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La marcia su Roma
Il fascismo al potere: una volta sbaragliato il movimento operaio il fascismo si pose il problema per la conquista dello Stato. Solo insediandosi al potere il partito avrebbe potuto andare incontro alle aspettative delle masse ingenti. Mussolini in questa fase:
intrecciò trattative con tutti gli esponenti liberali in vista della partecipazione fascista a un nuovo governo;
rassicurò la monarchia sconfessando le passate simpatie repubblicane;
si guadagnò il favore degli industriali annunciando di volere fare spazio all'iniziativa privata;
lasciò che l'apparato militare del fascismo si preparasse alla presa del potere mediante colpo di Stato.
Cosi, il 27 ottobre cominciò la marcia su Roma (una mobilitazione di tutte le forze fasciste). Non fu un vero colpo di Stato ma più un azione squadristica, perché tutto ciò avvenne senza segrettezza. Lo stesso Mussolini credeva poco nella possibilità di un successo "militare" e pensava piuttosto di servirsi della mobilitazione come di un messo di pressione politica.
La scelta del re: il successo delle marcia su Roma (28 Ottobre) fu reso possibile a causa del comportamento del re Vittorio Emanuele III, il quale non attuò nessun provvedimento per contrastare Mussolini. Questo determinò alle camicie nere la strada di Roma e al loro capo la via del potere.
Mussolini capo del governo: Mussolini non si accontentò del risultato ottenuto dalla marcia di Roma ma chiese ed ottenne di essere chiamato lui stesso a presiedere il governo.
Verso lo Stato autoritario
Il gran consiglio e la milizia:Una volta al potere, Mussolini attuò una politica autoritaria (soprattutto contro il movimento operaio) e creò nuovi istituti:
il Gran consiglio del fascismo, che aveva il compito di indicare le linee generali della politica fascista e di servire da raccordo fra partito e governo.
La repressione "legale": una repressione condotta dalla magistrature e dagli organi di polizia mediante sequestri di giornali, scioglimenti di amministrazioni locali. Le vittime principali furono i comunisti, costretti a una sorta di semiclandestinità. Anche gli operai furono colpiti, dove i salari reali subirono una costante riduzione.
La politica liberista: la compressione salariale era importante per la politica del governo, che, fedele alle promesse dalla vigilia, mirò a restituire libertà d'azione e iniziativa privata.
furono alleggerite le tasse gravanti sulle imprese;
fu abolito il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita;
il servizio telefonico fu privatizzato;
si cercò di contenere la spesa pubblica con un sfoltimento nei ruoli del pubblico impiego.
Su un piano economico, la politica liberalista, parve ottenere discreti successi:
notevole aumento della produzione sia industriale che agricola;
bilancio dello Stato tornò in pareggio.
Il sostegno della chiesa: un sostegno decisivo lo ebbe da una chiesa cattolica, in cui stava riprendendo le tendenze più conservatrici. Per molti cattolici, il fascismo allontanò il pericolo di una rivoluzione socialista e di avere restaurato il principio di autorità.
la legge elettorale maggioritaria e le liste nazionali: Mussolini aveva il problema di rafforzare la sua maggioranza parlamentare, e per questo ci fu l'introduzione della nuova legge elettorale maggioritaria. la legge assegnava i 2/3 del parlamento chi avesse ricevuto il 25% dei voti. Molti esponenti liberali e alcuni cattolici decisero di candidarsi assieme ai fascisti nelle lista nazionali. Si creò cosi il blocco delle nazioni del '21 con i fascisti in posizione dominante. Le forze antifasciste erano invece divise:
I due partiti socialisti, i comunisti, i popolari, i liberali d'opposizione guidati da Giovanni Amendola;
gli altri partiti minori si presentarono con proprie liste.
La vittoria fascista: nonostante questo vantaggio iniziale, i fascisti non rinunciarono alla violenza contro gli avversari, sia durante la campagna elettorale sia nel corso delle votazioni. La vittoria fascista assunse cosi proporzioni clamorose, tanto da rendere inutile il meccanismo della legge maggioritaria.
Il delitto Matteotti e l'Aventino
L'uccisione di Matteotti il deputato Giacome Matteotti, segretario del Partito socialista unitario fu rapito a Roma da un gruppo di squadristi e caricato a forza su un'auto e ucciso a pugnalate. Dieci giorni prima di essere ucciso, Matteotti aveva pronunciato alle Camere gli imbrogli elettorali e dichiarò che avrebbe fornito le prove. Era natuale che la sua scomparse suscitasse nell'opinione pubblica, un indignazione contro il fascismo e il capo.
Isolamento fascismo: il paese capì che il delitto era il risultato di una pratica consolidata di violenze, di cui Mussolini e i suoi seguaci portavano intera la responsabilità. Il fascismo si trovò cosi isolato.
La debolezza degli oppositori: l'opposizione indebolita dalle elezioni, non aveva la possibilità di mettere in minoranza il governo. L'unica iniziativa fu quella di astenersi dai lavori parlamentari e di riunirsi finchè non fosse stata ripristinata la legalità democratica.(secessione dell'Aventino)
L'aventino la secessione dell'Aventino, aveva un'efficacia inutili, i partiti "aventiniani" si limitarono ad agitare di fronte l'opinione pubblica una "questione morale" sperando in un intervento della corono o sfaldamento maggioranza fascista. Ma il re non intervenne.
Il discorso del 3
Gennaio e la svolta autoritaria: l'ondata antifascista rifluì e Mussolini, decise di contrattaccare. Il
3 Gennaio
La dittatura a visto aperto
Tra il '25 e il '26 si consumò la fine dello Stato liberale: fascistizzazione della stampa, persecuzione degli antifascisti, rafforzamento dei poteri del capo del governo, legge per "la difesa dello Stato", scioglimento di tutti i partiti.
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