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Inchiesta della Caritas sulla tratta a scopo di sfruttamento




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Inchiesta della Caritas sulla tratta a scopo di sfruttamento


Sommario



Premessa

La strada, luogo di sofferenza e di possibilità di salvezza

Lo sfruttamento sta cambiando

Situazioni di difficoltà nei paesi d'origine, fattori d'attrazione dei paesi di arrivo

La definizione di tratta

Il cliente

La tratta, tra solidarietà e diritti

I servizi e le risposte al fenomeno della tratta

Per uscire dall'isolamento

Necessità di essere accolte

Quando non si ritrovano le forze per affrontare la vita

Per prevenire e curare malattie, per l'assistenza legale

Per superare l'emergenza e l'improvvisazione

Informazione della società civile

La strada dei diritti e dei doveri















Premessa


La tratta degli esseri umani è uno dei commerci più redditizi, ancor più del traffico di droga o delle armi. Quotidianamente viviamo questa terribile realtà, basti infatti pensare all'arrivo degli albanesi sulle nostre coste o a quello più recente dei curdi sulla cui disperazione e ricerca di futuro il racket internazionale sta speculando fortemente. Non è difficile comunque immaginare come tratta di esseri umani, traffico di droga e commercio di armi, siano fenomeni connessi tra di loro e della cui pericolosità e drammaticità bisogna essere sempre più coscienti e informati per saper distinguere tra vittima e trafficante/sfruttatore, tra diritti e soprusi.

Tra le varie sfaccettature della tratta di esseri umani, quella a scopo di sfruttamento sessuale sta divenendo la più rilevante sia per le implicazioni umane e psicologiche sia per gli aspetti sociali e civili che determina.

Per quanto sia difficile la quantificazione reale, dovuta naturalmente al carattere clandestino che viene dato al traffico, si ritiene che il fenomeno sia in espansione grazie anche ad alcune connivenze della malavita locale e internazionale che ne agevolano la mobilità. È un fenomeno presente in tutto il mondo con una stima di circa un milione di donne trafficate a fini di prostituzione di cui il 35% minori di 18 anni. In Europa l'industria del sesso ne traffica da 200.000 a 500.000 l'anno, di cui in

Italia circa 30.000.

Il fenomeno si è palesato in Italia già nei primi anni '80, allorquando ragazze sudamericane, in parte consapevoli delle attività che avrebbero dovuto svolgere ma non delle modalità, di violenza e schiavitù, venivano fatte giungere in Italia tramite canali amicali o parentali.

Con la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, a seguito anche dei noti avvenimenti che hanno mutato l'Europa, il flusso di giovani prostituite è stato caratterizzato da arrivi particolarmente dall'Europa dell'Est. A questa fase si aggiunge, intorno al 1994, l'arrivo piuttosto consistente di donne da alcuni Stati Africani. Oggi, pur continuando il periodico arrivo da paesi africani e dell'America latina, il traffico è maggiormente caratterizzato dalla presenza di ragazze, giovani e spesso minorenni, dall'Europa dell'Est.

Sotto l'aspetto giuridico, gli arrivi sono prevalentemente clandestini o garantiti da visti per lavoro come artisti nei locali notturni. Spesso, prima di giungere nei «luoghi di lavoro» le vittime vengono costrette a dei lunghi percorsi fra vari paesi d'Europa nell'intento di disorientarle oltre che di evadere più facilmente i posti di controllo.

È ovvio, quindi, che anche la permanenza di queste donne nelle varie città di destinazione sia mantenuto «protetto» e al sicuro al fine di evitare d'imbattersi nelle Forze dell'Ordine. Sono, infatti, ospitate in appartamenti o case in quartieri tranquilli e vengono fornite del necessario per il quotidiano. Quante mostrano reticenza nell'eseguire le prestazioni richieste, sono sottoposte a violenze che mettono a repentaglio la loro stessa incolumità. Spesso, dopo essere state violentate e percosse, vengono immerse in vasche con acqua gelida in modo da non far comparire lividi o ematomi così da poter essere immediatamente immesse sulla strada.


La strada, luogo di sofferenza e di possibilità di salvezza


Ed è proprio la strada l'unica loro possibilità di salvezza: infatti i controlli delle Forze dell'Ordine o le retate da parte di queste o un cliente più attento e oculato o i volontari di associazioni che svolgono attività di recupero o di prevenzione sulla strada, permettono a queste vittime di poter uscire dal racket. Naturalmente, l'uscire da questa situazione non è senza ripercussioni e gravi danni per le stesse donne, per le loro famiglie d'origine e per quanti le proteggono. L'individuare, da parte degli sfruttatori, uno dei percorsi di fuga delle donne e il luogo di approdo protetto, determina un grosso pericolo non solo per l'incolumità fisica delle persone ma anche delle strutture in cui queste sono presenti. Molte delle donne che riescono a sfuggire a questo traffico, una volta in situazioni di protezione, denunciano i loro sfruttatori o, perlomeno, danno alle Forze dell'Ordine indicazioni valide per poter arrivare all'organizzazione criminosa. E questo ha dato possibilità di arrivare a scoprire molte organizzazioni malavitose locali che agevolano questo traffico e all'incarcerazione di parecchi malavitosi.


Un cambiamento nel meccanismo


Per questo motivo però lo sfruttamento sta modificandosi: nei primi periodi le donne venivano reclutate normalmente nelle città dei paesi d'Africa, dell'America latina o dell'Europa dell'Est con lo stratagemma di offrire loro l'opportunità di un migliora mento di vita tramite la migrazione in un paese europeo e la promessa, in questo, di un lavoro redditizio. Una volta accettato, le donne venivano fornite di documenti falsi con i quali raggiungere direttamente il paese di destinazione. Solo arrivate a destinazione venivano informate del loro lavoro e del debito da esse contratto con l'organizzazione che aveva fornito documenti, biglietto di viaggio, alloggio, vitto e posto di lavoro. Normalmente vi erano delle persone che oltre a controllarle e ad avviarle al lavoro, riscuotevano la paga mensile. Quindi c'era un contatto diretto con lo sfruttatore. L'ammontare del debito si aggirava sui sessanta milioni di lire e quando veniva sanato esse potevano essere libere ma spesso questo non avveniva poiché molte donne, prima del termine del rimborso del debito, venivano vendute ad altre organizzazioni, spostate di località e indotte a ricominciare l'attività e sostenere il conseguente rimborso del costo avuto dalla nuova organizzazione per il loro acquisto. Una loro fuga diveniva motivo di rappresaglia nei confronti anche delle compagne e peggioramento delle condizioni di vita e di sfruttamento di quest'ultime.

Attualmente sembra che questo meccanismo sia cambiato. Innanzitutto, la criminalità sembra agire sempre meno nelle città di origine e si sia spostata per il reclutamento verso le campagne o le zone montagnose, in piccoli paesi quasi sempre isolati e mal collegati con i centri urbani. Quindi si vanno a individuare contesti più ingenui e maggiormente vulnerabili.

L'approccio è quasi sempre di proposta matrimoniale con una persona in Europa e quindi con collegato progetto immigratorio o di proposta di lavoro redditizio sempre in Europa in mestieri sicuri e ben retribuiti. La richiesta viene proposta alla famiglia di appartenenza della giovane, quasi sempre, questa, consenziente. Se la famiglia accetta di buon grado, viene ricompensata con limitate somme in valuta pregiata ma anche costretta a firmare un contratto in cui si definiscono i termini dell'accordo matrimoniale o lavorativo per la giovane. In questo contratto viene definito il debito per quanto riguarda le spese di viaggio, di documentazione, di alloggio presso la città nel proprio paese da cui la donna partirà verso l'Europa, di prima sistemazione presso colui che dovrà sposarla (una specie di dote) o immetterla nel lavoro promesso.

Questo contratto si chiude con un debito che va da cinquanta a ottanta milioni di lire e con la clausola che, mensilmente, la stessa persona che ha preso il contatto con la famiglia e che ha steso il contratto, riceverà la quota prevista per il rimborso del debito da un membro della famiglia, spesso una delle sorelle della malcapitata. In caso di inadempienza o ritardi vengono confiscati lentamente i beni della famiglia e nel caso questa non ne avesse, il contraente ha facoltà di disporre a suo piacimento di altri membri della famiglia stessa. Una volta giunta in Europa in aereo, la donna prescelta viene ricevuta da persone che, tramite altri mezzi, la conducono in località lontane dai posti di frontiera e di giorno in giorno viene trasferita in altri paesi da altre persone, fino a giungere a destinazione. Qui, spesso ignara del paese che la ospita, la donna viene condotta in un appartamento dove già vi sono altre connazionali che la introducono al lavoro riservatole. Naturalmente, tra un passaggio e l'altro, tra una località e l'altra, viene iniziata alla prostituzione dai suoi stessi accompagnatori. Per cui, una volta giunta a destinazione, essa conosce già quale sarà il suo lavoro e le saranno indicate le modalità per l'invio del denaro alla sua famiglia per il rimborso del debito. Di norma questo invio è effettuato regolarmente tramite mezzi bancari. Quindi la giovane donna non ha più una persona che direttamente la sfrutta ma riceve indicazioni dalle compagne di alloggio o da una donna responsabile del loro menage. Una sorta di sfruttamento indiretto è attivato comunque anche nel quotidiano in quanto le giovani donne devono acquistare il necessario per vivere da chi glielo fornisce direttamente in casa, sempre tramite questa responsabile. Una volta estinto il debito, la donna è libera, ma molto spesso la sua personalità è talmente provata da non avere la forza di tornare in Patria ne di cercare altre opportunità nel paese in cui si trova (anche perché permane la situazione di clandestinità), per cui rimane a disposizione dei suoi aguzzini o per iniziare all'attività altre connazionali arrivate nel frattempo o per continuare una collaborazione di copertura o comunque di sostegno all'intera organizzazione malavitosa. Questo secondo meccanismo sembra il più sicuro per gli sfruttatori e per tutta la macchina malavitosa, non solo a livello economico ma anche per la copertura che esso offre essendo più difficile alle donne individuare la persona o le persone da denunciare alle Polizie d'Europa ed essendo pressoché impossibile incriminare la persona che in Patria ha contattato la propria famiglia. Inoltre le donne hanno immensa paura a denunciare quest'ultimo per il timore delle ripercussioni sui propri familiari. Un esempio: una ragazza di origine africana, aiutata da un cliente, è riuscita a fuggire dalla strada e tramite una associazione a essere trasferita al sicuro.

Fatta la denuncia in Questura sono state avviate le indagini che hanno condotto a ben poco per la limitatezza delle informazioni, mentre in Patria la famiglia è stata messa in condizione di concedere, alla persona che aveva redatto il contratto, un'altra figlia che è stata indotta alla prostituzione nel paese di origine.


Situazioni di difficoltà nei paesi d'origine, fattori d'attrazione dei paesi di arrivo


Questi meccanismi di inserimento di esseri umani, soprattutto di giovani donne, nella tratta sembrano ripetersi, pure (ironia della sorte) nel rispetto delle tradizioni e usanze culturali locali, nei vari paesi d'Africa, America latina ed Europa dell'Est. Essi mettono in luce, oltre alla scaltrezza di quanti organizzano il traffico, le situazioni di difficoltà in cui versano le varie popolazioni. Sono situazioni di povertà endemica, sono situazioni di disoccupazione, di mancanza di accesso ai beni primari, di difficoltà di realizzare le proprie prospettive, sono situazioni in cui anche la speranza sembra ormai lontana per i singoli come per le comunità a livello politico, sociale e anche religioso. Di fronte a queste realtà che esprimono le povertà più pesanti e nel con tempo i fattori di espulsione, il progetto migratorio diviene l'unica opportunità di uscita da un meccanismo ormai farraginoso e destinato a non mutare. Dall'altro lato, i fattori d'attrazione che il mondo industrializzato ed economicamente avanzato rappresenta, incentivano ancora più la chimera del progetto migratorio. Per cui ogni opportunità di uscita dal proprio paese viene perseguita fino alle estreme conseguenze, poiché il progetto migratorio non solo viene condiviso da tutta la famiglia di appartenenza ma diviene per questa speranza agognata. Colui o colei che sceglie di emigrare avverte il peso storico del carico che mette sulle proprie spalle e anche il peso psicologico che una partenza, quasi sempre definitiva, implica. E sulla base di questo substrato di speranze che la malavita internazionale, tramite quella locale, si è organizzata sfruttando le risorse di quanti, partendo, intendono cambiare il proprio e l'altrui futuro. Essa è talmente ben organizzata che riesce a individuare le persone «giuste» cui incentivare le prospettive di una emigrazione e l'avverarsi di un sogno. Spesso le donne individuate sono anche le più labili psicologicamente sia per tendenze personali che per fattori familiari.

quello che impressiona dalla lettura di queste dure realtà è che la malavita riesce a captare con immediatezza i desideri e le speranze della gente, riuscendo a organizzare le risposte in maniera convincente e rispondente alle aspettative, sebbene con modalità discutibili. Gli Stati, i Governi, non sono in grado, tramite le loro agenzie istituzionali, a captare, a capire le esigenze dei propri popoli. Per cui, la malavita riesce a superare i Governi in capacità organizzative, mettendoli spesso di fronte ai fenomeni in maniera drammatica e problematica. Quando si parla di progetto migratorio realizzato tramite la catena della malavita organizzata, significa che colui che lo effettua si pone al di fuori di ogni regola migratoria come di ogni legge degli Stati verso cui cerca di approdare. Ancor più chi, come le vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, incappa in questi ingranaggi, è automaticamente posto non solo al di fuori delle leggi (questo diviene motivo di ricatto da parte degli sfruttatori nei confronti delle vittime così da mantenerle alle proprie dipendenze) ma anche al di fuori della definizione classica dell'immigrazione questo concetto è importante perché troppo sovente si definiscono le vittime della tratta come «immigrate prostitute», termine non esatto sia perché quante sono indotte nella tratta sono donne «prostituite» (termine che indica la non libera scelta), sia perché sono sin dall'inizio inserite in un percorso di sfruttamento che non può essere assimilabile al fenomeno immigratorio. Infatti, in questi casi, le leggi che governano i due fenomeni sono o dovrebbero essere diverse: una cosa è la legge che regola il flusso migratorio e l'inserimento degli immigrati nella vita di un paese, un'altra è la legge che combatte il traffico internazionale, di esseri umani e salvaguarda le vittime, sebbene a quest'ultime, nel percorso d'uscita, possono essere offerte opportunità di inserimento nella vita di un paese simili a quelle degli immigrati classici (permesso di soggiorno per motivi di lavoro, iscrizione al collocamento etc.).


La definizione di tratta


A questo punto si rende necessario dare una definizione di tratta di esseri umani. Il Parlamento Europeo intende per tratta di esseri umani «l'atto illegale di chi, direttamente o indirettamente, favorisce l'entrata o il soggiorno di un cittadino prove niente da un paese terzo ai fini del suo sfruttamento utilizzando l'inganno o qualunque altra forma di costrizione o abusando di una situazione di vulnerabilità o di incertezza amministrativa».

Gli elementi essenziali di questa definizione sono lo sfruttamento, l'inganno e la vulnerabilità delle vittime che, uniti con il trasporto delle stesse, determinano il crimine di tratta e lo distinguono dal puro sfruttamento, dandogli una connotazione più precisa che dovrebbe facilitarne l'identificazione anche in sede giudiziaria e giuridica. Inoltre è bene ricordare che spesso si è portati a confondere le vittime con i colpevoli, attribuendo alle prime le responsabilità e le colpe di quest'ultimi. Sono necessari perciò strumenti giuridici capaci di distinguere con precisione sfruttatori e vittime e di concentrarsi sulla criminalizzazione degli sfruttatori. E, di pari passo, vanno promossi strumenti di politica sociale tali da dare alle vittime l'occasione di una scelta alternativa alla strada e la possibilità di affermare i loro diritti fondamentali.


Il cliente


Tra sfruttatori e vittime si pone un altro personaggio di cui bisogna prendere coscienza: il «cliente». Il cliente è una figura che attraversa le classi sociali, le professioni e le fasce d'età. Non è necessariamente una persona sola e priva di legami affettivi, oppure portata a comportamenti irregolari e a rischio: piuttosto si nasconde perfettamente nella normalità di esistenze, ordinarie e «insospettabili». È proprio il cliente che determina la legge di mercato; in altre parole, dove c'è l'offerta di un prodotto esiste una forte domanda dello stesso. Senza volersi immettere in argomentazioni che esulano da questa trattazione, si deve però sottolineare che affrontando la questione «cliente» si incontra un complesso problema culturale ed educativo, che abbraccia dimensioni come quelle della concezione dei rapporti uomo-donna, dell'educazione all'affettività, di un'enfasi di storta sulla sessualità come oggettivazione dell'altro, di una tendenza alla commercializzazione di ogni sfera dell'esistenza. Da questo punto di vista il fenomeno della tratta si rivela come un sintomo inquietante di malesseri ben più profondi, e nello stesso tempo richiede un'assunzione piena di responsabilità sia nei confronti della domanda, sia verso le vittime del traffico che questa domanda alimenta.



La tratta, tra solidarietà e diritti


Il fenomeno della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale è certamente un fenomeno sempre esistito, si ricordi infatti la tratta delle bianche da alcuni paesi europei (tra cui l'Italia) quando erano questi a versare in situazioni di precarietà e povertà. È altrettanto vero che oggi esso, grazie anche alla rete dell'informazione, emerge con tutta la sua drammaticità e complessità, sollecitando le coscienze dei singoli come delle comunità. In Italia, l'associazionismo è riuscito a portare il fenomeno di fronte all'opinione pubblica, interpellando sia la società che il mondo politico. Collegandosi poi al volontariato che in altri paesi europei è presente nella lotta alla tratta di esseri umani, esso è riuscito ad attivare quelle risorse che permettono oggi di offrire un riparo sicuro alle vittime e di assicurare alla giustizia una serie di trafficanti. Pur conscio dei propri limiti e della vasta rete che la criminalità internazionale riesce ad organizzare, esso sta con perseveranza tessendo una propria rete fatta di solidarietà da un lato e di pressione politica dall'altro. n traffico di esseri umani è uno di quei tristi fenomeni che richiedono, per essere arginati, il convinto interesse di Governi che debbono intervenire non solo promulgando leggi ma soprattutto applicandole con rigore. Sotto questo aspetto bisogna riconoscere che l'Italia e il suo Governo si stanno ponendo in una situazione di avanguardia nella lotta al traffico di esseri umani e nella difesa dei diritti umani delle vittime. È stato infatti inserito nella nuova legge sull'immigrazione un articolo, i116, che oltre ostacolare e penalizzare il traffico, tenta anche di salvaguardare le vittime dando accesso a benefici, quali il permesso di soggiorno per lavoro o per studio. Inoltre è stato insediato un Comitato di coordinamento delle azioni di governo contro la tratta di donne e minori a fini di sfruttamento sessuale, presso il Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio. Questo comitato dovrà entro poco tempo, sulla base dei trattati internazionali ratificati dall'Italia e delle delibere del Consiglio d'Europa, individuare una norma che, emanata dal Governo, contrasti con efficacia la tratta di esseri umani a scopo di abuso sessuale e determini per le vittime percorsi di uscita e di recupero. Inoltre il Governo italiano, sulla base di questa norma chiederà all'ONU di considerare, nel contesto del Tribunale dei crimini contro l'umanità, la stessa tratta come crimine contro l'umanità.

Questi passi, di chiaro carattere politico, lasciano capire il preciso intento del Governo italiano di raccogliere la sfida iniziata dalle forze di volontariato, cui si accennava, e dare significato e concretezza al rispetto dei diritti delle persone, a partire da quello della loro dignità, e anche di considerare seriamente l'esigenza di una informazione adeguata agli italiani con l'intento di provocare anche nella società un cambiamento culturale.

Questi impegni, che si vuole sperare vengano perseguiti comunque da chi ha le responsabilità dello Stato, confermano quanto sia importante la cooperazione tra le forze del volontariato, che hanno l'immediatezza quotidiana delle povertà, e le Istituzioni pubbliche che hanno gli strumenti per poterli rimuovere.


I servizi e le risposte al fenomeno della tratta


La realtà della tratta, si è visto, coinvolge migliaia di persone in Italia. Si parla di una cifra di donne immigrate prostitute, che varia dalle 15.000 alle 20.000. In questo ambito sono comprese le donne prostitute forzate. Anche in altri paesi dell'Europa vi sono migliaia di donne costrette a questo lavoro. Quando si presentano dei numeri si dimentica che dietro a ogni numero vi è una persona. La tratta è collegata con altre forme di criminalità organizzata. Presenta una perversa creatività, resa necessaria per andare incontro ai desideri dei clienti: si richiedono ragazze sempre più giovani, per evitare il rischio dell'Hiv/Aids; ragazze dalla pelle bianca, se la pelle nera «va meno bene»; rapporti non protetti, se questa è la richiesta

E i bisogni delle giovani, delle ragazze, che vengono prelevate da casa e dai loro villaggi con inganni e raggiri? E i loro diritti? E le violenze fisiche, psichiche e morali che subiscono? Non contano niente? In effetti è il denaro che determina tutto: l'acquisto della ragazza dietro modesto compenso alla famiglia povera; il prestito dei soldi alla ragazza per il viaggio; il ritiro dei documenti non appena arrivate al paese di destinazione: il denaro prelevato ogni sera dopo le prestazioni, per evitare che essa lo spenda; le minacce continue, fino a completo pagamento del riscatto, che va dai 50 agli 80/100 milioni, con una cadenza settimanale o mensile; la eventuale vendita ad altra persona od organizzazione Evidentemente questo tipo di commercio frutta bene e sfugge ai controlli, essendo limitato il rischio di cade re nelle maglie della giustizia. E questo è uno dei volti della tratta, dal punto di vista dei bisogni evasi e di quelli dimenticati, di quelli soddisfatti e di quelli disattesi. Esistono tuttavia altri due aspetti che non possono essere trascurati quando si parla della tratta. Il primo è relativo alla società civile, che non sa, sembra non sapere, non viene informata, ma che deve rendersi conto e non può non sapere. Tutti i cittadini, di fronte a questa vera e propria emergenza sociale non possono rimanere inermi e trincerarsi dietro alla «ignoranza» sul vero aspetto della realtà. I clienti che richiedono determinate prestazioni, devono sapere che sono loro i soggetti che provocano o che consentono questo «infame commercio». Anche la società civile nel suo insieme, nel cui ambito avviene la suddetta compravendita, deve essere consapevole della riduzione in schiavitù di decine di migliaia di donne. A tutti la responsabilità di reagire, porre un freno e, finalmente, crescere in umanità, dando forse una svolta decisiva a questo problema, affacciandosi alle soglie del terzo millennio di «civiltà». È necessario, infatti, un cambiamento per troncare il commercio di esseri umani e porre fine alla strumentalizzazione e allo sfruttamento delle donne, dietro al quale si nascondono sicuramente altri tristi commerci, quali droga, armi, riciclaggio di denaro sporco, etc.

Il secondo aspetto è relativo alle istituzioni, ai pubblici poteri, preposti proprio per offrire alla società strumenti di regolamentazione, norme di comportamento necessarie per la convivenza umana e per assicurare la giustizia. Anche le istituzioni in questo campo hanno degli impegni nei confronti della società civile. È il campo dei diritti delle persone violate e dei doveri di coloro che realizzano e rendono possibile il commercio di esseri umani. Sono questi i tre fronti sui quali iniziative e servizi sono nati e si sono moltiplicati in questi ultimi anni. Molto resta da fare anche perché gli organizzatori della tratta riescono a cogliere i cambiamenti e i segnali di allarme prima quasi che si manifestino e, di conseguenza, cambiano i loro comportamenti. E questo sia a livello nazionale, sia a livello internazionale. Si può tuttavia tentare una sintesi di iniziative e servizi a partire da bisogni e diritti dimenticati delle vittime della tratta.

Sono stati visitati luoghi di accoglienza e centri di ascolto, unità mobili e forme di presenza sulla strada, commissariati, ospedali, cooperative sociali, porti e stazioni ferroviarie. Si è riflettuto insieme a un Gruppo Nazionale ecclesiale di coordinamento, allo scopo di maturare linee comuni di impegno, realizzare una rete di servizi e iniziative, dare vita a momenti di scambio e di formazione. La visione di insieme che ne è scaturita offre un quadro complesso di sofferenze e disponibilità, vuoti e opportunità, sogni infranti e diritti calpestati.

Ascolto, accoglienza, accompagnamento, inserimento sociale: dalla parte delle vittime. Non è sempre facile leggere i bisogni reali, dietro racconti infarciti di paura, diffidenze e menzogne. Non è facile neanche comprendere quali siano i diritti calpestati in mesi e anni di soprusi e inganni. Si deve tuttavia dire che ogni tipo di servizio è nato per rispondere alle esigenze più profonde e anche a quelle primarie di donne e ragazze che si sono trovate ad un certo punto a voler girare pagina, a fuggire da soprusi e inganni. La maggior parte dei servizi sono nati in risposta a esigenze quasi immediate, a emergenze sociali, che difficilmente si potevano comprendere in tutta la loro portata. Poi piano piano è nata la riflessione, lo studio, l'attenzione alle cause, le connessioni. E ne è derivato un lavoro più mirato. Comunque, inizialmente bisognava rispondere subito. E spesso ancora oggi è necessaria la risposta immediata, in un luogo nuovo. Qui di seguito presentiamo i tipi di servizi e iniziative nati in risposta ai bisogni delle vittime.



Per uscire dall'isolamento


Le donne che hanno vissuto questa realtà hanno dovuto subire violenze di ogni tipo: sono state ingannate e raggirate, in alcuni casi dai loro «fidanzati» e dai promessi sposi italiani o connazionali. Esse si trovano spesso sole, senza conoscere la lingua e i

costumi dell'Italia; non sanno come sono arrivate e attraverso quali paesi, perché ultimamente i «commercianti» per fare perdere le loro tracce, le trasferiscono da un luogo all'altro e con mezzi di trasporto diversi, prima di farle arrivare in Italia.

Esse si chiudono in un silenzio profondo, in un grande isolamento. Si attribuiscono colpe diverse. Si sentono in debito con la famiglia, che ha loro affidato il grave compito di inviare soldi e mezzi di sostentamento per i fratellini o i figli piccoli. Nasce l'esigenza della comunicazione, dopo avere rotto il muro del silenzio. Sono nati un po' ovunque in Italia centri di ascolto, linee telefoniche, luoghi di rifugio sulla strada, dove alcune religiose garantiscono un luogo di riferimento, unità mobili, in cui le donne possono trovare chi le ascolta, chi è in grado di dare loro un consiglio o una consulenza, informazioni sanitarie e orientamenti verso altri Servizi. Anche i centri di ascolto territoriali, aperti a ogni tipo di bisogno, si sono attrezzati per favorire in giorni e orari prestabiliti, punti di riferimento precisi per persone che accusano questo tipo di problema. La presenza di mediatrici culturali, cioè di persone dello stesso paese o della stessa etnia delle giovani, facilita il primo con tatto e la comunicazione più approfondita, con riferimento sia alle attese delle donne, sia alle esigenze degli operatori e delle operatrici, che devono rendersi conto del quadro di riferimento culturale delle persone con le quali attivare un progetto. Centri di ascolto specifici o con momenti di presenza di personale specializzato per questo tipo di problema sono già stati attivati, a nostra conoscenza, in Sicilia, Puglia, Campania, Lazio, Marche, Emilia Romagna, Toscana, Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino, Friuli. In alcune di queste regioni il Servizio è svolto prevalentemente dal volontariato, da Congregazioni religiose, da associazioni etc.; in altre, dall'Ente Pubblico in collegamento con il privato sociale.


Necessità di essere accolte


La strada è quasi per tutte il luogo di lavoro, mentre l'abitazione è costituita da appartamenti dove si trovano insieme alcune ragazze dello stesso paese, accomunate dallo stesso tipo di lavoro. Per chi decide di parlare, di uscire dal giro, ci sono i debiti da pagare, per evitare ritorsioni su di sé e sulla famiglia; bisogna poi trovare un alloggio «protetto», lontano da sguardi indiscreti, lontano dal luogo in cui si è lavorato. Vi sono centri di prima accoglienza, pronti a rispondere all'emergenza più immediata. Le case famiglia e le comunità alloggio rispondono invece al bisogno di una certa stabilità abitativa; le ragazze sono accolte insieme ad altre persone che hanno vissuto la loro stessa situazione o con altre giovani portatrici di analoghi disagi e comunque con la presenza di operatrici e operatori che svolgono un lavoro di accompagnamento. In alcuni casi si rende necessario un grosso lavoro di ricostruzione della persona, attraverso un vero e proprio itinerario personalizzato, con obiettivi precisi e tappe determinate, con l'aiuto di una équipe di esperti in varie discipline.

In alcune province, come Venezia, Udine, Lucca, sono state preparate famiglie, collegate tra loro e con gli operatori del territorio e della comunità circostante, per l'accoglienza di giovani, specialmente minori, che hanno bisogno di un ambiente particolare e di essere circondate da affetto e cure, per recuperare i valori distrutti e per superare il disagio che compromette la crescita armonica della persona. Tra le famiglie non mancano nuclei familiari formati da donne, che hanno percorso la stessa strada delle ragazze, e che ora, superato il disagio, si sono sposate con italiani o con uomini del loro paese, hanno figli e si rendono disponibili all'accoglienza. Il loro impegno diventa un segno di solidarietà con persone del proprio paese e un modo per esprimere gratitudine al centro attraverso il quale è stato possibile il difficile cammino, e con il quale hanno deciso di collaborare.

Case di accoglienza, case famiglia, comunità alloggio sono sparse un po' ovunque: Palermo, Brindisi, Bari, Napoli, Caserta, Capua, Gaeta, Roma, Lucca, Firenze, S. Benedetto del Tronto, Ancona, Macerata, Rimini, Bologna, Modena, Ferrara, Milano, Bergamo, Torino, Venezia, Padova, Verona, Treviso, Udine, Pordenone, etc. Esse sono guidate o gestite da operatrici appartenenti a Congregazioni religiose, a gruppi di volontariato, di ispirazione cristiana e laica. Alcune sono in convenzione con l'Ente Pubblico, altre sono realizzate con offerte e fondi della Chiesa cattolica.

Anche la Chiesa evangelica ha una presenza in questo delicato settore ed è impegnata anche nell'ambito della sensibilizzazione e dell'impegno socio-politico.


Quando non si ritrovano le forze per affrontare la vita


Non tutte le giovani riescono a riscoprire in se le risorse necessarie per uscire dal giro e per riacquistare fiducia in se stesse. Sono stati avviati in alcune zone dei gruppi di auto-aiuto e di mutuo-aiuto, dei quali fanno parte giovani che si trovano in momenti diversi del processo di uscita e per le quali si ritiene possa essere significativo l'affiancamento di persone con analoghi problemi o che sono in via di superamento di essi.

I gruppi di auto-aiuto sono per lo più formati da giovani di una stessa nazione, per facilitare la comunicazione. Il desiderio di riscatto da una situazione di schiavitù, l'esigenza di continuare a inviare soldi alla famiglia e l'impossibilità, spesso, di tornare in Patria, per motivi diversi, fanno emergere l'urgenza di una qualificazione professionale, della conoscenza della lingua e del reperimento di un posto di lavoro, che dia una certa tranquillità. In questo campo le iniziative sono state le più diverse e tutte realizzate all'insegna della creatività. Alcune, finanziate con fondi della Comunità Europea, altre realizzate più semplicemente da parrocchie o gruppi di volontariato, da altri organismi del settore no profit, come cooperative, associazioni, etc.

Corsi di lingua italiana e di altre lingue, corsi di qualificazione professionale taglio e cucito, cucina, assistenza domiciliare a persone anziane, corsi di artigianato in settori diversi. Sono le iniziative avviate in alcune zone, dopo una piccola indagine di mercato volta ad individuare le maggiori richieste. Sono state anche studiate e realizzate forme di tirocinio, specie per quanto riguarda corsi di cucito, cucina, assistenza domiciliare, presso piccole aziende familiari o presso famiglie opportuna mente preparate ad accogliere e affiancare le ragazze.

Per sopperire alla necessità di appositi strumenti di formazione, sono stati preparati opuscoli e semplici strumenti operativi al fine di fornire nozioni di base adeguate al lavoro di assistenza domiciliare o ad altri tipi di lavoro.

Cooperative di Servizi e artigianali in alcune zone hanno offerto posti di lavoro per inserire, nella massima discrezione, una o due ragazze per volta. Roma, Pesaro, S. Benedetto, Bergamo, Bologna, Rimini, Milano, Torino sono tra le città in cui si è fatto qualcosa in ambito lavorativo, ma molte altre potrebbero essere menzionate. Sono più rari i casi di ragazze tornate nei propri paesi, in Africa o nell'Europa dell'Est, spesso con l'aiuto dell'Organizzazione Internazionale Migrazioni; che organizza i viaggi delle giovani e provvede all'accompagnamento e all'affidamento delle stesse all'arrivo, specie se si prevedono problemi in Patria. Per le ragazze rientrate e per coloro che possono rientrare si stanno progettando iniziative di reinserimento sociale, attraverso l'avvio di piccole fabbriche e di corsi di qualificazione professionale. Sono iniziative allo studio dei Governi e anche di organismi come le Caritas dei diversi paesi, federate tra loro in Caritas Internationalis e di Congregazioni religiose.


Per prevenire e curare malattie, per l'assistenza legale


Altri e diversi problemi sono relativi alla salute, all'affiancamento in giudizio, a consulenze di tipo legale o altro. Le strutture sanitarie, le aziende sanitarie locali, i centri medici per immigrati, i gruppi di specialisti che offrono gratuitamente prestazioni mediche, sono i punti di riferimento per quanto riguarda i problemi sanitari che le ragazze devono affrontare. Malattie, ma non solo; gravidanze, aborti, cure preferite riportate, tentati suicidi. In tutti questi casi, nelle diverse zone d'Italia, si sono trovati modi per affrontare queste situazioni e offrire dei punti di riferimento precisi e discreti. Anche per le consulenze legali ci si è serviti di strutture pubbliche o di prestazioni di esperti che a titolo gratuito forniscono le necessarie prestazioni, in collegamento con le strutture di accoglienza delle giovani.


Per superare l'emergenza e l'improvvisazione


In molti casi, si è detto, bisogna rispondere all'emergenza con servizi immediati di ascolto, accoglienza. Le istituzioni che si sono rese disponibili ad accogliere chi bussava alla porta e la maggior parte di esse sono Congregazioni religiose femminili sentono a un certo punto il peso di portare avanti una iniziativa senza una adeguata preparazione. Sorge così da più parti la grande richiesta di formazione, per essere in grado di affrontare con competenza e professionalità situazioni delicate e difficili. È necessario in alcuni casi conoscere i problemi legati alle violenze subite dalle giovani; si deve sapere in che modo garantire ragazze senza documenti e senza riconoscimento giuridico di alcun genere; si deve essere preparati ai ricatti degli sfruttatori e muoversi per trovare in altri luoghi un punto di accoglienza. Diverse iniziative di formazione sono nate. Alcune più strutturate, altre semplificate; alcune a livello nazionale, altre locali; alcune proposte dal pubblico, altre dal privato sociale; alcune con i fondi della Comunità Europea, altre con forme di autofinanziamento. Sarebbe necessario a questo punto studiare itinerari di formazione differenziati con una conoscenza di base per tutti e con indicazioni precise per orientare a Servizi e specialisti diversi, a seconda delle esigenze delle vittime. Ma questo campo rimane ancora abbastanza scoperto. Per terminare l'aspetto relativo ai Servizi, sembra si possa fare una considerazione finale. Anche se molto è stato fatto e in modo differenziato e in diverse zone d'Italia, lì dove i bisogni si manifestano e diventano cogenti, è importante a questo punto un maggiore coordinamento di iniziative. Qualcosa sta nascendo, altre forme di collegamento andrebbero promosse, perché la fase dell'emergenza sembra superata e bisogna camminare in modo organizzato. Per offrire un'immagine figurata si potrebbe dire che vi sono tanti tasselli, ma che si dovrebbe tendere maggiormente alla composizione del mosaico. In un recente Seminario, organizzato del Gruppo nazionale ecclesiale impegnato nella lotta contro la tratta, i partecipanti all'incontro hanno voluto esprimere in tre slogan il lavoro futuro: costruiamoci efficaci, cioè con preparazione, con incisività, per operare meglio, dandoci strumenti di lettura e analisi del territorio e del fenomeno che muta, metodo di lavoro nella programmazione, attuazione e verifica dei servizi e nell'impegno nei confronti dell'Ente Pubblico; costruiamo insieme, con le ragazze e le donne e non per loro, senza divisioni e valorizzando le risorse di tutti: delle ragazze

coinvolte, delle operatrici e degli operatori, delle mediatrici culturali, di volontari e famiglie del territorio, di Congregazioni religiose, di agenzie educative e di informazione, delle forze impegnate in questo ambito; costruiamo ponti, con tutti, superando barriere e fratture, ascoltando e dialogando con persone diverse, con organismi, Chiese, paesi coinvolti, perché l'obiettivo comune dovrebbe portare a unire le forze diverse.


Informazione della società civile


Il flusso di giovani donne provenienti da paesi sempre nuovi, che si aggiungono ai «vecchi» paesi, e comunque poveri, è facilitato da bande organizzate di criminalità nazionale e internazionale ed evidenzia tutta la complessità del fenomeno. Esso risponde a una richiesta ben precisa. Si fermerebbe, infatti, se il mercato non richiedesse questo tipo di prestazione. E quindi una comunità, civile, che vuole crescere in umanità e svilupparsi in modo civile non può tollerare oltre questa infamia della schiavitù. È questo il motivo per cui all'inizio si è detto che il servizio diretto va di pari passo con tutto il lavoro di sensibilizzazione e di impegno politico. La schiavitù non sembrava forse debellata? Questa nuova forma tuttavia è fiorente e quasi trascurata dall'opinione pubblica, pronta più a giudicare le donne che riempiono di giorno o di notte le strade delle periferie o delle grandi arterie, piuttosto che giudicare se stessa. Su quali fronti operare per cambiare la situazione? Prima di tutto l'ambito della formazione delle coscienze, ma poi anche quello dell'informazione obiettiva e corretta, che sfugga il sensazionalismo, la notizia a effetto, per andare alle cause, ai processi che generano il disagio. E anche la mobilitazione delle masse, per bloccare non l'immigrazione, accusata di provocare rotture familiari, ma piuttosto il commercio di cui sono protagonisti giovani, adulti e anziani, persone coniugate e celibi, ricchi e poveri, operai, artigiani, impiegati e pensionati, i cosiddetti uomini «normali».

In primo luogo, quindi, le agenzie educative, scuole, gruppi giovanili, associazioni, parrocchie, etc. Sono tante le realtà chiamate in causa, ma non sembra che esse si siano mobilitate eccessivamente in questo campo. Poche sembrano essere ancora le iniziative di educazione dei giovani a una sessualità rispettosa dei diritti delle persone. Qualcosa comincia ad affiorare nei gruppi giovanili, ma ancora molto resta da fare. Anche le parrocchie, con la loro diffusione capillare sul territorio nazionale, non sembrano essere molto impegnate nell'ambito educativo. Qualche Vescovo ha fatto sentire la sua autorevole voce, non solo a difesa delle vittime, ma anche con riferimento ai clienti. Si ricordano i Vescovi di Milano, del Nordest, di Caserta, di Venezia, di Macerata e pochi altri ancora. È un terreno in cui si può fare molto e che potrebbe influire sulla prevenzione. L'opinione pubblica non è aiutata dai messaggi che i mezzi di comunicazione sociale diffondono, fornendo notizie a effetto e scandalistiche, senza andare in profondità sul problema della tratta, sulle persone che ne diventano vittime e schiave, sulle situazioni dei paesi di origine. Sono rare le iniziative di informazione obiettiva in questo campo. Si possono ricordare i servizi dell'agenzia Aspe del Gruppo Abele di Torino e pochi altri periodici, che stanno cercando di offrire informazioni alternative. Dal punto di vista culturale, della riflessione e dello studio sul tema vi sono state iniziative di rilievo, quali Convegni e seminari realizzati dalle istituzioni pubbliche, tra cui i Ministeri della Solidarietà Sociale e delle Pari Opportunità, che sono serviti a smuovere il terreno da ombre, fornendo dati e informazioni. In campo ecclesiale il Gruppo di coordinamento nazionale, formato da Caritas Italiana, Migrantes, Unione Superiore Maggiori d'Italia, (Usmi), Unione Internazionale Superiori Generali (Uisg), Aspe, Gruppo Abele, ha realizzato due Seminari di formazione, che hanno visto la partecipazione dei Ministeri interessati e ha pubblicato i risultati del primo dei due incontri. A livello locale alcune regioni e province hanno promosso iniziative di studio e confronto di esperienze. Milano, Bologna, Roma, S. Benedetto del Tronto, Rimini, Torino, etc., sono tra le località che hanno realizzato iniziative, con la collaborazione di università e centri studio.


La strada dei diritti e dei doveri


Non sarebbe completo il discorso, relativo alle iniziative nel campo della tratta, se non si facesse riferimento a quanto si sta muovendo nel settore pubblico per assicurare la protezione delle vittime, da un lato, e per lottare contro il fenomeno della criminalità organizzata e della riduzione in schiavitù, dall'altro. In particolare per quanto riguarda i diritti delle vittime ci si può riferire ad alcune leggi, sulla prostituzione, sulla violenza sessuale e sull'immigrazione. La legge 75 del 1958, conosciuta come «legge Merlin», regolamenta la prostituzione in generale e considera

oggetto di sanzione il reclutamento di persone a fini di prostituzione (art. 3), ogni forma di sfruttamento e l'aggravante per modalità caratterizzate da violenza, minaccia, inganno e per reclutamento di minorenni (art. 4), l'incitamento a trasferirsi in un altro paese e l'attività di organizzazioni nazionali e di altri paesi che svolgono questo lavoro (art. 3). La legge 66 del 1995 regolamenta la violenza sessuale, facendo specifico riferimento all'uso di costrizione e violenza in questo ambito (articoli. 3, 4, 8, 9). Per quanto riguarda le donne straniere «oggetto della tratta», esiste un articolo nella legge sulla immigrazione (art. 18: soggiorno per motivi di protezione sociale) così formulato:

Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all'art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall'art. 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un'associazione dedita a uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale.

Con la proposta o il parere di cui al comma 1, sono comunicati al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla gravità e attualità del pericolo e alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l'efficace contrasto dell'organizzazione criminale, ovvero per la individuazione o cattura dei responsabili dei delitti indicati nello stesso comma. Le modalità di partecipazione al programma di assistenza e integrazione sociale sono comunicate al sindaco. Su questo articolo vi sono alcuni rilievi da fare, principalmente per quanto riguarda le condizioni necessarie, indicate nel comma 2, per ottenere il permesso di soggiorno, che sono legate alla gravità e attualità del pericolo «e» alla rilevanza del contributo offerto per contrastare l'attività criminale. A questo riguardo, sarebbe auspicabile, nelle norme di applicazione, considerare come condizione o il pericolo o la rilevanza del contributo offerto, piuttosto che le due cose insieme, ampliandone l'ottica interpretativa. Anche sul permesso di soggiorno vi sono dubbi, in quanto sarebbe preferibile una dicitura più ampia, tipo «motivi umanitari», che consenta alle giovani un normale inserimento lavorativo. Si spera che il regolamento porti a questi e altri miglioramenti e completamenti di applicazione.

Per quanto riguarda poi la punizione del delitto, si nota fino a questo punto che i principali organizzatori del traffico sono ancora liberi, visto che il fenomeno non accenna a diminuire, ma anzi raccoglie nuove vittime, tra cui, traumi adolescenti, bambini, da sempre nuovi paesi: a partire dall'America latina di alcuni anni fa, ai paesi dell'Africa e dell'Europa dell'Est dei nostri giorni. Sarebbe necessario colpire alle basi questo commercio e impegnare tutte le forze per contrastarlo efficacemente e condannare i colpevoli. Come pure sarebbe importante come da più parti si è chiesto confiscare in via cautelativa i beni degli organizzatori e degli sfruttatori per utilizzarli in pro getti di integrazione sociale delle vittime del traffico. Il citato Comitato di coordinamento delle azioni di Governo, di recente costituzione, può essere considerato uno strumento efficace, democratico e adeguato di consultazione, aperto alle forze sociali in grado di dare orientamenti nel settore, a livello nazionale e internazionale. Si auspica, infine, una discussione allargata a tutte le forze sociali e ad alcuni esperti della materia, per verificare l'opportunità o meno di una legge specifica sul tema della tratta, con un articolato preciso, che offra una regolamentazione adeguata a tutta la materia. L 'intento sarebbe comunque, sia nel caso della legge che in quello di assenza di legge di evitare che la tratta si connoti in modo esclusivo con il volto della donna straniera e di allargare la riflessione sul tema del disagio della donna. Relativamente alle politiche sociali si distinguono quelle nazionali dalle regionali e locali. Tra le politiche nazionali possono essere considerate quelle citate nella legge 285 del 1997 relativa alla Promozione dell'infanzia e della adolescenza, che garantisce spazi di accoglienza per le vittime della tratta, e quelle già citate, presenti all'interno del disegno di legge sull'immigrazione, che all'articolo 18 prevede permessi di soggiorno per le donne straniere vittime della tratta.

A livello regionale si deve ricordare l'esperienza della regione Emilia Romagna, che già dal 1996 ha avviato un progetto regionale articolato, con interventi di rete e con supporti di carattere formativo. A livello locale vi sono significative esperienze avviate a Venezia, con l'attivazione di una rete di famiglie opportunamente supportate; progetti posti in atto nelle città dell'Emilia Romagna, come già ricordato; altre iniziative sono nate a Torino, Milano, Roma, con fondi della Regione e della Provincia. Altri Enti Locali sono attivi in progetti coordinati tra più città, come il caso della Carta di Arezzo sulle politiche giovanili o altro. Vi sono anche progetti in ambito europeo o mondiale, come quelli legati ai Fondi Sociali Europei o all'Organizzazione Mondiale della Sanità. Vi sono, infine, servizi pubblici che, nell'ambito della loro più ampia attività, realizzano iniziative a favore delle vittime della tratta. Si è già accennato alle Aziende Unità Sanitarie Locali, ma si ricordano anche i Consultori, gli Uffici Stranieri degli Enti Locali, i Servizi di prevenzione sanitaria, con unità mobili, i Servizi di mediazione culturale, i Servizi di tutela e protezione, i Servizi di Orientamento e formazione professionale.



Bibliografia


La tratta infame, a cura di S. Zandrini e M. Ambrosini (Caritas di Milano 1998)

Italia Caritas Documentazione (Migrantes, Usmi, Uisg, Aspe 1999)

Gli ultimi della fila (Caritas Italiana, Fondazione E. Zancan) 

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