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La colonizzazione inglese del Nord America, iniziata al principio del '600, fu il prodotto dell'iniziativa di compagnie commerciali e dell'emigrazione di minoranze politiche e religiose (anzitutto i puritani), entrambe incoraggiate o assecondate dalla corona britannica, allo scopo di contrastare o di controbilanciare la presenza sul continente delle altre potenze coloniale (Francia e Spagna).
Alla metà del '700 i possedimenti inglesi comprendevano tredici colonie, tutte sulla fascia costiera atlantica.
Al Nord, nelle quattro colonie della Nuova Inghilterra (Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New Hampshire), prevalevano le coltivazioni e i villaggi rurali, anche se nei centri urbani (soprattutto Boston) fiorì un'importante industria cantieristica.
Nelle cinque colonie del Sud (Virginia, Maryland, Carolina del Nord, Carolina del Sud, Georgia), tutta l'economia si fondava sulle piantagioni (tabacco, riso, cotone), sulla grande proprietà e sul lavoro degli schiavi di origine africana.
Nelle quattro colonie del Centro (New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware), l'economia presentava un quadro differenziato e gli squilibri sociali erano più marcati.
Le colonie dipendevano economicamente dalla Gran Bretagna, che si riservava il monopolio commerciale su di esse. Nonostante la madrepatria esercitasse controllo politico sulle colonie in quanto deteneva su di esse i tre poteri sovrani, si costituirono assemblee legislative che godevano di autonomia amministrativa.
Il contrasto da cui ebbe origine la lotta per l'indipendenza nacque in seguito all'imposizione, da parte dell'Inghilterra, di una serie di dazi doganali e di una tassa di bollo. I coloni reagirono protestando pubblicamente, boicottando le merci inglesi e appellandosi al principio del parlamentarismo britannico secondo il quale non era lecito imporre tasse senza l'approvazione di un'assemblea in cui i diritti dei tassati trovassero adeguata rappresentanza.
Un provvedimento del 1773 assegnò alla Compagna delle Indie il monopolio della vendita del tè nel continente americano, danneggiando gravemente i commercianti locali, che reagirono assalendo alcune navi della Compagnia e gettando in mare il carico di tè. Il governo inglese rispose con dure misure di ritorsione (le "leggi intollerabili"), chiudendo il porto di Boston, privando il Massachusetts di tutte le sue autonomie e sostituendo i giudici americani con funzionari britannici.
Nel settembre 1774 ci fu un primo Congresso continentale tra i rappresentanti delle colonie, nel 1775 il primo scontro armato con l'esercito inglese nei pressi di Boston, il 4 luglio del 1776 il Congresso continentale approvò la Dichiarazione d'indipendenza. Nel 1777 gli inglesi furono sconfitti a Saratoga e nel 1783 la Gran Bretagna riconobbe l'indipendenza delle tredici colonie nel trattato di Versailles, dopo l'intervento militare della Francia in favore degli americani.
Molti storici sono contrari a definire il movimento di liberazione degli Stati Uniti una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzione, infatti, è il rovesciamento dei rapporti politici, economici e sociali presenti all'interno di uno Stato, e il cambiamento conseguente alla lotta per l'indipendenza delle colonie non interessò gli assetti sociali preesistenti, ma soltanto la gestione del potere.
La Costituzione americana elaborata nel 1787-88 dalla Convenzione costituzionale sotto la presidenza di George Washington stabilì il principio della divisione dei poteri e diede vita ad uno Stato liberale moderato.
Il potere legislativo era esercitato dal Congresso, formato dalla Camera dei rappresentanti, che aveva competenza per le questioni finanziarie, e dal Senato, cui spettava il controllo sulla politica estera.
Il potere giudiziario fu posto sotto il controllo di una Corte suprema, composta da giudici vitalizi nominati dal presidente della Repubblica con l'assenso del Senato.
Il potere esecutivo fu accentrato nella figura del presidente della Repubblica, eletto ogni quattro anni con voto indiretto, che deteneva il comando delle forze armate, nominava i titolari di molti importanti uffici federali e poteva bloccare col suo veto le leggi approvate dal Congresso.
La Costituzione, per diventare operante, doveva essere approvata dalle assemblee dei singoli Stati. Le tesi federaliste prevalsero quasi dappertutto (la Costituzione fu approvata da undici Stati su tredici); nel 1789 Washington fu eletto presidente. Tuttavia le richieste degli anti-federalisti ottennero una parziale soddisfazione con l'aggiunta, tra l'89 e il '91, di dieci emendamenti alla Costituzione, che avevano lo scopo di tutelare le prerogative dei singoli Stati contro qualsiasi invadenza del potere federale.
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