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Il Territorio Pontino nel periodo Fascista - Aspetti socio-economici e scientifici - Tesina




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Il Territorio Pontino nel periodo Fascista

Aspetti socio-economici e scientifici


Indice

Presentazione


Mappa concettuale


  1. Il Fascismo

Introduzione

Affermazione del Fascismo

Il PNF e le divergenze all'interno dei partiti di sinistra

Il Fascismo al Potere (1922 - 1926)

Lo Stato Fascista (1926 - 1935)

La "Fascistizzazione" del Paese

Il Fascismo e la scuola

Il Fascismo e la Chiesa Cattolica

La Politica economica fascista

La guerra in Etiopia

Avvicinamento al Nazismo - Crisi bellica.

L'architettura Fascista

Fascismo e Sport


  1. Sartre

Critica ai totalitarismi

Bibliografia         


  1. Montale

Introduzione

Ossi di seppia

Occasioni

La bufera e altro

Da Satura al quaderno di quattro anni

Collocazione dell'Autore nella dimensione fascista


  1. Gabbriele D'annunzio

La vita

Il personaggio e la poetica

Il superuomo

L'impresa Fiumana




  1. Seconda Guerra Mondiale

Origini

L'espanzione Nazista in Europa

Le Operazioni militari

Prima Fase

Seconda Fase

Terza Fase

Quarta Fase

Effetti della guerra

Distruzione e ricostruzione

Uomini senza dimora

Conseguenze politiche in Europa

L'Impero Comunista

La resistenza in Europa



The Battle of Montecassino

The Gustav Line

I Battle

II Battle

III Battle

IV Battle


  1. Convention of Geneva

  1. Informatica

Crittografia

Primi Sistemi informatici


  1. Il Motore elettrico

Generalità

Principi fondamentali di funzionamento

Applicazione dei principi fondamentali per la descrizione del funzionamento di un generatore di corrente

Applicazione dei principi fondamentali per la descrizione del funzionamento di un motore

Struttura di una macchina a corrente continua

La funzione del complesso collettore-spazzole

La commutazione

La reazione d'armatura

Equazioni del motore

Perdita nei motori elettrici

Rendimento dei motori


La Bonifica Pontina

Inquadramento storico

La malaria e la diffusione nell'Agro Pontino

L' O.N.C. e la pianificazione dei lavori di bonifica

La malaria




Presentazione





Durante il trascorrere di questo anno scolastico, in previsione degli esami, ho voluto realizzare una tesina che, seppur con i limiti propri di un elaborato di questa natura, potesse esplorare storicamente e socialmente il nostro Territorio nel periodo fascista, periodo questo che ha fortemente mutato e condizionato questi luoghi.

In particolare, la ricerca, descrive la Bonifica dell'Agro Pontino e la lotta contro la malaria debellata solo grazie al lavoro dell'uomo, alla realizzazione di importanti ed innovativi impianti di bonifica e al coraggio del personale medico di quel periodo che disponeva del solo chinino.

La tesina , che ha come filo conduttore il periodo storico considerato, come meglio indicato nella mappa concettuale, si sposta dall'aspetto tecnologico (il motore elettrico, strumento innovativo e determinante nel lavoro delle pompe idrauliche) a quello sociale con le critiche ai totalitarismi di Sartre e alla collocazione di Montale nella dimensione fascista, alla Convenzione di Ginevra; analizza la Seconda Guerra Mondiale dalle sue origini alle conseguenze politiche in Europa. Per l'area di informatica, il lavoro scorre le epoche storiche dalla genesi della crittografia alla crittografia italiana nella Grande Guerra e ai metodi utilizzati durante il secondo Conflitto mondiale per decifrare codici segretissimi come il codice enigma ad opera di Turing; era iniziata una nuova era, dove le battaglie e ancor più le guerre si potevano vincere anche con questi nuovi sistemi che daranno poi vita alla guerra elettronica.


L'intero lavoro è consultabile sull'allegato supporto informatico che tra l'altro contiene una interessante galleria fotografica relativa al periodo di Bonifica e di pre-Bonifica.



Emanuele Bonaldo



















































IL FASCISMO

Il fascismo è un movimento politico italiano fondato il 23 marzo 1919, in un'adunata in Piazza S. Sepolcro, da Benito Mussolini, che resse il paese tra il 1922 e il 1943.

Già nel 1915 Mussolini aveva imposto al movimento interventista la costituzione dei "Fasci d'azione rivoluzionaria", ridenominati, poi, "Fasci di combattimento" nel 1919. Questi ultimi si trasformeranno in PNF (Partito Nazionale Fascista).

Tra le prime reclute di questo movimento troviamo futuristi, arditi, interventisti rivoluzionari (tra cui lo stesso Mussolini), repubblicani e anarco - sindacalisti, con un programma di tendenza repubblicana e anticlericale che presentava richieste di democrazia politica e sociale.

Quindi questo movimento, diventato, come è noto, il partito che istituì una dittatura di destra, nacque come movimento di sinistra. Mussolini, fino al 1914, faceva infatti parte del PSI, da cui venne espulso per aver portato avanti un'accesa campagna interventista su "Il popolo d'Italia", in quanto riteneva la guerra un'occasione da non perdere per una rivoluzione proletaria. Ben presto si comprese che il programma dei Fasci era intriso di demagogia, proposto solo per ottenere consensi e arrivare al potere; una delle prime azioni compiute da Fasci di combattimento fu l'assalto e l'incendio della sede milanese dell'"Avanti", noto giornale socialista. In particolare, per compiere queste azioni intimidatorie contro gli esponenti socialisti, vennero create le squadre d'azione fasciste, composte da giovani studenti, ex combattenti e ufficiali appena congedati. Per compiere le loro azioni, le squadre utilizzavano dei camion per spostarsi durante la notte da un borgo all'altro.

 L'AFFERMAZIONE DEL FASCISMO (1920- 1922)

            Il fascismo godeva di molti consensi, provenienti soprattutto dagli ambienti vicini ai proprietari terrieri, (chiamati anche "agrari") che vedevano in questo movimento un efficace mezzo per "stroncare" il movimento socialista dei contadini.

Un'altra ragione che ha portato all'ascesa il potere fascista è stato l'appoggio di Giolitti, che aveva intenzione di sfruttare il fascismo per frenare l'avanzata socialista, per poi farlo rientrare nelle fila dello stato liberale.

Alle elezioni del 1919 l'unica lista fascista ottenne poco meno di 500 voti, la maggioranza fu ottenuta da PSI e PPI, che, però, per i loro interessi e ideali molto diversi, non erano in grado di creare una forte concentrazione governativa, alternativa a quella liberale che ormai era passata in secondo piano.

Dal giugno 1919 all'ottobre 1922 (primo governo Mussolini) si alternarono alla presidenza del Consiglio uomini del vecchio stato liberale: Nitti, Giolitti, Bonomi e Facta. Questi governi erano molto deboli e la situazione parlamentare era critica.

            I problemi maggiori per il paese erano due: la condotta indecisa della politica estera da parte di Orlando e Sonnino alla Conferenze di Parigi e la conseguente "Questione Adriatica". Alla conferenza di Parigi del 1919 furono svolte le trattative di pace per ridisegnare la carta politica europea spartendo i territori dei paesi perdenti tra le potenze vincitrici. L'andamento di queste trattative, in cui i delegati italiani ebbero un ruolo di secondi piano, non soddisfò i nazionalisti, che, capeggiati da D'Annunzio, definirono la vittoria italiana una «vittoria mutilata" e reagirono occupando, nel 1919, Fiume, che sarebbe poi stata liberata solo con l'intervento di Giolitti nel 1920 (Trattato di Rapallo).

Accanto a questi problemi di carattere politico, ce ne erano altri di carattere sociale: crisi sociale ed economica causate dalla guerra, dalla svalutazione della lira, dall'aumento delle imposte, dalla disoccupazione. Anche il numero degli scioperi crebbe enormemente a partire dal 1920, gli industriali decisero di reagire con le "serrate" (cioè la chiusura) delle fabbriche, schierandosi apertamente dalla parte del fascismo per paura di una rivoluzione socialista.

Alle elezioni amministrative del 1920 e alle politiche del 1921 i fascisti si presentarono in blocchi nazionali con nazionalisti e liberali giolittiani.

Il PNF e le divergenze all'interno dei partiti di sinistra

In questo periodo abbiamo tre importanti avvenimenti: a Roma, nel novembre del 1921, si ha la costituzione del PNF (Partito Nazionale Fascista) durante il Congresso dei Fasci; a Livorno avviene una scissione tra socialisti e comunisti, con la creazione del Partito Comunista d'Italia da parte di Gramsci, Bordiga, Togliatti e Terracini, che si rifaceva agli ideali di Lenin e si costituì come sezione della terza internazionale; all'inizio dell'ottobre 1922 all'interno del PSI si ha una nuova separazione tra massimalisti e riformisti, che, capeggiati da Matteotti, crearono il Partito Socialista Unitario.

Anche all'interno del Partito Popolare Italiano (PPI) troviamo tre distinte correnti: una di destra, capeggiata da Padre Gemelli, una di sinistra, capeggiata da Miglioli e una di centro sostenuta da De Gasperi e Don Sturzo.

Alla fine di ottobre Mussolini decise per un'azione di forza ed in particolare il 28 ottobre 1922 egli fece concentrare le squadre fasciste, dalle diverse parti d'Italia, in Roma con l'intenzione di far cadere il debole governo Facta con un colpo di stato. La Marcia su Roma, in realtà, fu una passeggiata: non incontrò, infatti, nessuna resistenza da parte dell'esercito italiano in quanto il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare lo stato d'assedio e per questo Facta decise di dimettersi con tutto il governo.

Il 30 ottobre il re convocò Mussolini per affidargli l'incarico di formare il nuovo Governo, segnando il crollo delle istituzioni liberali e democratiche.

IL FASCISMO AL POTERE (1922 - 1926)


            Questo è un periodo di transizione, in cui il regime si manterrà su posizioni moderate, formando il primo governo con una coalizione di fascisti, popolari, nazionalisti e democratico - sociali; Mussolini decise, inoltre, di escludere dal suo programma la fondazione della Repubblica. Durante questi anni Mussolini preparerà gradatamente la trasformazione dello stato in senso autoritario.

Mussolini cerca di apportare modifiche all'ordinamento vigente in modo da avere sotto controllo tutto: normalizzò la violenza squadrista trasformando le squadre d'azione in "Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale"; introdusse i sindacati fascisti come sostituti di quelli socialisti per frenare il conflitto sociale; istituì il Gran Consiglio del Fascismo, massimo organo consultivo e deliberativo del regime fascista. Fu anche approvata una nuova legge elettorale, la Legge Acerbo, che portò, durante le elezioni del 1924, al successo del cosiddetto "listone fascista", formato da fascisti, nazionalisti, liberali e cattolici della componente clerico - moderata.

Il 10 giugno del 1924 Giacomo Matteotti, un deputato socialista, denunciò a viso aperto i brogli e le violenze elettorali operate dai fascisti; per questo, venne rapito e ucciso da una squadra fascista. Questo aprì una crisi politica e le opposizioni parlamentari decisero di astenersi dai lavori delle camere con la "Secessione dell'Aventino", che però ebbe solo un significato formale. Infatti, sia il re che la stessa opposizione aventina non riuscirono a costituire una alternativa valida politica e Mussolini ne approfittò per operare la svolta autoritaria che lo avrebbe liberato dalle opposizioni liquidando sostanzialmente le libertà statutarie.

LO STATO FASCISTA (1926 - 1935) 

Con il discorso del 3 gennaio 1925, Mussolini si assunse la responsabilità morale dell'omicidio di Matteotti, dando inizio ad una vera e propria dittatura, che si realizzò nelle leggi "fascistissime" del 1925 - 1926 con le quali il Parlamento fu privato di ogni sua funzione e il potere venne dato in mano al Governo e al Gran Consiglio del Fascismo, organo principale dello stato, il cui parere era obbligatorio per ogni questione, ed era l'unico organo dove resistesse un minimo di dialettica politica.

Infatti il capo del Governo doveva rendere conto delle proprie azioni solo al re, il Parlamento non poteva più discutere alcuna legge senza il consenso del Governo.

Gli intellettuali e gli esponenti dei partiti antifascisti furono costretti all'esilio.

LA FASCISTIZZAZIONE DEL PAESE

In generale si realizzò una vera e propria fascistizzazione del paese: furono sciolti i sindacati oppositori, creata una polizia speciale, l'OVRA, e un Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato; vennero vietati lo sciopero e la serrata. L'iscrizione al partito divenne obbligatoria per i dipendenti pubblici e divenne il requisito fondamentale per ottenere promozioni e impieghi; il partito controllava le diverse organizzazioni di massa istituite dal regime per educare la gioventù ai valori fascisti: "I figli della lupa", "Balilla", "Piccole italiane", "avanguardisti", "giovani fascisti", "donne italiane". Nel 1937 tutte queste organizzazioni confluirono nella "Gioventù italiana del Littorio", "L'Opera Nazionale del Dopolavoro", "Maternità e Infanzia" per inquadrare i diversi strati della società.

Già prima di iniziare le scuole elementari i bambini venivano assuefatti alla divisa e alle parate militari, e tutti, giovani e anziani erano tenuti a partecipare a riunioni di addestramento, il motto era : "credere, obbedire, combattere". Tutti dovevano partecipare alle adunate "oceaniche".
















IL FASCISMO E LA SCUOLA


Il fascismo operò anche cambiamenti nei riguardi della scuola, con la riforma Gentile del 1923. Essa si basò su due principi: la supremazia della cultura umanistica sulla cultura tecnico - scientifica, nettamente separate, e il carattere fortemente selettivo del sistema scolastico, ottenuto introducendo esami ai vari livelli di istruzione.

Un ruolo privilegiato era assegnato al liceo classico, unico indirizzo da cui era possibile accedere a tutte le facoltà; seguiva il liceo scientifico, che dava accesso solo alle facoltà scientifiche, l'istituto magistrale quadriennale, per la formazione dei maestri, gli istituti tecnici per ragionieri e geometri con il solo accesso alla facoltà di economia e commercio, infine gli istituti professionali.

Venne inserito l'insegnamento della religione cattolica nella scuola elementare, cosa gradita ai cattolici; venne, inoltre istituito l'esame di stato finale in quanto parificava scuola pubblica e scuola confessionale. Quest'ultimo era effettuato da commissari esterni alle scuole.



IL FASCISMO E LA CHIESA CATTOLICA


L'11 febbraio 1929 Mussolini e il Cardinale Guasparri posero fine alla "questione romana", sorta nel 1870, con un accordo. Questo accordo prese il nome di "Patti Lateranensi" ed era composto da tre documenti:

a. un trattato, con il quale la Santa Sede riconosceva la sovranità dello Stato italiano, con Roma capitale, e lo Stato riconosceva la sovranità pontificia sulla Città del Vaticano;

b. La Convenzione Finanziaria con cui lo Stato versava al Vaticano una somma a titolo di indennizzo;

c. Il Concordato, destinato a regolare i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, limitando l'autorità della legislazione civile su punti importanti, garantendo l'Azione Cattolica (A. C.), un'organizzazione di laici alle dipendenze della gerarchia ecclesiastica.

Questo concordato conquistò largo consenso tra i cattolici e stabilì buoni rapporti tra il Governo fascista e il Vaticano, anche se ci furono degli attriti, come per esempio la questione dell' A.C. nel 1931 e i problemi a proposito delle leggi razziali del 1938.



LA POLITICA ECONOMICA FASCISTA


Possiamo individuare tre fasi all'interno del processo di sviluppo della politica economica del regime, partendo da una fase sostanzialmente liberista, si arriverà al totale dirigismo economico, passando per una fase intermedia definita "Quota 90".

La fase liberista

            Questa prima fase è collocabile tra il 1922 e il 1925 e venne realizzata grazie all'operato del ministro delle finanze De Stefani, esponente di una scuola liberale.

I provvedimenti di questo ministro da una parte favorirono la libertà di iniziativa economica, riducendo i vincoli e il peso fiscale sulle imprese, dall'altro cercarono di diminuire la spesa pubblica, riducendo il personale statale.

Furono denazionalizzate le assicurazioni sulla vita, mentre i telefoni, il gas, l'energia elettrica e la radio furono affidate all'iniziativa privata. Solo le FF.SS. furono lasciate in mano statale, ma erano poco redditizie.

I risultati furono importanti e portarono, tra il 1923 al 1925 ad una fase si intenso sviluppo economico: nel 1924 ci fu la chiusura del primo bilancio in attivo dalla fine della guerra, le esportazioni aumentarono notevolmente, e così la produzione e i profitti. Vennero istituite tariffe doganali e ci fu il salvataggio di industrie in difficoltà da parte dello Stato.

Un problema ancora irrisolto era quello della stabilizzazione della moneta, condizione indispensabile per attrarre capitale esteri.

La fase e di "quota 90"

            Questa seconda parte andò dal 1925 al 1930 e fu caratterizzata da notevoli difficoltà economiche dovute ad un rallentamento dell'economia internazionale, che colpì le esportazioni, la bilancia dei pagamenti era, infatti, squilibrata, si aggiungeva, ad aggravare la situazione, una forte svalutazione della lira con conseguente ripresa dell'inflazione.

Mussolini sosteneva che il destino del regime era strettamente legato alla lira, cercò, quindi, di rivalutarla e stabilizzarla.

Il nuovo ministro delle finanze, Volpi, fissò il cambio con la sterlina a 90 lire (a "quota 90") e la Banca d'Italia poté, nel 1927, fissarlo a 92,46 lire.

Accanto a questa azione se ne affiancò un'altra, consistente in una manovra deflazionistica che, oltre a raggiungere il suo obiettivo, mise fine alla speculazione della lira.

Nel 1937 fu lanciata la Carta del lavoro, essa sintetizzava i principi fondamentali dell'ordinamento sindacale - corporativo fascista. Questo documento sanciva, inoltre, l'abolizione del diritto di sciopero e la giornata tornava ad essere di 9 ore.

La fase dirigista

            La terza fase, degli anni '30, venne caratterizzata da un forte intervento dello stato nell'economia, attuato attraverso un vero e proprio dirigismo economico; questo era necessario in quanto anche in Italia le conseguenze della crisi del 1929 furono pesanti e portarono ad una riduzione della produzione industriale e del commercio estero, oltre all'aumento della disoccupazione.

Per contrastare questi problemi da una parte venivano ridotte le retribuzioni e quindi compressi i consumi privati, dall'altra il regime adottò nuovi strumenti per allargare il suo ruolo di direzione dell'economia.

L'operazione più importante del periodo fu la creazione, nel 1933 dell'IRI, L'Istituto per la Ricostruzione Industriale, cioè un ente pubblico che acquisì la proprietà delle maggiori banche e dei pacchetti azionari che queste avevano per impedirne il tracollo.

Lo Stato diventò un banchiere - azionista.

L'apparato industriale nel periodo fascista si rafforzò, mentre in ambito agricolo ci fu una stagnazione che il fascismo non riuscì ad impedire. Ricordiamo che il paese era ancora essenzialmente agricolo e che il ceto rurale era un importante bacino di consensi.

Furono, per questa ragione, portate avanti diverse "battaglie", la prima delle quali fu quella del grano del 1925, che voleva aumentare la produzione frumentaria e portare il paese all'autosufficienza cerealicola. Questo obiettivo venne dichiarato raggiunto nel 1931, ma se la situazione era migliorata nelle pianure settentrionali, nel meridione l'aumento della produzione fu ottenuto attraverso l'estensione cerealicola a danno della zootecnica e delle colture specializzate. Inoltre il prezzo dei cereali salì di circa il 50% rispetto a quello americano, anche se l'importazione fu ridotta del 75%.

La seconda battaglia fu quella della bonifica integrale lanciata nel 1928, che voleva aumentare gli spazi agricoli da sottoporre a coltura per aumentare l'occupazione delle campagne; i risultati furono, però, rilevanti soltanto nell'Agro Pontino.

Fu portata avanti anche una campagna demografica che doveva portare l'Italia a 70 milioni di abitanti nel 1960. Fu istituita una tassa sul celibato e limitata la carriera degli scapoli, mentre premi di natalità e prestiti furono elargiti agli sposi.

L'emigrazione fu fortemente limitata, perché in contrasto con il prestigio italiano.

I risultati di questa ultima impresa furono negativi, i nati vivi toccarono la punta più bassa nel 1876 e le rimesse degli emigranti scesero notevolmente con una forte perdita per il tesoro.

L'ordinamento corporativo divenne un dato di fatto solamente nel 1934, e con esso Mussolini mirava al controllo delle forze di produzione e in particolare all'aumento della potenza nazionale attraverso la produzione e l'accorciamento delle distanze sociali.

Durante gli anni venti i nazisti, capeggiati da Hitler, presero il potere; questo evento fu salutato con soddisfazione dai fascisti italiani. Ma, Mussolini, in risposta alla minaccia rappresentata dall'ascesa al potere di Hitler (in riguardo alla riunificazione dell'Austria alla Germania, e alla diffusione dell'influenza tedesca sul Danubio e nei Balcani), nel 1933 preparò il Patto a quattro. Quest'ultimo avrebbe dovuto fungere da moderatore, tra Francia, Inghilterra, Germania e Italia; successivamente, nel 1935, Francia e Inghilterra condannarono la politica di riarmo della Germania.



LA GUERRA IN ETIOPIA


            Nella seconda metà degli anni '30 vennero introdotti moltissimi enti pubblici, che portarono alla creazione di una vera e propria politica parastatale, e la politica di riarmo seguita dal paese, anche in vista della guerra etiopica, intensificò i rapporti tra potere politico e sistema economico.

Questa guerra diede una svolta decisiva alla dittatura fascista, il cui potere, fino ad allora, era sembrato fortemente radicato.

La guerra scoppiò il 3 ottobre 1935, i motivi erano molteplici: la sovrabbondanza della popolazione italiana rispetto alle capacità produttive del paese (c'era, quindi, bisogno di nuove risorse), e la volontà degli industriali.

In realtà Mussolini iniziò la guerra per una questione politica: voleva aumentare il prestigio internazionale del paese, consolidando i possedimenti italiani in Africa, cioè in Eritrea e Somalia.

Per poter agire Mussolini aveva bisogno del consenso della Francia e dell'Inghilterra, che possedevano le colonie confinanti con quelle italiane.

La Francia acconsentì per paura dell'alleanza che sarebbe potuta nascere tra Mussolini e Hitler; la seconda, nonostante avesse lo stesso presentimento, non voleva che l'Italia si rafforzasse nel Corno d'Africa, ma dovette lasciare campo libero per non provocare crisi internazionali.

Le truppe italiane cominciarono, così, ad invadere l'Etiopia e a combattere contro le truppe del ras Hailè Selassiè; l'operazione terminò il 6 maggio 1936 con la presa di Adddis Abeba e la sconfitta del ras. Mussolini, dopo questi eventi, dichiarò la nascita dell'Impero dell'Africa orientale italiana, di cui Vittorio Emanuele III divenne imperatore, anche se dovette difendersi dai giudizi dell'opinione pubblica interna ed internazionale.

La Società delle Nazioni dichiarò l'Italia paese aggressore e le impose dure sanzioni economiche, impedendole l'esportazione di armi, munizioni e alcune merci.

All'interno del paese c'erano diverse tendenze: alcuni sostenevano le idee del regime secondo le quali l'Italia proletaria avrebbe dovuto combattere contro potenze molto più ricche di lei che volevano impedirle di affermarsi in campo internazionale per paura di vedere minacciato il loro prestigio mondiale; alcuni, invece, capirono che il regime era basato solo sulla conquista e sulla potenza e che le tante promesse che erano state fatte non sarebbero state mantenute; questo fece perdere consensi al regime.

Mussolini perse il controllo di sé e le sanzioni aumentarono il suo astio nei confronti dei paesi facenti parte della Società delle Nazioni, questo lo portò a stringere un'alleanza con la Germania hitleriana.


L'AVVICINAMENTO AL NAZISMO E LA CRISI BELLICA

            Nel 1936 Mussolini si avvicinò alla Germania, stipulando con essa un accordo: "l'asse Roma - Berlino" nell'ottobre.

Nello stesso anno il Duce proclamò l'Impero, altro chiaro segno del suo avvicinamento alla Germania.

Questo allineamento si rafforzò con l'intervento italo - germanico in una guerra civile spagnola, dove i due alleati diedero aiuto a Franco, capo degli insorti contro la Repubblica. Questo avvicinamento al nazismo divise il PNF, in quanto al suo interno c'erano:

coloro che, per ideologia di parte, pensavano che i due paesi dovessero procedere insieme, e

coloro che cominciavano a preoccuparsi seriamente degli obiettivi di Hitler, e si domandavano dove questa collaborazione con la Germania avrebbe portato l'Italia.


Nel 1938 Hitler occupò Vienna ma Mussolini non si mosse. Le principali ragioni di questa sua passività furono il crollo del prestigio estero del paese e la rottura dell'equilibrio che, almeno formalmente, fino a quel momento esisteva con la Germania: il fascismo diventò dipendente dal nazismo.

La legislazione razziale

            Il primo effetto dell'influenza hitleriana fu l'introduzione, nel 1938, della legislazione razziale: la convivenza con gli ebrei che c'era stata fino ad allora non ci sarebbe più potuta essere.

Furono promulgate leggi razziali, discriminatorie verso gli ebrei: non si potevano più sposare con gli italiani di razza "ariana", non potevano svolgere il servizio militare e ricoprire cariche pubbliche, ne venivano limitate le attività economiche e le libere professioni; furono fatte anche persecuzioni violente contro di loro.

Questa legislazione antisemita trovò un minimo di consenso e una forte opposizione che si manifestò, oltre che con un soccorso rivolto alle vittime, con la condanna della Chiesa cattolica, che, anche se aveva appoggiato le guerre in Etiopia e in Spagna, non poteva accettare il razzismo ideologico.

Questa situazione si aggravò con la stipulazione, a Berlino, del Patto d'Acciaio con la Germania, nel maggio 1939. Questo patto era, però, basato su una menzogna tedesca verso l'Italia, infatti Hitler promise che non avrebbe avuto intenzioni belliche verso la Polonia e, tanto meno avrebbe occupato Danzica; questa era una grossa menzogna, ma Mussolini si era ormai buttato a capofitto a fianco del capo tedesco.

Dopo quest'ultimo atto, Mussolini cominciò ad imitare Hitler.

L'intervento nel secondo conflitto mondiale e il crollo del regime

            Mussolini perse ulteriormente il consenso dell'opinione pubblica schierandosi, il 10 giugno del 1940, accanto all'alleato nel conflitto, convinto che la Germania sarebbe stata vincitrice di una guerra - lampo.

Le sconfitte invece furono sempre più dure e l'antifascismo si consolidava sia in Italia che all'estero. Gli alleati (statunitensi e inglesi) ebbero così la possibilità di realizzare, per quanto riguarda l'Italia, uno sbarco in Sicilia che venne realizzato il 10 luglio 1943. Per il nostro paese, la situazione si fece veramente critica per l'impossibilità del Governo Mussolini di realizzare un'efficace difesa del territorio nazionale, le cui ripercussioni si risentirono anche sul piano interno dove aumentarono, per esempio, gli scioperi.

Di fronte a questa situazione, in alcuni settori della gerarchia fascista e nella monarchia maturò l'idea di destituire Mussolini. Questo avvenne il 25 luglio 1943, quando il duce venne messo in minoranza nel Gran Consiglio del fascismo su iniziativa di un gruppo di gerarchi. Immediatamente il re lo destituì e lo fece arrestare conducendolo sul Gran Sasso. Il fascismo era finito e il regime era crollato. Il nuovo Governo venne affidato al generale Badoglio che l'8 settembre 1943 firmò l'armistizio con gli anglo - americani.

La situazione, però, era ancora difficile da controllare: mentre il re e il Governo fuggirono a Brindisi creando il Regno del Sud sotto il controllo degli alleati, l'esercito venne abbandonato a se stesso, massacrato sotto i colpi dell'avanzata tedesca nella parte centro - settentrionale del paese. Proprio in questa parte del paese, ormai controllata dai tedeschi, il 12 settembre Mussolini, che era stato prigioniero a Campo Imperatore, ed era stato liberato da una squadra di paracadutisti tedeschi, ricostituì il Partito Fascista Repubblicano (cioè quello delle origini), dando vita alla Repubblica Sociale Italiana, (o Republica di Salò, dal nome della capitale) sostenuta e subordinata alle truppe naziste, che imposero uno stato poliziesco.

Nonostante la dura repressione nazista, anche nel centro - nord si svilupparono i Comitati di Liberazione Nazionale (CLN), che portarono avanti la loro lotta, passando da una posizione attendista ad un totale appoggio verso gli Alleati, giungendo insieme, con il passare dei mesi, alla liberazione di città come Bologna, Genova e Milano.

Il fascismo repubblicano crollò definitivamente il 25 aprile 1945, e il 28 Mussolini fu fucilato.

L'ARCHITETTURA FASCISTA

'Le mie idee sono chiare, i miei ordini sono precisi. Sono certissimo che diventeranno una realtà concreta. Fra cinque anni Roma deve apparire meravigliosa a tutte le genti dei mondo: vasta, ordinata, potente come fu ai tempi dei primo impero di Augusto'.           

Benito Mussolini, Roma 1925



Nonostante la vittoria militare, la prima guerra mondiale lascia l'Italia in una situazione di prostrazione economica e di crisi sociale senza precedenti . Numerosissime industrie convertitesi al settore bellico ,sono ora costrette a licenziare le loro maestranze ,mentre milioni di reduci ,nonostante le molte promesse di lavoro e di onori, trovano al loro ritorno solo miseria e disoccupazione .Le tensioni sociali date dal risentimento contro gli interventisti di inizio guerra ,generarono una situazione di malcontento che culmina con l'occupazione delle fabbriche nel 1920.
Successivamente Mussolini , appoggiato dalla borghesia conduce la Marcia su Roma e l'Italia approda subito nel suo regime totalitario .Questo nuovo regime si sviluppa in parallelo con il razionalismo e si identifica in esso .diventandone l' espressione artistica prediletta .Dal punto di vista ideologico il fascismo si poneva infatti come una forza giovane e rivoluzionaria che voleva innalzare l'Italia verso il moderno riallineandola anche con le altre grandi potenze.
L'architettura razionalista dunque , esprimeva compiutamente questa volontà di cambiamento.
Il Fascismo promuove massicce iniziative di carattere architettonico e urbanistico .Si va dal ridisegno di intere aree urbane ,alla costruzione di nuovi edifici pubblici e di monumenti ,dalla creazione di quartieri residenziali e zone industriali fino alla fondazione di nuove città come Littoria, Sabaudia o Guidonia.
Alcune di queste opere rappresentano interventi di grande rilievo altre sono opere di normale utilizzo.
Il piccone risanatore del Duce era la soluzione ottimale dei problemi urbanistici del tempo. Nelle zone centrali delle città venivano abbattute le casupole fatiscenti ,dando un migliore alloggio agli inquilini, per lasciare spazio ai nuovi edifici , dai volumi netti ,con coperture piane e finestre rigorosamente prive di timpano e cornici e simili alle "insulae" delle città romane.

MARCELLO PIACENTINI: Nel 1907 vince il concorso per la sistemazione del centro di Bergamo, con un progetto di impronta eclettica che verrà attuato nel 1927. Nel 1910 realizza il padiglione italiano all'Esposizione Mondiale di Bruxelles. Tra il 1915 e il 1917 il Cinema Corso di Roma rivela il suo interesse per il modernismo europeo, che, fino al 1920, emerge anche in vari altri progetti di palazzine per la borghesia romana, forse le sue creazioni più interessanti.
Nel periodo fascista si fa portavoce di una 'via nazionale all' architettura' che tenta una accorta mediazione con gli esponenti della corrente razionalistica pur mantenendo in quasi tutte le sue realizzazioni un carattere eclettico e aulico. Numerosissimi i progetti e gli interventi urbanistici, tra i quali ricordiamo il Palazzo di Giustizia di Milano (1933) il Palazzo del Rettorato dell'Università di Roma (1936), la sistemazione dell'E42 (1938-1942) la demolizione della 'spina dei Borghi' per l'apertura di Via della Conciliazione (1941).
Molto importante il suo rapporto di collaborazione con gli artisti, oltre al Palazzo di Giustizia di Milano (oltre 150 artisti) ricordiamo , a Roma, il Palazzo delle Corporazioni, 1931 (oggi Palazzo dell'Industria) in via Veneto (Sironi, Ferrazzi, Romanelli) , la Casa Madre dei Mutilati .








Sport e Fascismo

Opera Nazionale Dopolavoro
Venne istituita nel 1925 col compito di occuparsi del tempo libero dei lavoratori, ebbe notevole successo anche grazie alla capillare presenza sul territorio. Gli iscritti ricevono numerosi vantaggi, tra i quali anche il poter viaggiare su treni popolari a tariffe più convenienti, la possibilità di effettuare degli acquisti rateali, riduzioni per cinema e teatri, possibilità di avvicinarsi allo sport anche in età adulta e anche a sport come lo sci prima ritenuti d'èlite. Gli iscritti potevano cimentarsi in svariate attività artistiche e corsi di aggiornamento. Il successo dell'OND diede nuova luce al fascismo, anche per la possibilità di praticare il ballo, seppur non visto di buon occhio né dalla chiesa né da Mussolini. C'era da pagare una tassa sul celibato. Le donne nubili erano esenti, perché considerate brutte. Tutto ciò per spingere al matrimonio e quindi alla procreazione.


Sport femminile nel fascismo

Non si può dire che all'avvento del fascismo (1922), lo sport femminile fosse inesistente, le donne italiane avevano partecipato alle Olimpiadi della grazia a Montecarlo. E, in Francia, una donna intraprendente aveva fondato una federazione atletica internazionale. Le operaie, nel tempo libero, avevano fondato dei circoli. Nel 23 venne fondata in Italia la FIAF (Federazione Italiana Atletica Femminile). Nel 1928 viene stabilita, con la carta dello sport, una regolamentazione sullo sport italiano e, il settore femminile, passa sotto il controllo del CONIche è ormai fascistizzato. Nell'ambito del CONI lo sport femminile continua ad essere praticato sino al 1930.

La donna sportiva piace. Dal '30 in poi si dovettero fare i conti con la Chiesa che considerava lo sport d'ostacolo al matrimonio ed alla maternità, conseguentemente non si parlò più di sport vero e proprio ma di attività moderatamente sportiva. Lo sport era considerato come dannoso per la salute della donna. La GIL rivoluzionerà le cose, ritenendo che il popolo doveva essere forte non solo grazie agli uomini, ma anche grazie alle donne. Nelle Olimpiadi del '36 si ottennero notevoli risultati.

Il primo ente ad occuparsi dell'attività fisica in periodo fascista fu l'ENEF (Ente Nazionale Educazione Fisica), seppur limitato dalla carenza di fondi e strutture, viene quindi istituita l'Opera Nazionale Balilla, che si occupava dei bambini dai 5 ai 18 anni. A livello universitario vi era il GUF (Giovani Universitari Fascisti). Venne in seguito fondata anche la GIL. GIL e ONB sidifferenziavano soprattutto per la diversità del fine dell'educazione fisica: di tipo prettamente militare nella prima e di miglioramento fisico generale la seconda.

Le colonie termali

Verso la fine del 700 i bambini bisognosi venivano portati al mare per essere curati poiché l'aria di città, in Inghilterra, era irrespirabile a causa della rivoluzione industriale. Le strutture nate per tale fine si chiamavano "Ospizi Marini". Qui venivano portati i bambini bisognosi per soggiornarvi e fare dei bagni di sole ed in acqua, per migliorare la circolazione sanguigna.

Nella metà del 1800 queste strutture vennero impiantate anche in Italia, grazie all'opera di Giuseppe Barellai (nel ritratto) un medico che, per primo, ne impianta uno a Viareggio nel 1856, grazie ai finanziamenti ricevuti dall'aristocrazia del tempo.. Il periodo di cura andava dai 40 ai 60 giorni e le malattie più comuni erano la scrofola (malattia della pelle) e la TBC. Naturalmente questi ospizi erano relegati in zone non centrali della spiaggia, poiché la vista dei bambini malati era poco gradevole. Quando la situazione venne presa in mano dal fascismo, le colonie prendono forma di prevenzione, con attività anche di tipo ludico, tendenti a far perdere le caratteristiche di ospedale. Ovviamente ricevevano il finanziamento dello stato e non più dell'aristocrazia.

Il motivo di tanto interesse attorno alla salute dei bambini è da ricercarsi in una ragione molto semplice, dei bambini forti avrebbero costituito un esercito forte.
Nei primi anni 20' queste strutture vennero impiantate in edifici già esistenti e, successivamente, si costruirono delle strutture proprie, al fine di meglio controllare la situazione. Questo accadeva già negli anni 30'. Le colonie passarono dunque dal controllo dell'ONMI (Opera Nazionale Maternità Infanzia) a quello del PNF (Partito Nazionale Fascista).

Il compito di maestre era svolto dalle iscritte ai fasci femminili di combattimento, che offrivano gratis il loro lavoro. Nel 1931 nacque l'EOA (Ente Opere Assistenziali) con il compito di finanziare le colonie termali e, sempre in quell'anno, viene istituito il primo regolamento per le colonie, prima affidate ad ordinamenti. Le colonie venivano divise in base al luogo in cui erano situate in marine, montane, lacustri, collinari, campestri o agricole. Quelle marine erano le più popolate. Altro metodo di classificazione era in base al periodo di tempo che i bambini dovevano trascorrerci:

Permanenti: sola funzione curativa, venivano accettati bambini già malati (TBC, scrofola, rachitismo) la durata era dai 3 ai 6 mesi;

Temporanee: con funzione preventiva o per bambini con problemi minimi, durata dai 30 ai 40 giorni;

Diurne: bambini non pernottavano, venivano prelevati al mattino e portati a trascorrere l'intera giornata nelle colonie. Erano soprattutto per bambini con problemi di denutrizione.

Molte erano strutture nuove con lo scopo di irrobustire i bambini. Questi edifici erano divisi in camerate dove dormivano sino a 30 bambini, erano dotate di numerosi servizi igienici, di un refettorio, un'infermeria ed un piccolo ospedale dove ricoverare i bambini che subivano insolazioni o eritemi. Ogni gruppo di circa 30 bambini, aveva il suo capogruppo ed almeno due signorine di colonia. Ovviamente i gruppi erano o di soli ragazzi o di sole ragazze.

Tutti i bambini erano controllati e assistiti, l'igiene era molto curata e, all'arrivo in colonia, veniva dato loro un corredo completo di vestiario per la permanenza. L'assistenza sanitaria era molto sentita. La divisione in squadre (gruppi) era fatta in base all'età o allo sviluppo fisico, cercando di raggruppare bambini dello stesso luogo di provenienza. La vita di colonia era molto rigida e, i bambini, venivano sorvegliati anche durante la doccia. La giornata cominciava con il saluto alla bandiera posta in spiaggia e raggiunta marciando, seguiva mezz'ora di esercizi e poi la colazione in refettorio. Dopo la colazione i bambini avevano un'ora libera durante la quale, in realtà, veniva loro impartita una dottrina politica. Successivamente si tornava in spiaggia per le cure composte da un bagno d'aria, un bagno di sole ed un bagno in acqua. Durante il bagno d'aria i bambini dovevano respirare e rilassarsi sotto tendoni al riparo dal sole per acclimatarsi. Seguiva il bagno di sole, della durata di circa un'ora, durante il quale, progressivamente, venivano esposti al sole. Infine, senza forzature, venivano invitati ad immergersi per 20 minuti. Intorno alle 13.00 si pranzava abbondantemente, con lo scopo di far aumentare di peso e di massa muscolare. La dieta era di circa 2000 Kcal per i bambini dai 5 ai 9 anni e di 2400 Kcal per i bambini dai 9 ai 12.

Dopo il pranzo seguiva un piccolo riposo, poi un altro indottrinamento e una marcia in spiaggia. Era dunque la volta della ginnastica (solitamente esercizi paramilitari), degli esercizi imitativi e dei giochi di squadra. Alle 21.00, dopo la cena, erano di nuovo tutti a letto. Nelle colonie non vi era discriminazione sociale, però veniva meno l'individualità e la personalità del bambino a causa del forte indottrinamento che si forniva in ogni azione da parte delle signorine di colonia aventi, a loro volta, un forte credo fascista, le quali seguivano anche dei corsi prima di svolgere il ruolo di educatrici.

RIFERIMENTO CRONOLOGICO DEGLI EVENTI ORGANIZZATIVO-LEGISLATIVI dal 1790 al 1897

- Filangeri restauratore dell'educazione fisica.

- Cuoco, seguace del Filangeri, "Non vi può essere una buona educazione letteraria disgiunta da una educazione fisica e militare".

- Rodolfo Oberman istruttore dell'accademia militare del regno Sardo Piemontese (l'unico con esercito proprio).

- Riccardo Netro, ex ufficiale, fonda la Società Ginnastica di Torino

- Il municipio di Torino rende obbligatoria la ginnastica nelle scuole elementari superiori.

- Legge Casati.

- Il ministro De Sanctis istituisce un corso magistrale Statale per insegnanti, diretto da Oberman

- Bauman critica i modelli di Oberman, suo primo maestro.

- Circolare ministeriale del De Sanctis, definisce i limiti e le modalità del nuovo insegnamento.

- Nuovo regolamento discriminante la ginnastica militare a fini pedagogico educativi.

- La Società Ginnastica di Torino svolge un corso magistrale femminile per l'insegnamento dell'ed. fisica, Oberman pubblica un volume in proposito.

- Viene emanata la prima legge (composta da 8 art.) interamente dedicata all'ed. fisica da parte del ministro De Sanctis.

- Il ministro della P.I. Boselli istituisce il ruolo organico degli insegnanti di ed. fisica, nomina una commissione di studio per una nuova regolamentazione della disciplina; riforma della Scuola Ginnastica di Roma.

- Congresso di Genova.

- Nomina di una commissione di studio per una revisione del programma e dei metodi di studio adattandoli alle fasce d'età. Approvazione dei nuovi programmi di ginnastica secondo i fini del professor Todaro.

- Viene fondato il Comitato Centrale Nazionale per l'ed. Fisica ed i giochi ginnici nelle scuole e nel popolo. Il ministro della P.I. Cadronchi indice un concorso Nazionale per l'ed. fisica.

RIFERIMENTO CRONOLOGICO DEGLI EVENTI ORGANIZZATIVO-LEGISLATIVI dal 1900 al 1975

- Congresso Internazionale di Parigi; congresso nazionale di Napoli. Nomina di una nuova commissione di studio. Nascita di 2 organizzazioni: Federazione Scolastica Nazionale e l'Istituto Nazionale per l'incremento dell'ed. fisica in Italia.

- Organizzazione di un Corso Nazionale di Ginnastica educativa.

- Riforma dell'Istituto per l'incremento dell'ed. fisica e promulgazione della legge Daneo-Credaro.

- Primo movimento scoutistico in Italia, a Viareggio.

- Congresso di Parigi

- Congresso della sezione Piemontese della federazione insegnanti di ed. Fisica

- Relazione del professor Guerra sulla riforma dell'ed. fisica.

- Gentile, ministro della P.I., realizza la riforma proposta del prof. Guerra, seppur in contrapposizione con le sue teorie.

- Istituzione di un Ente Nazionale per l'ed. Fisica. (ENEF) che la separerà dalla scuola.

- Viene fondata l'ONB.

- Passaggio dell'ENEF al controllo dell'ONB.

- Nasce la Gioventù Italiana del Littorio che ingloberà l'ONB.

- Caduta del Fascismo e liquidazione della GIL. L'ed. fisica è nuovamente sotto il controllo della P.I.

- Primo congresso nazionale a Roma sull'ed. fisica presieduto dal professor Gotta.

- Circolare ministeriale del ministro Gonnella, rappresenta l'atto ufficiale di ingresso dell'ed. fisica nella scuola.

- Partecipazione alle attività sportive anche da parte delle alunne.

- Istituzione del primo ISEF a Roma.

- Riforma legislativa ad opera di Aldo Moro.

- Decreti delegati sanciscono la nascita di attività sportive destinate agli alunni.

- Ingresso nelle scuole dei giochi della gioventù.


































SARTRE

Sartre è stato il maggiore rappresentante dell'esistenzialismo francese (insieme ad Albert Camus e a Simone de Beauvoir). Poligrafo, si è trovato a suo agio nei più diversi generi letterari : dal saggio al romanzo, dal teatro alle grandi opere filosofiche all'articolo giornalistico. Nel 1964 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura che però Sartre rifiutò. E' morto a Parigi, nel quartiere latino, al numero 47 di rue Bonaparte, nel 1980.

Sartre iniziò la sua attività di scrittore con studi di psicologia fenomenologica, in opposizione alle concezioni contemporanee che erano dominate da una visione naturalistica dei fatti psichici e dal primato assegnato al problema della conoscenza. Sartre ritiene che la fenomenologia di Husserl permetta di cogliere i significato autentico dei vari fenomeni psichici, grazie al concetto di intenzionalità, che consente di evitare la riduzione sia del soggetto all'oggetto e sia dell'oggetto al soggetto, ossia gli scogli opposti di realismo-materialismo e idealismo. A differenza di Husserl poi, Sartre ritiene che il rapporto tra la coscienza ed il mondo non sia di tipo soprattutto conoscitivo. L'ego è soltanto una delle modalità della coscienza, la modalità riflessa, che è secondaria rispetto alla modalità irriflessa, mentre le emozioni sono delle modalità essenziali e non secondarie nelle quali la coscienza si rapporta al mondo e gli conferisce un significato. Meglio ancora, l'ego non è 'nella coscienza, ma è fuori, nel mondo : è un ente del mondo come l'io di un altro'. Il che vuol dire che l'uomo è quell'essere la cui apparizione fa sì che esista un mondo. E' l'uomo che dà senso al mondo, mentre il mondo, di per sé, non ha alcun senso.

Quest'ultima tesi viene rielaborata in forma letteraria nel famoso romanzo La nausea (1938), in cui si narrano le vicende di un certo Antoine Roquentin, il quale, riflettendo sulle ragioni della propria esistenza e del mondo che lo circonda, ha l'esperienza rivelatrice della nausea. La nausea è il sentimento che ci invade quando si scopre l'essenziale assurdità e contingenza della realtà. Leggiamolo dalle parole stesse di Sartre. Ecco un brano :

'Il mondo . questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c'era stato niente prima di esso. Niente. Non c'era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m'irritava : senza dubbio non c'era alcuna ragione perché esistesse, questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse. Era impensabile : per immaginare il nulla occorreva trovarcisi già, in pieno mondo, da vivo, con gli occhi spalancati, il nulla era solo un'idea nella mia testa, un'idea esistente, fluttuante in quella immensità : quel nulla non era venuto prima dell'esistenza, era un'esistenza come un'altra e apparsa dopo molte altre'.

Scoprire che il mondo non ha senso, che è assurdo, provoca la nausea. Sartre scrive ancora :

'L'essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente : gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. orbene, non c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza : la contingenza non è una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare . ecco la Nausea'.

La vita di Roquentin si scopre dunque priva di senso; nessun scopo riesce più ad orientarla; egli esiste come una cosa, come tutte le cose che emergono, nell'esperienza della nausea, nella loro gratuità ed assurdità. 'Ogni esistenza nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione'.

Ne L'essere e il nulla (1943), Sartre giustifica le stesse idee in un saggio filosofico di ampio respiro che esprime i concetti che diverranno famosi di un clima esistenziastico del Dopoguerra : assurdità, non senso, nulla ecc.

La coscienza - dice Sartre - è sempre coscienza di qualche cosa, e di qualche cosa che non è la coscienza : questo essere è definito da Sartre come l'essere-in-sé o, brevemente, l'in-sé. In altri termini, sono tutte le cose che non sono la coscienza, gli oggetti che incontriamo ecc. L'essere-in-sé è ciò che è, non è possibile né necessario, è semplicemente. La coscienza viene invece definita da Sartre come l'essere-per-sé o, brevemente, per-sé, che indica che essa è presenza a sé stessa. In altri termini : io ho coscienza degli oggetti del mondo, ma nessuno di questi oggetti è la mia coscienza. Se poi la coscienza è presenza a se stessa, questa presenza a se stessa implica una sorta di scissione, di separazione interiore nell'essere della coscienza perché essa fonda se stessa in quanto si determina perpetuamente a non essere l'in-sé. La realtà umana è quindi, per Sartre, nullificazione, mancanza di essere. Il nulla, nel linguaggio sartriano, è la condizione necessaria del per-sé, cioè della coscienza umana, che fa sempre l'esperienza del nulla in ogni atto dell'esistere e dell'agire. Questo è dimostrato ad es. dal desiderio : esso non è forse un bisogno di completamento poiché desidero ciò che mi manca, ciò che non ho ? Ma non solo : si pensi alla figura di un cerchio incompiuto, ad un quarto di Luna : essi non mancano forse qualcosa per la coscienza, la quale si aspetta o pretende il loro completamento, e cioè quello che non è? Analogamente, tutti i tratti della realtà umana sono visti da Sartre come rapporti di nullificazione : ad es. la conoscenza è tale perché l'oggetto si presenta alla coscienza come ciò che non è la coscienza; oppure gli altri, le altre persone : l'altra esistenza è tale in quanto non è la mia, anzi qui la negazione è reciproca.

Il nulla è dunque intrinsecamente legato all'essere, ma non è generato dall'essere, bensì dall'essere della coscienza che, come abbiamo già detto, si perpetua a non essere l'in-sé. Ma, per potere fare ciò, per poter decidere continuamente di non essere l'in-sé, la coscienza vivere in una condizione particolare, deve cioè essere libera. E in effetti, per Sartre, la coscienza è assolutamente libera. E per libertà Sartre intende proprio quella possibilità di nullificazione o rottura del mondo che è la struttura stessa dell'esistenza umana. L'uomo è inoltre perpetuamente minacciato dalla nullificazione della sua scelta attuale, è, in altri termini, perpetuamente minacciato di scegliersi, quindi di diventare altro da quello che è. L'uomo, dice Sartre, è 'condannato ad essere libero' nel senso che è 'condannato' perché non si è creato da sé, ma, una volta nato, è però responsabile di tutto quello che fa, del suo progetto fondamentale, della sua vita e di quella degli altri. Dunque tutto ciò che accade all'uomo dipende dalla libertà e dalla responsabilità della scelta originaria. Da questo punto di vista, nulla di ciò che accade all'uomo, per quanto terribile sia, può essere detto inumano, poiché tutto è dipeso dall'uomo. E nessuno ha scuse : se si fallisce, si fallisce perché si è scelto di fare fallimento. Cercare delle scuse significa essere in malafede: la malafede presenta infatti il voluto come fosse una necessità inevitabile.

L'uomo quindi si sceglie. La sua libertà è incondizionata (perché egli può mutare in ogni istante, l'abbiamo già detto, il suo progetto fondamentale). E come la nausea costituiva l'esperienza metafisica che rivelava la gratuità e l'assurdità dell'esistenza e delle cose, così l'angoscia è l'esperienza metafisica del nulla, cioè della libertà incondizionata dell'uomo, che può ad ogni momento cambiare ciò che è e diventare qualcos'altro.

Se le cose del mondo sono gratuite, prive di senso e di fondamento, allora è solo l'uomo che può dare ad esse un valore e un senso. L'uomo è quindi l'essere 'per cui i valori esistono'. Una volta stabilito questo, però, per Sartre bisogna riconoscere che, in fondo, tutte le attività umane sono equivalenti e che tutte sono votate per principio allo scacco (ecco il tanto contestato pessimismo sartriano ) ! 'E' la stessa cosa - scrive Sartre - in fondo, ubriacarsi in solitudine o condurre i popoli. L'uomo è una passione inutile'.

L'uomo cerca indubbiamente di porre rimedio a questa situazione : l'uomo è infatti quell'essere che . progetta di essere Dio! Tuttavia, l'uomo non può che essere un Dio mancato. L'uomo si proietta sempre al di là di se stesso, ricerca sempre un valore fondato e fondante, mentre, deve ammettere, prima o poi, lo scacco finale : le attività umane sono tutte equivalenti perché tendono a sacrificare l'uomo per far nascere la causa di sé, Dio, ma poiché questo è impossibile, tutte sono votate allo scacco. Anche perché c'è sempre un altro a contrastare questo progetto. L'altro, dice Sartre, è colui che mi fissa e mi paralizza col suo sguardo; mentre, fino a quando l'altro non c'era, io ero completamente libero, ero cioè soggetto e non oggetto. Quando appare l'altro, nasce il conflitto. Ecco perché 'l'inferno sono gli altri' (A porte chiuse, 1945).

Ne L'esistenzialismo è un umanismo (1946), Sartre cerca di smorzare il pessimismo delle sue tesi precedenti. Anzi si dichiara apertamente per l'esistenzialismo e lo considera una dottrina dell'impegno e della responsabilità. L'esistenzialismo viene da lui definito come quella dottrina per la quale 'l'esistenza precede l'essenza', nel senso che l'uomo, in primo luogo esiste, cioè si trova nel mondo, e dopo si definisce per quello che è o vuole essere. Se dunque l'esistenza precede l'essenza, non sarà mai possibile spiegarla in riferimento ad una natura umana data e immodificabile. In altre parole, non c'è determinismo, l'uomo è libero, l'uomo è libertà. E se l'uomo è libero, è anche responsabile di quello che fa. Così, dice Sartre, il primo passo dell'esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di far cadere su di lui la responsabilità totale della sua esistenza. E quando l'uomo sceglie, sceglie anche per tutti gli uomini. Così la nostra responsabilità è molto più grande di quello che potremmo supporre, poiché essa obbliga l'umanità intera. 'Se Dio non esiste - scrive Sartre - non troviamo davanti a noi dei valori o degli ordini in grado di legittimare la nostra condotta. Così non abbiamo . delle giustificazioni o delle scuse. Siamo soli, senza scuse. E' ciò che esprimerò con le parole che l'uomo è condannato ad essere libero. Condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa'. In conclusione, l'esistenzialismo è una dottrina ottimistica perché afferma che il destino dell'uomo è nelle mani dell'uomo stesso e che l'uomo non può nutrire speranza se non nell'azione.

Nell'ultima sua grande opera di contenuto teoretico, la Critica della ragione dialettica (1960), Sartre presenta la teoria dell'azione e della storia come una reinterpretazione originale dei rapporti tra esistenzialismo e marxismo. In primo luogo la libertà, che nelle opere precedenti era stata considerata da Sartre come assoluta e incondizionata, viene adesso ridimensionata. L'uomo è sempre dichiarato libero ma la sua libertà dipende anche dagli altri e dal contesto sociale in cui si trova. 'Dire di un uomo ciò che egli è, significa dire ciò che egli può e reciprocamente : le condizioni materiali della sua esistenza circoscrivono il campo delle sue possibilità . così il campo del possibile è lo scopo verso il quale l'agente oltrepassa la sua situazione obiettiva. E questo campo, a sua volta, dipende strettamente dalla realtà sociale e storica'. Perciò Sartre dice di accettare la concezione materialistica di Marx, per cui 'il modo di produzione della vita materiale domina in generale lo sviluppo della vita sociale, politica e intellettuale'. Egli rifiuta però nettamente il materialismo dialettico di Engels. Sartre rifiuta in primo luogo le leggi della dialettica della realtà proposte appunto da Engels dicendo che 'questa dialettica può effettivamente esistere, ma bisogna riconoscere che non ne abbiamo la benché minima prova'. Egli insomma non accetta le leggi proposte da Engels come regole che guiderebbero lo sviluppo della natura, della storia e del pensiero. L'ammissione di quelle leggi, secondo Sartre, implicherebbe un 'beato ottimismo' che proclama un finalismo di tipo hegeliano e, cosa ancora più inammissibile, ridurrebbe l'uomo ad un semplice strumento passivo della dialettica, incapace di sottrarsi al più rigido determinismo. La dottrina della dialettica - nota Sartre - è diventata oggi una sorta di dogma per cui il marxismo odierno 'non sa più di nulla : i suoi concetti sono Diktat; il suo fine non è più di acquistare cognizioni, ma di costituirsi a priori come sapere assoluto'. E poiché il marxismo ha dissolto gli uomini 'in un bagno di acido solforico', l'esistenzialismo ha potuto invece 'rinascere e mantenersi perché affermava la realtà degli uomini'.

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Jean-Paul Sartre nacque a Parigi il 21 Giugno 1905. Studiò alla Scuola Normale, dove trovò amici quali Paul Nizan, Merleau-Ponty e Raymond Aron, che gli fa conoscere Husserl e Heidegger. Nel 1929 conosce Simone de Beauvoir, che sarà sua compagna per tutta la vita. Dopo aver insegnato filosofia al liceo di Le Havre, Sartre usufruisce di una borsa di studio presso l'Istituto francese di Berlino e intraprende lo studio della fenomenologia di Husserl. Sotto la sua influenza e anche sotto quella del pensiero di Heidegger, escono i suoi primi studi : L'immaginazione (1936), Abbozzo di una teoria delle emozioni (1939), L'immaginario (1940), nonché il romanzo La nausea (1938) e la raccolta di racconti Il muro (1939). Richiamato alle armi, nel giugno del 1940 è fatto prigioniero dei Tedeschi, ma è poi liberato e torna a Parigi. Nel 1943 pubblica la sua opera filosofica più impegnativa, L'essere e il nulla, e il suo primo lavoro teatrale, Le mosche. Terminata la guerra, Sartre dà inizio ad una serie di romanzi intitolata I cammini della libertà e, in collaborazione con altri, fa uscire la rivista 'Les temps modernes'. In risposta agli attacchi della sua opera filosofica da parte di marxisti e di cattolici, pubblica nel 1946 il breve saggio L'esistenzialismo è un umanismo. Egli si avvicina quindi ai comunisti francesi ma i fatti del 1956 come il rapporto Kruscev e la repressione della rivolta in Ungheria sono l'occasione per la pubblicazione dell'articolo Il fantasma di Stalin, che segna il distacco di Sartre dai comunisti. Egli intraprende quindi una riflessione sul marxismo che darà luogo al saggio Questioni di metodo, comparso in una rivista polacca nel 1957 e poi incluso, come prima parte, nella Critica della ragione dialettica (1960). In seguito pubblica l'autobiografia Le parole (1963), e l'anno dopo riceve il Nobel per la letteratura, da lui però rifiutato. In ultimo si dedica ad una imponente biografia su Flaubert che uscirà col titolo L'idiota di famiglia (1971-72). Sempre in prima linea nel prendere posizione sui problemi politici del suo tempo, Sartre si schiera contro la politica francese in Algeria, entra a far parte del Tribunale Russell contro i crimini americani nel Vietnam e nel 1968 appoggia il movimento studentesco. E' morto a Parigi il 15 Aprile 1980.

MONTALE

Montale, Eugenio (Genova 1896 - Milano 1981), poeta e critico letterario italiano, premio Nobel per la letteratura nel 1975. Nato da una famiglia di commercianti, frequentò le scuole tecniche e studiò canto, ma rinunciò alla carriera musicale. Partecipò dal 1917 alla prima guerra mondiale come ufficiale sul fronte della Vallarsa in Trentino. Tornato a Genova, prese contatto con i poeti liguri (primo fra tutti Camillo Sbarbaro) e con l'ambiente torinese: furono anni di intense letture di italiani e stranieri, specie i simbolisti francesi.

OSSI DI SEPPIA

Del 1916 è il testo che segna la sua nascita come poeta: Meriggiare pallido e assorto. Nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce e pubblicò, per le edizioni di Piero Gobetti, il suo primo libro, Ossi di seppia. Con un cliché nuovo e personalissimo, filtrato attraverso Pascoli, D'Annunzio e gli scrittori della 'Voce', la raccolta propone un linguaggio scabro ed essenziale, un po' abbassato verso i modi colloquiali e ironici di Gozzano, vicino alla concretezza delle cose. Il paesaggio ligure (centrato su Monterosso, dove i Montale avevano una villa) che vi domina è il 'correlativo oggettivo' di una condizione esistenziale, in cui il senso della vita risulta inafferrabile e le vie di uscita dalla catena delle necessità naturali si possono solo intravedere, e in forma ipotetica. Si tratta di una poesia metafisica che 'nasce dal cozzo della ragione contro qualcosa che non è ragione'.


Montale aveva anche iniziato un'attività di critico, collaborando a varie riviste, con aperture intellettuali molto ampie. A lui si deve la scoperta di Italo Svevo in Italia (Omaggio a Svevo, 1925). A Trieste, dove era stato invitato da Svevo per l'anno seguente, conobbe Umberto Saba e altri scrittori triestini come Virginio Giotti e Silvio Benco. L'incontro con il poeta americano Ezra Pound nel 1926 lo aprì alla letteratura anglosassone.

LE OCCASIONI

Nel 1928 Montale fu nominato direttore del Gabinetto Vieusseux a Firenze, ma ne venne allontanato dopo dieci anni perché non iscritto al partito fascista. Si dedicò allora, oltre all'attività di critico, a quella di traduttore. Nel vivace ambiente fiorentino stabilì stimolanti rapporti intellettuali con Vittorini, Gadda, Landolfi, Pratolini, Contini. Nel 1939 uscirono Le occasioni, poesie in parte già precedentemente pubblicate su riviste. In esse Montale continua l'indagine esistenziale degli Ossi di seppia. Nel modificarsi e svanire di una realtà indecifrata e incupita, acquista forza il tema della memoria (anch'essa gracile), sollecitata da 'occasioni' di richiamo, e si delineano le figure salvifiche di alcune donne. Il linguaggio si fa meno penetrabile e i messaggi appaiono più nascosti; Montale però non muove verso l'irrazionale gorgo analogico degli ermetici, ma riafferma la sua tensione razionale e pudicamente sentimentale. Nel 1943 pubblicò in Svizzera, per interessamento di Contini, il volumetto Finisterre.

LA BUFERA E L'ALTRO

Dopo la guerra e la breve esperienza politica nelle file del Partito d'azione, divenne per poco tempo condirettore della rivista 'Il mondo'. Nel 1948 si trasferì a Milano, dove lavorò al 'Corriere della Sera' e al 'Corriere d'informazione', e pubblicò il Quaderno di traduzioni. Nel 1956 uscì La bufera e altro, che comprende anche le poesie già comparse in Finisterre. La 'bufera' è la guerra intesa come catastrofe della storia e della civiltà, e simbolo dunque di una disperata condizione umana e personale. Dalla speranza di un'immaginata salvezza attraverso la donna-angelo e dai lampi di fiducia nella possibilità di un mondo diverso, Montale passa all'angoscia per il presente. Nell'amara esperienza dell'orrore della guerra e degli anni cupi della Guerra Fredda, la poesia diventa il segno di un'estrema umana resistenza e di decenza nel quotidiano 'mare / infinito di creta e di mondiglia'.

DA SATURA AL QUADERNO DI QUATTRO ANNI

Nel 1966 Montale pubblicò i saggi Auto da fé, una lucida riflessione sulle trasformazioni culturali in corso. Nel 1967 venne nominato senatore a vita. Nel 1971 uscì Satura, cui seguirono nel 1973 Diario del '71 e '72 e nel 1977 Quaderno di quattro anni. A partire da Satura il registro linguistico di Montale subisce una svolta. La sua poesia sceglie uno stile basso e prosastico, in cui la parodia, l'ironia amara, il tono epigrammatico sostituiscono quello lirico. Questo perché il mondo gli appare ora perduto in una civiltà dell'immagine, che ha rinunciato alla ricerca del senso di sé e alla tensione etica. Dalla bufera della guerra si è passati alla palude immobile nel vuoto del presente.



COLLOCAZIONE DELL'AUTORE NELLA 'DIMENSIONE FASCISTA'


Montale ed il contesto storico-politico - Alcuni sostengono che anche se si fossero verificati dal punto di vista storico eventi diversi, cioè anche se il fascismo non avesse turbato fin dal profondo le coscienze degli italiani e dell'Europa tutta, l'uomo degli inizi del '900, ed il poeta stesso, avrebbe in ogni caso scritto versi così duri come pietra, avrebbe sentito l'angoscia e il dolore di una vita così diversa dalle aspettative, perché questa angoscia aveva radici profonde nel suo animo e la storia non aveva fatto altro che evidenziare un processo già in atto. A conferma di ciò, viè un'intervista fatta ad Eugenio Montale da un giornalista intorno agli anni '50. Montale, alle provocazioni del giornalista che voleva veder la sua poesia come frutto bacato di un'epoca di sofferenze, si ribella e rinforza il concetto del suo dolore quale dolore generazionale e non solo storico.

Alcuni studiosi hanno invece voluto sottolineare come il primo "input" alla poesia ermetica e neorealista venga proprio dato dalla raltà storico-politica di quegli anni.

Mentre Mussolini iniziò la scalata verso il potere, nasce in parallelo una nuova relazione con la cultura. Essa non deve essere di ostacolo al regime, non abituare le menti alla confutazione, deve bensì stimolare alla conferma ed all'assenso.

Contrariamente a quanto si pensi, eventi così dolorosi non poterono non lasciar segno nella vita e nella produzione letteraria di uno scrittore. Infatti nelle poesie di Ungaretti il peso di quella guerra inutile è il vero ispiratore di ogni verso. L'ermetismo di Ungaretti, è tutto racchiuso nell'espressione "allegria di un naufrago" e le parole si rincorrono incalzante e poi si fermano in lunghi spazi bianchi proprio come si era fermata la vita di tanti giovani.

Ancora, Quasimodo, avverte profondamente nei suoi versi l'urlo della madre che va incontro al figlio "crocifisso" sul palo del telegrafo e sente l'angoscia per quei morti che gridano vendetta. Ora egli chiede solo il silenzio, e quel silenzio diventa la logica della sua ...., del suo ermetismo.

Infine, lo stesso Montale, che aveva asserito il contrario, in più punti vuole porre le distanze tra la sua poesia umile, che utilizza versi secchi e parole aspre, e quello dei poeti laureati come D'Annunzio che avevano servito con i loro versi il regime.

Così, l'assunzione di una poetica, diventa l'assunzione anche di una posizione politica. Se non ci fosse stato il dolore della guerra, della sofferenza data dal fascismo, "il male di vivere" arebbe avuto toni più smorzati e meno intensi.

In conclusione, è difficile separare il pensiero del letterato dall'origine storica e dall'ideologia politica. Ogni poeta, in ogni epoca resta il segno più profondo della sua realtà storica e sociale

GABRIELE D'ANNUNZIO

-LA VITA

Nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese e durante i suoi primi studi si distingue come fanciullo prodigio .Ancora liceale pubblica la sua prima opera "Primo Vere";si trasferisce a Roma si dedica all' attivita' giornalistica e frequenta i salotti della nobiltà .

Nel 1882 pubblica un secondo volume di versi "Canto Nuovo" e l'anno successivo uno di novelle intitolato "Terra Vergine". Nel 1883 sposa la duchessa Maria Hardouins dalla quale si separa in seguito per un'altra relazione con Barbara Leoni. Del 1889 è il primo romanzo "Il Piacere".

Successivamente soggiorna a Napoli e poi in Abruzzo e scrive "Le vergini delle rocce" e la raccolta di poesie " Il Poema Paradisiaco".

Nel 1897 D'Annunzio inaugura la sua produzione teatrale con "Sogno di un mattino di primavera".

Ha una relazione con Eleonora Duse e nel 1910 lo scrittore fugge in esilio volontario in Francia ,assediato dai creditori.

Allo scoppio della" Grande guerra " assume la posizione di acceso interventista e si arruola come volontario compiendo una serie di imprese eroiche che lo resero popolarissimo all' epoca ,come il lancio di manifestini su Vienna , a bordo di un aeroplano, oppure come la "Marcia da Ronchi " dove , alla testa dei Legionari conquista Fiume mettendosi a capo della città per 15 mesi.

Divenne un'idealista precursore del Fascismo.

Si ritira nel 1921 a Gardone Riviera sul lago di Garda in una villa detta "Il Vittoriale degli Italiani", morendovi nel '38.

IL PERSONAGGIO E LA POETICA

Il personaggio di D'Annunzio nasce in opposizione a quella cultura scientifica che si stava sviluppando e che aveva portato ad una svalutazione dell'artista, il quale in conseguenza alla nascita della società di massa, era stato emarginato poiché non rispondeva più alle nuove esigenze scientifiche. Per questo D'Annunzio , allo stesso modo degli altri decadenti, ne rifiuta ogni concezione creando un proprio modello in grado di recuperare i valori tradizionali, ma soprattutto di ristabilire il giusto ruolo ed i privilegi dell'artista, inteso come unico mediatore e rivelatore di verità assolute attraverso la poesia, e l'arte.

Dà origine così ad una poetica del tutto nuova sui palcoscenici della letteratura, in grado di stupire, di colpire e allo stesso tempo di esaltare la propria figura al cospetto di una società non protagonista, ma che dovrà essere soggetta alla figura del "SUPERUOMO", da cui verrà educata alla religione dell'arte.

Un personaggio perciò raffinato che basa la vita sull'estetismo ossia sul culto della bellezza sull'edonismo, che mira al piacere immediato, e sul panismo, la tendenza da identificarsi nella natura, osservando la realtà da questo punto di vista; il tutto integrato in una vita inimitabile, fatta come un'opera d'arte, che deve far scalpore tra la gente al fine di diventare un vero e proprio mito di massa e su cui strumentalizzare il suo prodotto e perciò la sua opera soddisfacendo a pieno merito le esigenze di una società all' avanguardia, spinta dalla mercificazione dell'arte

. Da qui vengono messe in evidenza le sue contraddizioni, espresse nel disprezzo verso la massa che minaccia la borghesia, ma che nonostante ciò cerca di persuadere con il suo stile, proprio per riuscire a sponsorizzare la sua opera.


Nel realizzare tutto ciò, unisce la cultura classica attraverso personaggi come il profeta -vate alle nuove nascenti filosofie irrazionali come quella di Nietzsche, che ha un'influenza particolare sulla teoria del superuomo e quella psicoanalitica, anticipandone l'avvenire, la quale descrive le sensazioni, ed i vari movimenti dell'anima, su cui viene collocato il senso di ignoto e di piacere per nuove sensazioni.

La sua produzione suscita enorme interesse nel pubblico, il quale è attratto dal contrasto messo in scena da D'Annunzio, sui protagonisti delle sue opere che si rivelano allo stesso tempo nel poeta, ma che al contrario di questi non riescono nel loro intento di una vita basata sull'estetismo e perciò inimitabile. In conseguenza del fallimento dei personaggi, egli mette in risalto la sua figura che a questo punto diventa superuomo, perché l'unico in grado di realizzare la vita esteticamente.

Da un punto di vista stilistico la sua produzione assume un atteggiamento particolarmente elegante, poiché coglie gli aspetti del mondo con la sensualità e riesce a scomporli in tanti piccoli momenti, godendoli uno ad uno. La sua raffinatezza si rivela anche nello stile, nel linguaggio, nella ricercatezza della parola che sappia ammaliare, ad un'esaltazione del potere della parola: la "scienza delle parole" è una scienza "suprema"; " chi conosce questa, conosce tutto", affermò nel 1892, dopo aver affidato a IL PIACERE la parola d'ordine "il verso è tutto". Parola e verso, cioè linguaggio e forma, coincidono senza mediazioni.

Dal simbolismo proviene il frequente uso di figure retoriche come l'analogia, quale tecnica privilegiata della rappresentazione, e quale criterio organizzativo della conoscenza. L'analogismo, la metafora, la sinestesia, sono i modi per ristabilire il contatto tra uomo e natura, per scavalcare i limiti della civilizzazione, senza fare i conti con essi. L'arte è insomma anche un modo privilegiato per superare il divario tra civiltà e natura, tra cultura e istinto: "Natura e Arte sono un dio bifronte". Il tentativo da lui perseguito è quindi, quello di dare vita ad una scrittura che esprima e manifesti questa duplicità, una scrittura che sia il massimo dell'artificiosità presentato come il massimo della naturalezza.




















IL SUPERUOMO

Questa figura nasce in D'annunzio conseguentemente a quella dell' esteta. Egli prova un odio ed un disgusto per i valori, li considera mediocri e rispetto ai quali si sente superiore. Il poeta fugge dalla realtà verso un mondo di bellezza raffinata, insolita, preziosa. Tutto questo non solo nell'arte, ma anche nella vita. La vita stessa, cioè, è un'opera d'arte da costruire con raffinatezza e ricercatezza. L'esteta ha il culto del bello fine a se stesso, ritiene i valori estetici primari riducendo tutti gli altri: "un'azione non dev'essere giusta, ma bella!". L'eroe decadente si considera eccezionale, speciale, disprezza l'uomo comune e la massa, costruisce la sua vita come un'opera d'arte attraverso l'artificio, sprezzando la spontaneità. Egli giunge ad un fallimento finale inevitabile .

E' riscontrabile nel poeta il desiderio di imporsi, di agire, cosa che nella maturità viene risentita nella nuova filosofia tedesca di Nietzsche il quale dà vita al superuomo, che in D'annunzio viene interpretata in maniera diversa ma che sarà caratterizzante nella sua poetica e nella sua vita.

Egli avendo rifiutato una problematica del vivere, si proiettò in una vita attiva e combattiva rivelando il suo vitalismo attraverso due concezioni:

L'insofferenza di una vita comune e normale;

Il vagheggiamento della "bella morte eroica";

D'Annunzio, oltre che essere uno scrittore, fu anche un importante ideologo e politico, e fu al centro dell' attenzione riguardo ardite imprese militari, soprattutto aeree ,che mira a colpire ma non a far riflettere.

Il suo ideale è quello del nazionalismo, ripreso anche da Pascoli, ma in chiave più individuale ed eroica.












L'IMPRESA FIUMANA


"O FIUME O MORTE"


Mio caro compagno, il dado è tratto! Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto, febbricitante. Ma non è possibile differire. Anche una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio

Gabriele D'Annunzio

11 settembre 1919


Così Gabriele D'Annunzio scriveva a Benito Mussolini: iniziava l'impresa di Fiume.

D'Annunzio, che non ha mai rinunciato a rivendicare i diritti dell'Italia su Fiume, organizza un corpo di spedizione.

A Venezia egli raggruppa gli ufficiali che fanno parte di un nucleo d'agitazione che ha per motto 'O Fiume o morte!'.

Questi ufficiali assicurano a D'Annunzio un contingente armato di circa mille uomini, ai quali altri se ne aggiungono poi durante la marcia sulla città irredenta.
Gabriele D'Annunzio si autonomina capo del corpo di spedizione e il giorno 12 settembre 1919 entra in fiume alla testa delle truppe. La popolazione alla vista di questa entrata, acclama le truppe di granatieri italiani ed il "poeta- soldato".

Il20 settembre 1919. Gabriele D'Annunzio ottiene i pieni poteri e comincia a firmare decreti qualificandosi 'Comandante della città di Fiume'.

Il plebiscito del 26 ottobre segna il trionfo di D'Annunzio che ottiene 6999 voti favorevoli all'annessione su 7155 cittadini fiumani votanti.
Sull' onda del successo , D'annunzio esprime a Mussolini un proprio progetto : marciare su Roma alla testa dei suoi uomini e impadronirsi del potere .









































SECONDA GUERRA MONDIALE

La Guerra inizia nel 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania nazista. In risposta all'aggressione Francia e Inghilterra dichiararono guerra ai tedeschi e il conflitto si estese fino a interessare molti paesi e aree geografiche del pianeta. Più che in qualsiasi altra guerra precedente, il coinvolgimento delle nazioni partecipanti fu totale e l'evento bellico interessò in modo drammaticamente massiccio anche le popolazioni civili. La sua conclusione nel 1945 segnò l'avvento di un nuovo ordine mondiale incentrato sulle due superpotenze vincitrici, gli Stati Uniti d'America (USA) e l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS).


Origini

L'esito della prima guerra mondiale aveva scontentato, per motivi diversi, tre potenze: la Germania, principale nazione sconfitta, per le perdite territoriali e per le altre pesanti condizioni imposte dal trattato di Versailles; l'Italia e il Giappone, che ritenevano insufficiente quanto ottenuto a seguito della vittoria conseguita.

Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna avevano raggiunto i loro principali obiettivi: Washington la riduzione del potere militare della Germania; Parigi e Londra un ordine mondiale funzionale ai propri interessi coloniali ed europei. Ma proprio il mantenimento del nuovo quadro risultò subito problematico, dopo che gli Stati Uniti, per volere del presidente Wilson, avevano rifiutato di entrare nella Società delle Nazioni per ritirarsi in un nuovo isolazionismo.

Nel corso degli anni Venti si fecero alcuni tentativi per giungere a una pace stabile: nella conferenza di Washington (1921-22) le principali potenze navali concordarono di porre dei limiti ai potenziali delle rispettive marine militari; gli accordi di Locarno (1925) stabilirono una serie di impegni a garanzia della frontiera franco-tedesca; infine, sottoscrivendo a Parigi nel 1928 il patto Briand-Kellogg, 63 nazioni (con l'eccezione, tra le grandi potenze, dell'Unione Sovietica) rinunciarono alla guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali.

Tuttavia, se uno degli scopi dichiarati dai vincitori era stato di 'assicurare al mondo la democrazia', l'inadeguatezza dei risultati ottenuti emerse chiaramente dal fatto che negli anni Venti si assistette all'avvento e al progressivo affermarsi di forme di totalitarismo nazionalista-militaristico, giudicate più efficaci della democrazia nell'operare il contenimento del comunismo, da più parti visto come l'obiettivo politico prioritario.

Nel 1922 Benito Mussolini costituiva in Italia il primo regime fascista; Adolf Hitler, Führer (guida) del Partito nazionalsocialista tedesco, dieci anni dopo in Germania fondò il suo progetto di Grande Reich oltre che sul richiamo a teorie basate sull'antisemitismo e sul razzismo - esaltatrici della presunta superiorità della razza ariana - sulla prospettiva politica di abolire l''ordine di Versailles' e assicurare lo spazio vitale (Lebensraum) al regime totalitario che avrebbe dovuto raccogliere tutti i tedeschi. La Grande Depressione, inoltre, affliggeva in maniera particolarmente grave la Germania, quando Hitler, dopo aver vinto le elezioni ed essere stato nominato cancelliere, in breve assunse pieni poteri. Quanto al Giappone, pur non esistendovi formalmente un regime fascista, il ruolo svolto dalle forze armate nel governo civile del paese era preponderante e si ispirava alla volontà di rimettere in discussione gli equilibri internazionali sin lì definiti.

Nel marzo del 1936, dopo aver annunciato il riarmo nazionale in violazione del trattato di pace di Versailles, Hitler occupò militarmente la Renania (il cui status di zona smilitarizzata era stato definito sia a Versailles sia dagli accordi di Locarno), sollevando solo una flebile protesta da parte di Londra e Parigi. Seguì un altro passaggio preparatorio all'applicazione del programma espansionistico, segnato dall'intervento nella guerra civile spagnola (1936-1939) al fianco dei ribelli franchisti e in collaborazione con il futuro alleato Mussolini, fondatore in quegli anni dell'impero coloniale italiano in Etiopia (vedi Guerra d'Etiopia). Tra il 1936 e il 1937 una serie di accordi tra Germania, Italia e Giappone formalizzò lo stabilirsi di un Asse Roma-Berlino-Tokyo che univa in alleanza i tre regimi 'forti' della scena internazionale (vedi Potenze dell'Asse).


L'espansionismo nazista in Europa

L'annessione dell'Austria (Anschluss) nella primavera del 1938 fu il primo passo verso la realizzazione del progetto hitleriano di ricostituzione della Grande Germania. Mussolini appoggiò l'alleato, mentre britannici e francesi ancora una volta mancarono di intervenire con decisione, liquidando la vicenda come una questione interna tedesca.

Nel settembre successivo fu la volta delle rivendicazioni naziste sulla regione dei Sudeti, al confine occidentale della Cecoslovacchia, abitata da una popolazione a maggioranza tedesca (vedi Questione dei Sudeti). Il primo ministro inglese Neville Chamberlain, sostenuto anche dal governo francese, nel corso della conferenza di Monaco convinse le autorità ceche a cedere, in cambio dell'impegno da parte di Hitler a non avanzare ulteriori rivendicazioni territoriali (politica di appeasement). In realtà, nel marzo del 1939, Hitler occupò tutta la Cecoslovacchia, spingendo Londra a siglare un accordo di garanzia con la Polonia, obiettivo dichiarato dell'espansionismo nazista.

Uno sviluppo inatteso si ebbe il 23 agosto 1939 con la firma a Mosca di un trattato di non aggressione tra Germania e URSS (patto Molotov-Ribbentrop), che peraltro in un protocollo segreto concordavano di spartirsi l'Europa centrorientale, attribuendo all'Unione Sovietica Finlandia, Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia orientale e Romania.

Il 1° settembre 1939 i tedeschi invasero la Polonia. Due giorni dopo Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania; trincerati dietro la linea Maginot, i francesi non erano in realtà nella condizione di attaccare l'opposta linea Sigfrido tedesca, che pure non era protetta a sufficienza dalle truppe, impegnate sul fronte polacco.


Le operazioni militari

Prima fase: predominio delle potenze dell'Asse

La guerra lampo in Polonia


Il 1° settembre cominciarono i bombardamenti delle reti ferroviarie polacche. Dopo quattro giorni due gruppi armati, uno proveniente dalla Prussia orientale e un altro dalla Slesia, attraversarono le frontiere indirizzandosi verso Varsavia e Brest. La macchina bellica tedesca aveva sferrato il Blitzkrieg (guerra lampo), impiegando mezzi corazzati, aerei e fanteria autotrasportata. Tra l'8 e il 10 settembre i tedeschi avanzarono verso Varsavia. Il 17 l'Armata Rossa varcò il confine occupando la Polonia orientale. Il 20 settembre tutta la Polonia era nelle mani dei tedeschi e dei sovietici.


La drôle de guerre

Dopo la conquista della Polonia, su entrambi i fronti si sospesero le operazioni, tanto che questa fase venne chiamata drôle de guerre ('guerra farsa'). I francesi rimasero attestati dietro la linea Maginot, mentre nel nord della Francia aveva inizio il trasbordo delle truppe inglesi sul continente.

La guerra finnico-sovietica e il fronte norvegese

Il 30 novembre 1939 l'Unione Sovietica dichiarò guerra alla Finlandia (vedi Guerra finnico-sovietica). I finlandesi, guidati dal maresciallo Mannerheim, opposero una strenua resistenza, che durò sino all'anno seguente. L'aggressione alla Finlandia fu condannata dall'opinione pubblica mondiale, ma nello stesso tempo offrì a Francia e Gran Bretagna il pretesto per impossessarsi di una delle principali fonti di rifornimento di metalli ferrosi della Germania occupando il porto norvegese di Narvik. L'ammiraglio tedesco Erich Raeder decise allora di invadere la Norvegia sbarcando simultaneamente in otto città portuali, da Narvik a Oslo. Le truppe avrebbero dovuto essere trasportate con navi da guerra. La Danimarca, che non rappresentava un problema militare, era utile per la vicinanza dei suoi aeroporti alla Norvegia. Temendo l'intervento di altre potenze a fianco della Finlandia, Stalin concluse la pace il 12 marzo 1940, assicurando all'URSS concessioni territoriali; la Finlandia rimaneva indipendente. Il 2 aprile Hitler ordinò di attaccare la Norvegia e la Danimarca. La Danimarca si arrese immediatamente.

I norvegesi, appoggiati da 12.000 soldati britannici e francesi, resistettero nella zona tra Oslo e Trondheim fino al 3 maggio. A Narvik contrattaccarono, sostenuti dalla flotta britannica. Nella prima settimana di giugno i tedeschi furono obbligati a ritirarsi fino al confine svedese, ma le sconfitte militari in Francia obbligarono francesi e britannici a ritirare le loro truppe da Narvik.

I Paesi Bassi

Nella primavera del 1940 Hitler aveva impostato una nuova strategia per la campagna contro la Francia e i Paesi Bassi: scartato il piano che prevedeva l'invasione attraverso il Belgio, decise, secondo il piano ideato dal generale Erich von Manstein, di sferrare l'attacco nelle Ardenne, cogliendo di sorpresa il comando anglofrancese.

Il 10 maggio forze aeree tedesche atterrarono in Belgio e in Olanda occupando aeroporti e nodi stradali. L'esercito olandese si arrese il 14 maggio, poche ore dopo il bombardamento di Rotterdam. Lo stesso giorno, l'esercito tedesco, comandato dal generale Gerd von Rundstedt, attraversò le Ardenne cogliendo alle spalle le armate britanniche e francesi.

La sconfitta della Francia

Il 26 maggio, inglesi e francesi (un contingente alleato di 338.226 uomini ) furono respinti a Dunkerque e riuscirono a trovare scampo solo grazie a una gigantesca operazione di evacuazione della regione costiera, da cui ripiegarono drammaticamente per scampare alla cattura. Intanto Leopoldo III, re del Belgio, firmava la resa due giorni dopo.

La linea Maginot era intatta, ma la manovra tedesca aveva spiazzato il comandante francese, generale Maxime Weygand, che non riuscì a difendere Parigi. Il 10 giugno il governo abbandonò la capitale; lo stesso giorno anche l'Italia dichiarò guerra alla Francia. Il 17 giugno il maresciallo francese Henri-Philippe Pétain chiese l'armistizio che, firmato il 22 giugno, assicurava ai tedeschi il controllo del Nord della Francia e della costa atlantica. Pétain stabilì a Vichy, nel Sud, un governo collaborazionista, che rimase fedele all'Asse sino alla fine della guerra.


La battaglia d'Inghilterra


La Gran Bretagna, ora sotto la guida del primo ministro Winston Churchill, succeduto a Chamberlain, era rimasta sola ad affrontare la Germania. Nell'estate del 1940 l'aviazione tedesca (Luftwaffe) avviò l'offensiva aerea nel tentativo di annientare la Royal Air Force (RAF), scatenando la battaglia d'Inghilterra. Nell'agosto iniziarono i bombardamenti dei porti e degli aeroporti inglesi e, nel mese di settembre, quello di Londra. L'aviazione e la popolazione civile inglesi non cedettero e Hitler dovette rinunciare all'invasione. Fu la prima sconfitta tedesca.

L'Italia in guerra

Fin dal 1939 Mussolini aveva assistito con preoccupazione alla crescente spinta espansionistica dell'alleato tedesco, che rischiava sia di mettere l'Italia in una posizione del tutto marginale nel futuro ordine europeo e mondiale, sia di far naufragare un insieme di obiettivi strategici, per quanto confusamente concepiti, che spaziavano dai Balcani agli oceani.

Era maturata nel Duce la convinzione che l'Italia dovesse prepararsi a combattere una guerra parallela a quella dei tedeschi, in aree geograficamente circoscritte, al fine di trarre il massimo vantaggio al tavolo della pace. Il momento di dichiarare guerra si avvicinava man mano che la Germania travolgeva le linee avversarie e si espandeva in Europa, a est come ad ovest. Era tuttavia palese l'inadeguatezza dell'esercito italiano ad assumere un ruolo militare pari a quello tedesco. Perciò era giocoforza puntare a operazioni di guerra di breve durata, in punti marginali del conflitto, confidando nella resa dell'Inghilterra, fatto questo che nell'estate del 1940 poteva apparire probabile.

Il 10 giugno 1940 Mussolini annunciò con enfasi l'entrata in guerra dell'Italia contro la Francia e l'Inghilterra. Quindi fece muovere le truppe sul versante alpino, tra il Moncenisio e il mar Ligure, per invadere da sud la Francia, già messa in ginocchio dalla ben più possente invasione tedesca. Poco addestrati e male equipaggiati i soldati italiani avanzarono con estrema lentezza attraverso le Alpi. Anche sulla costa le operazioni procedettero a rilento al punto che, al momento dell'armistizio (24 giugno), le forze italiane non si erano spinte oltre Mentone. Si trattava di un magro bottino, che non legittimava le richieste avanzate da Mussolini a Hitler, ben più consistenti (la Corsica, Nizza, la Tunisia, Gibuti, la Francia meridionale fino al Rodano).

L'Africa settentrionale e i Balcani

Nel settembre del 1940 Mussolini ordinò di attaccare l'Egitto, importante base britannica, ma fu respinto dagli inglesi che occuparono parte della Libia, colonia italiana. In ottobre il Duce decise di attaccare la Grecia, senza preventiva comunicazione all'alleato tedesco che ne venne informato quando le operazioni erano già in corso (vedi Campagna di Grecia). Anche in questo caso l'Italia si metteva sulla scia della Germania, che aveva deciso di proteggere militarmente i pozzi petroliferi della Romania, per sfruttarne la forza d'urto e ristabilire un più equilibrato rapporto militare.

L'attacco partì dall'Albania e anche in questa circostanza l'impreparazione risultò lampante. Dopo due settimane i greci erano in grado di controbattere, mentre gli inglesi impedivano l'utilizzo della flotta silurando tre corazzate nel porto di Taranto. All'inizio del 1941 il fronte era di fatto bloccato in un conflitto di posizione che non lasciava presagire sviluppi favorevoli all'Italia. Fu a quel punto che Hitler cominciò a prefiggersi la conquista tedesca della Grecia.

Anche sul fronte dell'Africa settentrionale le controffensive inglesi avevano costretto le truppe italiane a ritirarsi precipitosamente, fino al limite occidentale del golfo della Sirte. Nel mese di febbraio del 1941 Hitler assegnò al feldmaresciallo Erwin Rommel il comando delle truppe tedesche (Afrikakorps) nell'Africa settentrionale, con lo scopo di aiutare gli alleati italiani. Tra i mesi di marzo e aprile Rommel riuscì a respingere gli inglesi, varcando il confine egiziano.

Hitler preparò quindi l'attacco alla Grecia: sottoscrisse trattati di alleanza con Romania e Ungheria nel novembre 1940 e con la Bulgaria nel marzo 1941. La Iugoslavia, che non aveva accettato di allearsi con la Germania, fu invasa. Le operazioni ebbero inizio il 6 aprile: Belgrado, pesantemente bombardata, fu occupata il 13 aprile e il giorno dopo l'esercito iugoslavo si arrese. Subito iniziò la resistenza, a opera dei partigiani cetnici e dei partigiani comunisti guidati da Tito, che continuò per tutta la durata della guerra. Le forze italiane intervennero a fianco dei tedeschi, penetrando in territorio iugoslavo da Trieste e occupando la Slovenia, la Dalmazia e il Montenegro, fino a ricongiungersi con i contingenti provenienti dall'Albania. La Croazia, costituita in stato autonomo, divenne paese satellite dell'Italia, a cui fu annessa la Slovenia (maggio 1941).

In Grecia, Salonicco fu costretta alla resa il 9 aprile; anche le divisioni greche, che avevano occupato quasi un terzo dell'Albania, si arresero il 22 aprile. Il 27 aprile le truppe tedesche occuparono Atene: il re e il governo fuggirono a Creta, che tuttavia fu conquistata il mese dopo.


Seconda fase: estensione della guerra

L'anno dopo la caduta della Francia il conflitto dilagò, assumendo dimensioni mondiali. Hitler, pur conducendo nuove campagne nei Balcani, in Africa settentrionale e nei cieli dell'Inghilterra, schierava adesso il grosso dell'esercito a est, contro l'Unione Sovietica.

L'intervento degli Stati Uniti

Finora rimasti neutrali, gli Stati Uniti si prepararono allo scontro con il Giappone in Asia e nell'oceano Pacifico, stringendo nel frattempo accordi con la Gran Bretagna per determinare le strategie da seguire nell'eventualità di una loro entrata in guerra.

Nel marzo del 1941 il Congresso americano approvò il Lend-Lease Act, un programma di aiuti militari ed economici da concedere a qualsiasi paese designato dal presidente e del quale beneficiarono la Gran Bretagna e, dopo l'invasione tedesca nel giugno del 1941, anche l'Unione Sovietica. Gli Stati Uniti speravano in una sconfitta dell'Asse senza un loro coinvolgimento diretto, ma alla fine dell'estate del 1941 si trovarono in una posizione di guerra non dichiarata con la Germania. In luglio reparti di marines americani furono dislocati in Islanda, occupata dagli inglesi: nel maggio del 1940 la Marina militare americana ebbe l'incarico di scortare i convogli nelle acque a ovest dell'Islanda; in settembre il presidente Franklin Delano Roosevelt autorizzò le navi di scorta ai convogli ad attaccare le navi da guerra dell'Asse.

Nel frattempo, le relazioni tra Stati Uniti e Giappone si erano ulteriormente deteriorate. Nel settembre del 1940 il Giappone costrinse il governo di Vichy a cedere la zona nord dell'Indocina. Gli Stati Uniti proibirono l'esportazione in Giappone di acciaio, ferro e combustibile per l'aviazione. Nell'aprile del 1941 i giapponesi firmarono un accordo di neutralità con l'Unione Sovietica, per limitare i possibili fronti di guerra in vista dello scontro con la Gran Bretagna o con gli Stati Uniti. Quando però la Germania invase l'Unione Sovietica, in giugno, decisero di rompere l'accordo, pensando a un attacco contro l'Unione Sovietica da est; in seguito cambiarono idea, e presero la fatale decisione di portare l'offensiva nel Sud-Est asiatico. Il 23 luglio il Giappone occupò il Sud dell'Indocina. Due giorni dopo Stati Uniti e Gran Bretagna risposero con l'embargo commerciale. Il 7 dicembre 1941, un'ora prima della dichiarazione ufficiale di guerra, forze aeree e navali giapponesi distruggevano la flotta americana a Pearl Harbor. Tre giorni dopo le due maggiori unità navali britanniche nel Pacifico venivano affondate. Si apriva così un nuovo fronte di guerra in Estremo Oriente.


L'invasione dell'Unione Sovietica

Lo scontro più imponente iniziò la mattina del 22 giugno 1941, quando più di 3 milioni di soldati dell'Asse invasero l'Unione Sovietica. Nonostante l'attacco fosse stato apertamente preparato da mesi, i sovietici furono colti di sorpresa. I capi militari sovietici erano convinti che una guerra lampo come quella che aveva piegato la Polonia e la Francia non sarebbe stata possibile contro l'Unione Sovietica. L'esercito sovietico era numericamente superiore a quello tedesco, forte di 4,5 milioni di soldati schierati sul confine occidentale, del doppio di carri armati e del triplo di aerei, pur tecnologicamente superati; alcuni tipi di mezzi blindati, soprattutto i famosi T-34, erano tuttavia superiori a quelli tedeschi. Il primo giorno molti aerei sovietici furono distrutti; lo schieramento dei carri armati, dispersi tra la fanteria, era perdente nei confronti della concentrazione dei mezzi corazzati tedeschi. Gli ordini dati alla fanteria furono di contrattaccare senza ritirarsi, ma la maggior parte dei soldati sovietici cadde combattendo o fu catturata.

Prime vittorie tedesche

Per l'invasione, l'esercito tedesco era stato organizzato in tre gruppi armati - Nord, Centro e Sud - che puntarono rispettivamente verso Leningrado (attuale San Pietroburgo), Mosca e Kiev. Hitler e i suoi generali concordavano sul fatto che il problema principale era bloccare l'Armata Rossa e sconfiggerla prima che potesse ripiegare verso l'interno del paese. Non erano però d'accordo sulla strategia da seguire: i generali erano convinti che il regime sovietico avrebbe sacrificato qualsiasi cosa pur di difendere Mosca, la capitale, nodo centrale delle reti stradali e ferroviarie e principale centro industriale del paese. Per Hitler, invece, l'Ucraina, con le sue risorse naturali, e il Caucaso, con il suo petrolio, rappresentavano gli obiettivi più importanti, insieme alla città di Leningrado. Il compromesso fu trovato nelle tre differenti direttive d'invasione e il grosso dell'esercito si mosse verso Mosca. I tedeschi prevedevano di vincere in dieci settimane: era un punto essenziale, in quanto l'inverno russo avrebbe bloccato le operazioni, mentre l'impegno bellico nei Balcani aveva già causato un ritardo di tre settimane.

Mussolini decise di collaborare all'operazione Barbarossa con l'invio di un Corpo di spedizione italiano in Russia (CSIR) composto di 62.000 uomini che i tedeschi schierarono in Ucraina. Sul fronte opposto furono Churchill a offrire ai sovietici un'alleanza e Roosevelt gli aiuti consentiti dalla Legge affitti e prestiti, benché i rispettivi consiglieri militari non concedessero più di un mese alle possibilità di resistenza dell'URSS. Alla fine della prima settimana di luglio, il Gruppo Centro aveva fatto prigionieri 290.000 soldati sovietici a Bialystok e a Minsk. Il 5 agosto, attraversato il fiume Dnepr, i tedeschi fecero altri 300.000 prigionieri vicino a Smolensk ed erano ormai prossimi a Mosca.

I russi avevano sacrificato moltissimi soldati e armamenti per difendere la capitale. Hitler, comunque, non era soddisfatto e, nonostante le proteste dei suoi generali, ordinò al Gruppo Centro di spostare il grosso degli armamenti a nord e a sud per aiutare gli altri due gruppi d'invasione, fermando in questo modo l'avanzata verso Mosca. L'8 settembre il Gruppo Nord, insieme a forze finlandesi, diede il via all'assedio di Leningrado. Il 16 settembre il Gruppo Sud accerchiò Kiev da est, facendo 665.000 prigionieri. A questo punto Hitler decise di riprendere l'avanzata verso Mosca e ordinò ai mezzi corazzati di ricongiungersi al Gruppo Centro.


L'avanzata verso Mosca

Il Gruppo Centro riprese le azioni il 2 ottobre, catturando in due settimane 663.000 militari nemici. Le piogge autunnali trasformarono tutto il terreno in fango e bloccarono l'avanzata per quasi un mese. A metà novembre arrivò il freddo e il terreno gelò. Hitler e il comandante del Gruppo Centro, il feldmaresciallo Fëdor von Bock, decisero, nonostante l'inverno, di concludere la campagna del 1941 con la conquista di Mosca.

Verso la seconda metà di novembre Bock mosse verso Mosca, arrivando a 32 km dalla città. La temperatura era bassissima, la neve copriva le strade, macchine e uomini non erano attrezzati ad affrontare un freddo così intenso. Il 5 dicembre i generali tedeschi ammisero il blocco totale dell'avanzata. Carri armati e camion erano congelati, le truppe demoralizzate.

La controffensiva sovietica

Stalin, in accordo con il maresciallo Georgij Wukov, aveva trattenuto a Mosca le riserve, tra cui molti giovani, ma anche veterani provenienti dalla Siberia, dove l'Armata Rossa, nel 1939, aveva sconfitto i giapponesi sul confine con la Manciuria. Il 6 dicembre i sovietici contrattaccarono e, dopo pochi giorni, le avanguardie corazzate tedesche si ritirarono, lasciando sul terreno una quantità di veicoli e armamenti resi inutilizzabili dal gelo.

Su ordine di Stalin, il contrattacco di Mosca dette il via a una controffensiva sull'intero fronte. I tedeschi non avevano costruito linee di difesa sulla retroguardia e Hitler ordinò alle truppe di non retrocedere. I russi annientarono molte divisioni, ma i tedeschi resistettero abbastanza per superare l'inverno e mantenere l'assedio di Leningrado, minacciando Mosca e occupando l'Ucraina.

Per la prima volta dal 1939 falliva un piano tedesco di annientamento del nemico. L'obiettivo di assicurarsi grandi quantitativi di viveri e materie prime dalla Russia sconfitta non si realizzò, perché le ferrovie erano state distrutte dai sovietici in ritirata, e altrettanto era stato fatto con le colture, il bestiame e ogni altra risorsa. L'aiuto in materie prime concesse dagli americani, trasportate da convogli britannici che subirono perdite pesanti nei porti settentrionali della Russia, assicurò ai sovietici radar, radio e altri equipaggiamenti sofisticati.


Terza fase: ribaltamento degli equilibri

Alla fine del mese di dicembre 1941, Roosevelt, Churchill e i rispettivi consiglieri si riunirono a Washington. Tutti concordarono sulla necessità di sconfiggere prima la Germania e, avendo l'Inghilterra i mezzi necessari per combattere in Europa, dovevano essere i britannici a condurre le operazioni, mentre la guerra con il Giappone avrebbe impegnato quasi esclusivamente gli americani. Inoltre fu creato il Combined Chiefs of Staff (CCS), del quale fecero parte i più alti gradi militari britannici e americani, con sede a Washington, con lo scopo di sviluppare una strategia comune. Il 1° gennaio 1942 Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e altri 23 paesi firmarono la Dichiarazione delle Nazioni Unite, impegnandosi a non perseguire paci separate. Nazioni Unite divenne il nome ufficiale della coalizione anti Asse, ma il termine più usato per indicare queste potenze rimase quello utilizzato già nella prima guerra mondiale: Alleati.


Sviluppo della strategia alleata

Agli inizi del 1942 gli Stati Uniti non potevano ancora prendere parte a molte delle azioni che avevano luogo in Europa. In Africa settentrionale, il 10 dicembre 1941, i britannici avevano liberato Tobruk, prendendo Bengasi, in Libia, due settimane dopo. Rommel contrattaccò alla fine del gennaio 1942, facendo arretrare il nemico di 300 km, fino ad Al-Ghazalah e Bir Hacheim; a Tobruk e al confine con l'Egitto si creò una situazione di stallo.


Europa

A questo punto il grande interrogativo era se l'Unione Sovietica sarebbe stata in grado di sopportare una seconda offensiva tedesca; i russi premevano sugli Stati Uniti e sulla Gran Bretagna affinché si adoperassero per alleggerire la pressione sul territorio sovietico, aprendo il cosiddetto 'secondo fronte' in Occidente. Il generale George Marshall, capo di stato maggiore dell'esercito americano, era convinto che il modo migliore per aiutare i russi e porre termine alla guerra sarebbe stato quello di allestire una concentrazione di forze in Inghilterra, e sferrare l'attacco attraverso la Manica. Le operazioni avrebbero dovuto iniziare nella primavera del 1943, o prima ancora, se l'Unione Sovietica fosse stata sull'orlo del collasso. Gli inglesi però non volevano aprire altri fronti prima di aver vinto in Africa settentrionale, e non credevano alla possibilità di raccogliere in Inghilterra un esercito abbastanza forte per attraversare la Manica entro il 1943.

Fu Rommel a risolvere la controversia: nel mese di giugno entrò a Tobruk, sfondò in Egitto e raggiunse El-Alamein. A questo punto gli americani convennero che era necessario rimandare l'attacco attraverso la Manica e si prepararono per l'invasione dell'Africa settentrionale francese.

Il Pacifico

Nel frattempo, pur nel quadro della strategia che vedeva la sconfitta della Germania come primo obiettivo, gli americani si stavano orientando verso l'azione diretta contro il Giappone. La battaglia del mar dei Coralli (7-8 maggio 1942) e la battaglia delle Midway (giugno 1942) avevano fermato i giapponesi nel Pacifico centrale, ma l'avanzata nipponica proseguì nel Pacifico sudoccidentale attraverso le isole Salomone e, via terra, verso la Nuova Guinea. Il 2 luglio 1942 gli americani scatenarono la controffensiva nel Pacifico sudoccidentale.

L'offensiva angloamericana in Nord Africa

Tra la primavera e l'estate del 1942 la situazione nell'Africa settentrionale volgeva a favore dell'Asse. Il 31 agosto Rommel e l'Afrikakorps sferrarono un attacco lungo il fianco sud del fronte britannico, presso Alam Halfa, a sud-est di El-Alamein, ma furono respinti il 7 settembre (vedi Battaglia di El-Alamein). La controffensiva alleata, guidata dal generale britannico Montgomery, fu lanciata il 23 ottobre; l'8 novembre, dopo durissimi scontri, Rommel diede l'ordine di ritirata alle truppe. Dopo alcuni mesi di resistenza, respinte dalle forze inglesi e francesi fino in Tunisia, le divisioni italo-tedesche si arresero il 13 maggio 1943.

Il fronte russo: estate 1942

Alle vittorie invernali sovietiche era succeduta una serie di sconfitte nella primavera del 1942, costate all'URSS più di mezzo milione di prigionieri. Anche i tedeschi avevano commesso un grande errore fermando la produzione della maggior parte degli armamenti e delle munizioni destinati all'esercito per potenziare la produzione industriale per l'aeronautica e la marina militare, nello sforzo di sconfiggere finalmente la Gran Bretagna. Hitler aveva comunque sufficienti truppe e armamenti per costringere l'Unione Sovietica a sacrificare il grosso delle sue truppe nel tentativo di difendere i bacini minerari del Donbass e i giacimenti petroliferi del Caucaso.


La campagna tedesca verso il Caucaso

Le offensive cominciarono a est di Kharkiv il 28 giugno 1942 e in meno di quattro settimane i tedeschi furono a est del fiume Don. Le distanze percorse erano grandissime, ma Stalin e i suoi generali, convinti che i tedeschi avrebbero puntato per la seconda volta su Mosca, avevano trattenuto le riserve e ordinato all'esercito del sud di ritirarsi.

Hitler, incoraggiato dalla facilità dell'avanzata, cambiò i piani. All'inizio si era prefisso di avanzare verso Stalingrado (Volgograd) fino al fiume Volga, per inviare le truppe verso sud, nel Caucaso, solo in un secondo momento; il 23 luglio ordinò invece a parte dell'armata di continuare l'avanzata verso Stalingrado, e ad altri effettivi, un terzo dell'intera forza, di raggiungere il basso Don e prendere i giacimenti petroliferi di Majkop, Grozny e Baku.

L'assedio di Stalingrado

L'Unione Sovietica toccò il suo momento peggiore alla fine del luglio 1942. Il 28 luglio Stalin pronunciò il suo famoso 'Neanche un passo indietro!' e chiese alle truppe di combattere una guerra 'patriottica' per la Russia. Wukov, che aveva organizzato la controffensiva di Mosca nel dicembre del 1941, e il capo del comando supremo, Aleksandr Vasilevskij, proposero di indebolire il nemico obbligandolo a un sanguinoso combattimento in città, mentre loro raccoglievano le forze per sferrare il contrattacco. La battaglia di Stalingrado era cominciata.

Il 19 novembre, in una mattina di nebbia e neve, l'avanguardia corazzata sovietica entrò in contatto con i rumeni a ovest e a sud di Stalingrado. Hitler ordinò al comandante della VI Armata, generale Friedrich von Paulus, di resistere, promettendogli imminente appoggio aereo. Il tentativo di far giungere rifornimenti fallì e la VI Armata, che, condannata alla distruzione, voleva tentare di rompere l'accerchiamento, ne fu impedita da un ordine di Hitler. Von Paulus si arrese il 31 gennaio 1943. La battaglia di Stalingrado costò 200.000 uomini ai tedeschi, costretti a ritirarsi dal Caucaso e a retrocedere fino quasi al punto da dove era partita l'offensiva dell'estate 1942.

Nella tragica ritirata sotto l'attacco sovietico venne coinvolta anche l'Armata italiana in Russia (ARMIR), sette divisioni che si erano aggiunte a quelle che già componevano il CSIR, portando gli effettivi a 230.000 soldati. L'ARMIR, insieme alle armate tedesche, rumene e ungheresi, fu annientata.

Guadalcanal

Nell'estate del 1942 Stalingrado e il Caucaso erano apparentemente sul punto di cadere nelle mani di Hitler, e Rommel non era lontano dal canale di Suez. I giapponesi avevano occupato Guadalcanal, nell'estremo sud delle isole Salomone, e puntavano su Port Moresby, in Nuova Guinea.

Gli americani sbarcarono a Guadalcanal il 7 agosto 1942. La reazione del Giappone fu pronta e violenta: le perdite in navi e aerei furono pesanti per entrambe le parti, ma i giapponesi ne uscirono sconfitti, dopo più di quattro mesi di scontri.

La conferenza di Casablanca

Dal 14 al 24 gennaio 1943, Roosevelt, Churchill e i loro consiglieri si incontrarono a Casablanca per preparare la strategia da adottare dopo la campagna in Nord Africa: gli americani desideravano procedere con l'attacco ai tedeschi attraverso la Manica; gli inglesi sostenevano i vantaggi di raccogliere, come disse Churchill, i 'grandi premi' che si sarebbero riscossi nel Mediterraneo, in Italia.



Offensive aeree in Germania

Come preludio del rinviato attacco attraverso la Manica, gli angloamericani decisero di scatenare un'offensiva aerea contro la Germania. I britannici lanciarono quattro bombardamenti incendiari su Amburgo, alla fine del luglio 1943. Nell'ottobre gli americani attaccarono gli stabilimenti di cuscinetti a sfere di Schweinfurt, perdendo però il 25% degli aerei; i bombardamenti diurni furono sospesi, in attesa che fossero disponibili i cacciabombardieri a lungo raggio.

La battaglia di Kursk

Hitler, pur sapendo di non essere in grado di affrontare un'altra offensiva, il 5 luglio dette il via alla battaglia di Kursk, attaccando da nord e da sud il fronte, in prossimità di Kursk. Nel più grande scontro tra forze corazzate della guerra, i sovietici opposero una strenua resistenza. Hitler sospese le operazioni perché gli angloamericani erano appena sbarcati in Sicilia. Dopo Kursk, l'iniziativa strategica nell'Europa orientale passò definitivamente all'armata sovietica.

La campagna d'Italia

Dopo avere occupato nel giugno del 1943 Pantelleria e Lampedusa, il 10 luglio tre divisioni americane, una canadese e tre inglesi sbarcarono in Sicilia, battendo quattro divisioni italiane e due tedesche e superando, il 17 agosto, l'ultima resistenza dell'Asse. Mussolini era stato rovesciato il 25 luglio: il nuovo governo italiano, presieduto da Pietro Badoglio, aveva avviato i negoziati firmando il 3 settembre un armistizio segreto, reso pubblico l'8 settembre. I tedeschi, al comando del maresciallo Albert Kesselring, occuparono militarmente l'Italia centrosettentrionale, mentre il governo italiano fuggiva nel Meridione, riparando presso gli Alleati e abbandonando a se stesso l'esercito, privo di ordini chiari. Mussolini fu liberato dai tedeschi e trasferito al nord, dove diede vita alla Repubblica di Salò.

Il 3 settembre truppe dell'VIII Armata, guidate da Montgomery, attraversavano lo stretto di Messina. Il 9 settembre la V Armata americana, al comando del generale Mark Wayne Clark, sbarcava nei pressi di Salerno; il 12 ottobre gli angloamericani avevano già stabilito una solida linea attraverso la penisola, dal fiume Volturno, a nord di Napoli, fino a Termoli, sulla costa adriatica. Per la fine dell'anno la resistenza tedesca aveva fermato gli Alleati a circa 100 km a sud di Roma. Lo sbarco ad Anzio, il 22 gennaio del 1944, non permise all'esercito alleato di fare molti progressi, perché i tedeschi si erano attestati lungo il fiume Liri e a Cassino, lungo la cosiddetta linea Gustav, che attraversava l'Appennino fra Termoli e Gaeta.

Strategia alleata contro il Giappone e progressi nel Pacifico

La strategia della guerra contro il Giappone fu sviluppata per stadi nel corso del 1943. All'inizio l'obiettivo era di stabilire basi sulla costa cinese (da dove il Giappone avrebbe potuto essere bombardato e successivamente invaso), con azioni inglesi e cinesi dalla Birmania e dalla Cina orientale, e incursioni americane sulle isole del Pacifico centrale e sudoccidentale, fino a Formosa (oggi Taiwan) e alla Cina. A metà anno fu chiaro che né gli obiettivi britannici né quelli cinesi sarebbero stati raggiunti, e quindi ci si concentrò sugli obiettivi americani.

Le principali operazioni ebbero come teatro il Pacifico sudoccidentale, dove le truppe americane e quelle del corpo di spedizione australiano e neozelandese, al comando dell'ammiraglio William Halsey, avanzarono lungo le isole Salomone. Gli australiani e gli americani, al comando del generale MacArthur, costrinsero i giapponesi a ritirarsi lungo la costa orientale della Nuova Guinea. L'obiettivo di MacArthur e Halsey, fissato nel 1942, era la conquista di Rabaul, centro principale della Nuova Guinea. Gli sbarchi al capo Gloucester e in Nuova Britannia nel dicembre 1943, nelle isole dell'Ammiragliato nel febbraio del 1944 e nell'isola Emira a marzo dello stesso anno chiusero in una morsa Rabaul. La guarnigione giapponese di 100.000 uomini non poteva più essere evacuata.

Il primo sbarco nel Pacifico centrale avvenne nelle isole Gilbert (Kiribati), a Makin e Tarawa, nel novembre del 1943.


Quarta fase: la vittoria alleata

Nella prima settimana dell'agosto 1943, le linee tedesche a nord e a ovest di Kharkiv furono investite dalla controffensiva sovietica. Il 15 settembre Hitler permise al Gruppo Sud di ritirarsi verso il Dnepr per evitare la sconfitta. Le armate sovietiche, al comando di Wukov e Vasilevskij, allargarono le teste di ponte, isolando l'armata tedesca in Crimea nel mese di ottobre, conquistando Kiev il 6 novembre e rimanendo all'offensiva per tutto l'inverno.

La conferenza di Teheran

Alla fine di novembre del 1943 si incontrarono per la prima volta Roosevelt, Churchill e Stalin. Il presidente americano e il primo ministro inglese avevano già approvato il piano d'attacco attraverso la Manica, chiamato in codice 'operazione Overlord', e Roosevelt era del parere che si dovesse partire con il piano appena le condizioni meteorologiche fossero state favorevoli, nel 1944. Nella conferenza di Teheran, al contrario, Churchill si disse favorevole a dare la precedenza allo sviluppo delle offensive in Italia, nei Balcani e nel Sud della Francia. Stalin si dichiarò d'accordo con Roosevelt e quindi Overlord fu programmato per il maggio del 1944. Dopo l'incontro, Eisenhower fu richiamato dal Mediterraneo ed ebbe il comando supremo delle forze alleate, con il compito di organizzare e guidare Overlord.

La conferenza di Teheran segnò il punto culminante dell'alleanza interalleata. Contemporaneamente, però, si sviluppavano tensioni nella compagine alleata, via via che le armate sovietiche cominciavano ad avvicinarsi ai confini dei piccoli stati dell'Europa orientale. Stalin aveva troncato ogni relazione con il governo polacco in esilio a Londra, e a Teheran sostenne fermamente che la frontiera sovietico-polacca del dopoguerra dovesse essere quella stabilita dopo la sconfitta polacca del 1939. Inoltre reagì con malcelata ostilità alla proposta di Churchill di un attacco angloamericano nei Balcani.

I preparativi per Overlord e lo sbarco in Normandia

Hitler si attendeva l'invasione dell'Europa nordoccidentale per la primavera del 1944 ed era convinto che, se fosse riuscito a respingere americani e britannici, avrebbe avuto in pugno le sorti della guerra; successivamente avrebbe concentrato tutte le sue truppe contro i sovietici. Pertanto destinò rinforzi al solo fronte occidentale.

Nel gennaio 1944 un'offensiva sovietica spezzò l'assedio a Leningrado e fece retrocedere il Gruppo Nord fino alla linea tra il fiume Narva e il lago Peipus. Nuove offensive del marzo e dell'aprile ricacciarono i tedeschi nell'ampia distesa tra le paludi del Pripjat e il Mar Nero, cioè fuori dal territorio sovietico.

Il 6 giugno 1944, il D-Day, giorno dell'invasione secondo il piano Overlord, la I Armata statunitense al comando del generale Omar Bradley e la II Armata britannica al comando del generale Miles Dempsey riuscirono a stabilire teste di ponte in Normandia: cominciò così la campagna che si sarebbe conclusa con lo sbarco in Normandia.



La riconquista sovietica della Bielorussia

Sul fronte orientale tedesco non vi furono operazioni durante le prime tre settimane del giugno 1944; Hitler si aspettava un'offensiva sul lato meridionale del fronte, dove i sovietici, dopo la battaglia di Stalingrado, avevano concentrato le forze. La Bielorussia era controllata dal Gruppo Centro, che non prevedeva certo un attacco da quel lato. Tuttavia, il 22 e il 23 giugno 1944 quattro contingenti sovietici (due guidati da Wukov e due da Vasilevskij) sferrarono l'attacco al Gruppo Centro, sconfiggendolo. Minsk, capitale della Bielorussia, fu presa dai sovietici il 3 luglio; l'8 luglio la IV Armata tedesca dovette abbandonare i combattimenti, consentendo all'Armata Rossa di dirigersi verso la Prussia orientale e la Polonia.

Il complotto contro Hitler

Nel mese di luglio un gruppo di ufficiali organizzò un attentato per uccidere Hitler (complotto di luglio): il 20 luglio l'esplosione di una bomba piazzata nel quartier generale di Rastenburg, nella Prussia orientale, uccise alcuni ufficiali, ma Hitler ne uscì indenne. Gli ufficiali sospettati di aver preso parte al complotto furono giustiziati.

La liberazione della Francia

Intanto le truppe corazzate sbarcate in Normandia, guidate dal generale Patton, avevano occupato la Bretagna e si erano spinte all'interno della Francia, conquistando Le Mans, Chartres e Orléans. Il 25 agosto le forze americane, insieme a quelle della Resistenza francese, guidate dal generale Charles De Gaulle, entrarono trionfali a Parigi: entro settembre quasi tutto il territorio francese era stato liberato.

Pausa nell'offensiva occidentale

Sul fronte occidentale Bradley e Montgomery guidarono l'offensiva che, a nord della Senna, veniva sferrata verso il Belgio, mentre gli americani avanzarono in direzione del confine franco-tedesco. Le truppe di Montgomery conquistarono Anversa il 3 settembre 1944 e l'11 settembre le prime guarnigioni americane varcarono il confine tedesco. L'offensiva subì a questo punto una fase d'arresto: Montgomery aveva raggiunto le barriere fluviali della Mosa e del Basso Reno, mentre gli americani erano bloccati sulla linea Maginot. Il tentativo di sfondamento operato da Montgomery nella battaglia di Arnhem fu un completo fallimento.


L'insurrezione di Varsavia

Il 20 luglio avanguardie sovietiche raggiunsero le coste del Baltico, nei pressi di Riga, tagliando le vie di comunicazione terrestri del Gruppo Centro con il fronte tedesco. Il 31 luglio il comandante dell'armata partigiana polacca, generale Tadeusz Komorowski, detto 'generale Bor', organizzò l'insurrezione di Varsavia. Gli insorti, fedeli al governo anticomunista in esilio a Londra, crearono per diversi giorni gravi disagi ai tedeschi.

La sconfitta delle potenze dell'Asse

Un'offensiva sovietica effettuata tra i Carpazi e il Mar Nero a fine agosto 1944 ebbe come risultato l'armistizio chiesto tre giorni dopo dalla Romania. La Bulgaria, che non aveva mai dichiarato guerra all'Unione Sovietica, si arrese il 9 settembre. Il 19 e il 20 ottobre le truppe sovietiche occuparono Belgrado e vi insediarono un governo comunista sotto la guida di Tito. In Ungheria, i sovietici arrivarono alle porte di Budapest alla fine di novembre.



L'avanzata degli Alleati in Italia

In Italia, tra la primavera e l'estate del 1944, le armate di Clark, che comprendevano truppe americane, britanniche, francesi e polacche, presero Cassino il 18 maggio. Cinque giorni dopo, la rottura dell'accerchiamento della testa di sbarco ad Anzio costrinse i tedeschi ad abbandonare la linea Gustav; gli Alleati entrarono a Roma, dichiarata città aperta dal 4 giugno. L'avanzata continuò verso Nord senza problemi, ma rischiò di perdere impeto, perché le divisioni americane e francesi avrebbero dovuto essere presto impegnate nell'invasione della Francia meridionale. Dopo aver conquistato Ancona e Firenze, la seconda settimana di agosto, gli Alleati si arrestarono sulla linea gotica, che bloccò sino a tutto l'inverno l'accesso alla valle del Po, mentre nel nord del paese, occupato dai nazisti, si sviluppava la Resistenza partigiana.

La battaglia del Mare delle Filippine

Le operazioni nel Pacifico contro il Giappone, nel 1944 subirono un'accelerazione: in primavera gli Alleati avevano pianificato un'avanzata al comando del generale MacArthur attraverso la Nuova Guinea, sino alle Filippine. Una seconda operazione sarebbe stata condotta dall'ammiraglio Nimitz attraverso il Pacifico centrale, fino alle isole Marianne e Caroline.

Il 19 e il 20 giugno la prima flotta mobile dell'ammiraglio nipponico Ozawa Jisaburo incrociò l'Unità operativa statunitense 58, comandata dall'ammiraglio Marc Mitscher. Nella battaglia, che passò alla storia come 'battaglia del Mare delle Filippine', i caccia americani abbatterono gran parte degli aerei giapponesi, mentre i sottomarini americani affondarono tre portaerei. Ozawa virò verso Okinawa con 35 aerei rimasti su 326; Mitscher perse soltanto 26 apparecchi e tre navi riportarono danni non gravi.

Nuova strategia nel Pacifico

Il 15 giugno 1944 le forze americane sbarcarono nell'isola di Saipan, nelle Marianne; il 10 agosto avevano conquistato Guam, obiettivo chiave della strategia ideata per porre fine al conflitto. L'isola poteva ospitare le basi per i nuovi bombardieri americani a lungo raggio, i B-29 Superfortress, in grado di raggiungere Tokyo e le città giapponesi. La superiorità navale americana nel Pacifico consentiva di pensare all'invasione del Giappone: i bombardamenti cominciarono nel novembre 1944, mentre proseguivano le operazioni nelle Caroline e nelle Filippine.

La battaglia aerea in Europa e l'offensiva delle Ardenne

La più importante azione aerea contro la Germania ebbe luogo nell'autunno del 1944: i bombardamenti inglesi e americani colpirono sia obiettivi militari sia le città tedesche. Hitler reagì lanciando contro Londra i missili V1 e V2, ma nel mese di ottobre le più importanti basi missilistiche di lancio tedesche, situate nel nord-ovest della Francia e in Belgio, furono conquistate dagli Alleati.

L'accorciamento dei fronti a est e a ovest e la tregua nei combattimenti di terra avevano permesso a Hitler di costituire una riserva di circa venticinque divisioni da impegnare contro gli angloamericani, partendo dalle Ardenne, attraverso il Belgio, fino ad Anversa.

Il 16 dicembre aveva inizio l'offensiva delle Ardenne: gli Alleati, colti di sorpresa, riuscirono tuttavia a mantenere centri strategici come Saint-Vith e Bastogne fino all'intervento dell'aviazione. L'ultimo tentativo tedesco di riconquistare Anversa venne respinto solo alla fine di gennaio del 1945. Alla fine di febbraio l'avanzata alleata verso la Germania riprese.

La conferenza di Jalta

Dal 4 all'11 febbraio 1945 ebbe luogo la conferenza di Jalta, in Crimea, tra i capi di stato di Stati Uniti (Roosevelt), Gran Bretagna (Churchill) e Unione Sovietica (Stalin). In questa occasione Stalin si impegnò a entrare in guerra contro il Giappone entro tre mesi dalla capitolazione tedesca, in cambio di concessioni territoriali in Estremo Oriente.

Nel corso della conferenza si stabilì inoltre la strategia da seguire contro la Germania e l'organizzazione del paese alla fine del conflitto e vennero inoltre definite le rispettive sfere di influenza da assegnare alle tre potenze che erano sul punto di chiudere vittoriosamente la guerra. Si discusse anche sulla proposta americana di dare vita all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), strumento per un nuovo ordine mondiale, che si decise di fondare in una conferenza internazionale da tenersi a San Francisco per la fine di aprile. I tre capi di stato concordarono nella costituzione di un Consiglio di Sicurezza, al quale avrebbero partecipato le cinque potenze alleate (USA, URSS, Gran Bretagna, Francia e Cina) con diritto di veto sulle principali questioni internazionali. Fu anche deciso di non ammettere l'Italia alla conferenza di San Francisco.

L'avanzata sul Reno

All'inizio di marzo del 1945 le armate alleate raggiunsero il Reno e occuparono teste di ponte tra Bonn e Coblenza e a sud di Magonza: alla fine del mese, l'intero schieramento tedesco sul fiume crollò; Einsenhower ordinò alle truppe di proseguire verso est.

Il 1° aprile gli americani accerchiarono il bacino della Ruhr, facendo prigionieri 325.000 soldati tedeschi. Il 5 aprile gli inglesi varcarono il Weser, puntando verso l'Elba. L'11 aprile gli Alleati raggiunsero l'Elba vicino a Magdeburgo, e il giorno dopo si formò una testa di ponte sulla riva orientale, a 120 km da Berlino. Il 13 aprile moriva a 63 anni il presidente americano Roosevelt, a cui succedette il vicepresidente Harry Truman.

Mentre gli inglesi (soprattutto Churchill e Montgomery) e alcuni americani consideravano Berlino l'obiettivo più importante, per Eisenhower era essenziale che le truppe angloamericane potessero congiungersi con quelle russe più a sud, tra Lipsia e Dresda. L'Armata Rossa, che si era attestata ai primi di febbraio sull'Oder, all'inizio di aprile cominciò a concentrarsi su Berlino, che divenne quindi l'obiettivo prioritario.

Le ultime battaglie in Europa e la resa della Germania

In Italia, il 14 e il 16 aprile 1945, la V Armata americana e l'VIII Armata britannica lanciarono l'offensiva verso la Pianura Padana. Contemporaneamente i partigiani, volontari nella Resistenza, ebbero l'ordine dell'insurrezione generale dal Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI), che coordinava i comitati militari regionali e provinciali (CLN) e rappresentava le diverse componenti politiche dell'antifascismo. Intanto un'ondata di scioperi paralizzava le grandi fabbriche del Nord. Nelle principali città, Bologna, Torino, Genova, Milano, le formazioni partigiane entarono in azione il 25 aprile e in pochi giorni costrinsero alla fuga i tedeschi, ancora prima che sopraggiungessero le truppe alleate. Mussolini, catturato nei pressi di Como mentre tentava la fuga in Svizzera con un'autocolonna tedesca, fu giustiziato il 28 aprile.

Rappresentanti dei comandi tedeschi in Italia si accordarono con gli Alleati per la resa, entrata in vigore il 2 maggio; negli stessi giorni la Germania di Hitler soccombeva. Il 16 aprile cominciò l'avanzata sovietica verso Berlino. Il 20 aprile la VII Armata americana conquistò Norimberga e, quattro giorni dopo, le armate sovietiche circondarono la capitale. Il 25 aprile la V Armata sovietica e la I Armata americana si congiunsero a Torgau, sull'Elba, a nord-est di Lipsia. L'ultima settimana di aprile, la resistenza contro gli angloamericani cessò, ma sul fronte orientale le truppe tedesche continuarono a battersi disperatamente contro i sovietici.

Hitler decise di restare a Berlino, mentre la maggior parte dei suoi collaboratori politici e militari si davano alla fuga. Il 30 aprile, chiuso nel suo bunker, Hitler si suicidò insieme con Eva Braun, la sua amante, e, come ultimo atto ufficiale, nominò suo successore l'ammiraglio Karl Dönitz, che chiese la resa. Il suo rappresentante, generale Alfred Jodl, firmò la capitolazione delle forze armate tedesche nel quartier generale di Eisenhower il 7 maggio a Reims; un secondo documento fu firmato a Berlino, nel quartier generale sovietico, il giorno seguente.

La sconfitta del Giappone

All'inizio del 1945, nel Pacifico, la fine della guerra non sembrava vicina: la Marina nipponica non era in grado di sferrare attacchi massicci, ma i kamikaze effettuarono azioni suicide durante i combattimenti di Luzon, nelle Filippine, distruggendo 17 navi statunitensi e danneggiandone 50.


Iwo Jima e Okinawa

Il 19 febbraio si scatenò la battaglia di Iwo Jima, che si protrasse sino al 16 marzo: i due aeroporti dell'isola fornirono le basi di lancio per i B-29 statunitensi e permisero ai caccia di appoggiare i bombardieri durante le offensive effettuate sulle città giapponesi. Il 1° aprile la X Armata americana sbarcò a Okinawa, a 500 km da Kyushu, l'isola più meridionale del Giappone.

Hiroshima e Nagasaki

Kyushu costituiva l'obiettivo principale; l'attacco fu fissato per il novembre 1945, anche se una facile vittoria sembrava improbabile. Lo sbarco a Kyushu non avvenne mai: il governo americano adottò una nuova strategia che si basava sull'uso delle armi nucleari. La prima esplosione atomica, per così dire 'di prova', fu eseguita ad Alamogordo, nel New Mexico, il 16 luglio 1945.

Altre due bombe erano state costruite e si decise di usarle per costringere il Giappone alla resa. Il presidente americano Truman, succeduto a Roosevelt, ordinò i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, effettuati il 6 e il 9 agosto. Intanto, l'8 agosto, l'Unione Sovietica aveva dichiarato guerra al Giappone; il giorno dopo invase la Manciuria.

La resa del Giappone

Il 14 agosto l'imperatore Hirohito fece trasmettere via radio un comunicato che annunciava la resa incondizionata del Giappone. Il 2 settembre, a bordo della corazzata Missouri, nella baia di Tokyo, i rappresentanti del governo nipponico firmarono davanti al generale MacArthur il documento di capitolazione.

Effetti della guerra

Secondo le statistiche, la seconda guerra mondiale fu la guerra più devastante quanto a perdite umane e distruzione materiale. Il conflitto, che coinvolse 61 nazioni, provocò la morte di circa 55 milioni di persone, tra militari e civili: l'Unione Sovietica ebbe circa 20 milioni di morti; la Cina 13,5 milioni; la Germania 7,3 milioni; la Polonia 5,5 milioni; il Giappone 2 milioni; la Iugoslavia 1,6 milioni; la Romania 665.000; la Francia 610.000; l'impero britannico 510.000; l'Italia 410.000; l'Ungheria 400.000; la Cecoslovacchia 340.000; gli Stati Uniti 300.000. Gli sviluppi tecnologici e scientifici fecero della guerra un conflitto di una ferocia senza pari: la popolazione civile fu coinvolta direttamente nei combattimenti e nelle rappresaglie e fu colpita soprattutto a causa dei bombardamenti aerei. L'evento più terribile fu tuttavia la deportazione e lo sterminio di oltre sei milioni di ebrei nei campi di concentramento nazisti, la cosiddetta 'soluzione finale' del 'problema' ebraico.

Distruzione e ricostruzione


In Europa le distruzioni operate dalla guerra apparivano in tutta la loro drammatica dimensione. L'Europa orientale e balcanica, nella quale l'invasione tedesca aveva lasciato i segni di inaudite crudeltà, era devastata nelle sue strutture demografiche e materiali. In tutti i paesi in guerra il sistema industriale e le infrastrutture avevano subito danni incalcolabili, più macroscopici nelle grandi città e nei principali porti, sui quali si erano concentrati i bombardamenti aerei. La produzione complessiva del carbone risultava dimezzata rispetto ai livelli prebellici. Finiti i combattimenti, in Germania e nell'Europa orientale si registrarono tremende carestie, ma anche nelle realtà meno colpite dalla guerra si faceva sentire la penuria alimentare.




Uomini senza dimora

Milioni di uomini si trovarono allo sbando, senza casa, lontani dal loro paese, sospinti da una parte all'altra del continente dagli ultimi eventi della guerra e dalla generale confusione del dopoguerra. Erano prigionieri liberati, ebrei sfuggiti o liberati dai campi di sterminio, dirigenti nazisti in fuga dai paesi dell'Est nel timore delle vendette dei vincitori, e in più un numero altissimo di profughi che scappavano dai paesi occupati dall'Armata Rossa: era il caso delle decine di migliaia di tedeschi che dal 1939 si erano trasferiti all'Est sulla scia dell'espansione della Germania e che ora cercavano di rientrare nelle regioni occidentali per sfuggire ai sovietici.


Conseguenze politiche per l'Europa

Alla fine della guerra la situazione mondiale era mutata radicalmente: l'Europa usciva dal conflitto in posizione di dipendenza rispetto alle due potenze vincitrici, Stati Uniti e Unione Sovietica, attorno alle quali si configurò un nuovo equilibrio politico mondiale. L'alleanza tra USA e URSS, che era stata determinante ai fini della vittoria contro Hitler, si trasformò, negli anni successivi al conflitto, in un'aspra rivalità che si manifestò nella cosiddetta Guerra Fredda. La rivalità scaturì da una forte competizione sul piano ideologico, economico, politico, tecnologico, scientifico per il controllo totale del mondo. Due opposti sistemi si confrontarono tra fasi alterne, ora di distensione ora di tensione, anche acuta.

Le premesse della Guerra Fredda erano insite nella conduzione e nella conclusione della seconda guerra mondiale. Infatti, sin dal 1943, l'Unione Sovietica, forte dell'apporto militare determinante ai fini della sconfitta del nazismo, non aveva nascosto il progetto di estendere il suo controllo all'Europa centrorientale. La liberazione da parte dell'Armata Rossa di quell'area europea fu la condizione per attuare un progetto di egemonia comunista. Da questo punto di vista appare chiaro che lo sforzo militare contro la Germania nazista non rispondeva soltanto alla difesa dell'integrità nazionale dello stato sovietico, ma nutriva lo scopo di condurre una guerra al tempo stesso ideologica e di conquista, attraverso la quale il sistema comunista avrebbe potuto estendersi su vaste aree europee e asiatiche.

Dopo il 1945, l'URSS vide confermata la grande espansione conseguita a partire dal 1940, con il possesso sia dei territori annessi in virtù del patto di non aggressione firmato con la Germania (le tre Repubbliche baltiche, Lettonia, Estonia, Lituania) sia delle regioni conquistate nella guerra contro Hitler, e cioè la Bessarabia e la Bucovina settentrionale ottenute dalla Romania nel 1944, ampie regioni polacche situate nella Bielorussia e nella Galizia, nonché una zona della Prussia orientale tolta alla Germania. Il confine tra Polonia e Germania, tracciato lungo la linea Oder-Neisse, ricompensava la Polonia con le regioni tedesche della Pomerania e della Slesia.

Poteva dirsi realizzato il disegno di Stalin di togliere l'Unione Sovietica dall'isolamento internazionale in cui era stata posta dopo la Rivoluzione bolscevica del 1917, di ricostruire un grande stato russo che non solo recuperasse i territori perduti nella prima guerra mondiale ma ampliasse i vecchi confini, e di presentarsi nelle relazioni internazionali come una grande potenza in grado di stare alla pari con gli Stati Uniti. Infine l'Unione Sovietica poteva usufruire del sostegno dell'opinione pubblica di parte democratica e antifascista, che le riconosceva il merito di avere impedito la nazistizzazione totale dell'Europa. Il ricordo della battaglia di Stalingrado confermava tale giudizio.


L'impero comunista

Il successo sovietico nel dopoguerra si misurò tuttavia principalmente sulla diffusione dei regimi comunisti in Europa e in Asia (vedi Blocco Orientale). In tutta la parte orientale dell'Europa, occupata tra il 1944 e il 1945 dall'Armata Rossa, si insediarono, o attraverso elezioni o con atti di forza, governi comunisti fedeli a Mosca; in Cecoslovacchia, il Partito comunista con un colpo di stato portò il paese nell'orbita sovietica nel 1948.

Non altrettanto l'URSS riuscì a fare in Iugoslavia, paese nel quale la sconfitta del regime filonazista e la cacciata dei tedeschi erano state conseguite con l'azione decisiva degli eserciti di partigiani. La Iugoslavia riuscì a non venire completamente assorbita nell'orbita sovietica, adottando un regime socialista dai connotati antistalinisti sotto la guida del prestigioso capo partigiano Tito.

Nel dopoguerra, la divisione dell'Europa in due blocchi, l'uno orientale filosovietico, l'altro occidentale filoamericano, fu il risultato della conduzione politica e diplomatica della guerra. Sulla Germania la spartizione si esercitò compiutamente, con la sua divisione nel 1945 in quattro zone d'occupazione militare affidate a Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica, e con la creazione nel 1949 di due stati: la Germania occidentale, o Repubblica federale tedesca, appartenente al blocco capitalistico, e la Germania orientale, o Repubblica democratica tedesca, che divenne parte del blocco sovietico. La spartizione fu completata con la divisione dell'ex capitale Berlino in due settori, orientale e occidentale.

La guerra lasciò fissata nella storia europea quella che Churchill con una felice definizione chiamò la 'cortina di ferro', ossia una frattura profonda all'interno dello stesso fronte dei vincitori. Tale frattura rendeva evidente ciò che per tutta la durata del conflitto era rimasto implicito, ossia la convinzione che sulle rovine del nazismo stesse rinascendo la grande rivalità mondiale tra capitalismo e comunismo.




APPROFONDIMENTO

La resistenza in Europa


Cosa è la Resistenza:

Cosa è la Resistenza? Se si va a cercare su vocabolario italiano la voce resistenza si trovano almeno una decina di definizioni diverse, ognuna legata ad diverso campo (scientifico, fisico, militare,.). Comunque tutte hanno un fattore in comune: la resistenza è un fenomeno che si oppone ad un altro fenomeno, sia quest'ultimo una corrente che tende a scorrere, il moto di un punto materiale, la tendenza di un tessuto a lacerarsi, o la dominazione opprimente di un regime tiranno. È questa la resistenza che si è sviluppata con l'avvento del nazifascismo, e che vogliamo studiare, nella sua unicità e nelle sue diverse forme.


La Resistenza è stato un fattore unificante in Europa, contro il nazifascismo. Però non bisogna pensare che sia stata uguale in ogni paese. Possiamo fare una prima distinzione tra paesi sotto il regime fascista (Italia, Germania e Austria), paesi con democrazie parlamentari occidentali (Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Francia e Cecoslovacchia), paesi che lottarono per la difesa della loro identità nazionale (Polonia e gli stati baltici), l'URSS, la Jugoslavia e la Grecia. Anche all'interno di questa prima suddivisione ci sono molte differenze. L'obiettivo comune a tutti i paesi è la liberazione dagli invasori e dai loro affiliati. Però molti sono gli obiettivi diversi, perché sono diverse le condizioni di ogni paese, anche tra gli Alleati. Un esempio lampante viene dalla Russia e dagli anglo-americani. La Russia aveva degli interessi nei confronti dei paesi dell'est Europa: la lotta per l'indipendenza della Lituania finirà nel 1952, mentre quella per l'indipendenza ucraina nel 1957, quando il conflitto mondiale era terminato da molti anni. Gli anglo-americani, invece, lasciano molte libertà a tutti i tipi di Resistenza, tranne a quella della Grecia, che era controllata dai comunisti. Con loro la guerra finirà nel 1949.


La resistenza nei Paesi sotto il regime Nazi-Fascista


Italia:

La Resistenza che ci riguarda più da vicino è quella italiana. Questa si può dividere in due momenti. Infatti prima della caduta di Mussolini i partiti democratici mettono in atto una lotta legale, sperando che siano rispettate le garanzie costituzionali. I partiti che vengono sciolti dal regime emigrano in Francia, si ricostituiscono e agiscono ancora nella legalità. Si crea il Movimento di Giustizia e Libertà, che, però, non dà subito risultati efficaci, anche se propone un'azione insurrezionale immediata e radicale. Il motivo del suo iniziale fallimento sta nella sua clandestinità: il Movimento è poco diffuso e conosciuto tra la popolazione. La guerra in Spagna è un'occasione per il suo sviluppo. Infatti Mussolini entra in guerra a favore del generale Franco, e Rosselli, leader importante del Movimento, crede che al di là dei Pirenei si stia decidendo la sorte del duce. Egli, aiutando chi si batte per la repubblica, vuole sconfiggere Franco e, con lui, Mussolini. Purtroppo, prima di vedere la fine del fascismo, viene ucciso con il fratello da uomini del regime.

Dopo l'8 Settembre 1943 le cose cambiano in Italia. Questo è dovuto anche al fatto che, con la caduta di Mussolini, coloro che ci erano alleati, i tedeschi, diventano nemici. Il movimento di Resistenza si fa più forte adesso che il paese è occupato da un popolo invasore. Ora tutti i sentimenti di unità nazionale esplodono con forza. Il Partito Comunista e il Partito d'Azione sono, da sempre, abituati alla clandestinità, quindi sono loro i più adatti in questa nuova situazione a formare un gruppo di Resistenza efficace. Loro sono le formazioni partigiane Garibaldi e GL. Anche i socialisti si organizzano e si raggruppano nelle brigate Matteotti, in nome del famoso "martire del fascismo". Anche il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) si forma subito dopo la caduta del duce, nell'Ottobre di quell'anno. Ma chi sono i partigiani, quegli uomini e donne che hanno vissuto nel pericolo e nella clandestinità per due anni? Sono uomini in armi permanentemente, con un'avversione per la politicizzazione che poteva prendere la lotta. Le formazioni sono autonome e apolitiche, con una caratteristica eccezionale: hanno un'intesa comune di massima, la costituzione di un unitario Corpo dei Volontari della Libertà, che nell'Agosto del 1944 conta già centomila combattenti. Sono, quindi, i gruppi politici che guidano e organizzano i partigiani, impegnandoli in azioni immediate. Questi italiani si trovano anche davanti al difficile compito di uccidere altri italiani, magari non fascisti. Uomini, ma soprattutto giovani che sono entrati in guerra per servire la patria, l'Italia. Uomini che hanno capito le atrocità del nazifascismo perché le hanno vissute sulla propria pelle. Ma poiché sono stati militari, o ancora lo sono per voler seguire la bandiera anche nel baratro della sconfitta, devono essere combattuti dai partigiani. Questi ultimi, poi, non sono tutti "santi uomini". Molti di coloro che sono stati giustiziati dai cosiddetti "tribunali" partigiani erano innocenti. No, erano colpevoli di essere figlie, mogli, fratelli, o solo parenti di fascisti. Ma non dei fascisti che rastrellavano e torturavano gli ebrei, ma solo iscritti al partito fascista, per poter mantenere il posto di lavoro e sfamare la famiglia. Bastano due esempi per rendere l'idea di quanto appena affermato. Una mattina del Settembre 1944 Nella De Pieri viene arrestata da un gruppo di partigiani, con l'accusa di essere una spia. L'accusa è infondata, come testimoniato da alcuni partigiani, ma, poiché è moglie di un ufficiale della Guardia nazionale repubblicana, viene condannata a morte. La donna ha due bambini piccoli ed è in attesa del terzo. Un prete chiede la grazia per il figlio che deve nascere, grazia che viene concessa. Però, per l'insistenza dell'uomo da cui era partita la denuncia, la donna viene fucilata ugualmente, e poi gettata in un burrone molto profondo, per nascondere il cadavere.

Il secondo esempio porta alla luce una storia di crudeltà passata e recente. In un piccolo centro in provincia di Novara era stato deciso di costruire una lapide per ricordare tutti i caduti della guerra, con i nomi di tutti i morti, sia fascisti che partigiani. Dovevano esserci anche i nomi di due sorelle, Mirka e Cornelia Ugazio, figlie del segretario del Fascio locale, di 15 e 23 anni, violentate da una ventina di uomini e gettate in una fossa ancora vive. Per uccidere Mirka le hanno schiacciato il collo con uno scarpone per soffocarla. A Cornelia, invece, è stato spaccato il cranio con il calcio di un mitra. Oltre al danno enorme subito 54 anni, adesso i famigliari e gli amici devono subire anche la beffa. Infatti il nome delle due giovani non doveva essere presente nella lapide, gli abitanti non le volevano. E per mettere a tacere il vespaio di proteste suscitato dall'eventuale mancanza dei nomi, è stato deciso di non fare più nemmeno la lapide.

Questi due esempi sono stati riportati per far capire che la lotta combattuta dai partigiani non è stata solo Resistenza e opposizione al regime e ai nazisti, ma ci sono state anche molte vendette. I partigiani non sono stati solo i "salvatori della patria", ma anche assassini autorizzati.



Germania:

Per certi versi la Resistenza in Germania può essere accomunata a quella in Italia. Infatti anche questo paese è stato dominato fin dal 1933 dal regime nazista, però c'è una grande differenza: Hitler, e il regime, è stato presente fino alla fine della guerra. I tedeschi non si sono trovati nelle condizioni di popolo dominato, di paese invaso, quindi la Resistenza, prevalentemente operaia, non si è potuta allargare in un movimento nazionale patriottico, come, invece, avvenne in Italia. In più la Resistenza in Germania può contare su un alleato morale importante come l'URSS. Infatti la lotta contro la socialdemocrazia tedesca giova molto a Stalin, che in questo modo può portare avanti la sua lotta personale con la destra sovietica. Inoltre le pretese del führer avrebbero rinviato un riavvicinamento della Germania con le altre potenze europee, a tutto vantaggio della Russia.

Torniamo alla Resistenza vera e propria. Non esistono delle forze armate permanenti e gruppi di dissidenti sono clandestini e divisi. Nel 1934 si forma il primo Comitato per l'Unità Proletaria, formato da socialisti, comunisti e da appartenente alla SAP. Anche nelle fabbriche si muove qualcosa: migliaia sono i gruppi di opposizione tra i lavoratori, inizialmente divisi, ma che poi, negli anni della guerra, si coordinano parzialmente in raggruppamenti regionali. Negli anni che vanno dal 1933 al '37 vengono aperti molti campi di prigionia, sul modello sovietico. Questa è un provvedimento preso a seguito dei molti scioperi, sparsi su tutto il territorio tedesco, e della Resistenza passiva messa in atto nelle fabbriche. Inizialmente i campi sono riservati a esponenti del movimento operaio, poi anche a intellettuali, per fine con le deportazioni per ogni dissidente. Il 12 luglio 1943 in URSS viene costituito il Comitato Nazionale della Libera Germania, che fino a tutto il '44 forma un fronte unito nazionale antinazista. Ciò che desta interesse e stupore è il comportamento della Chiesa, Cattolica o Protestante che sia: non ha opposto nessuna resistenza, non ha condannato minimamente gli orrori nazisti. È stata la coscienza religiosa, invece, che si è fatta sentire. In nome di quella coscienza molte persone hanno dato vita a circoli in cui discutevano, tentavano di fare qualcosa (Circolo di Kreisau). Sono stati 40 mila i morti per la Resistenza e per un credo antinazista. C'è chi dice che non bastano questi morti per cancellare gli orrori commessi da tutti gli altri tedeschi, semplici consenzienti al regime o accaniti carnefici. Forse per chi è assetato di vendetta non bastano, ma per chi tenta di analizzare questo periodo sì. Anche se un solo uomo fosse andato contro Hitler, allora questo sarebbe bastato per poter affermare che non è stata una scelta di massa aderire al partito, ma che ognuno lo ha fatto valutando i pro e i contro (spesso superiori ai pro). Oltre ai numerosi attentati falliti, bisogna ricordare i giovani studenti della "Rosa Bianca". Questo gruppo non ha fatto opere di sabotaggio, ha soltanto scritto sei volantini. In questi volantini si cerca di scuotere le coscienze dei tedeschi, di far prendere loro coscienza delle atrocità che stanno avvenendo nel loro paese. Questo è il primo obiettivo. Una volta riusciti a scuotere le persone dal loro torpore, avrebbero portato avanti delle azioni concrete, avrebbero sabotato, ucciso, avrebbero fatto di tutto per di salvare la libertà individuale di ognuno. Questi volantini nascono dalle discussioni di alcuni studenti dell'università di Monaco, con docenti, artisti, liberi pensatori. Anche dalle loro esperienze di guerra soprattutto sul fronte russo, a contatto con ogni atrocità possibile, con la morte dei compagni, ma anche di migliaia di contadini russi con cui hanno fatto amicizia, e che non sanno nemmeno perché muoiono. Questi giovani provengono da luoghi e condizioni sociali diversi, non tutti credono in Dio, ma tutti credono nel diritto alla vita e alla libertà. Nei primi due processi alla "Rosa Bianca" vengono giustiziate sei persone, ma molte altre moriranno per questo movimento, o soffriranno duri anni             Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst

di prigionia. I primi a essere arrestati sono i fratelli Hans e Sophie Scholl, visti e denunciati da un solerte bidello mentre gettano copie dell'ultimo volantino dalla balconata dell'università. Il terzo è Christoph Probst, padre di due figli, tradito da una bozza per il volantino successivo. In tre giorni, con il fine settimana compreso, questi ragazzi vengono arrestati, processati, e giustiziati. La famiglia di Probst viene avvertita addirittura la settimana successiva all'esecuzione. Vengono presentati come dei mostri traditori a una giuria composta esclusivamente da ufficiali della SS e dalle loro mogli. Perché tutta questa fretta? Tutte le interpretazioni fatte su questo "caso" concordano nel dire che i dirigenti della GESTAPO hanno paura di questi giovani, armati di un po' carta e di un ciclostile manuale. Devono dare una prova      Alexander Schmorell

esemplare di come vengono trattati i traditori. Per il secondo processo, invece, si sono presi più calma: quasi tre mesi hanno aspettato i condannati a morte prima dell'esecuzione, sostenuti anche dalla speranza di una fine imminente della guerra. Speranza vana. Non solo i coinvolti vengono perseguitati. Anche le loro famiglie: subiscono la Sippenhaft, un'incarcerazione destinata ai      Kurt Huber famigliari dei condannati. Si teme che le idee dei congiunti abbiano potuto contagiare tutto il nucleo famigliare. In questo nodo si "prevengono" altri tradimenti. Sei sono i condannati a morte del primo ciclo della "Rosa Bianca": Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Willi Graf, Alexander Schmorell e il professor Kurt Huber. Uno tra i continuatori: Hans Leipelt. Per loro c'è una lapide all'ingresso dell'università di Monaco. Molti sono coloro che sono morti o hanno sofferto per un ideale.


Austria:

L'ultimo paese sotto il dominio nazifascista è l'Austria. In questo paese la lotta antifascista è una questione di vecchia data. Ci sono diversi scontri tra la milizia armata socialista e quella austro-nazista, guidata da lontano da Mussolini. Il culmine di questi scontri si ha nel febbraio del 1934, quando la Vienna "rossa" insorge contro la decisione del governo di reprimere il movimento operaio. L'austro-maxismo, fedele agli sconvolgimenti democratici nella storia, viene sopraffatto dalla violenza, e apre le porte all'aggressione nazista. Inoltre, dopo l'annessione dell'Austria al reicht, ogni tipo di Resistenza in questo paese si può accomunare a quella tedesca.








Paesi con democrazie parlamentari Occidentali


Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Francia e Cecoslovacchia:

Nei paesi del nord Europa le cose sono diverse. Il governo norvegese emigra in Inghilterra e la direzione delle azioni antinaziste vengono coordinate dall'inglese Special Operation Executive (SOE), che mette in atto un'azione immediata. È anche presente un'organizzazione locale, la Military Organisation (Milorg), che, invece, preferisce la preparazione di una "secret army", in cui i partigiani sono mescolati alla società civile.

La Danimarca viene presto invasa dalla truppe tedesche. Un governo di facciata viene mantenuto, formato da una coalizione tra socialdemocratici e radicali. Inizialmente la Danimarca e la Germania firmano un patto di neutralità, però le pretese tedesche aumentano sempre di più, e provocando la nascita della Resistenza danese. Per organizzarla, dirigerla e coordinarla viene formato un Consiglio della Liberazione, indipendente dal governo.


In Belgio le cose non sono molto diverse dalla Norvegia. All'inizio dell'invasione il re capitola e fugge. Il governo si rifugia a Londra, da dove continua a dirigere la lotta, con la formazione dell'armée secrète, in collaborazione con il SOE.

Anche il governo olandese emigra a Londra. Si formano nuclei civili e militari di Resistenza. Essi sono clandestini e coordinati dal SOE. In Olanda ci sono grandi scioperi: nel febbraio del '41 e nel marzo-aprile del '43 ad opera degli operai, e nell'autunno del '44 dei ferrovieri.


La Francia, dopo l'invasione tedesca, viene divisa in due parti, una a nord sotto il controllo diretto dei nazisti, e una a sud, con il "governo-facciata" di Vichy. All'inizio non c'è un'opposizione antifascista. I partiti democratici sono ancora al potere, e per i francesi è loro la colpa della sconfitta in guerra. Per questo motivo non devono restare alla "guida" del paese, ma devono essere sostituiti dai movimenti di Resistenza. L'unica grande forza antitedesca è la France Libre, che "parla" da Londra con la voce di De Gaulle. In generale, però, la Resistenza non è unitaria: i gruppi di sinistra vogliono dare vita a una lotta senza quartiere contro i tedeschi, mentre l'ordine che viene da Londra è di aspettare, preparare l'armée secrète e di attaccare quando saranno pronti. A causa di questi ordini, che vogliono evitare una disfatta inutile, essi verranno accusati di "attendismo". Un'altra contraddizione: gli Alleati non vogliono i "maquis", le formazioni armate che si danno alla macchia. Preferiscono al loro posto i "réseaux", gruppi più governabili, di informazione, sabotaggio, propaganda e preparazione dell'armée secrète. Le decisioni del partito comunista si possono dividere in due periodi: inizialmente sollecita la fraternizzazione con gli occupanti tedeschi. In questa sua azione è, però, isolato. Successivamente avviene un cambio di rotta: si impegna nella lotta e le dà vigore. Il fallimento della Resistenza francese può essere imputato principalmente a due realtà: la totale inesperienza alla lotta antifascista, con la conseguente incapacità di riconoscere in fascismo nelle sue manifestazioni più velate e subdole, e le ambigue posizioni politiche. Inizialmente, infatti, i francesi venerano il maresciallo Pétair (governo di Vichy), poi diventa popolare Giraud e la sua soluzione (a metà strada da Resistenza e collaborazionismo), ed, infine, la visione quasi mitica di De Gaulle.


Il governo cecoslovacco emigra a Londra, e da qui firma un'alleanza con l'URSS, anche perché il paese è stato lasciato a se stesso dopo l'invasione di Hitler. Purtroppo il sostegno sovietico è insufficiente, e non aiuta l'insurrezione militare slovacca, destinata al fallimento.










Paesi che lottano per la difesa delle loro identità nazionali:


Polonia:

La Polonia viene invasa da due diversi stati. Infatti, all'inizio della guerra, Germania e Russia si alleano, e stipulano un patto in cui si stabilisce che il territorio polacco verrà diviso tra i tedeschi e i sovietici. Questo avviene dal 1939. Anche la repressione sistematica viene sancita da un patto tra i due stati. La Resistenza in Polonia non è solo una risposta militare alle atrocità subite dalla popolazione. Cura anche la salvaguardia di uno stato clandestino, con un governo e un parlamento ridotti, rappresentanza di quello emigrato a Londra. Il potere non è lasciato in mano agli uomini del vecchio regime, ma è affidato all'opposizione. Si formano due eserciti di Resistenza. Uno è l'esercito interno (Armia Krajowa) che conta circa 380 mila uomini. Il secondo è l'esercito comunista (Armia Lodowa), meno numeroso, 20 mila uomini, però permanentemente attivi. Il fatto più rilevante di questa Resistenza è l'insurrezione di Varsavia: la città, assediata, resiste per oltre due mesi, senza ricevere nessun aiuto esterno. Infatti gli uomini dell'Armia Krajowa vengono richiamati da tutto il paese, però vengono fermati dai sovietici. Questi ultimi fermano anche gli Alleati, impedendo loro di utilizzare gli aeroporti vicini alla città, uso concesso solo per interventi contro città tedesche e sui pozzi di petrolio.


Stati Baltici:

Negli stati baltici i movimenti di Resistenza sono molto contraddittori. In Lituania c'è un attacco sovietico rapidissimo, come in nessun altro paese. Vengono sospese tutte le organizzazioni, di ogni genere, e confiscati i loro beni. Le imprese con più di cinque dipendenti vengono nazionalizzate. I libri "proibiti" vengono ritirati o, addirittura, bruciati. 200 mila persone vengono deportate in Siberia, uccise o disperse. In Lettonia ed Estonia la prima occupazione avviene ad opera dei sovietici. I russi vengono, poi, cacciati dai tedeschi, visti come dei liberatori. La Resistenza crede alle promesse dei nuovi invasori, ma viene delusa. Per questo motivo si converte, e, da Resistenza antisovietici, diventa Resistenza antinazisti. Anche in Ucraina la Resistenza subisce varie "conversioni": prima contro la polonizzazione, poi contro la germanizzazione, ed, infine, contro la sovietizzazione.


Urss

L'unico movimento di Resistenza che non si forma dopo la sconfitta dell'esercito, è stato quello russo. Infatti in questo paese esso accompagna l'esercito e ne viene guidato. Sebbene la Resistenza sia di stampo prevalentemente conservatore, essa si può dividere in tre fasi. Nella prima fase i partigiani sono i membri del partito comunista più gli elementi dell'Armata Rossa. La preoccupazione principale del regime è di non creare un vuoto di potere. Dal canto loro, i tedeschi promettono di abolire i kolkos, anche se poi non lo fanno, per paura che diminuisca la produzione. Questo fatto semina nella popolazione sovietica lo sdegno per le atrocità commesse. Come risposta le industrie vengono smantellate e portate in Germania, e i russi vengono degradati al livello di materia-lavoro, costretti a vivere in condizioni pessime. Anche le scuole vengono chiuse. I russi diventano consapevoli che moriranno per fame sotto l'invasione tedesca se non si decidono a reagire. È a questo punto che i sentimenti della gente cambiano, e si entra nella seconda fase, in cui i contadini riconoscono i partigiani come loro fratelli, figli di una stessa patria, e solidarizzano con loro. Anche le condizioni strategiche vengono migliorate, e la foresta di Bryondk diventa molto importante, dopo la sua trasformazione in una piazza d'armi segreta. I gruppi di Resistenza non sono più isolati, ma si unificano in grosse formazioni militari, che si muovono sulla riva destra del Dniepr, e poi anche oltre. La terza fase è caratterizzata da bande itineranti. Le brigate Kovpak e Saburov percorrono centinaia di miglia verso Ovest, ottenendo risultati tali che dall'estate del '43 tutta la foresta nord-occidentale ucraina diventa una nuova piazzaforte partigiana. I sentimenti della popolazione sono spesso diversi. Infatti i contadini dell'Ucraina e i montanari del Caucaso non vogliono la restaurazione del vecchio potere sovietico e la maggioranza contadina vuole l'abolizione delle fattorie collettive. Nelle città industriali è imponente la Resistenza popolare, soprattutto nelle città di Leningrado, Rostov e Mosca. C'è una mobilitazione spontanea di tutti gli uomini dai 16 ai 50 anni, e già nell'estate del '43 sono già 200 mila i partigiani organizzati.



Jugoslavia e Grecia:

Gli ultimi due paesi europei in cui la Resistenza è stata attiva sono la Jugoslavia e la Grecia. Questi due paesi sono accomunati anche dal fatto che la Resistenza è stata particolarmente osteggiata dagli Alleati.

La Jugoslavia è un paese già lacerato nel periodo tra le due guerre a causa delle mire accentratrici della Serbia, che si scontrano con l'ideale federativo dei popoli jugoslavi. Il 27 marzo 1941 avviene il colpo di stato che si ribella all'adesione al patto tripartitico (Germania - Italia - Giappone). L'aggressione tedesca all'URSS, la madre ideologica, mobilita il partito comunista. Grazie alla sua lunga esperienza clandestina e all'abilità del suo capo, Tito, il partito comunista è l'unica forza della Resistenza. A questo punto, il movimento di Resistenza si divide in due fronti, non è unitario. Da una parte Tito con i partigiani della Serbia occidentale, e dall'altra il colonnello Mihajlovich e i suoi cetnici. Il colonnello non vuole un'alleanza con Tito, ma vuole il comando dell'insurrezione nazionale sotto la guida della monarchia. Per raggiungere questo obiettivo collabora apertamente con tedeschi e fascisti. Inoltre i centrici attaccano e uccidono migliaia di partigiani. Questo atteggiamento è, però, contraddittorio. Infatti Mihajlovich crede che gli Alleati cacceranno i tedeschi e riporteranno il potere alla monarchia. Anche Mosca tiene un comportamento ambiguo nei confronti dei partigiani di Tito, gli unici, forse, a seguire fedelmente la "dottrina" comunista. Mosca, infatti, non invia aiuti a Tito, per paura di essere giudicata dagli Alleati promotrice di una rivoluzione. Inoltre Stalin non disconosce la monarchia, intraprende trattative col governo jugoslavo alle spalle di Tito, e offre assistenza, militare e non, a Mihajlovich, e non ai partigiani.

Gli Alleati non hanno una condotta meno contraddittoria. Il loro operato si potrebbe distinguere in quattro momenti: inizialmente sostengono incondizionatamente Mihajlovich; poi cercano un'intesa tra le due parti; nel settembre del '43 accettano l'operosità dei partigiani di Tito; infine, nel gennaio del '44 abbandonano definitivamente Mihajlovich.

Anche la Jugoslavia, come altri paesi, ha un suo esercito di liberazione, che nel marzo del '45 conta 800 mila uomini. I suoi fattori di successo sono principalmente cinque:

l'assenza di una forza politica di opposizione;

il superamento della contrapposizione tra città e campagna;

l'assenza di contraddizioni nel partito comunista;

la popolarità di Tito e il sostegno delle campagne;

ed infine un'organizzazione capillare in tutto il paese.

Inoltre, nel febbraio de '41, si formano le brigate mobili, che già un anno dopo contano otto divisioni di 3-4000 uomini. Queste brigate passano da una zona libera all'altra, facendosi strada con sanguinose battaglie.

I fattori di successo del movimento partigiano jugoslavo sono molteplici: innanzitutto la nazionalizzazione della lotta. In secondo luogo la totale indipendenza dagli Alleati: gli inglesi, infatti, non controllano il movimento (come, invece, nel nord Europa), e i russi non ne condizionano lo sviluppo.

Alla fine della guerra è Tito a guidare la Jugoslavia. Il suo progetto è di promuovere una federazione dell'area balcanica, con l'aggiunta di Macedonia e Bulgaria.

La Resistenza in Grecia è fortemente condizionata dalla presenza britannica e dalle "istruzioni" sovietiche. Essa nasce, infatti, dal partito comunista e dai giovani politici di centro - sinistra, un gruppo impreciso di aspirazioni repubblicane. Sono due le organizzazioni principali: l'EAM (fronte di liberazione nazionale), controllato dai comunisti, e l'ELAS. Insieme costituiscono la principale forza armata di liberazione, con 75 mila combattenti alla fine del '44. I democratici militano nell'EAM perché è l'unica organizzazione che ha rotto con il passato. In questo sono appoggiati dagli Alleati, che vogliono riequilibrare il fronte di liberazione (no vogliono troppi comunisti al potere). I greci sentono il bisogno di costituire un nuovo ordine, abolendo la monarchia. E qui c'è il primo scontro con i britannici, che, invece, la rivogliono. Per i democratici l'EAM è la sola garanzia contro il ritorno del re, mentre gli inglesi sono la sola forza capace di riportarlo. Di questo fatto sono convinti gli inglesi stessi, che, quindi, non possono assolutamente lasciare il paese, anche in forza di un accordo fatto con Stalin. Per questo motivo scoppia la guerra tra greci e inglesi. I russi, infatti, hanno già abbandonato il paese, per avere in cambio Romania e Bulgaria. Nel marzo del '44 c'è la costituzione del Comitato politico di liberazione (PEEA) da parte dell'EAM, che fa pressioni al governo in esilio per accettare il governo rappresentativo di unità nazionale. Purtroppo molte contraddizioni presenti nella Resistenza greca sono dovute alla non conoscenza dei rapporti con la Russia.












THE BATTLE OF MONTECASSINO  

The soft underbelly

After the Axis retreat and allied victory on the island of Sicily, it was only a matter of time before the Allies carried out a landing on the mainland of Italy, the 'soft underbelly of Europe'. This they did on the toe of Italy, when the British 8th Army landed at Reggio on the 3rd September and Taranto on the 9th. Both of these landings were uncontested by the Germans as they had pulled out of the area some time before.
The US 5th Army then landed on the west coast further north at Salerno on September 9th 1943 to coincide with the Italian armistice. This  move was predicted by the commander of German forces in Italy, Field Marshall Kesselring. In expectation of a landing at Salerno the 16th Panzer Division was moved to the area to meet the invasion. The German 10th Army was then mobilized behind the 16th Panzer to help drive the Allied invasion force back into the sea.

The Gustav Line


 Less than a kilometre  west of Cassino town stood Monte Cassino towering 1700 ft above the town below.
On top of Monte Cassino stood the centuries old Benedictine Monastery, the scene of many battles over the centuries. Monte Cassino became the hub of the German Gustav line, situated 100 miles south east of Rome. Cassino town was first bombed on the 10th September when targets all along the Garigliano river were hit. It caused heavy casualties amongst the civilian population, many took refuge in the monastery at Monte Cassino. The 14th Panzer Corps couldn't live up to their title, they were desperately short of tanks and had to rely mainly on infantry, amongst their ranks men of the 1st Parachute Division who had been moved from the Adriatic sector held by LI Gebirgs Korps.
 By the time the 5th Army Group had resumed their advance, the Germans had firmly dug themselves in on the Gustav defensive line in expectation of the allied offensive.
Facing the Cassino front the allies now had seven Commonwealth divisions, containing men from India, New Zealand, South Africa (who had an armoured division in reserve) & Brazil, also five American, five British, four French and three Polish Divisions. A formidable force.

The Allied governments accused the Germans of using the Monastery as a strong point, which they strongly denied, although they were dug in on the slopes of the monastery. The Germans had encompassed Monte Cassino into their defence line so the allies, although reluctant to do so, agreed that in the near future it would probably have to be bombed.
It was Oberst Schlegel of the Hermann Goering Panzer Division who was responsible for getting all the treasures and works of art within the Monastery, out of harms way before they could be destroyed. They were removed in October to a safer location in the north before being handed over to the Italian government.

The First Battle

The first allied assault on the Gustav line came on the 17th January 1944 to coincide with the landings at Anzio, planned for the 22nd.Both the British and the French had limited success, they never managed to complete the flanking manoeuvre. They met heavy resistance and all they could do was dig in around the hills and mountains behind Montecassino.
The American 36th Division spent a couple of days preparing for their assault. Boats were bought up to the front to carry the men across the River. They were supported by artillery who bought shells down on the German defenders. Some elements of the 36th reached the other side of the river and attacked German positions.
The Americans on the German side found themselves surrounded.
The order to pull back was given on the 22nd , not before the 36th had suffered heavy casualties.

They had been unable to penetrate the excellent German defences.

The Second Battle

The next assault on the Cassino front was planned for the 15th February. On the 14th, leaflets were dropped onto the monastery telling the occupants and refugees that the allies had decided to bomb Monte Cassino. On the 15th the bombing began in earnest. It was the first time that heavy bombers had been used in the support of infantry and the first time that bombers from England had attacked an Italian target. The monastery was pulverized, its architecture destroyed and left in ruins; there was uproar from all round the world at the destruction of this holy bastion.
 After the bombing ceased, the infantry attack began. Positions around the monastery and surrounding hills were defended by men of the 90th Panzer Grenadier.The 1st Parachute Division's machine gun Battalion took up positions on the hill itself.
The New Zealanders assault was met with fierce tank and artillery fire, which forced the Kiwis back across the Rapido River, suffering heavy casualties in the process. 
Indian troops attempted to assault Calvary Hill, which was being held by the 3rd Battalion, 3rd Parachute Regiment, but were almost decimated in the process. The assault was called off on the 19th February.



The Third Battle

Then on the morning of 15th March in fine weather, another bombardment began.
General Heidrich was at 3rd Regiment HQ when the bombardment began. He concentrated his own artillery and mortar fire on Kiwi positions in the town, which also helped to stall the New Zealanders.
The monastery was again bombed but the defenders remained un-scathed in their underground bunkers. 
On the 19th March the Allied high command ordered another push to take German strong points in the town and a frontal assault on Monte Cassino from Hangmans Hill by the Ghurkas who would be reinforced by men from Castle Hill, who in turn were to be relieved by Indian troops 

By the afternoon of the 19th the frontal assault was called off.

Most of Cassino town was now in the hands of the Kiwi's, reinforcements had managed to get through to the beleaguered defenders of Castle Hill overlooking the town.
On the 23rd March the allied attack was called off. Nearly 3000 men had been lost since the 15th March.

The Fourth Battle

Late in the evening of the 11th May 1944 the opening barrage of 2000 allied artillery pieces caught the German Paras totally by surprise.
The French Expeditionary Force had successfully advanced up the Liri Valley, battling with German defenders on the way.
The US 2nd Corps advancing northwards up the coast towards Anzio were supported by allied warships, which pounded German positions.
The Germans were barely holding on to the Gustav line, it had been penetrated and the German positions were being bypassed.
 As allied forces were penetrating the Gustav line backed up by a Canadian Army Corps, (a unit unknown to the Germans), the order came from Field Marshall Kesselring, commander Army Group C, to withdrawal from positions in Cassino town, the monastery and surrounding hills and mountains. The allies had made the mistake of not cutting Route 6, the main highway linking the south to Rome, allowing thousands of German troops to escape northwards.

The town of Cassino finally fell on the 17th May.  

Only the wounded remained at Monte Cassino under Hauptmann Herbert Karl Beyer (commander I/FJR4), himself seriously wounded. The Poles entered the monastery early on the 18th May, where they proudly raised their flag over the ruins where so many of their men had sacrificed their lives. Nearly 1000 Poles were killed and 3000 wounded in the assaults on Montecassino.
Altogether the Germans had lost 20 000 men in the defence of the Gustav line.

During the German retreat they destroyed bridges, laid mines on roads and prepared ambushes, all designed to delay the advancing Allied forces.
On the 23rd May, the US 6th Corps broke out of the beachead at Anzio and on the 25th May linked up with the US 2nd Corps. The German 14th Army at Anzio and the 10th Army withdrawing from their defensive positions  were partially encircled by this joint US force as they moved north, but avoided encirclement when it was decided that the Americans would head for Rome, which they then entered on the 4th June 1944. The German forces slipped past the outskirts of Rome the same time the Allies entered.

CONVENTION OF GENEVA

The Geneva Conventions consist of treaties formulated in Geneva, Switzerland that set the standards for international law for humanitarian concerns. The conventions were the results of efforts by Henri Dunant, who was motivated by the horrors of war he witnessed at the Battle of Solferino. In the field, soldiers of a signatory nation who carry prohibited equipment or perform prohibited actions are subject to summary field execution without a trial. This is usually carried out on prisoners of war who are captured with prohibited equipment. It may be ordered by the senior officer of a group that has observed a war crime and can recognize participating individuals.        Accusations of violation of the Geneva Conventions on the part of signatory nations are brought before the International Court of Justice at the Hague.

The conventions and their agreements are as follows:

First Geneva Convention (1864): Treatment of battlefield casualties.

Second Geneva Convention (1906): Extended the principles from the first convention to apply also to war at sea.

Third Geneva Convention (1929): Treatment of prisoners of war.

Fourth Geneva Convention (1949): Treatment of civilians during wartime.

This First Convention also mandated the foundation of the International Committee for the Red Cross. The text is given in the Resolutions of the Geneva International Conference.

The conventions were revised and ratified in 1949; the whole is referred to as the 'Geneva Conventions of 1949' or simply the 'Geneva Conventions'. Later conferences have added provisions prohibiting certain methods of warfare and addressing issues of civil wars. Nearly 200 countries are 'signatory' nations, in that they have ratified these conventions.

The 1949 Geneva Convention

The changed methods of warfare in World War II, the maltreatment of prisoners of war that constituted an important part of the war crimes indictments, and the retention of a great number of German prisoners of war by the USSR for several years after the war showed that the 1929 Convention required revision on many points. A new convention, reaffirming and supplementing the 1929 Convention, was signed at Geneva in 1949 and subsequently ratified by almost all nations. It broadened the categories of persons entitled to prisoner-of-war status, clearly redefined the conditions of captivity, and reaffirmed the principle of immediate release and repatriation at the end of hostilities.

Although the North Koreans promised to respect the Geneva Convention in the Korean War, they refused to recognize the impartial status of the Red Cross and denied it access to the territory they controlled. The unprecedented refusal of prisoners to be repatriated, moreover, established a new principle of political asylum for prisoners of war. The governments of North and South Vietnam, parties to the 1949 Geneva Convention, were charged with violating it in the Vietnam War-the North by not permitting full reporting, correspondence, and neutral inspection, and the South by allegedly torturing captives and placing them in inhumane prisons. The national anguish over the Vietnam War was extended for decades after the war's end in part because of the lack of resolution over the POW and MIA (missing in action) issue. While the Pentagon's MIA list still contains names of missing servicemen, the last official prisoner of war was declared dead in 1994.


Prisoners of war, in international law are, persons captured by a belligerent while fighting in the military, in conventional war ostilities. International law includes rules on the treatment of prisoners of war but extends protection only to combatants. This excludes civilians who engage in hostilities (by international law they are war criminals; see war crimes) and forces that do not observe conventional requirements for combatants.

The Geneva Conventions of 1949 provides a framework of protective rights of POWs. The basic principle is that being a soldier is not a punishable act in itself. The laws apply from the moment a prisoner is captured until he is released or repatriated. One of the main provisions of the convention makes it illegal to torture prisoners, and states that a prisoner can only be required to give his name, date of birth, rank and serial number (if applicable).

According to the Article 4 of the Third Geneva Convention, protected combatants includes military personnel, guerrilla fighters and certain civilians.

To be entitled to prisoner of war status, the combatant must conduct operations according to the laws and customs of war, e.g. be part of a chain of command, wear a uniform and bear arms openly. Thus, franc-tireurs, terrorists and spies are excluded. It also does not include unarmed non-combatants who are captured in time of war; they are protected by the Fourth Geneva Convention rather than the Third Geneva Convention.

The United States uses the term enemy prisoner of war (EPW) for hostile forces, reserving the term prisoner of war for its own or Allied forces.










LA GENESI DELLA CRITTOGRAFIA

Le prime scritture criptate

Le più antiche notizie sicure sono probabilmente quelle sulla scitala lacedemonica , data da Plutarcocome in uso dai tempi di Licurgo (IX sec a.C.) ma più sicuramente usata ai tempi di Lisandro(verso il 400 a.C.) . Consisteva in un bastone su cui si avvolgeva ad elica un nastro di cuoio; sul nastro si scriveva per colonne parallele all'asse del bastone, e lettera per lettera, il testo segreto. Tolto il nastro dal bastone il testo vi risultava trasposto in modo regolare ma sufficiente per evitare la lettura senza un secondo bastone uguale al primo.

Tra il 360 e il 390 venne compilato da Enea il tattico, generale della lega arcadica, il primo trattato di cifre il cui XXI capitolo tratta appunto di messaggi segreti. In questo viene descritto un disco sulla zona esterna del quale erano contenuti 24 fori,ciascuno corrispondente ad una lettera dell'alfabeto. Un filo, partendo da un foro centrale, si avvolgeva passando per i fori delle successive lettere del testo: all'arrivo, riportate le lettere sul disco, si svolgeva il filo segnando le lettere da esso indicate: il testo si doveva poi leggere a rovescio. Le vocali spesso erano sostituite da gruppi di puntini.
In questo stesso periodo vennero ideati codici cifrati indiani ed ebraici utilizzati in particolar modo per celare nomi propri, innominabili o sacrileghi.

Numerosi testi e documenti greci antichi contengono tratti cifrati, specialmente nomi propri, ma si trovano anche interi scritti cifrati con sostituzione semplice e con alfabeti generalmente a numero.


Il codice di Atbash

Il codice di Atbash consiste in una semplice sostituzione, molto simile a quella di Cesare . La sostituzione di Cesare era basata sull'alfabeto romano, mentre il codice di Atbash si basava su quello ebraico, composto da 22 lettere.

Nel codice di Atbash, la prima lettera dell'alfabeto ebraico (aleph) viene sostituita con l'ultima (taw), la seconda (beth) con la penultima (sin o shin), e così via.

Usando per comodità l'alfabeto inglese come base per l'Atbash si otterrà una tabella di cifratura simile a quella riportata qui sotto:

TESTO NON CRITTOGRAFATO   a b c d e f g h i j k l m
TESTO CRITTOGRAFATO       Z Y X W V U T S R Q P O N
TESTO NON CRITTOGRAFATO   n o p q r s t u v w x y z
TESTO CRITTOGRAFATO       M L K J I H G F E D C B A

Utilizzando la frase Il sole brilla come frase chiara da cifrare il risultato sarà:

Rohlovyirooz


Il codice di Atbash è quindi meno complesso di quello di Cesare, poichè al contrario di quest'ultimo prevede solo un tipo di sostituzione


Dal codice di Cesare a quello di Augusto

Scarse sono le notizie sulla crittografia romana. Si sa solo che Giulio Cesare ed Augusto nelle loro corrispondenze con i famigliari usavano un alfabeto regolare, spostato di pochi posti. A fornircene informazioni è solo Svetonio.


Extant et ad Ciceronem, item ad familiares domesticis de rebus, in quibus, si qua occultius perferenda erant, per notas scripsit, id est sic structo litterarum ordine, ut nullum verbum effici posset: quae si qui investigare et persequi velit, quartam elementorum litteram, id est D pro A et perinde reliquas commutet.

(Svetonio-Vita di Cesare §56)

Restano quelle a Cicerone,così come quelle ai familiari sugli affari domestici, nelle quali, se doveva fare delle comunicazioni segrete, le scriveva in codice, cioè con l'ordine delle lettere così disposto che nessuna parola potesse essere ricostruita: se qualcuno avesse voluto capire il senso e decifrare, avrebbe dovuto cambiare la quarta lettera degli elementi, cioè D per A e così via per le rimanenti.

Orthographiam, id est formulam rationemque scribendi a grammaticis institutam, non adeo custodit ac videtur eorum potius sequi opinionem, qui perinde scribendum ac loquamur existiment. Nam quod saepe non litteras modo sed syllabas aut permutat aut praeterit, communis hominum error est. Nec ego id notarem, nisi mihi mirum videtur tradidisse aliquos, legato eum consulari successorem dedisse ut rudi et indocto, cuius manu 'ixi' pro ipsi scriptum animadverterit. Quotiens autem per notas scribit, B pro A, C pro B ac deinceps eadem ratione sequentis litteras ponit ; pro X autem duplex A.

(Svetonio-Vita di Ottaviano Augusto §88)

Non rispetta l'ortografia, cioè l'arte di scrivere le parole correttamente seguendo le regole dei grammatici , e sembra piuttosto seguire l'opinione di coloro che pensano che si debba scrivere come parliamo. infatti si può dire che spesso cambia o salta non solo lettere, ma anche sillabe intere, che sono errori comuni degli uomini. Ed io non riporterei ciò se non mi sembrasse incredibile che alcuni abbiano tramandato che lui abbia costretto alle dimissioni il legato consolare perchè si era accorto che aveva scritto 'ixi' al posto di 'ipsi' Tutte le volte infatti che scrisse attraverso un codice, rimpiazzò la A con la B, la B con la C e così via per le altre lettere; per quanto riguarda la X la rappresentava con una doppia A.

Scacchiera di Polibio

Polibio fu uno scrittore greco che inventò un sistema per convertire caratteri alfabetici in caratteri numerici. Questo sistema può essere facilmente utilizzato per segnalazioni con l'uso di torce.

Per comodità negli esempi seguenti si utilizzerà ,al posto di quello greco, l'alfabeto inglese il quale però ha il difetto di essere formato da 26 caratteri; così per poter costruire il quadrato necessario per la cifratura bisognerà, come in questo caso per la k e la q, 'fondere' due lettere rare ma non foneticamente differenti nella stessa casella. In questo modo si otterrà la seguente tabella:








a

B

c

d

E


f

G

h

i

J


kq

L

m

n

O


p

R

s

t

U


v

W

x

y

Z


Ogni lettera può viene quindi rappresentata da due numeri, guardando la riga e la colonna in cui la lettera si trova. Per esempio, a=11 e r=42. Quindi la frase Attenzione agli scogli dopo la cifratura risulterà:


L'idea era che un messaggio potesse essere trasmesso tenendo diverse combinazioni di torce in ogni mano. La scacchiera ha altre importanti caratteristiche, e cioé la riduzione nel numero di caratteri diversi, la conversione in numeri e la riduzione di un simbolo in due parti che sono utilizzabili separatamente. Indipendentemente dalla tecnica, queste scacchiere formano la base per molti altri codici di cifratura come il Playfair Cipher.

Alto Medioevo


In questo periodo la crittografia viene usata principalmente per celare nomi propri, spesso sostituendo una lettera con la successiva, come facevano già i Romani con il Codice di Cesare; altre volte si sostituivano alle varie lettere segni greci, cabalistici, runici, spesso limitando tale sistema alle vocali, cifrate a volte con gruppi di punti,secondo il sistema di Enea il tattico .
Verso l'anno mille compaiono i primi alfabeti cifranti o monografici. Essi sono usati successivamente soprattutto nelle missioni diplomatiche tra i vari staterelli europei, particolarmente da parte delle repubbliche marinare e dalla corte papale di Roma e a partire dal XIV° secolo .
Si usano le cosiddette nomenclature, ossia liste di parole chiave del gergo diplomatico abbreviate con un solo segno; ne troviamo molti esempi tra i secoli XIV° e XVIII°.
Un altro sistema è quello usato dall'Arcivescovo di Napoli, Pietro di Grazia, tra il 1363 e il 1365 in cui le vocali sono sostituite da semplici segni e le vocali scritte in chiaro funzionano da nulle; nelle ultime lettere il procedimento è applicato anche alle consonanti più frequenti (l,r,s,m,n), che a volte erano cifrate anche con altre lettere alfabetiche.

Nel 1378, dopo lo scisma di Avignone, l'antipapa Clemente VII° decise di unificare i sistemi di cifrature dell'Italia Settentrionale ed affidò tale compito a Gabriele Lavinde; in Vaticano è conservato un suo manuale del 1379. In esso ogni lettera è cifrata con un segno di fantasia, in alcuni casi vi sono delle nulle, in altri vi sono delle nomenclature; le vocali sono trattate come le altre lettere, come in una cifra del 1395 di Mantova.

Dagli inizi del XIV° secolo, per depistare i tentativi di analisi statistica delle frequenze, si iniziano ad usare più segni per cifrare una stessa vocale come possiamo leggere in una cifra con più di tre segni diversi per ogni vocale, ma senza nulle e senza omofoni conservata sempre a Mantova del 1401.
Tuttavia la prima cifra completa cioè dotata di segni arbitrari per ciascuna lettera, omofoni per le vocali , molte nulle e un nomenclatore, fu la lettera di Michele Steno tra Roma e Venezia scritta nel 1411.
In seguito viene ampliato il nomenclatore e, a parte la diversità dei segni cifranti, tutte le cifre italiane dei tre secoli successivi seguirono questo modello. Ne abbiamo esempi anche alla corte Francese del XVII° secolo e perfino da parte dei nobili francesi in esilio nel 1793. Tale sistema fu in uso anche nella telegrafia segreta attorno alla seconda metà dell' '800

Eccezioni a questo canone si debbono al Cardinale Richelieu attorno al 1640 per consiglio di Antonio Rossignol; si tratta di repertori invertiti con gruppi cifranti variabili, con due documenti per cifrare e decifrare con omofoni per le singole lettere. Possiamo trovarne altri esempi nelle corrispondenze tra Luigi XIV° e il suo maresciallo alla fine del '600 . La loro corrispondenza, con 11.125 gruppi cifranti diversi, veniva considerata 'sicura', ed infatti fu sempre cifrata con lo stesso repertorio, mentre era già stata violata nel 1689 da Wallis.

Dopo Luigi XIV° la crittografia francese declinò tanto che sotto Napoleone si usava un repertorio di soli 200 gruppi quasi privo di omofoni ed applicato solo a parti dei dispacci. Sembra che anche questa inferiorità nella cifratura contribuì al disastro russo del 1812-13 .

Altre cifre papali del XVI° secolo utilizzano un sistema assai diverso, ossia la cifratura con polifoni. La prima di queste cifre appare attorno al 1540; l'ultima nel 1585. Il nomenclatore di tali cifre è costituito da circa 300 voci, tutte cifrate con gruppi di tre cifre.

Un altro esempio di polifonia si trova nel sistema usato dal langravio d'Assia nei primissimi anni del '600, nella quale spesso un gruppo di due numeri indica o una lettera ed una parola vuota oppure una sillaba. Tuttavia è probabilmente a distinguere le funzioni del gruppo era la collocazione di segni ausiliari, che poi il tempo ha cancellato.

Secondo il Meister, uno studioso di crittografia, il sistema polifonico era usato spesso per ridurre la lunghezza del testo cifrato. Egli riporta anche istruzioni per la composizione di simili cifre che sono all'avanguardia per i suoi tempi.

Il disco cifrante di L.B.Alberti

L.B.Alberti, nel suo Trattato della cifra, ha proposto una coppia di cerchi cifranti concentrici: uno esterno fisso con 24 caselle contenenti 20 lettere maiuscole (escluse le rare J K Y W Q H) ed i numeri 1 2 3 4 per il testo chiaro; ed uno interno mobile, con le 24 lettere latine minuscole (con U=V) per il testo cifrato: le 20 lettere maiuscole messe in ordine alfabetico: le 24 maiuscole in disordine. (questa è una norma fondamentale, trascurata da molti successori dell'Alberti, senza la quale si ha una semplice generalizzazione del codice di Cesare).

Fissata una lettera maiuscola come indice (ad es. B) si deve spostare il disco mobile interno e scrivere, come prima lettera del crittogramma, la lettera maiuscola (nel nostro caso j) che corrisponde alla B; quindi cifrare alcune parole con la lista risultante. I numeri 1 2 3 4 servono da nulle. Quando si decide di cambiare la lista cifrante si scriverà la nuova lettera chiave in maiuscolo in modo da indicare chiaramente al corrispondente il cambio di lista. Ciò fatto, si porterà quella lettera ad affacciare l'indice B ed in questa nuova posizione si cifreranno altre parole secondo la nuova lista. Per aumentare la segretezza (le lettere maiuscole costituiscono un aiuto non solo per il corrispondente ma anche per il 'nemico') l'Alberti suggerisce di usare uno dei quattro numeri per segnalare il cambio di alfabeto; la lettera minuscola corrispondente al numero sarà la nuova chiave; non vi sono quindi più lettere maiuscole e la cifra risulta così molto più sicura, e decisamente superiore a quelle che la seguirono nel tempo, e in particolare alla fin troppo famosa Tavola di Vigénère.

Si tratta in definitiva di una delle cifre polialfabetiche più sicure, che non ottenne il successo meritato anche per la decisione dell'Alberti di tenerla segreta. (il suo trattato fu pubblicato solo un secolo più tardi a Venezia insieme ad altri suoi 'opuscoli morali' e passò quasi inosservato).
 

La crittografia di G.B. Porta

G.B.Porta (o Della Porta), nel 1563 pubblicò a Napoli un trattato di crittografia (De Furtivis literarum notis - vulgo de ziferis) molto vasto e di ottimo livello.

Tra le cifre proposte dal Porta è nota soprattutto la tavola, che non è certo la migliore tra quelle presenti nel trattato e che é perlopiù più debole di quelle del Bellaso e dell'Alberti.
La tavola del Porta è molto simile a quella di Bellaso, ma usa 11 alfabeti invece di 5 e introduce il cosiddetto verme letterale, poi generalmente adottato, e che ha il grave inconveniente di produrre un periodo di ciframento relativamente corto, perchè comprendente solo tante lettere quante ne ha il verme nel quale le liste cifranti si susseguono tutte nello stesso ordine: particolarità su cui si basa la decrittazione del sistema, facilitata, in questo caso, dalla conoscenza degli alfabeti usati.
In realtà il Porta consiglia di usare 11 alfabeti involuttori arbitrarii, ma dà, come esempio la tavola con l'alfabeto base regolare: sotto questa sola forma la sua cifra è stata poi da tutti divulgata. Seguendo le indicazioni del Porta si scriverà la parola, o verme, lettera per lettera sotto ciascuna lettera del testo chiaro, ripetendola quante volte occorre: la cifratura si farà usando per ciascuna lettera del testo chiaro la lista individuata dalla corrispondente lettera chiave, come nella tavola del Bellaso.

Le cifre di G.B.Bellaso

G.B.Bellaso pubblicò nel 1553 un opuscolo, 'Il vero modo di scrivere in cifra' contenente alcuni suoi cifrari polialfabetici.

L'idea è quella di ricavare diversi alfabeti (tutti disordinati) da una parola convenuta, versetto o motto.
Un esempio dell'autore: data la parola chiave sia IOVE, il primo alfabeto derivato(con V=U) è:

I O A B C D F G H L
V E M N P Q R S T X

Il secondo si ottiene spostando circolarmente la seconda riga:

I O A B C D F G H L
X V E M N P Q R S T

e così via fino ad ottenere cinque alfabeti; ognuno di questi sarà identificato da un gruppo di quattro lettere; p.es.:

I D V Q  | I O A B C D F G H L
         | V E M N P Q R S T X

O F E R  | I O A B C D F G H L
         | X V E M N P Q R S T

A G M S  | I O A B C D F G H L
         | T X V E M N P Q R S

B H N T  | I O A B C D F G H L
         | S T X V E M N P Q R

C L P X  | I O A B C D F G H L
         | R S T X V E M N P Q

A questo punto si deve convenire un altro motto, p.es OPTARE MELIORA; le lettere di quest'ultimo servono a selezionare l'alfabeto da usare.

Volendo allora cifrare la frase 'Inviare truppe domani' si ha:

Verme          O       P     T
Chiaro    I N V I A R E  T R U P P E    D O M A N I
Cifrato   X C O X E G A  A I C H H D    M T D X F S

Le cifre del Bellaso sono più deboli di quella dell'Alberti perchè usano pochi alfabeti ed il cambio di lista non è segreto.

Il Codice di Vigenere


Il codice di Vigenere è una sostituzione polialfabetica. Blaise de Vigenere creò anche un codice più sofisticato, ma il suo nome rimase associato a questo codice più debole.

Si può dire che il codice di Vigenere è più sicuro di una semplice sostituzione monoalfabetica.

Il Vigénère propose l'uso della tavola quadrata, composta da alfabeti ordinati spostati. Introdusse poi nel suo uso il verme letterale proposto dal Della Porta, ottenendo una cifra in verità più debole e più scomoda delle precedenti. Il metodo Vigénère ebbe una fortuna immediata e fu molto usato nell'ambito militare anche dopo che ne fu scoperto il metodo di decrittazione.
La tavola è composta dalla lista decifrante scritta orizzontalmente in testa; le liste cifranti sono solo le 26 sottostanti, individuate ciascuna dalla loro prima lettera. Per cifrare si dovrà prima di tutto scrivere le lettere del verme sotto a quelle del testo chiaro; basterà quindi cercare, per ogni lettera del chiaro, la corrispondente cifrata nell'incrocio tra la colonna individuata dalla lettura chiara e la linea individuata dalla lettera chiave.

Il cifrario di Vigénère è quindi un classico esempio di cifrario polialfabetico.

Il codice di Vigénère richiede la seguente tavola:

A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z

B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A

C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B

D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C

E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D

F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E

G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F

H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G

I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G H

J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G H I

K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G H I J

L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G H I J K

M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G H I J K L

N O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G H I J K L M

O P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G H I J K L M N

P Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G H I J K L M N O

Q R S T U V W X Y Z A B C D E F G H I J K L M N O P

R S T U V W X Y Z A B C D E F G H I J K L M N O P S

S T U V W X Y Z A B C D E F G H I J K L M N O P Q R

T U V W X Y Z A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S

U V W X Y Z A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T

V W X Y Z A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U

W X Y Z A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V

X Y Z A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W

Y Z A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X

Z A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y

Il codice richiede anche una chiave (detta anche verme): il testo crittato è formato scrivendo la chiave sotto il testo non crittato.

Nel seguente esempio, si userà il testo non crittato 'arrivano i rinforzi' e la chiave 'verme'.

Per crittare il testo, bisogna usare la tabella di Vigénère: ogni lettera sarà crittografata usando la corrispondente della tabella.

Per usare la tabella, basta cercare la riga della lettera del testo chiaro, p.es. la 'A', e quindi la colonna della corrispondente lettera della chiave, p.es. la 'V'; all'incrocio tra riga e colonna si trova la lettera del testo crittato, in questo caso 'V'.

Poi, si continua così per le altre lettere, così da ottenere il testo crittografato completo.

Testo chiaro  - ARRIVANOIRINFORZI
Verme         - VERMEVERMEVERMEVE
Testo cifrato - VVIUEVRFDMIJFDDDM

Una data lettera del testo chiaro non è sempre cifrata con la stessa lettera; per esempio la prima R è cifrata con V, la seconda con I.

Questa è del resto una caratteristica di tutti i codici polialfabetici.

La decodificazione è semplice quando si conosce la chiave. Basta semplicemente trovare la lettera della chiave dal lato della tabella, leggendo lungo la riga per trovare la lettera del testo crittato e muovendosi poi dall'alto della colonna per trovare la lettera originale del testo non crittato.

Testo cifrato - VVIUEVRFDMIJFDDDM
Verme         - VERMEVERMEVERMEVE
Testo chiaro  - ARRIVANOIRINFORZI

IL CODICE DI JEFFERSON




Il codice di Jefferson prende il nome dal suo inventore Thomas Jefferson (1743-1826), autore della Dichiarazione d'Indipendenza e presidente degli USA nel mandato del 1801. Il codice è di facile utilizzo e tuttora rimane abbastanza sicuro, secondo gli standard di oggi. Non venne però adottato dagli Stati Uniti anche se, in teoria, avrebbe potuto sopportare qualsiasi attacco crittoanalitico contemporaneo. Jefferson lo archiviò e il suo codice rimase nel 'dimenticatoio' fino al 1922, quando fu riscoperto e utilizzato, fino agli anni '50, dall'esercito statunitense. Fino a questo momento il codice di Jefferson era stato talmente ignorato che nel 1890 Etienne Bazeries, l'Indecifrabile, reinventò indipendentemente lo stesso metodo di cifratura.

Il codice di Jefferson era un metodo di cifratura meccanico e cioè basato su di una macchina; questa macchina consiste in un cilindro di circa 15 cm di lunghezza e 4 cm di larghezza montato su un asse e sezionato in 36 dischi uguali (25 nella versione poi utilizzata dagli Americani). Sul bordo di ciascuna ruota sono scritte le 26 lettere dell'alfabeto, equidistanti l'una dall'altra. L'ordine in cui sono disposte le varie lettere non corrisponde a quello naturale e varia da ruota a ruota.

Il messaggio in chiaro deve essere cifrato a blocchi di 36 lettere ciascuno (qualora l'ultimo blocco presenti meno di 36 lettere, esso deve essere completato con lettere nulle); la chiave di cifra è un numero che va da 1 a 25. Supponendo che il primo blocco in chiaro sia La missione in Polinesia è fallita e la chiave sia il numero 6, in una certa riga, non importa quale, si comporrà il messaggio in chiaro (omettendo naturalmente gli spazi); il crittogramma corrispondente andrà letto sulla sesta riga dopo quella che contiene il blocco in chiaro. Questo metodo di cifratura verrà in parte riutilizzato dai Tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale nella cosiddetta Macchina Enigma.

Come quasi tutti i metodi di cifratura anche il cilindro di Jefferson ha un grave difetto che ricorda quello che 'minava' il codice di Cesare: poichè le chiavi sono solo venticinque se il cilindro cade nelle mani del nemico il crittogramma può essere facilmente risolto.


LA CRITTOGRAFIA ITALIANA NELLA GRANDE GUERRA

Dalla metà del XIX secolo l'uso della crittografia assume un ruolo determinante nella trasmissione di messaggi di carattere logistico e strategico. Questi, trasmessi anche via etere (a partire dal XX secolo) richiedevano alcuni espedienti atti a precludere il contenuto dei medesimi al nemico.
All'inizio del XX secolo la crittografia in Italia, che pure vantava tradizioni di tutto rispetto, aveva toccato uno dei suoi livelli più bassi; basti pensare che era ancora in uso il cifrario militare tascabile, una variante della tavola di Vigenere di cui da tempo era noto un metodo di decrittazione (quello del Kasiski).

All'inizio della Grande Guerra la stazione radiotelegrafica di Codroipo era in grado di intercettare i messaggi austriaci ma non di decrittarli, poichè l'Esercito Italiano non disponeva di un Ufficio Cifra! Per rimediare il Comando Supremo inviò il cap. Sacco, comandante della stazione di Codroipo, in Francia presso il quartier generale. Qui i Francesi furono in grado di decrittare i messaggi austriaci, ma rifiutarono di istruire gli italiani sui loro metodi di decrittazione.
Irritato da questa situazione il Sacco propose ai suoi superiori di istituire un Ufficio Cifra italiano (' Se i Francesi sono riusciti in questa impresa, non vedo perchè non dovremmo riuscirci anche noi'); fu preso in parola, e, nella primavera del 1916, incaricato di organizzare un Ufficio Crittografico.
Sotto la guida del Sacco e dei suoi collaboratori Tullio Cristofolini, Mario Franzotti, e Remo Fedi, l'ufficio riuscì a decrittare il cifrario campale austriaco, quello diplomatico, e quello navale. Notevoli risultati furono ottenuti anche contro i cifrari tedeschi in uso nei Balcani.
La possibilità di intercettare e decrittare i messaggi austriaci ebbe un'importanza non trascurabile nel 1918, per fronteggiare l'offensiva austriaca del Piave.


Un caso particolare: il codice 'Navajos'



In un epoca di supercomputer e macchine potentissime il codice Navajo è un monumento alla più potente e sofisticata macchina che esista al mondo: la mente umana. Nel tentativo di ottenere delle comunicazioni vocali 'sicure' l'esercito USA, prima della seconda guerra mondiale ha sperimentato l'uso della lingua degli indiani Choctaws per criptare le comunicazioni vocali, lingua che era già di per se 'criptata'. Dopo l'entrata in guerra degli USA, nel 1941, lo studio di questo tipo di 'crittografia' venne esteso e si sperimentarono i linguaggi di Commanches, Choctaws, Kiowas, Winnebagos, Seminoles, Navajos, Hopis e Cherokees. Successivamente la Marina USA ha proseguito il lavoro dell'esercito codificando, espandendo e perfezionando il metodo, usando esclusivamente il linguaggio Navajos. Usati con successo su molti fronti i 'NAC' (Native American Codetalkers) non hanno mai visto 'infranto' il loro 'codice'.


La Macchina Enigma

Dopo che la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania il 3 settembre 1939, le operazioni di decrittazione Britanniche furono spostate da Londra a Bletchley Park. Questa cittadina di campagna era vicina alla, allora piccola, stazione ferroviaria di Bletchley, a metà strada tra Oxford e Cambridge.

Tra il 4 settembre 1939 e l'estate del 1944,Alan Turing (1912-1954) (uno dei più famosi matematici di questo secolo, fra i fondatori dell'informatica teorica: forse anche a causa delle circostanze misteriose in cui morì, il suo nome è ormai entrato nella leggenda) allogiò al Crown Inn, a Shenley Brook End, un villaggio vicino Bletchley.

Codici

La Crittografia, la scienza del fare e interpretare informazioni cifrate, fu fino al 1979 un campo così gelosamente custodito dai governi, che le pubblicazioni su di esso furono molto rare. Da allora i codici crittografici sono stati analizzati e pubblicati e la crittografia è divenuta un importante ramo della matematica. Così, il lavoro eseguito da Alan Turing e i suoi colleghi a Bletchley Park può essere completamente apprezzato solo ora.

L'opera di Turing

Quasi tutte le comunicazioni tedesche venivano criptate con una macchina di cifra chiamata Enigma.
Questa macchina è una rappresentante niente affatto indegna di una classe di cifrari a rotore, utilizzati fino all'introduzione di cifrari elettronici e microelettronici che hanno sconvolto e trasformato il mondo della crittografia.

Per forzare l'Enigma (alcuni dettagli della soluzione sono tenuti segreti fino ad oggi) Turing, per conto del governo inglese, si servì di gigantesche macchine chiamate appunto Colossi, che possono considerarsi i precursori dei moderni calcolatori elettronici.

Alcuni sostengono che il 1943, l'anno in cui entrarono in funzione i Colossi, sia l'anno di nascita dell'informatica, ma forse anche questa data va anticipata di qualche anno a favore delle ingegnose macchine elettroniche progettate dal tedesco Konrad Zuse fin dal 1963. Turing è autore di ricerche estremamente raffinate e molto profonde sul concetto logico-matematico di calcolabilità: la strumento che egli ha proposto per affrontare il problema è noto oggi col nome di macchina di Turing.
Le macchine di Touring non hanno niente da spartire coi Colossi, non possiedono né valvole, né transistor, né circuiti integrati (come i calcolatori della prima, della seconda o della terza generazione), esse sono macchine 'astratte' e meramente 'ideali' che esistono solo mente di Turing e in quelle dei logici che proseguono le sue ricerche.

Una delle prime macchine di cifra a rotori è stata costruita dal californiano Edward Hebern, che la brevettò nel 1921. Autentici gioielli della crittografia meccanica sono le macchine costruite da Boris Hangelin; nel 1927 egli aveva rilevato una ditta che produceva materiale crittografico e che ancora oggi è prospera e fiorente, anche se ormai i rotori sono entrati nei musei della scienza. Per rendersi conto di quanto i tempi siano cambiati basterà ricordare che l'Enigma aveva un grande inconveniente: era sprovvisto di stampante. I risultati apparivano illuminati su una tastiera apposita, lettera dopo lettera, e una persona doveva provvedere a trascriverli a mano su un foglio di carta. Una stampante elettro-meccanica avrebbe appesantito troppo il congegno e lo avrebbe reso poco maneggevole: un problema che la tecnica odierna consente di superare senza difficoltà.

Alan  Mathison  Turing


Turing, Alan Mathison (Londra 1912-1954), logico e matematico britannico, pioniere della teoria degli elaboratori. Studiò all'università di Cambridge e, negli Stati Uniti, a Princeton; nell'ambito degli studi sulla ricorsività (una sezione della logica matematica) condotti per l'università di Manchester, elaborò teoricamente una nozione di 'computabilità' che fosse applicabile a quei dispositivi ideali di calcolo ed elaborazione da lui definiti come 'macchine', che vennero delineati nel suo studio pubblicato nel 1936, mentre era ancora studente: Sui numeri computabili, con un'applicazione al problema della decisione. Con il termine 'macchine di Turing', esistenti unicamente a livello teorico, viene inteso il complesso delle proposizioni, formalizzate in un linguaggio consistente di simboli finiti, che prescrivono le possibilità operative (spostamento, selezione o cancellazione di un simbolo del linguaggio) di un apparecchio formato da un nastro che può invece essere infinito e che viene segmentato in caselle. Mediante un'operazione lo 'stato interno' della macchina può - o meno - subire una variazione, che 'definisce', insieme al linguaggio e al dispositivo, la 'macchina' stessa. La computabilità delle 'macchine di Turing', la possibilità cioè di questo 'elaboratore ideale' di computare funzioni complesse, raggiunge livelli pari a quelli delle più sofisticate macchine elaboratrici esistenti.

Turing in tal modo aprì alle ricerche matematiche un campo che attualmente è noto con il nome di intelligenza artificiale. Propose inoltre nello scritto Macchine calcolatrici e intelligenza (1950) un metodo denominato 'test di Turing' per determinare se le macchine possano essere in grado di pensare. Nel corso della seconda guerra mondiale lavorò come crittografo per il ministero degli Esteri britannico. Morì suicida all'età di quarantun anni


Il DES (Data Encryption Standard)

L'IBM, che per molti anni ha dominato incontrastata il mondo dei computer, introdusse nel 1975 un suo cifrario espressamente progettato per l'uso informatico: il Data Encryption Standard o DES.
Si tratta di un cifrario misto che prevede 16 trasformazioni successive (trasposizioni e sostituzioni). In pratica il testo chiaro viene suddiviso in blocchi da 64 bit (equivalenti a 8 caratteri); ogni blocco è sottoposto a una trasposizione data in base ad una chiave di 64 bit; si applica quindi per 16 volte una funzione cifrante e alla fine la trasposzione inversa di quella iniziale.


La chiave deve naturalmente essere concordata tra mittente e destinatario; si tratta quindi ancora di un cifrario a chiave segreta.

Il DES è stato presentato come un cifrario assolutamente sicuro, ma su questa presunta inattaccabilità si sono accese molte polemiche e certo anche molte leggende. La critica più fondata è quella di Hellman della Stanford University, che sostiene che la chiave è troppo corta e che il codice potrebbe essere forzato con una crittoanalisi di tipo esaustivo.

In effetti le chiavi possibili sono 256 (8 dei 64 bit sono usati come bit di controllo e ne restano quindi solo 56 per la chiave), un numero molto elevato ma forse non più fuori della portata dei moderni supercomputer.

Il DES ha comunque il vantaggio della velocità di cifratura che è molto superiore a quella del suo principale rivale: il codice RSA.












IL CODICE RSA

Il codice RSA permette di cifrare un messaggio attraverso un procedimento che richiede l'utilizzo dei numeri primi

  • Si determini la prima chiave n, prodotto di p e q, due numeri primi molto elevati, tali che la fattorizzazione di n sia difficile o perlomeno n risulti una funzione unidirezionale rispetto al tempo d'uso del codice. N viene infatti resa pubblica.

Esempio: n=pq=5*7=35

  • Si calcoli dunque il valore della funzione di Eulero in n: b=f(n)=(p-1)*(q-1) il cui valore rimane segreto; si scelga ancora un intero d tale che d e f(n) siano primi tra loro, infine il suo inverso h, ovvero il più piccolo x per cui (dx-1)/f(n) é un intero, il numero h é la seconda chiave, e viene reso pubblico, mentre d resta segreto.

Esempio:

b=f(n)=(5-1)*(7-1)=4*6=24

d=7

k=7x-1/24

7x-1=k*24

7x=k*24 +1

x=k*24+1/7

sostituisco a k 2 per far risultare x un numero intero ed ottengo x=7, dunque h=x=7


  • Per trasmettere il messaggio lo si traduce inizialmente in un vettore di numeri (in precedenza ci si è accordati riguardo alla modalità di 'traduzione'). Stabilita dunque la sequenza numerica m1, m2.mr si trasmettono gli m uno alla volta.
    Il crittogramma corrispondente a m è allora c=m h mod n.

Esempio:

prendiamo m=3

c=mn mod n=37 mod 35=2187 mod 35=17


  • La chiave di decifrazione è costituita dall'intero b, segreto, nella formula m=cb mod n.

Esempio: m=cb mod n=1724mod 35=3


In sintesi:per cifrare un messaggio dunque il trasmettitore deve prendere le diverse cifre pubbliche del ricevente e costruire un messaggio cifrato, quest'ultimo a sua volta utilizza la parte segreta del suo codice per decifrarlo.

Utente

Parte pubblica

Parte segreta

Ricevente

n

h

N=p*q

b=f(n)

d








Il codice RSA viene considerato sicuro perchè, essendo la formula di decifrazione basata su f(n) calcolabile solo se a conoscenza di p e q, non esiste un algoritmo efficiente per scomporre n in p e q, perlomeno in tempi accettabili.

Potrebbe sorgere il dubbio che esista un modo di calcolare f(n) senza passare per p e q: questa ipotesi in effetti è verificabile ma ha lo stesso grado di complessità di fattorizzare n.



I PRIMI SISTEMI INFORMATICI

Disciplina che si occupa della progettazione, della programmazione e dell'utilizzo di computer per l'elaborazione di dati e informazioni; abbraccia campi di studio che vanno dall'intelligenza artificiale, alla robotica. L'informatica è fondata su aspetti teorici e pratici dell'ingegneria elettronica, della teoria delle informazioni e del linguaggio, della matematica e della logica.

Le origini della disciplina possono esser fatte risalire alla progettazione delle prime macchine in grado di effettuare operazioni matematiche (il calcolatore di Pascal del XVII secolo, la macchina differenziale di Babbage del XIX secolo), ma è solo a partire dal 1930 circa che si può parlare di informatica come parte a sé stante del sapere scientifico. Le macchine utilizzate nella seconda metà degli anni Quaranta erano molto ingombranti (occupavano intere stanze) e utilizzavano migliaia di valvole.

Fu però solo con l'introduzione dei transistor, nella seconda metà degli anni Cinquanta, che i computer divennero sistemi abbastanza affidabili da entrare nel mercato. Si trattava comunque di macchine costose che solo agenzie governative, grossi centri di ricerca e università potevano permettersi.

Un ulteriore passo in avanti si ebbe nella seconda metà degli anni Sessanta, quando vennero introdotti i circuiti integrati. Questi permisero consistenti vantaggi in termini di prezzo, di prestazioni, di dimensioni e di manutenzione. La comparsa di computer più potenti fornì un notevole impulso all'informatica in quanto, allargandosi l'utenza e l'utilizzo, si presentavano via via nuovi problemi che richiedevano ricerche preliminari.


Con l'introduzione dei microprocessori (da 8, 16 e 32 bit), a partire dalla seconda metà degli anni Settanta i computer divennero accessibili alla grande utenza. Microprocessori via via più potenti) furono un'ulteriore spinta all'espansione del mercato. Come per l'introduzione dei circuiti integrati, i progettisti di sistemi informatici dovettero fornire nuove soluzioni alle esigenze di un mercato che richiedeva computer sia più potenti sia di più semplice utilizzo. Nei laboratori di Palo Alto della Xerox si cominciarono a studiare interfacce utente maggiormente intuitive; nacque la metafora della finestra (utilizzata poi nei sistemi come Lisa e Macintosh Apple, Microsoft Windows, OSF-Motif, X-Window), sistemi di puntamento innovativi (mouse, touch screen e penne ottiche).

Gli sviluppi dell'informatica degli anni Novanta sono principalmente dovuti al progressivo affermarsi della rete mondiale Internet e alla richiesta di sempre maggiori servizi attraverso essa: si diffusero così linguaggi pensati espressamente per la rete,  e vari programmi per la navigazione (Netscape Navigator, Microsoft Internet Explorer). La sempre maggiore potenza di calcolo ha infine permesso di gestire attraverso il computer, oltre al testo e alle immagini, anche suoni e immagini in movimento; è possibile gestire contemporaneamente, in unico documento, diverse forme di comunicazione in quella che viene definita multimedialità. L'informatica è oggi una tecnologia matura, sia in termini di hardware sia di software, e nei paesi maggiormente industrializzati rappresenta ormai un'infrastruttura fondamentale per lo sviluppo culturale ed economico.

Storia

La prima macchina per addizioni, lontano precursore del computer digitale, fu inventata nel 1642 dal filosofo e scienziato francese Blaise Pascal. Era costituita da una serie di ruote a dieci denti, ciascuno associato a una cifra compresa tra 0 e 9. Le ruote erano collegate in modo che i numeri potessero essere sommati facendo avanzare le ruote del giusto numero di denti. Intorno al 1670, il filosofo e matematico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz perfezionò la macchina di Pascal, realizzandone una capace di eseguire anche le moltiplicazioni.

Anche l'inventore francese Joseph-Marie Jacquard contribuì inconsapevolmente alla nascita dell'elaboratore: progettando un telaio automatico usò sottili tavolette di legno perforate per controllare la tessitura di motivi complicati. Negli anni Ottanta dell'Ottocento, l'ingegnere statunitense Herman Hollerith sviluppò l'idea di elaborare dati usando schede perforate simili alle tavolette di Jacquard. Con un sistema che faceva passare schede perforate sopra opportuni contatti elettrici, egli riuscì a compilare elaborazioni statistiche per il censimento degli Stati Uniti del 1890.

L'hardware

In informatica il termine hardware indica le componenti elettroniche e meccaniche di un elaboratore. In un computer digitale si possono distinguere cinque categorie di elementi hardware: 1) una unità centrale di elaborazione (CPU, Central Processing Unit); 2) i dispositivi di ingresso; 3) i dispositivi di memoria; 4) i dispositivi di uscita e 5) una rete di comunicazione, detta bus, che collega tutti gli elementi del sistema e permette al computer di comunicare con l'esterno.

Unità centrale (CPU)

In generale una CPU (o un microprocessore) è composta da quattro sezioni: 1) un'unità aritmetico/logica (ALU, Arithmetic/Logic Unit); 2) alcuni registri; 3) una sezione di controllo; 4) un bus interno. L'ALU, sede delle capacità di calcolo, svolge operazioni aritmetiche e logiche. I registri sono spazi di memoria temporanei che conservano i dati e gli indirizzi delle istruzioni, i risultati delle operazioni e le locazioni in cui queste informazioni vanno archiviate. La sezione di controllo svolge tre funzioni principali: temporizza e regola le operazioni dell'intero sistema; per mezzo di un decodificatore di istruzioni legge le relative combinazioni in un apposito registro, le riconosce e produce le azioni necessarie per la loro esecuzione; infine, mediante l'unità di interrupt (interruzione) stabilisce l'ordine in cui i diversi dispositivi del sistema possono utilizzare le risorse della CPU e regola gli intervalli di tempo di lavoro che la CPU stessa deve destinare a ciascuna operazione. L'ultimo elemento strutturale di una CPU o di un microprocessore è il bus interno, una rete di linee di comunicazione che collegano le diverse parti del processore tra loro e ai terminali esterni.

Dispositivi di ingresso

 I dispositivi di ingresso permettono all'utente di inviare alla CPU dati, comandi e programmi. Il più comune dispositivo d'ingresso è la tastiera, simile a quella di una macchina da scrivere, che trasforma ciascun carattere battuto in una combinazione di bit leggibile dal computer. Altri sono la penna ottica, usata in combinazione con la tavoletta grafica; il joystick e il mouse, che controllano il movimento di un cursore sullo schermo; lo scanner ottico, che 'legge' pagine stampate traducendone le immagini e i caratteri in sequenze di bit elaborabili o memorizzabili da un computer; infine, i riconoscitori vocali, che traducono le parole pronunciate dall'utente in segnali digitali. Anche i dispositivi di memoria possono essere usati per trasferire dati verso l'unità di elaborazione.


Dispositivi di memoria

I sistemi di calcolo possono immagazzinare dati in due tipi di memoria: la memoria di lavoro (interna) e la memoria di massa (esterna). Le memorie di lavoro contengono dati temporanei e sono costituite da RAM (Random Access Memory, memoria ad accesso casuale) integrate, montate direttamente sulla scheda principale del computer oppure su schede aggiuntive (espansioni), inserite nella principale mediante appositi connettori. Una RAM integrata contiene oltre un milione di circuiti elementari a transistor, il cui stato (binario) può essere imposto mediante comandi elettrici. In assenza di comandi, le RAM statiche mantengono i propri dati inalterati finché l'integrato viene alimentato (cioè finché riceve energia elettrica da un generatore); nelle RAM dinamiche, invece, i dati devono essere periodicamente letti e riscritti per non essere persi (questa operazione, detta 'rinfresco', deve essere eseguita a intervalli che non superino i due millisecondi).

Le memorie ROM (Read-Only Memory, memoria di sola lettura) contengono circuiti elementari il cui stato, fissato in fase di costruzione, non può essere variato mediante comandi esterni. Su queste memorie, non cancellabili, sono raccolti comandi, dati e programmi necessari al corretto funzionamento del computer. Le RAM, dunque, possono essere scritte ripetutamente, ma si cancellano quando il computer viene spento; il contenuto delle ROM invece può essere soltanto letto, ma è permanente. Entrambe le memorie sono collegate alla CPU.

Le memorie di massa non risiedono sulla scheda principale del computer. Le più diffuse immagazzinano i dati in forma di alterazioni dello stato magnetico di un supporto sensibile, come il nastro di un registratore o, più comunemente, un disco rivestito da un sottile strato di materiale magnetico, come il floppy disk o l'hard disk. Nella maggior parte dei grandi sistemi di calcolo vengono impiegate unità di memoria con banchi di nastri magnetici. I floppy disk possono contenere dalle centinaia di migliaia a oltre un milione di byte. Gli hard disk (dischi rigidi o dischi fissi), capaci di contenere da parecchi milioni a oltre un miliardo di byte, non possono essere estratti dal loro alloggiamento nel circuito che li pilota e che contiene i dispositivi di lettura e scrittura. I CD-ROM, che impiegano tecnologie ottiche simili a quelle dei compact disc (CD) per riproduzioni audio, permettono di raggiungere capacità di memoria di diversi miliardi di byte.

Il software

Software è un termine molto ampio che indica l'insieme dei programmi e dei linguaggi di programmazione che permettono l'utilizzo dell'hardware di un computer. Il software di base rappresenta lo 'strato' di programmi, tra cui il sistema operativo, più prossimo all'hardware. Il software applicativo è composto invece dai programmi e dai linguaggi utilizzati per funzioni specifiche di alto livello, come la gestione di testi, l'archiviazione di dati o la navigazione in Internet.


I programmi

Un programma è una sequenza di istruzioni che indica all'hardware di un calcolatore le operazioni da eseguire per l'elaborazione dei dati. I programmi possono essere vincolati alla struttura del calcolatore, come nel caso dei computer specializzati per un'unica funzione, detti 'dedicati' (ad esempio, quelli presenti nelle calcolatrici tascabili, negli orologi da polso o nelle automobili) o possono esserne indipendenti. Un computer per applicazioni generali contiene sì alcuni programmi o istruzioni non modificabili, rispettivamente nelle ROM e nel processore, ma dipende da programmi esterni per lo svolgimento delle funzioni applicative, quali ad esempio l'elaborazione di testi o la realizzazione di immagini grafiche. Una volta programmato, un computer può compiere tutte e sole le funzioni che il software di cui dispone gli permette.

Linguaggio macchina

Il linguaggio, o codice macchina, è costituito da combinazioni di stati binari direttamente comprensibili al computer. Un programmatore di linguaggio macchina deve inserire ogni dato o comando in forma binaria; ad esempio, una semplice operazione come 'confronta il contenuto di un registro con il dato presente in una certa locazione di memoria' può richiedere la scrittura di una sequenza del tipo: 11001010 00010111 11110101 00101011. La programmazione in linguaggio macchina, oggi non più necessaria, permetterebbe di ottimizzare i programmi per svolgere compiti ben precisi, ma richiede talmente tanto tempo che viene generalmente sostituita con altri tipi di programmazione.


HTML o Hypertext Markup Language

In informatica, formato per documenti ipertestuali utilizzato nella rete World Wide Web e basato sullo standard SGML (Standard Generalized Markup Language). I documenti in formato HTML sono composti da testo, al cui interno sono inserite delle etichette ('tags') che permettono di gestire il formato, l'inserimento di file non testuali (ad esempio suoni e video) e i collegamenti ad altri documenti ('links'). I programmi utilizzati per visualizzare documenti di questo tipo (Web browser) interpretano le istruzioni e forniscono la versione ipertestuale della pagina.

PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO E CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEI MOTORI A CORRENTE CONTINUA


Generalità


Le macchine elettriche sono dispositivi destinati a trasformare energia meccanica in energia elettrica oppure a trasformare energia elettrica in energia meccanica. Nel primo caso, cioè quando si trasforma l'energia meccanica in energia elettrica, la macchina prende il nome di generatore elettrico; nel secondo caso, cioè quando si trasforma energia elettrica in energia meccanica, prende il nome di motore elettrico.

Analizzeremmo in seguito le caratteristiche di un particolare tipo di macchine elettriche dette a corrente continua in quanto producuno corrente continua (nel caso dei generatori) oppure sono alimentate a corrente continua (nel caso dei motori).

I generatori a corrente continua sono detti anche dinamo e trovano applicazione, oltre che per la produzione di corrente continua, anche come misuratori (<<trasduttori>>) di velocità.

I motori a corrente continua vengono utilizzati soprattutto dove è richiesta una regolazione della velocità di rotazione del motore entro ampi limiti, come ad esempio nella trazione elettrica (treni, filobus, auto elettrica ecc.)o in particolari applicazioni industriali per macchine utensili, assi di robot, laminatoi ecc.


Principi fondamentali di funzionamento


Il funzionamento delle macchine elettriche a corrente continua, come quello di quasi tutti i tipi di macchine elettriche di interesse pratico, si basa sui seguenti principi.



A)   Principio di funzionamento del generatore elettrico a corrente continua (Dinamo)


Si consideri un conduttore rettilineo, di lunghezza l (da esprimersi in metri), che venga

mosso, ad una certa velocità, perpendicolarmente alle linee di forza di un campo magnetico.

In questo conduttore si induce una forza elettromotrice di valore:



   E = B l v


Come si nota, nel fenomeno descritto entrano in gioco tre grandezze:

Meccanica (la velocità, vettore v, misurata in m/s)

Magnetica (il campo magnetico, vettore induzione B, misurato in T)

Elettrica (la forza elettromotrice e, misurata in V)

Per stabilire le direzioni ed i versi di queste tre grandezze si applica la regola della mano

destra.


B)    Principio di funzionamento del motore a corrente continua


Si consideri un conduttore rettilineo, immerso in un campo magnetico perpendicolare, che venga percorso da un a corrente continua; su questo conduttore agisce una forza la cui intensità è data dalla relazione


    F =Bll

Come nel caso precedente, nel fenomeno descritto, entrano in gioco tre grandezze:

Meccanica (la forza, vettore F)

Magnetica (il campo magnetico, vettore induzione B)

Elettrica (la corrente l)


Per stabilire le direzioni ed i versi di queste tre grandezze si applica la regola della mano sinistra o mancina.


Applicazione dei principi fondamentali per la descrizione del funzionamento di un generatore di corrente.


Si consideri il caso di un conduttore che si muova a velocità V perpendicolarmente ad un campo di induzione B. Come visto in precedenza si induce in questo conduttore una forza elettromotrice e.

E' importante osservare che se il conduttore in questione viene inserito in un circuito chiuso, per effetto della forza elettromotrice circolerà in detto circuito una corrente elettrica.

Il prodotto della forza elettromotrice e indotta nel conduttore per la corrente circolante l fornisce la potenza elettrica P generata, ossia erogata sul circuito è inserito il conduttore. La corrente elettrica che circola nel circuito, interagendo con il campo magnetico, genera, come si è visto, una forza che tende a frenare il conduttore, ossia a diminuirne la velocità.

Per mantenere la velocità V del conduttore occorre quindi applicare allo stesso una forza esterna F. Moltiplicando tale forza F per la velocità V del conduttore si ottiene la potenza meccanica assorbita dall'esterno.

In conclusione si può dunque dire che il generatore trasforma una potenza meccanica, prelevata dall'esterno, in una potenza elettrica rogata su un circuito.

E'importante anche osservare che entrambi i principi fondamentali illustrati entrano in gioco nella descrizione del funzionamento della dinamo.


Applicazione dei principi fondamentali per la descrizione del funzionamento di un motore.


Si consideri un conduttore immerso in un campo di induzione B e percorso da una corrente I: come visto su questo conduttore si genera una forza che tende a trascinarlo in movimento.

Si noti che il conduttore assorbe dall'esterno (ossia dal circuito elettrico nel quale si è inserito) una potenza elettrica data dal prodotto della tensione esterna applicata per la corrente che percorre il conduttore. Per effetto della forza agente il conduttore si sposterà a duna certa velocità V. Il prodotto della forza generata per la velocità di spostamento del conduttore fornisce la potenza meccanica generata. Come conseguenza del fatto che il conduttore si muove in un campo magnetico perpendicolare, nasce nel medesimo una forza elettromotrice detta «controelettromotrice», che tende, per la legge di Lenz, ad apporsi alla causa che l'ha generata ossia alla corrente I che, percorrendo il conduttore, ha generato la forza che lo ha posto in rotazione. Quindi il sistema descritto consente di trasformare una potenza elettrica assorbita da un circuito esterno in una potenza meccanica generata ed utilizzabile per compiere un lavoro.

Come si è già osservato nel caso della dinamo, entrambi i principi fondamentali illustrati entrano in gioco nella descrizione del funzionamento del motore.


Struttura di una macchina a corrente continua


Sulla base del principio di funzionamento della macchina a corrente continua, è evidente che sono presenti tre parti fondamentali:

  • Una parte destinata a creare un campo magnetico detta Induttore; tale parte è fissa (statore);
  • Una parte (rotore) soggetta al campo ed in movimento relativo rispetto al medesimo nonché percorsa da corrente erogata verso il circuito esterno (dinamo) o assorbita dal circuito esterno (motore); in questa parte, detta indotto o armatura, si crea, nel caso del generatore, la forza elettromotrice mentre nel caso del motore, si genera la forza meccanica;
  • Un dispositivo detto collettore che ha il compito di collegare i conduttori in movimento posti sul rotore con quelli, fissi, del circuito esterno, realizzando la trasformazione della corrente alternata, generata negli avvolgimenti di indotto soggetta in corrente continua.

Lo statore è costituito da un giogo o carcassa a forma di corona circolare su cui sono montati, verso l'interno, i poli o scarpe polari; giogo e poli sono in materiale ferromagnetico.

Sono diffusi anche motori con struttura a sezione quadrata che , a parità di potenza, hanno un'altezza d'albero inferiore rispetto a quella dei motori circolari, consentendo un risparmio di costi e pesi.

Ogni polo porta un avvolgimento di eccitazione le cui spire sono percorse da una corrente continua che produce l flusso magnetico.


Il rotore è costituito da un albero in acciaio, sul quale viene fissato il pacco dei lamieri magnetici sul quale sono alloggiati, in cave, in conduttori di rame. Detti conduttori sono uniti tra di loro, con collegamenti frontali, in modo da costituire un circuito chiuso. Lo spazio d'aria esistente tra rotore e statore è detto traferro.

Il collettore, montato solitamente al rotore, è costituito da una serie di lamelle in rame isolate una rispetto all'altra; ad ogni lamella è collegato un punto del circuito dell'indotto. Sulla superficie del collettore sono poste delle spazzole (realizzate in grafite) fisse e opportunamente posizionate, in modo che, quando il rotore è posto in rotazione, dette spazzole stabiliscono un contatto strisciante con le lamelle delle collettore, realizzando così il collegamento tra circuito esterno fisso e conduttori di indotto in rotazione.


Il complesso collettore - spazzole consente la generazione di corrente continua ( nel caso della dinamo) o l'alimentazione tramite corrente continua ( nel caso del motore).


Altri elementi facenti parte della struttura della meccanica sono:

  • La morsettiera, dove vengono eseguiti i collegamenti tra gli avvolgimenti interni e l'alimentazione esterna;
  • I cuscinetti, che sostengono il motore;
  • La ventola di raffreddamento  e copriventola (per piccole potenze);
  • Gli scudi, che chiudono le varie parti.











La funzione del complesso collettore-spazzole


Il complesso collettore-spazzole è caratteristico e svolge un ruolo fondamentale nelle macchine a corrente continua; è pertanto importante cercare di comprenderne la funzione, facendo riferimento al caso della dinamo.

Si immagini una macchina il cui il circuito magnetico sia composto di una coppia di poli magnetici, N e S, fissi nello spazio, che creano un campo magnetico le cui linee di forza sono dirette da N verso S. Tra i due poli si trova un rotore di forma cilindrica, libero di ruotare.

E' importante osservare che, lungo il traferro, in ogni punto vi sarà un certo valore di induzione magnetica. B, che varierà a seconda dell'angolo rispetto all'asse dei poli; più precisamente sarà nullo in corrispondenza della linea retta che unisce il punto centrale dei poli N e S e sarà massimo in corrispondenza della line perpendicolare a questa.

Sul rotore sono posti due conduttori connessi in modo da formare una spira i cui estremi sono chiusi su due anelli, calettati sull'albero del rotore. Sui due anelli strisciano due spazzole connesse con il circuito esterno fisso.


Quando il rotore viene posto in rotazione a velocità costante, in un verso qualunque, dei due conduttori si induce una f.e.m che, come si è già visto, è proporzionale alla velocità ed all'induzione magnetica B. Se v è mantenuta costante (cioè il rotore è fatto rotare a velocità costante) la f.e.m. è proporzionale a B. Poiché, come detto, B varia nello spazio del traferro da un valore massimo a zero, ne consegue che in ogni conduttore posto sul rotore, rotando, sarà indotta una tensione differente a seconda della posizione che il rotore occupa in un certo istante. Tale tensione varierà dal valore zero ad un valore massimo. In altre parole le variazione nel tempo della f.e.m., indotta sui conduttori posti sul rotore, è determinata dalla distribuzione dell'induzione B nello spazio del traferro.

In particolare poiché la distribuzione dell'induzione nel traferro si può considerare sinusoidale, la f.e.m. indotta nelle spire avrà andamento sinusoidale nel tempo.

Dunque all'interno dei conduttori di indotto si genera una f.e.m alternata che, chiusa tramite il sistema anelli-spazzole su un circuito esterno, provocherà la circolazione di una corrente alternata.

Si immagini ora di sostituire i due anelli precedenti con un dispositivo, il collettore, costituito da un unico anello di materiale conduttore "tagliato" in due semianelli isolati tra loro; ad ognuno dei due semianelli fa capo un estremo della spira.

Le spazzole sono ora poste entrambe in corrispondenza del collettore: sono quindi in grado di strisciare, in tempi successivi, con entrambi i semianelli.

Le spazzole sono poste in modo che al momento in cui il contatto passa da un semianelli all'altro, la posizione dei conduttori sia tale che la f.e.m. indotta sia nulla (ciò si esprime dicendo che le spazzole sono disposte lungo l'asse neutro). In questo modo, mentre l'indotto ruota, la f.e.m. indotta nei conduttori sarà alternativa, ma ogni spazzola si troverà in contatto sempre e soltanto con il semi-anello connesso al conduttore che si trova sotto un determinato polo.

Ne risulta che sul circuito esterno la corrente circolerà solamente in un certo senso; in altri termini le f.e.m. e le correnti alternate indotte nei conduttori posti sul rotore sono raddrizzate ad opera del collettore e trasformate rispettivamente in f.e.m e correnti aventi un andamento pulsante.

L'ondulazione della f.e.m e della corrente nella macchina precedente è molto sensibile, dal momento che tali grandezze passano da un valore massimo allo zero.

In pratica utilizzando un elevato numero di conduttori connessi in modo opportuno ad un collettore composto da un elevato numero di lamelle, si può ottenere una f.e.m ed una corrente praticamente continue, un una modestissima ondulazione residua.


La commutazione

Nel funzionamento a carico l'indotto (montato sul rotore) è percorso dalla corrente.

La corrente percorre il circuito esterno e il circuito indotto che sono interconnessi tramite il collettore a lamelle e le spazzole.

Il complesso dei fenomeni che si verificano nel contatto collettore-spazzola in corrispondenza del passaggio da una lamella del collettore ad una adiacente prende il nome di commutazione.

Come si è detto anche analizzando la funzione del complesso collettore-spazzole, una corretta commutazione richiede che le spazzole siano posizionate in corrispondenza dell'asse neutro.



La reazione d'armatura.


Nella marcia a vuoto il flusso è prodotto esclusivamente dal circuito induttore (montato sullo statore).

Quando il circuito è percorso dalla corrente il campo magnetico non è più generato solamente dalla corrente che percorre l'avvolgimento induttore, ma anche da quella che percorre l'indotto. Come conseguenza il campo magnetico presente a carico è modificato rispetto al campo magnetico presente a vuoto; in sintesi si evidenziano due effetti (negativi per il comportamento della macchina):


  • Una distorsione della distribuzione dell'induzione a traferro;
  • Uno spostamento dell'asse neutro.

Queste variazioni subite dal campo magnetico provocano sostanzialmente due effetti:


  • La distorsione del campo provoca una diminuzione del flusso con conseguente diminuzione di B e quindi della f.e.m;
  • Lo spostamento dell'asse neutro provoca un peggioramento delle condizioni di commutazione (che, come è stato detto, deve avvenire in corrispondenza dell'asse lungo il quale si annulla il campo); il fenomeno si manifesta con un (dannoso) scintillio al collettore.

Per compensare il primo di tali effetti di aggiungono avvolgimenti compensatori annegati delle superfici polari e percorsi della corrente d'indotto mentre, per eliminare il secondo effetto si aggiungono i poli di commutazione.



Equazioni del motore.


Nel seguito di questo paragrafo ci si riferisce, per fissare le idee, ad un motore ad eccitazione indipendente, anche se le conclusioni hanno carattere generale e sono applicabili a tutti i tipi di eccitazione.

Nella figura 5.0.14 è riportato lo schema di questo tipo di motore.

Collegando ad un generatore a corrente continua il circuito di eccitazione(F1-F2) con una tensione continua Uecc l'avvolgimento stesso sarà percorso da una corrente:


Iecc= Uecc/ Recc


Questa corrente circolando nell'avvolgimento induttore provoca flusso proporzionale alla corrente stessa:

F = K1 · Iecc


dove K, dipende dalle caratteristiche costruttive del motore.

Se ora si applica la tensione continua U al circuito indotto (A1-A2) si crea una corrente I. come sopra spiegato l'interazione della corrente che percorre i conduttori di indotto con il campo magnetico genera una coppia motrice ci valore:


Tm = K2 · F · I


dove K2 è una costante diversa dalla precedente, che dipende anch'essa dalle caratteristiche costruttive del motore.

La coppia motrice pone in rotazione il motore (naturalmente se risulta superiore alla coppia resistente applicata all'albero). Per effetto della rotazione del motore, i conduttori rotorici "tagliano" le linee di forza del campo magnetico, generando così nei conduttori stessi una forza elettromotrice che viene raccolta e portata ai morsetti dell'indotto tramite le spazzole. Tale forza elettromotrice (detta forza controelettromotrice) vale:


E = K2 · F w


dove w è una velocità di rotazione espressa in radianti al secondo (1rad/s = 9,5 giri al minuto).

Per la legge di Lenz tale f.e.m ha verso opposto alla causa che l'ha generata, cioè la tensione U applicata ai morsetti del circuito di armatura.

Poiché l'avvolgimento di indotto ha una resistenza R, applicando la legge di Kirchhoff al circuito di indotto, si può scrivere la seguente relazione fondamentale (condizione di equilibrio elettrico):


U = E + (Ri · I)


sostituendo alla E l'espressione precedentemente trovata e risolvendo rispetto ad w si ottiene:

U-(Ri ·I)

w

K2 · F


da cui si deduce che la velocità di rotazione del motore è direttamente proporzionale alla tensione U, applicata all'indotto e inversamente proporzionale al flusso.

Come si nota una diminuzione del flusso (mantenendo costante la tensione U) determina un aumento della velocità: dunque un calo eccessivo del flusso può portare il motore ad una velocità eccessiva( velocità di fuga) con rischio di danneggiamenti.

Come si nota dall'equazione (*), quando la velocità è nulla scompare la forza controelettromotrice E; di conseguenza come si nota dall'equazione (**), la tensione applicata al circuito di indotto è equilibrata dalla sola caduta di tensione sull'avvolgimento di indotto.

Questo comporta un forte aumento della corrente che viene compensato o inserendo in serie al circuito indotto un reostato oppure alimentando il motore con opportuni circuiti elettronici.

Questa situazione si verifica ad esempio nelle fasi di avviamento dei motori.



Un motore a corrente continua ad eccitazione indipendente avente una resistenza di indotto Ri = 0,4 W è alimentato a 200 V ad assorbe una corrente 1=25 A.

Calcolare la forza controelettromotrice E del motore.


Soluzione


Dalla:                             U = E + (Ri + I)


Si ricava:                           E = U - (Ri + I)


Quindi:             

E = 200 - (0,4 . 25) = 190 V



Perdite nei motori elettrici.


Una parte dell'energia elettrica fornita al motore non viene utilizzata (cioè resa disponibile all'asse sotto forma di energia meccanica) in quanto viene dissipata sotto forma di calore nell'ambiente circostante.

Questa energia perduta costituisce le "perdite" del motore.


L'energia viene persa in diverse parti della macchina; corrispondentemente si individuano le perdite di seguito elencate:

  • Perdite nel ferro(P1): vengono anche chiamate perdite magnetiche e si producono nel nucleo del rotore e nelle espansioni polari (montate sullo statore) per effetto delle correnti Foucault e per isteresi. Queste perdite dipendono dalla velocità, dal numero di poli, dal valore dell'induzione magnetica;
  • Perdite meccaniche(Pm): comprendono le perdite dovute al rotolamento dei cuscinetti, alla resistenza incontrata dal rotore nell'aria, alle perdite per attrito dovute allo strisciamento delle spazzole sul collettore. Queste perdite sono proporzionali alla velocità di rotazione;
  • Perdite elettriche(Pel): sono causate dal passaggio della corrente negli avvolgimenti(si di indotto sia di induttore) e nella resistenza di contatto tra spazzola e collettore. Le perdite negli avvolgimenti sono proporzionali al quadrato della corrente che li percorre, mentre le perdite elettriche sul collettore sono proporzionali alla corrente di indotto;
  • Perdite supplementari (Psup): si originano negli avvolgimenti e nei circuiti magnetici per effetto della distorsione del campo magnetico causata dalla reazione d'indotto e per campi magnetici che interessano i circuiti sottoposti alla commutazione. Queste perdite sono valutabili dallo 0.1% allo 0,5% della potenza nominale.






Rendimento dei motori.


Si definisce rendimento di una macchina elettrica il rapporto tra la potenza utile (nel caso di un motore la potenza meccanica P2 disponibile all'asse)e la potenza assorbita P1 cioè:


hm = P2 / P1


La potenza assorbita da un motore elettrico a corrente continua vale:

P1 = U ·I


La potenza P2 disponibile all'asse è data dalla potenza elettrica assorbita diminuita dalle perdite, cioè:

P2 = U·I-(P1 +Pm + Pe + Psup)


In definitiva il rendimento del motore è dato dalla:


hm = P2 / P1= (U · I - (P1 +Pm+ Pe + Psup)) / (U·I)

Il rendimento può anche essere dato in forma percentuale moltiplicando per 100 il valore di hm


hm hm


Il rendimento di un dato motore caria al variare del carico; infatti quando la potenza erogata è bassa le perdite a vuoto sono del medesimo ordine di grandezza della potenza erogata e conseguentemente il rendimento è basso. Un aumento della potenza erogata da fa dapprima crescere rapidamente il rendimento, dal momento che le perdite nel ferro sono praticamente costanti, tuttavia, aumentando ulteriormente la potenza utile, le perdite elettriche crescono proporzionalmente al quadrato della corrente in modo che il miglioramento del rendimento rallenta. Il valore massimo del rendimento è ottenuto generalmente tra i 75% ed i 100% della potenza nominale; in altri termini, sotto il profilo energetico, le migliori condizioni di impiego di un motore si hanno tra i tre quarti ed il pieno carico.

Circa i valori di rendimento che si ottengono in queste condizioni si può dire che esso è compreso tra il 70% ed il 95% (valori più elevati per le macchine si potenza più elevata): dunque, a seconda dei casi, tra il 30% ed il 5% della potenza entrante viene trasformato in calore.

Un motore di potenza P = 10 kW è alimentato alla tensione U = 300 V.

Sapendo che il rendimento del motore vale hm = 0,88 di determini la potenza elettrica P1 e la corrente assorbita.

Soluzione

La potenza elettrica assorbita vale:

P1= 10000/0,81= 12346 W

quindi la corrente assorbita vale:

I= P1/U = 12346/300=41,15 A




























LA BONIFICA PONTINA

Inquadramento storico

La Grande Guerra è terminata ed ha lasciato: paesi rasi al suolo, bestiame decimato dalle requisizioni militari; e tutto ciò grava ancor di più in Italia, nazione che trae la sua ricchezza prevalentemente dall'allevamento e dall'agricoltura.

Venuto il tempo della ricostruzione, le località più disastrate sono interessate da un intenso flusso migratorio: i lavori iniziano e le lotte dei braccianti strappano ai proprietari forti aumenti salariali; i risparmi accumulati e le successive concessioni-calmiere permettono loro l'acquisto di terreni, soprattutto durante gli anni 1922-1926. Si verifica quindi un'intensa azione speculatrice: in breve tempo la domanda cresce, i prezzi dei terreni salgono e a chiunque viva dei prodotti della campagna si sacrifica per acquistare della terra ma quanto si ricaverà dalla sua coltivazione difficilmente potrà compensare le spese sostenute.

L'insediamento, nel 1922, di un nuovo regime politico, il fascismo, non comporta un aumento rivelante dei prezzi dei prodotti agricoli, almeno fino al '26; ma da allora sino al '33 l'economia subisce un netto tracollo: la crisi economica del settore dell'allevamento, la politica di rivalutazione della lira denominata "quota 90", il progressivo peggioramento dei contratti mezzadrili e colonici fanno abbassare vertiginosamente i prezzi delle derrate ed i salari dei braccianti; questi ed i contadini in genere sono così impossibilitati ad estinguere i debiti contratti con l'acquisto delle terre e a sostenere l'aggravio fiscale; le industrie a conduzione familiare strettamente dipendenti dalle sorti della campagna subiscono anch'esse un notevole regresso.

E' in questa situazione che agli occhi delle famiglie più povere l'esodo diviene l'unica possibilità per migliorare le proprie condizioni: gli uomini adulti avrebbero intensificato quel flusso migratorio che dall'Italia nell'Ottocento si era diretto verso l'America e che da poco prediligeva piuttosto l'Europa centrale nonché il triangolo industriale Genova-Milano-Torino. Lontani da casa per buona parte dell'anno (vi fanno ritorno regolarmente al momento del raccolto), gli emigranti favoriscono l'alleggerimento della pressione demografica e la sopravvivenza di chi resta.

Una scelta simile, foriera di speranza, viene drasticamente ostacolata da provvedimenti internazionali: la crisi economica che ha colpito, dal 1921, anche Francia, Svizzera e l'intero continente americano impedisce ai rispettivi governi di poter accettare la manodopera estera, senza distinzioni.

Sotto la spinta data dall'aggravamento della situazione economica italiana la Presidenza del Consiglio dei ministri istituisce nel 1931 il Comitato per la Migrazione e la Colonizzazione Interna (C.M.C.I.).

La malaria e la sua diffusione nell'agro pontino

Il problema pontino, come per tradizione antica viene prospettato dagli igienisti, dagli storici, dagli economisti, dai sociologi, si riassume nella definizione ormai classica di "palude". Il nome di palude pontina suscita visioni suggestive e paurose di ricche foreste emergenti dagli acquitrini, di campi ,fertili per mesi biondeggianti, sulle quali si abbattono i mietitori vinti dalla "febbre mortale". Hebert ha immortalato questa visione palustre e malefica dell'Agro Pontino nella sua classica figurazione: malaria, dove per desolate distese di acque stagnanti navigano, arsi dalla febbre implacabile i miseri fuggiaschi dalla palude pontina.

La malaria pontina, se così è lecito dire, è costituita da tutta la più estesa regione abitata dalle popolazioni che vivono nella zona montuosa che sovrasta la pianura, dalle popolazioni che dalla periferia e da queste montagne emigrano periodicamente nella sottostante e limitrofa zona palustre, ricca di acque anofeliche.

Oltre che nella zona pontina, la malaria era la malattia infettiva più diffusa in almeno 1/3 del territorio nazionale. Il suo passaggio segnava profondamente la salute e la psiche delle categorie più a rischio: i contadini e gli operai. Per rappresentare l'area di diffusione della malaria a la sua mobilità nell'Agro Pontino, le fonti sono diverse per provenienza ed epoca.

Le prime popolazioni, non infette da malaria, sono giunte nelle pianure acquitrinose del Lazio rimanendo immuni dal triste male per un periodo lunghissimo, sino a quando un focolaio di germi diede inizio ad un processo genetico di infezione malarica, compiendo la sua azione devastatrice.

"La malaria viene a perturbare profondamente la vita dei popoli in quanto ne distrugge il sangue, ne affievolisce le forze, ne guasta il carattere, ne rovina la razza e rendono pestifera ed inospitale terra, paralizza ed annulla le risorse e le energie umane".

Per spiegare come sia avvenuto tale fenomeno, esistono due correnti, di cui una fa capo agli Inglesi Jones, Ellet e Ross, l'altra alla scuola italiana del Celli e del Marchiafava e ultimamente del Missiroli.

Il Jones afferma che fino ai suoi tempi non si era data l'importanza dovuta ai fattori biologici per spiegare la decadenza di alcuni popoli. "Fra le più potenti cause della distruzione della razza umana - dice il biologo inglese - sono le malattie endemiche che attaccano specialmente i bambini, uccidendone molti e indebolendone altri". Della malattie endemiche; , la più terribile è senza dubbio la malaria. Secondo alcuni autori, la malaria sarebbe arrivata in Grecia o dalla costa africana o dalla Magna Grecia verso il 500 a.C. e sarebbe stata diffusa in Italia e in Roma dalle emigrazioni dei popoli delle parti meridionali assoldati da Mario e Silla o piuttosto dai Cartaginesi, quando, durante la seconda guerra punica, essi percorsero vittoriosi tutta la penisola. La malaria, che differisce dalle altre malattie soprattutto per la sua immanenza, avrebbe poi, con la sua espansione fra le masse, minato la robustezza fisica e la potenza morale della razza.

La scuola italiana invece, che fa capo al grande malariologo Angelo Celli, considera la malaria come una malattia esistente da epoche remotissime nei paesi nei quali si è formata la civiltà classica, e soprattutto nella Campagna Romana, ma che essa presenta dei periodi nei quali si attenua in forma così lieve, che si potrebbe ritenerla scomparsa, e altri periodi di recrudescenza;  in cui il male si manifesta con tutta la sua forza distruttrice.

Secondo il Missiroli la regressione spontanea della malaria sarebbe stata determinata "dal cambiamento di gusti alimentari negli anofeli che, per un complesso di condizioni ambientali, che regola l'esistenza di questi esseri, hanno preferito pungere il bestiame piuttosto che l'uomo". Ne è risultata così un'alterazione della biologia della specie, che la fa rifuggire dal pungere l'uomo per succhiare solamente il sangue degli animali domestici. Ammessa la possibilità del cambiamento di gusto in un senso, il Missiroli dice che si deve senz'altro ammettere la possibilità di cambiamento di gusto nell'altro senso, quando le condizioni ambientali si fossero mutate nuovamente.

Alla luce dei dati fornitici dall'indagine storica, la malaria, considerata generalmente come inseparabile compagna del paludismo, deve esserne invece provocatrice, tanto che è provato che zone coltivate salubri e dense di popolazione, improvvisamente infestate dalla malaria, dovettero essere abbandonate dai pochi abitatori non uccisi dal morbo, e le acque non più disciplinate dall'uomo, le trasformarono in canneti.

 L'O.N.C. e la pianificazione dei lavori di bonifica

Le regioni prese in maggior considerazione da questo ente risultano essere quelle ancora sommerse dalla palude; il Comitato non è però il promotore quanto piuttosto il continuatore di un progetto secolare: ultimamente è stata la Società Bonifiche Pontine ad interessarsi della sua realizzazione; nel 1925 fallisce e dal '26 lo Stato rileva il suo ruolo.

L'attività di bonifica si svolge istituzionalmente attraverso una serie di organismi centrali e territoriali: Ministero dell'agricoltura e foresta, Cattedre ambulanti di agricoltura, Consorzi di Bonifica, Università Agraria e l'Opera Nazionale Combattenti, la più influente nel settore dell'organizzazione agricola.

L'O.N.C., non solo espleta compiti diversi ed essenziali, come ad esempio la gestione della bonifica sanitaria, cercando di risolvere il grande problema della malaria; ma s'interessa anche e soprattutto della trasformazione agraria e della gestione dei terreni. L'O.N.C. è un ente pubblico avente personalità giuridica e gestione autonoma, fondato in Italia nel 1917 da Francesco Saverio Nitti, con lo scopo di concorrere allo sviluppo economico ed al migliore assetto sociale del Paese, provvedendo alla trasformazione fondiaria delle terre ed all'incremento della piccola e media proprietà; svolge anche un'azione sociale per agevolare ai reduci della Grande Guerra la ripresa delle loro attività civili. Per quanto riguarda il territorio pontino, è di primaria importanza la funzione affidata all'O.N.C.; l'attività di bonifica diviene la sua principale occasione operativa, dato che in una situazione così particolare può adempiere al meglio alle proprie funzioni.

L'O.N.C. scarta ogni ipotesi di agglomerazione degli abitanti e delle masse di individui. Vi sono più motivi alla base di questa impostazione, tra i quali il principale è trasformazione fondiaria dell'Agro Pontino, che risponde in linea generale alla politica fascista, tesa ad eliminare il bracciantato agricolo. Questo obiettivo è d'altra parte coerente con un altro dei motivi dominanti della politica fascista: la polemica contro la città. Infatti i rapporti capitalistici tra lavoro, proletariato e grandi centri urbani vengono indicati nella cultura a cui fanno riferimento, il fascismo, come la causa della decadenza della civiltà occidentale. La bonifica integrale dell'Agro Pontino perciò deve andare nella direzione opposta: creare rapporti di collaborazione tra capitale e lavoro; formare, in seguito al riscatto del podere, un nutrito gruppo di piccoli proprietari coltivatori e, infine, dare vita a strutture aperte al territorio, abbandonando il modello tradizionale della città. La formazione di agglomerati urbani e la formazione di nuovo proletariato andrà nella direzione di un rapporto capitalistico tra le forze di produzione. Scopo del regime è quello di diffondere la piccola proprietà contadina: l'insediamento delle famiglie nei poderi e la dispersione nel territorio ne sono la diretta conseguenza.

All'O.N.C. vengono affidati sessantamila ettari di territorio sui quali svolgere quanto necessario. In questa zona non esisteva una cultura agricola e i cicli produttivi erano del tutto spontanei od inesistenti. Quindi questo ente dovette compiere notevolissimi sforzi per cercare di organizzare una base sociale, prevalentemente agricola, nella zona che gli é stata affidata. Principalmente utilizza due tipi di interventi, uno diretto e l'altro indiretto: il primo attraverso la propria organizzazione ed il proprio apparato tecnico ed amministrativo, preordinato al controllo del sistema di appoderamento; il secondo con una serie di contratti.

Allorché si dà inizio ai primissimi lavori, si rileva la difficoltà di reperire sul posto la manodopera necessaria, essendo la zona da bonificare praticamente spopolata: gli abitanti sono solamente coloro i quali sfruttano l'andamento annuale del prosciugamento delle acque in alcune zone, che vengono utilizzate per la coltura di prodotti stagionali. Ci sono nomadi provenienti dai paesi di montagna dell'alto Lazio, dell'Abruzzo, della Campania, delle Marche, chiamati da molti "guitti", che si stabiliscono in palude soltanto per alcuni mesi dell'anno, nelle lestre e nei procoi, e che dimostrano di essere i più contrari alla bonifica poiché sanno che questa li distoglierebbe per sempre dalle loro consuetudini secolari; i pochi butteri e mandriani non concepiscono forme di vita e di lavoro che non siano quelle connesse con la vita del bestiame brado di cui hanno cura e perciò si mostrano naturalmente ostili nei riguardi dei "nuovi arrivati". Gli abitanti dei Monti Lepini potrebbero offrire il loro aiuto da operai ma non hanno intenzione di andare a lavorare in palude, sia perché è loro sufficiente coltivare la fascia di terra che dai piedi della zona collinare si stende fino all'Appia, sia perché sono fermamente convinti che l'opera di risanamento non potrà mai avere esito positivo. Per quanto riguarda le autorità pubbliche, sono i potestà degli stessi comuni a rammaricarsi dell'inizio dei lavori: le terre della palude sono state fino ad allora loro proprietà e, conseguentemente, fonte di un seppur minimo guadagno.

Tutto ciò costringe i fautori del progetto, almeno in principio, ad avallare l'attività dei loschi figuri chiamati "ingaggiatori" o "caporali": facendo uso di misteriosi canali della malavita assoldano uomini pronti a lavorare nelle peggiori condizioni igenico-ambientali. L'intervento solerte dell'ingegner Prampolini provoca però il subitaneo smantellamento di tale lucrosa organizzazione: egli è originario del Nord Italia e proprio da lì decide di attingere la maggior parte della forza-lavoro, che, seppur vittima di una grave precarietà economica, ha raggiunto un alto grado di specializzazione.

Dal 1926, il territorio inizia ad essere attrezzato con strutture apposite: mentre i baraccamenti in legno costituiscono unità operative mobili, i villaggi operai, seppur ancora in numero esiguo, sono unità rurali fisse, costruite in muratura, comprensive, di una chiesa, una dispensa con forno, scuderie, ambulatori sanitari ed una scuola.

La malaria

La Malaria è una malattia causata dall'infezione di protozoi del genere Plasmodium che si manifesta con febbre intermittente e brividi di freddo. I microrganismi responsabili della malattia vengono trasmessi all'uomo dalla puntura di zanzare del genere Anopheles. La malattia è presente in molte regioni del mondo, ma soprattutto nelle aree a clima tropicale e subtropicale.

Con l'avvio di programmi di bonifica delle aree umide e paludose, dove le zanzare si riproducono, e con la diffusione degli insetticidi, la distribuzione della malaria è rapidamente cambiata: infatti, a partire dal 1950 circa, la malaria è quasi scomparsa in Europa e in molte aree dell'America centrale e meridionale. Continua, invece, a rappresentare un grave problema sanitario per numerose zone dell'Africa e dell'Asia sudorientale. Ogni anno si sviluppano circa 100 milioni di nuovi casi, dei quali circa l'1% ha esito fatale. Come molte altre malattie tropicali, la malaria è una rilevante causa di morte in molti paesi in via di sviluppo.

Tipi di malaria

La malaria umana si presenta in quattro forme, ognuna causata da una diversa specie di parassiti.

La forma più lieve è la malaria terzana benigna, causata dal Plasmodium vivax, in cui la febbre si presenta a giorni alterni.

La malaria terzana maligna, detta anche febbre dei tropici o malaria tropicale, è causata dal Plasmodium falciparum e può avere carattere di estrema gravità causando delirio, coma e infine morte per invasione dei vasi sanguigni cerebrali da parte dei plasmodi.

La malaria quartana, causata dal Plasmodium malariae, ha un periodo di incubazione più lungo: il primo attacco compare a 18-40 giorni dal contagio; gli attacchi successivi si ripetono poi ogni 72 ore.

La quarta e più rara forma della malattia, causata dal Plasmodium ovale, è simile alla malaria terzana benigna.

Indipendentemente dalla specie a cui i plasmodi appartengono, essi presentano un complesso ciclo vitale, che si svolge in parte nell'organismo umano e in parte in quello della zanzara.

Nello stomaco della zanzara avviene la fusione del gamete maschile e di quello femminile, con la formazione di uno zigote: questo perfora la parete gastrica e forma una struttura (sporocisti) da dove si sviluppano nuovi individui (detti sporozoiti). Questi migrano nelle ghiandole salivari della zanzara e, quando questa punge la cute di un uomo, infettano il corpo di questo, infiltrandosi nelle cellule del fegato. Quindi si trasformano in merozoiti, passano nel sangue e invadono i globuli rossi. All'interno di queste cellule prendono il nome di trofozoiti, si nutrono e aumentano di dimensioni. Al termine di questa fase si trasformano in schizonti, si moltiplicano in gran numero e si trasformano in altri merozoiti; successivamente, rompono le pareti dei globuli rossi, diffondendosi nella circolazione sanguigna e infettando altri globuli rossi. La distruzione sincrona e massiccia di una grande quantità di globuli rossi produce il tipico attacco febbrile. Nel sangue dell'uomo si formano i gameti che, quando un'altra zanzara punge quello stesso individuo, infettano quest'ultima e determinano l'instaurarsi di un nuovo ciclo vitale.

Terapia

Uno dei primi trattamenti farmacologici efficaci contro la malaria è costituito dal chinino, una sostanza estratta dalla corteccia dell'albero della china (Cinchona officinalis). Esso ha proprietà tossiche che impediscono la crescita dei protozoi nelle cellule dell'ospite. Nel 1930 alcuni chimici tedeschi sintetizzarono la quinacrina cloridrato, che si dimostrò più efficace e meno tossica del chinino. Dalla fine della seconda guerra mondiale è, invece, disponibile la clorochina, una sostanza in grado di prevenire e curare completamente la malaria tropicale, nonché di sopprimere le altre forme con un'efficacia superiore e una tossicità inferiore a quella dei primi due farmaci (vedi farmacologia).

Recentemente alcuni ceppi di Plasmodium falciparum, diffusi soprattutto in Vietnam, nella penisola malese, in Africa e in Sud-America, hanno sviluppato resistenza al chinino, alla clorochina e ad altri farmaci antimalarici di sintesi. Inoltre, anche alcune specie di zanzare portatrici dei plasmodi sono diventate resistenti a insetticidi quali il DDT, causando un aumento dell'incidenza della malaria in diversi paesi tropicali. Generalmente, chi intende recarsi in aree malariche si sottopone a una cura preventiva a base di farmaci antimalarici (chemioprofilassi antimalarica), che deve continuare fino a qualche settimana dopo il ritorno. Tra i composti maggiormente utilizzati a questo scopo vi sono la clorochina, la meflochina e una combinazione di sulfonamide e pirimetamina; sia la meflochina sia la soluzione combinata sono risultate efficaci nei confronti di ceppi resistenti alla clorochina.

Recentemente sono stati messi a punto diversi vaccini antimalarici, alcuni dei quali hanno già raggiunto la fase di sperimentazione clinica su volontari umani, volta a determinarne sicurezza ed efficacia.


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