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Il secondo dopoguerra in italia




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IL SECONDO DOPOGUERRA IN ITALIA

PANORAMICA GENERALE


La guerra del 1914-18 era stata soprannominata 'mondiale' perché ad essa avevano partecipato anche paesi extraeuropei e perché aveva avuto una risonanza mondiale, anche se le battaglie di gran lunga più importanti erano state combattute sui fronti europei.

La guerra del 1939-45, invece, aveva veramente coinvolto tutto il mondo: in Asia, nel Pacifico e in Africa si combatté non meno aspramente che in Europa.

Il conflitto travolse anche le popolazioni civili: città bombardate, campagne devastate, milioni di persone deportate in massa o costrette a fuggire dinanzi all'incalzare della guerra. I morti della prima guerra mondiale furono circa 10 milioni, quelli della seconda almeno 50 milioni, di cui forse la metà civili.

Si colpì non solo il nemico armato, ma anche l'inerme cittadino, quando lo si scopriva appartenente a una razza diversa. Si crearono campi di sterminio simili a vere e proprie fabbriche per eliminare migliaia di uomini al giorno: 4 milioni dall'inizio alla fine della guerra, nel solo campo di Auschwitz. Si giunse a uccidere migliaia e migliaia di persone in pochi minuti di bombardamento aereo; la guerra si concluse con lo scoppio della bomba atomica, che da sola era bastata a distruggere una grande città.

Rimarginate le ferite della guerra, le condizioni economiche dei paesi più ricchi si avviarono verso un continuo progresso; si accrebbero così le distanze fra i paesi poveri ancora affamati, come l'India, molti paesi dell'Estremo Oriente, gran parte dell'Africa e dell'America meridionale, e i paesi ricchi, che sembravano soffrire di nuovi mali nati proprio da un eccesso di ricchezza, dalla subordinazione di tutti i valori individuali e sociali al potere economico, dall'esigenza di produrre e consumare sempre di più (e' quella che oggi si chiama la 'civiltà dei consumi'), stimolando per reazione la protesta e la ricerca di nuovi diritti, di una nuova libertà.


LA RIPRESA DEMOCRATICA IN ITALIA


All'indomani della liberazione l'Italia riprendeva il corso della sua vita democratica, dopo la lunga pausa dovuta alla dittatura fascista. Era un'esperienza del tutto nuova per gran parte dei cittadini, e anche se molti uomini politici del mondo prefascista assunsero importanti responsabilità, è certo che il collegamento col passato, dopo le drammatiche esperienze vissute, era assai difficile.

Al di là dei problemi politici, di fronte agli Italiani stava la tragica realtà economica. Le campagne, devastate dalla guerra e abbandonate dai contadini, producevano solo la metà del grano che veniva prodotto nel periodo prebellico.

Le grandi città avevano subito massicci bombardamenti e molte erano semi distrutte: le vie di comunicazione erano interrotte (per quasi un anno fu assai difficile persino il collegamento tra Milano e Roma), il materiale ferroviario quasi interamente distrutto; la flotta mercantile, prima della guerra una delle maggiori del mondo, in gran parte affondata. Le difficoltà di collegamento e d'approvvigionamento delle materie prime, in particolare di quelle provenienti dall'estero, impedirono che si potesse sfruttare a fondo la capacità produttiva delle nostre industrie, rimasta relativamente integra anche grazie alla vigilanza operaia (le distruzioni non superavano un quarto del totale degli impianti). La necessità primaria era dunque di lavorare intensamente per ricostruire il paese e a questo scopo la via più breve era il ricorso all'aiuto che ci veniva offerto dagli americani.

Grazie a questi aiuti e alla compressione dei salari (i lavoratori, colpiti da una fortissima disoccupazione, dovettero limitare le rivendicazioni economiche) si poté riavviare la macchina della produzione e stimolare l'iniziativa privata.
I risultati economici furono notevoli: si ebbe una rapida ricostruzione, cui seguì una ripresa straordinaria dello slancio produttivo, tanto che quindici anni dopo si parlava con ammirazione nel mondo del miracolo economico italiano.
La produzione si sviluppò tuttavia in modo disordinato anche per la mancanza di un'efficace controllo da parte dei pubblici poteri, soprattutto in materia fiscale, fatto grave questo, le cui conseguenze si dovevano avvertire più tardi.

Anche il risveglio culturale del paese fu straordinariamente vivace.

L'esperienza violenta della guerra e degli anni della Resistenza, la speranza d'un futuro migliore, la caduta delle barriere che avevano isolato per tanti anni la nostra cultura da quella europea, aprirono orizzonti nuovi e stimolarono un nuovo fervore creativo. Si affermarono scrittori nuovi, il nuovo cinema italiano sorprese e commosse le folle del mondo.

Erano forme d'espressione fresche, dirette, anche crude della realtà, dopo tanti anni di retorica e di torpore morale.

Il nostro movimento intellettuale contribuì moltissimo a ricreare i necessari legami spirituali con gli altri paesi dai quali per molto tempo il nostro destino era stato diviso.


DALLA LIBERAZIONE AL REFERENDUM ISTITUZIONALE


Sul piano politico, ai partiti, che rappresentavano il principale legame con l'Italia prefascista, si ponevano difficili problemi di adattamento alla nuova realtà economico-sociale.

Bisognava tener conto, oltre tutto, dell'inserimento di fatto dell'Italia nella sfera d'influenza anglo-americana. Così la Democrazia Cristiana, erede del Partito Popolare, venne ad assumere il ruolo di baluardo contro l'avanzata del comunismo e a mettere in secondo piano le esigenze di rinnovamento pure sentite da molti suoi uomini.

Il Partito Socialista era diviso tra una maggioranza favorevole alla collaborazione coi comunisti e una minoranza che vi si opponeva. Il Partito Comunista, invece, sotto la guida di Togliatti rinunciò alla prospettiva di una rivoluzione immediata e si dedicò a una paziente opera di allargamento dell'elettorato e di penetrazione nelle organizzazioni sindacali.

Accanto a questi 'partiti di massa' si muovevano formazioni politiche minori, pur se guidate da uomini di grande prestigio: il Partito Repubblicano, che si richiamava agli ideali mazziniani; il Partito d'Azione e la Democrazia del lavoro, che sarebbero scomparsi presto dalla scena politica, il Partito Liberale, conservatore e difensore dell'iniziativa privata.

Il 25 aprile 1945 il CLN, che controllava ormai completamente la situazione nelle regioni settentrionali, assunse tutti i poteri civili e militari e nel giugno seguente designò FERRUCCIO PARRI, l'animatore della nostra Resistenza nazionale, come capo d'un governo al quale parteciparono i partiti Comunista, Socialista, Democristiano, Democratico del lavoro, Liberale e d'Azione. Il Partito d'Azione chiese che si mantenessero in vita, come organi locali, i Comitati di Liberazione, ma non fu sostenuto dagli altri partiti, neppure della Sinistra. Gli stessi comunisti, che in pratica li controllavano, ne accettarono la soppressione, puntando le proprie carte sull'esito delle elezioni ormai prossime. Questi contrasti determinarono in novembre la caduta del governo Parri al quale succedette, un mese dopo, un nuovo governo presieduto dal democristiano ALCIDE DE GASPERI. Gli altri partiti continuarono a collaborare, nonostante l'irrigidimento nei rapporti tra i due blocchi sul piano internazionale acuisse le divergenze politiche all'interno della nuova coalizione.

Perché l'Italia potesse intraprendere il suo cammino verso la ricostruzione e la democrazia, andava innanzitutto risolto il problema istituzionale decidendo, mediante un "referendum nazionale", nel quale per la prima volta in Italia il voto veniva esteso alle donne, se mantenere la monarchia sabauda o dare al paese l'istituzione repubblicana.

Vittorio Emanuele III, direttamente compromesso con l'abbattuta dittatura fascista, abdicò il 9 maggio 1946 in favore del figlio Umberto. Ma il regno di UMBERTO II fu assai breve: il 2 giugno, con una maggioranza di due milioni di voti (12.718.019 contro 10.709.423), nasceva la Repubblica Italiana. Il giurista napoletano ENRICO DE NICOLA ne diveniva il presidente provvisorio, mentre i Savoia prendevano la via dell'esilio.


I PRIMI GOVERNI REPUBBLICANI E LA COSTITUZIONE


Copertina dell' 'Illustrazione Italiana'                           9 febbraio 1947


Nell'elezione dei rappresentanti dell''Assemblea Nazionale Costituente, i democristiani ottenevano un importante e in qualche modo inatteso successo rispetto ai socialisti e ai comunisti. Questi tre partiti costituirono un governo ancora guidato da DE GASPERI, che affrontò decisamente il fondamentale problema della ricostruzione.

Furono create in questo periodo le regioni autonome, VAL d'AOSTA, TRENTINO - ALTO ADIGE, SICILIA e SARDEGNA (alle quali più tardi s'aggiungerà il FRIULI - VENEZIA GIULIA). Nelle isole, soprattutto in Sicilia, s'era intanto sviluppata una tendenza al separatismo.

Nel febbraio del 1947 l'Italia siglava a Parigi il trattato di pace con le nazioni vincitrici. Oltre alle colonie e al Dodecanneso, restituito alla Grecia, l'Italia cedeva l'Istria e parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia e alla Francia, tra l'altro, l'alta valle Roja con Briga e Tenda. La città di TRIESTE venne posta sotto l'amministrazione anglo-americana e solo nel 1954 fu restituita all'Italia in cambio della cessione alla Jugoslavia dei territori a sud della città.

A conferma dell'ottimo clima in seguito stabilitosi nei rapporti tra Italia e Jugoslavia, il trattato di Osimo nel 1975 regolò definitivamente i problemi di confine tra i due stati.

Nel luglio del 1947 all'interno del Partito Socialista, legato allora ai comunisti da un patto d'unità d'azione, si verificò una scissione che portò alla fondazione del nuovo partito socialdemocratico; quest'ultimo, pur accettando i postulati del socialismo, era contrario all'unità d'azione coi comunisti.

I° LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI


I° LEGISLATURA - SENATO DELLA REPUBBLICA


Tale scissione permise alla Democrazia Cristiana di rinunciare alla collaborazione dei partiti dell'estrema sinistra. Alcide De Gasperi che, dopo un viaggio in America e poco prima della scissione socialista aveva costituito un governo senza i comunisti e i socialisti, formò, dopo le elezioni del 18 aprile 1948 che diedero la maggioranza assoluta dei seggi alla Democrazia Cristiana, il primo governo di coalizione coi partiti di centro(liberali, socialdemocratici,repubblicani).

Questa formula di governo fu detta 'quadripartito' e aprì la fase dei governi 'centristi' in cui la Democrazia Cristiana aveva un peso preponderante.

All'opposizione rimasero le forze di sinistra (comunisti e socialisti), sia quelle di estrema destra, che diedero vita al Partito Monarchico e al Movimento Sociale Italiano. L'ultimo atto unitario dei partiti usciti dalla Resistenza fu l'elaborazione della 'Costituzione', il documento su cui si sarebbe basata la nascente democrazia italiana. Entrata in vigore il primo gennaio 1948 la Costituzione sanciva che la Repubblica era retta su sistema parlamentare. Pur se destinata a restare per diversi anni parzialmente mai attuata, anche in istituti fondamentali, la Costituzione ha orientato tutta la vita pubblica italiana successiva al 1948, ed il processo di sviluppo del nostro paese e' stato segnato dalla progressiva realizzazione di quanto in essa era stato scritto all'indomani della Resistenza.


PROBLEMI DELLA RICOSTRUZIONE E RIPRESA ECONOMICA


La ricostruzione economica e civile continuò dopo il '47 nel clima politico esasperato dai riflessi della guerra fredda, il meno adatto all'attuazione di quelle riforme di cui la società italiana aveva bisogno per rinnovarsi autenticamente. I problemi continuavano ad essere assai gravi: nonostante gli sforzi fatti, avevamo più disoccupati di qualsiasi altro paese europeo; la nostra moneta aveva subito una svalutazione paurosa (5000 lire del 1947 valevano come 100 del 1938), le scuole funzionavano a fatica ed erano comunque insufficienti; la frattura tra classi privilegiate e classi popolari era accentuata dalla mancanza di approvvigionamento alimentare, cosicché continuava una deplorevole pratica del 'mercato nero', cioè la vendita clandestina a prezzo maggiorato di generi alimentari rari o razionati, che era cominciata negli anni della guerra. Andava intanto affrontato anche l'aspetto attuale d'uno dei più antichi problemi della storia d'Italia: la questione meridionale. Anche se molto di ciò che divideva nord e sud era cambiato nel cammino percorso dal paese, restava da risolvere il problema del divario economico tra le due parti della penisola. A parte la realtà geografica che influiva sul diverso grado di sviluppo economico, pesavano sul problema le conseguenze politiche create dagli ultimi anni di guerra, quando i contatti tra nord e sud erano stati del tutto interrotti. Nei primi anni della ricostruzione, mentre nel nord il capitale privato riavviava le grandi industrie e incrementava la produzione, il sud mostrava scarsi segni di risveglio. Per correggere questa tendenza, nel 1950 venne istituita la CASSA PER IL MEZZOGIORNO che utilizzava denaro pubblico per incrementare lo sviluppo industriale e agricolo nel meridione. Vennero potenziate le aziende industriali di proprietà di enti pubblici (come L'IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, o l'ENI, Ente Nazionale Idrocarburi), facenti capo allo Stato.

Nel 1957 la nascita del MEC (Mercato Comune Europeo), riducendo progressivamente le barriere doganali fra gli Stati che vi aderivano (Francia, Germania Federale, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo), favorì lo sviluppo economico dell'Italia, inserendola in modo più organico nel quadro della vita europea.

Attraverso la collaborazione economica, il Mercato Comune avrebbe dovuto creare rapidamente le premesse per un'integrazione anche politica fra gli Stati Europei. I progressi fatti in questa direzione sono stati tuttavia fino a oggi assai lenti. Si e' dovuto aspettare il 1979 per poter far eleggere a suffragio universale dai cittadini dei nove paesi costituenti la CEE (COMUNITA' ECONOMICA EUROPEA, alla quale nel 1973 hanno aderito anche Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca) il primo parlamento europeo.


IL CENTRO-SINISTRA


Fino al 1953 i governi italiani erano stati dominati dalla personalità di Alcide De Gasperi, che aveva saputo garantire l'equilibrio nella vita politica del paese; ma nelle elezioni avvenute in quell'anno la Democrazia Cristiana perse la maggioranza assoluta in parlamento e De Gasperi si ritirò dalla scena politica. Egli morì l'anno seguente.

Le condizioni del paese cominciarono a mutare, sia per effetto dell'evoluzione politica interna del paese, spinta ora da un rapido progresso economico, sia perché sul piano internazionale si verificò, in seguito alla morte di Stalin e all'attenuarsi della tensione tra i due blocchi, un progressivo miglioramento di rapporti che finì col ripercuotersi anche sulla situazione italiana.

L'unita' d'azione tra i socialisti e i comunisti cessò di essere rigida e col tempo parve possibile che il PSI potesse essere accolto fra i partiti di governo. D'altra parte si rendeva sempre più urgente la necessità di dare ordine all'economia del paese e di provvedere alle indispensabili riforme sociali.

Da questo nuovo stato di cose nel 1962 nacque, dopo numerosi contrasti, il primo governo di centro-sinistra, presieduto da AMINTORE FANFANI, cui parteciparono democristiani, socialdemocratici e repubblicani con l'appoggio esterno dei socialisti (entrati poi nei successivi governi di centro-sinistra).

Tale governo mise in atto la nazionalizzazione dell'industria elettrica; fu anche realizzata una riforma della scuola media come primo passo verso una generale riforma del nostro sistema scolastico, assai importante per il futuro del paese.

L'ingresso dei socialisti al governo nel 1963 provocò l'uscita dal PSI del gruppo che fondò il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP), in seguito confluito nel PCI. Nel 1966 si e' avuta la riunificazione del PSI e del PSDI, seguita tre anni dopo (luglio 1969) da una nuova scissione.

Il '68, manifestazione

Nel paese si e' intanto verificata una crescita della coscienza di classe dei lavoratori culminata nelle conquiste dell''autunno caldo', come fu detto l'autunno del 1969, quando la casuale coincidenza del rinnovo di alcuni importanti contratti di lavoro, in particolare di quello dei quasi due milioni di lavoratori metalmeccanici, creò nel paese un movimento unitario di lotta quale non s'era mai visto in Italia.

Lo STATUTO DEI LAVORATORI, entrato in vigore nel giugno 1970, la realizzazione dell'unita' d'azione fra le tre maggiori centrali sindacali (CGIL, CISL, UIL), ormai autonome dai partiti, e le importanti lotte per le riforme sociali hanno fatto avanzare nel nostro paese il movimento dei lavoratori.


GLI ANNI '70


All'inizio degli anni settanta i governi di centro-sinistra entrarono in crisi e il problema più importante della politica italiana diventò quello di trovare nuovi rapporti tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.

L'istituzione delle Regioni, che ha consentito di attuare il principio costituzionale del decentramento del potere da Roma alle comunità periferiche, ha anche favorito lo stabilirsi di relazioni meno rigide fra i partiti nelle diverse zone del paese.

Nel 1972 e nel 1976 vi sono stati scioglimenti anticipati del Parlamento per la impossibilità di dare vita a governi destinati a restare in carica per periodi di durata non effimera su maggioranze stabili.

Dopo le elezioni del 1976 e per ispirazione di ALDO MORO (esponente della Democrazia Cristiana) tuttavia si stabilirono accordi che consentirono al Partito Comunista di appoggiare indirettamente il governo e in seguito di entrare nella maggioranza parlamentare. Portarono a questo risultato l'accettazione da parte comunista delle istituzioni di tipo occidentale e delle alleanze internazionali dell'Italia (cosiddetto EUROCOMUNISMO) e la necessità di fare appello a tutte le forze politiche per avviare un programma di governo capace di fronteggiare la crisi economica e sociale che investiva il paese, di cui un'ondata di attentati compiuti da organizzazioni clandestine fu l'aspetto più preoccupante.

La strage di via Fani a Roma (16 marzo 1978) e il successivo assassinio di Aldo Moro compiuto dalle BRIGATE ROSSE sono stati gli episodi più drammatici di una serie di delitti che terroristi senza scrupoli hanno posto in essere per compromettere la vita democratica dell'Italia, a cominciare dalla strage alla Banca dell'Agricoltura di Milano (12 dicembre 1969).

Il governo 'di unità nazionale', presieduto da GIULIO ANDREOTTI e costituito dalla DC con l'appoggio di PCI, PSI, PSDI e PRI, entrò in crisi all'inizio del 1979. Nel giugno dello stesso anno si svolsero nuove elezioni politiche anticipate che non consentirono di sciogliere con immediatezza i nodi della situazione politica italiana, lasciando aperti i problemi della costituzione di una larga maggioranza parlamentare e dei rapporti tra i due maggiori partiti.

Permasero ancora i problemi della lotta al terrorismo, del rafforzamento delle istituzioni democratiche (di cui fu simbolo il presidente della Repubblica SANDRO PERTINI, eletto a grande maggioranza l'8 luglio 1978 dopo le dimissioni di Giovanni Leone), del superamento della recessione economica e della crisi energetica, in una prospettiva di pace e di collaborazione internazionale.


GLI ANNI PIÙ RECENTI


Il 1945, anno della fine della seconda guerra mondiale, ha segnato l'inizio di un'epoca, definita 'l'età delle superpotenze', dominata dalla presenza e dalla concorrenza di due grandi blocchi politico-militari, entrambi in grado di distruggere l'avversario e con esso la vita su tutto il pianeta. Ma la stessa epoca e' stata contrassegnata anche da una relativa stabilità politica nei paesi appartenenti ai due schieramenti contrapposti. Più difficile e' riconoscere quando questo periodo si sia concluso, e quando sia maturato, nell'economia, nella società, nella cultura, un assetto diverso. Certo e' che tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta si sono verificate, a poca distanza di tempo l'una dall'altra, una serie di crisi dalle forme e dagli esiti diversi, che hanno posto fine alla relativa stabilità generata dalla divisione in blocchi politico-ideologici. Prima di tutto si e' prodotta una grande crisi a carattere culturale e politico, con la grande ribellione giovanile dei tardi anni sessanta, esplosa simultaneamente in molti paesi; poi, nel 1971, alcuni processi di indebolimento dell'ordine economico internazionale hanno indotto la potenza-guida dell'Occidente, gli USA, ad abbattere uno dei pilastri della stabilità postbellica, il sistema monetario internazionale stabilito a Bretton Woods nel 1944; infine, nel 1973, la crisi petrolifera, la riduzione cioè della disponibilità di petrolio accompagnata dall'impennata del prezzo di questa e altre materie prime, ha provocato un'ondata inflazionistica e recessiva in tutti i paesi industrializzati, determinando una forte instabilità sociale. Tra il 1968 e il 1973 si e' quindi esaurito il dopoguerra, e' giunta al termine l'età delle superpotenze', e si e' aperta una nuova fase di forte instabilità politica e sociale sia all'interno dei paesi sviluppati sia nei rapporti internazionali. La scelta di fissare come data di inizio del nostro tempo il 1971, anno della fine del sistema monetario internazionale nato con il dopoguerra, ha carattere convenzionale. L'abbandono del sistema di Bretton Woods e' esattamente databile e le sue conseguenze sono state immediatamente visibili.


A partire dalla metà degli anni settanta, il mondo occidentale ha attraversato una fase di trasformazione profonda sul piano economico, paragonabile, per l'intensità e per le conseguenze, alle due rivoluzioni industriali avvenute tra il XVIII e il XIX secolo e tra il XIX e il XX secolo. Non a caso si parla, infatti, di una 'terza rivoluzione industriale', fondata soprattutto sullo sviluppo della tecnologia informatica e sulla sua applicazione alla produzione industriale e a molti sevizi. E insieme all'informatica va ricordato lo sviluppo della bioingegneria, cioè l'attivazione nel campo dell'agricoltura e dell'allevamento di tecnologie quali finora erano state applicate solo alla materia inerte.

Il periodo che va dalla fine del sistema Bretton Woods (agosto 1971) alla caduta del muro di Berlino (novembre 1989) e' stato caratterizzato da un processo inverso rispetto a quello che aveva avuto luogo nel periodo 1929-1940. Allora, l'intervento dello Stato in economia si era presentato come la sola possibile soluzione a una crisi irreversibile dei meccanismi di mercato.

Negli ultimi due decenni, al contrario, l'intervento statale e' stato presentato all'opinione pubblica come il vero problema da risolvere, in quanto fonte di inefficienza e di sperpero, mentre e' stata fortemente rivalutata la capacità del mercato, non più guidato da interventi politici, di agire quale efficace meccanismo regolatore. Il prevalere di questo nuovo 'senso comune' ha accompagnato, alla fine degli anni settanta, l'avvento di nuovi gruppi di potere di orientamento conservatore ('neoliberista') in molti paesi occidentali, a cominciare dagli USA, e, in alcune zone, ha portato allo smantellamento dell'apparato di intervento pubblico che aveva caratterizzato il WELFARE STATE. Il mutamento del ruolo dell'intervento pubblico e' stato accompagnato, in quasi tutte le maggiori potenze, da quello che i politologi chiamano un 'riallineamento', cioè un cambiamento delle relazioni fra forze politiche e società, una ridefinizione delle basi sociali dei maggiori partiti, e di conseguenza un cambiamento delle coalizioni di governo.

Ciò è avvenuto nei paesi anglosassoni, dove alla crisi prolungata dei vecchi sistemi di partito e' seguita l'ascesa di gruppi 'neoconservatori' che hanno conquistato il potere all'inizio degli anni ottanta; ma fenomeni simili si sono registrati anche in Francia, Spagna e Portogallo, dove la caduta del sistema di potere conservatore ha lasciato il posto a partiti socialdemocratici.

I soli paesi di rilievo dove non e' avvenuto avvicendamento sono il Giappone e l'Italia: qui però si e' verificato nell'ultimo decennio una crisi strisciante del sistema di potere che sembra portare negli anni novanta a un significativo 'riallineamento' elettorale, e all'esigenza di un riordino complessivo delle istituzioni.

Dalla metà degli anni ottanta, l'ondata di instabilità e di riorganizzazione che già aveva attraversato il mondo occidentale ha toccato, sconvolgendolo, il 'blocco orientale' costituito dall'Unione Sovietica e dai paesi dell'Europa dell'Est. Nel 1989 questo processo ha portato alla fine dei regimi comunisti in tutti i paesi dell'Europa orientale e ha minacciato anche l'assetto politico del paese più popolato del mondo, la Repubblica popolare cinese; due anni dopo, nel 1991, ha condotto alla dissoluzione di fatto dell'Unione Sovietica.

Il periodo che va dal 1971 al 1991 può essere quindi visto come l'epoca della fine dell'equilibrio bipolare e della nascita di un complesso, e per il momento ancora informe, equilibrio multipolare; come un'epoca caratterizzata dalla profonda organizzazione delle strutture produttive e dei sistemi politici dei paesi sviluppati, e dell'accentuarsi progressivo del divario tra le aree mondiali economicamente forti e quelle afflitte da un cronico sottosviluppo; come un'epoca nella quale sembra entrato in una crisi profonda, e forse irreversibile, quel movimento socialista la cui ascesa e la cui potenza avevano caratterizzato la vita politica internazionale per un secolo circa.








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