salario dell'operaio per accrescere il profitto a lui spettante, ma  tenendo conto che non è possibile diminuire il salario poiché gia questo costituisce il minimo indispensabile per la sua sopravvivenza l'imprenditore deve cercare un altro metodo. Il successo dell'imprenditore deriva dall'introduzione delle innovazioni tecnologiche(macchina a vapore) che permisero l'aumento della produttività e ridussero l'impiego di forza-lavoro, facendo accrescere così enormemente il capitale. Il capitale deriva dal profitto(non è il guadagno). Il profitto è la differenza tra il lavoro prodotto e il lavoro pagato.

Tale sistema, fondato sulla disponibilità di un capitale e sul suo investimento nelle aziende da parte dei privati, fu detto capitalismo o sistema capitalistico.

Il capitalismo è un sistema economico sviluppatosi assieme alla Rivoluzione Industriale e che si basa su tre elementi:

libertà di produzione e di scambio, che ha come scopo il profitto dell'imprenditore, per ottenere questa libertà deve intervenire lo stato per modificare le leggi precedenti riguardo al mercato, ai dazi e che limiti i diritti reclamati dagli operai, ma che non intervenga sui prezzi.

proprietà privata dei mezzi di produzione

divisione tra capitale e lavoro; il proprietario dei mezzi di produzione non partecipa direttamente alla produzione dei beni, che è affidata agli operai, ma è quello che se gli affari vanno bene ne trae maggiori profitti.


I grandi profitti del lavoro in fabbrica sono dovuti alla divisione del lavoro, che permette all'operaio di imparare rapidamente la propria parte di lavoro e di svolgerla rapidamente senza perdite di tempo.

Il termine capitalismo deriva dai capitali che sono investiti, però bisogna ricordare che inizialmente i capitali investiti non furono molti, perché le macchine e le fabbriche erano semplici, ma poi con il progresso sono stati sempre maggiori a causa dell'aumento di complessità dei macchinari e di tutto l'apparato necessario per mantenerli.


Le società per azioni

Chi organizzava e dirigeva l'azienda poteva possedere in proprio tutti i capitali necessari, ma poteva anche possederli in parte o non possederli affatto: doveva allora trovare il modo di finanziare la sua impresa, rivolgendosi ad altri e facendoli partecipare alla sua iniziativa. Si svilupparono così le società di capitali e in particolare le società per azioni, oggi diffusissime. In questa forma di società il capitale è diviso in parti, dette appunto azioni, e ciascun socio ne acquisisce una certa quantità versando il denaro richiesto. Quindi ciascun socio o azionista è proprietario di una parte della società. Con i profitti (o utili) che la società realizzerà (se e quando li realizzerà) saranno pagati al socio i compensi (detti dividendi).

Le Banche

Le azioni possono essere acquistate o vendute. E per svolgere queste contrattazioni fu utilizzata la Borsa, un luogo dove da tempo si acquistavano e si vendevano le merci in grandi quantitativi. Il capitalismo divenne sempre più diffuso e articolato e portò anche a un diverso sviluppo del sistema bancario. Infatti un altro modo possibile di finanziare le imprese era, ed è, quello di ricorrere alle banche prendendo denaro in prestito e pagando un interesse. Era un sistema già praticato in precedenza, da secoli. Tuttavia, con la crescita dell'industria, l'attività delle banche si sviluppò enormemente, anche sul piano internazionale. Ad esempio, i banchieri inglesi e francesi investirono forti capitali nello sviluppo delle ferrovie del Piemonte e della Lombardia.






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