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Il "legame civile" come fondamento della realtà




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Il "legame civile" come fondamento della realtà



Nella sua opera Patrick Pharo parla spesso di "legame civile" come base sulla quale si fonda la convivenza ed i rapporti delle società umane

Nel libro"Politique et savoir-vivre, enquête sur les fondements du lien civil" si propone la tesi che il fondamento della società (ossia ciò che la mantiene in movimento) non è la lotta per il guadagno e il potere, che avrebbe più che altro tendenza a distruggerla, ma un ideale di educazione che prescrive ad ognuno di conformarsi ad una norma di verità e giustizia ogni volta che vuole farsi comprendere ed essere compreso dai suoi simili. Come ogni norma questa è condannata ad essere violata, e lo è in effetti molto spesso, ma ciò non toglie nulla alla sua efficacia. analisi dei problemi relativi al "mutuo consenso" fino a trattare i temi legati alla giustizia, l'equità, il consenso alle istituzioni ed il potere politico.

Nella sua opera "Phenomenologie du lien civil" (1992), il nostro autore mette in evidenza come la sociologia oggi si rinnova sotto l'influenza dell'approccio comprensivo, dell'analisi di conversazione e della filosofia analitica. Difatti sempre secondo l'autore le categorie di analisi del sociale, sebbene costantemente utilizzate, sono ancora da scoprire: ad esempio quella del sentimento, dell'azione dei ruoli, delle relazioni. Lo studio di queste categorie, delle loro strutture formali e della loro messa in opera, permette alla sociologia di riallacciarsi alla tradizione dei moralisti classici e può aprire nuove possibilità di spiegazione. L'autore con questa opera segue un percorso che parte da una interrogazione sui rapporti del senso e della legittimità ed arriva alla messa in evidenza delle strutture semantiche che fondano il "legame civile" e senza le quali non sarebbe possibile nessuna mutua comprensione.

Per Pharo è fondamentale il problema della morale, difatti secondo il suo libro "Morale et Sociologie" da alcuni decenni a questa parte (fino a quando si è avuta una "riscoperta" delle tematiche etiche e morali in sociologia) la sociologia morale avrebbe sempre più evitato di affrontare tematiche legate proprio all'etica e alla morale, lasciandole prevalentemente a chi si era già da tempo occupato di questi temi ossia dalla filosofia. Ma è corretto lasciare fare ciò? Per Pharo la sociologia ha abbandonato da troppo tempo lo studio della morale (dei fatti morali?) (mettere, citare Durkheim? Forse si dovrebbe).

In ogni caso questo autore, proprio nella parte iniziale del libro appena citato mette in guardia proprio dai rischi ( e dagli errori?) nei quali si può incorrere proprio approcciandosi alla morale partendo dal punto di vista sociologico.

(tornare su filosofia e su sociologia morale) (mettere anche connessione tra morale e legame civile.)



Il legame civile ("lien civile")

Cos'è, come nasce, in cosa consiste.   

Per Pharo il "legame civile" ("lien civile") consiste nel (mettere bene)

Legame civile (sviluppare)


Il legame civile come fondamento preesistente alle norme e alle leggi.

Per Pharo il "legame civile", elemento che fonda e favorisce la nascita e la crescita della civilizzazione viene prima della legge (la legge è solo posteriore ad essa)




Il "legame civile" come porsi in relazione con l'altro.

(parlare anche della comprensione dell'altro)





2. Legame civile e civilizzazione. La civiltà e la civilizzazione prima della legge.

Uno dei punti cardine di Patrick Pharo è che la civilizzazione, quindi anche il legame civile che ne scaturisce viene prima della legge. La legge è un passo successivo, che senza un legami civile precedente nato in maniera razionale non possiede nessun senso

La percezione del legame civile e percezione della storia.

(legame civile come strettamente legato alla storia di un gruppo, ed alla sua percezione)

Il legame civile come fondamento razionale. La razionalità delle moderne democrazie occidentali.

(fondamento razionale e gioco democratico)

Il "gioco democratico" e le sue regole. "Legame civile" e linguaggio. Il rapporto tra strutture linguistiche e strutture socio-culturali.


Stato e diritto (legge e norma) (Norma di giustizia?).

Parlare della norma di giustizia?

Riprendere il discorso della norma e delle norme?






La semantica della cultura e dell'azione e gli "Atti civili"


In "Morale et Sociologie" Pharo riprende in più punti il discorso della "sociologia morale" delle base che devono essere gettate e degli strumenti che devono essere utilizzati per poter applicare questa disciplina nello studio e nell'analisi dei problemi sociali legati alla moralità ed alla giustizia. Questo è importante anche per noi quando cerchiamo di studiare i rapporti tra due gruppi culturalmente molto diversi e quando cerchiamo di trovare delle soluzioni che possano aiutare a trovare la strada della convivenza. La giustizia delle pratiche sociali diventa fondamentale per trovare un legame, un punto dal quale può iniziare una comunicazione ed un dialogo. Per Pharo è necessario che i sociologi recuperino quegli strumenti analitici che permettano loro di affrontare direttamente le questioni morali, strumenti che la sociologia ha perso a causa di una lunga tradizione di neutralità assiologica (Pharo, 2004, pag. 298). Gli strumenti concettuali e filosofici che riguardano le questioni morali sono sembrati per molto tempo dubbi dal punto di vista di una scienza empirica della società ed i sociologi, a cominciare proprio da Durkheim, hanno avuto la speranza di poterne fare a meno. Pharo punta invece a fare riconoscere l'importanza dell'analisi concettuale in sociologia morale e fare superare le resistenze ed il disprezzo dei sociologi in riguardo agli strumenti filosofici (ivi). Per il nostro autore non si tratta di avere la pretesa di portare delle risposte descrittive o scientifiche a delle questioni essenzialmente normative o pratiche (che sarebbe un errore di categoria) ma si può pensare che degli strumenti analitici più precisi possono contribuire a chiarire i termini di un certo numero di problemi morali, senza contraddire il progetto di conoscenza positiva della Sociologia. Sempre Pharo mette anche in guardia dall'eccesso contrario affermando che troppi specialisti di scienze sociali tendono a rinunciare al loro rigore scientifico dal momento che si impegnano nelle discussioni politiche o morali (Pharo, 2004. pag. 299). Per essere più rigorosi, per l'autore si dovrebbero raddoppiare le precauzioni nell'approccio alle questioni forti affinché l'intervento degli scienziati non contribuiscano a buttare benzina sul fuoco (come lo posso mettere?) ma favoriscano la scelta ragionevole dei cittadini.

Nell'ultimo capitolo di "Morale et sociologie" Pharo propone diversi strumenti concettuali alla comprensione interculturale (la semantica interculturale), alle condizioni dell'accordo civile (la condizione civile essenziale), all'analisi dell'azione (semantica degli atti civili) e alle distorsioni del giudizio morale. Questi strumenti hanno un carattere "generalista" che dovrebbe permettere a loro di applicarsi ad ogni categoria di problema riguardante la giustizia sociale e la morale civile offrendo dei mezzi contemporaneamente analitici e formativi.

Prima di arrivare a trattare le condizioni dell'accordo civile e gli atti civili è opportuno introdurre quella che Pharo chiama "semantica degli atti civili" .

Per questo autore il concetto di "semantica interculturale" ha come obiettivo quello di designare il complesso delle relazioni logiche che i pensieri umani e i termini che li esprimono, sono suscettibili di intrattenere con l'ambiente degli oggetti circostanti, fisici, sociali o ideali. Questo insieme forma la base di ogni ricerca di accordo oggettivo tra persone appartenenti a culture differenti, poiché esso stesso dipende dalle informazioni generate dal mondo sensibile per le regole elementari della logica: il principio di non contraddizione e gli operatori logici. I termini sociali e morali poggiano su una struttura logica implicita che sembra indispensabile alla identificazione e alla valutazione dei pensieri degli altri soggetti nella misura in cui questi non sono mai direttamente osservabili. (Pharo, 2004, pag. 300).

Un problema da affrontare, a questo punto è quello della "indeterminazione della traduzione" (indétermination de la traduction) data dalle differenze interculturali e dai limiti di "traducibilità" che esistono quando si devono tradurre lingue e culture le une nelle altre. L'obiezione qui esposta può addirittura assumere una forma molto radicale se si pensa che il senso dei valori elaborati in culture ed etnie differenti sono, talvolta, tra loro "incommensurabili", non possono essere messi sullo stesso piano di comunicazione. In questo caso, d'altra parte non si vedrebbe come un qualsiasi accordo morale potrebbe stabilirsi durevolmente tra due culture differenti; non si vedrebbe neanche come la globalizzazione tecnica, economica e commerciale che stiamo vedendo sotto i nostri occhi potrebbe in futuro dare luogo ad una civilizzazione politica e morale comune. Pharo, proprio a questo punto, ricorda come il logico Willard Van Orman Quine abbia sollevato degli argomenti filosofici profondi per difendere l'idea che le frasi di una lingua particolare non possano mai essere tradotte con precisione in un'altra lingua arrivando ad affermare un principio di "indeterminazione della traduzione" interlinguistica e, andando oltre, interculturale. Quine parla, a questo proposito di "impenetrabilità del riferimento" in riferimento anche al fatto che una stessa scena può dare luogo ad una infinità di descrizioni differenti(Pharo 2004, pag. 302). Questa posizione renderebbe però non solo inutile ma anche impossibile qualsiasi comunicazione e qualsiasi scambio interculturale, lo stesso Pharo fa notare come la "indeterminazione della traduzione" e la "impenetrabilità del riferimento non impediscono le traduzioni interlinguistiche e interculturali non solo in ambito scientifico (ambito che potrebbe essere più "oggettivo" ) ma anche in letteratura, in morale e in politica. Una incomunicabilità sostanziale tra gruppi culturalmente differenti impedirebbe ovviamente anche quella creazione o "scoperta" di un "legame civile" comune. Queste "traduzioni" sono permesse dal "principio di carità" che permetterebbe, nonostante i limiti che possono essere presenti nella traducibilità interculturale, di arrivare a dei compromessi accettabili. Ma cosa è che nel "principio di carità" permette la possibilità che possano esistere traduzioni efficaci? Pharo per rispondere a questa risposta chiama in causa proprio un discepolo di Quine, Donald Davidson, e la sua teoria della "interpretazione radicale" (ibi, pag 303). Per Davidson questa interpretazione che permette la traduzione interculturale è resa possibile contemporaneamente dai principi di verità che permettono agli esseri umani di condividere un gran numero di credenze comuni relative al mondo e da un principio di razionalità che ci fa supporre che, fino a prova contraria, ci devono essere delle ragioni intelligibili nei discorsi o negli atti degli altri soggetti. Il nostro autore a questo punto evidenzia come Davidson utilizzi lo schema della teoria semantica della verità già elaborato da Alfred Tarski (Tarski 1944, citato da Pharo 2004). La soluzione di Tarski consisteva nell'includere il predicato di verità in un linguaggio di rango superiore in modo che una data frase del linguaggio oggetto è vera solamente se è possibile, in un metalinguaggio, enunciare la frase stessa. In pratica per Davidson in una situazione di "interpretazione radicale" , ossia una situazione dove non si ha alcun rudimento della lingua dello straniero, una data frase sconosciuta è vera solamente se le si può trovare una equivalente nella propria lingua. La proposta di Davidson non risolve il problema metafisico della "impenetrabilità del riferimento, ma permette di riflettere sui fondamenti logici e morali della comprensione comune.

In questi passi si nota lo sforzo di Pharo di utilizzare strumenti filosofici e logici per studiare le modalità di contatto tra gruppi differenti tra loro, modalità come abbiamo visto strettamente pratica. Gli strumenti filosofici e logici sono rigorosamente razionali e sono fondamentali per creare una base di una teoria il più scientificamente possibile. Questa ricerca dei mezzi più razionali e pratici da parte di Pharo ha caratterizzato e caratterizza ancora la sua opera, di questo comunque ne parleremo ancora. Essendo la morale oggetto di studio sociologico quindi scientifico non può essere lasciata in balia di affermazioni "relativiste" e superficiali, ha bisogno di essere fondata con chiarezza e non in maniera contraddittoria, questo l'autore lo afferma chiaramente. Per Pharo si vede chiaramente come che il relativismo morale, così come quello scientifico, è incompatibile con ogni ordine logico della conoscenza e della società (Pharo 2004, pag. 307). Se non esistessero certi obblighi deontologici su ciò che è permesso, obbligatorio o proibito fare o pensare davanti a una certa situazione, o, perlomeno, su ciò che è consigliato o sconsigliato fare o pensare, e se gli argomenti che si possono avanzare a favore di una scelta di senso o di valore non potessero essere razionalmente misurati con argomenti contrari, nessun linguaggio morale sarebbe possibile. Per Pharo esiste, per la morale, qualcosa da recuperare dal modello delle scienze anche se rifiuta l'idea di una scienza delle "decisioni ultime". Si è riusciti infatti in ambito scientifico a sistematizzare delle procedure abbastanza affidabili che permettono di stabilire un accordo razionale sugli enunciati riconosciuti come validi e veri esigendo dai ricercatori certi tipi di prove e di argomenti raccomandando differenti tipi di test e prove, e soprattutto specificando che gli enunciati scientifici non sono validi e veri se non a prova del contrario.

Una delle questioni centrali di una sociologia morale è di sapere come, su questioni morali e politiche essenziali ma controverse, sarebbe possibile ottenere un accordo ragionevole dello stesso ordine. Secondo Pharo una risposta potrebbe consistere nell'invocare le regole di diritto o, eventualmente, di reputazione come mezzo per garantire l'accordo in una data società su certi valori. Se l'ipotesi di una semantica interculturale e di un ordine logico del senso e dei valori è corretta, si devono poter sviluppare delle ricerche più esatte sui mezzi razionali dell'attestazione normativa Pharo 2004, pag,309). Come si evince anche da queste ultime affermazioni Pharo torna spesso sui "fondamenti" razionali che starebbero alla base del convivere umano e quindi anche della morale e del legame civile. (dubbi sulla scientificità della morale e conclusioni prima di passare all'accordo civile). Pharo è sempre alla ricerca di fondamenti razionali e soluzione pratiche alle problematiche legate alla convivenza, convivenza che spesso è resa difficoltosa e non praticabile a causa di "controversie etiche", per superare questi ostacoli il nostro autore cerca di definire le condizioni che possano rendere possibile l'Accordo Civile.


9. L'accordo civile e le sue condizioni


Al fine di risolvere le controversie etiche poc'anzi citate Pharo propone come soluzione pratica quella di paragonare la forza normativa di proposizioni etiche concorrenti domandandosi fino a che punto esse poggiano su certe concezioni comuni, concezioni comuni che possono essere una base o un punto di partenza per proporre una prospettiva di "universalismo etico". Pharo,


(semantica degli atticivili, distorsioni giudizio morale, conclusioni)


Semantica degli atti civili

L'accordo civile e le condizioni di un accordo ragionevole

Morale civile elementare e condizione civile essenziale

Le norme: norma di verità e norma di giustizia

Atti sociali e atti civili: loro semantica e realizzazione

Condizione logica dell'apparizione degli atti civili portata morale di questa teoria

Distorsioni ed errori del Giudizio morale


10 Le conclusioni di Pharo sul rapporto tra Sociologia e Morale

Una disciplina descrittiva e normativa per affrontare i problemi

Riferimento alla questione sociale

Una civilizzazione morale come nuova civilizzazione?

(completare)

Concludendo il suo testo "Morale et sociologie" Pharo torna su un altro tema a lui caro, quello della civilizzazione, processo che, come ha scritto in suoi differenti studi e saggi, sta alla base e fonda la legge. In questo caso però l'autore parla di civilizzazione morale, una civilizzazione che dovrebbe stare alla base di una morale sociale condivisa. Questa "civilizzazione", tra i tanti ostacoli che può incontrare sul suo cammino, trova anche il fatto che, in materia di sociologia morale, il problema più urgente è raramente quello di realizzare il meglio ma più spesso è evitare il peggio. L'autore mostra in ogni caso una grande fiducia nel progresso anche se ammette che abbiamo pochissimi mezzi per valutare la realtà della linearità storica del progresso umano (Pharo 2004, pag. 366). Infatti Pharo sostiene che se, per esempio, si dovesse calcolare questo progresso in termini di quantità assoluta di sofferenza si dovrebbe concludere sicuramente che la situazione attuale è la peggiore di tutte quelle che l'umanità ha potuto conoscere nel corso della sua storia, poiché non ci sono mai stati altrettanti esseri umani sul pianeta e che una gran parte di questi patisce le sofferenze dovute alla povertà, alla malattia e alla guerra. Ma il nostro autore afferma anche che, se si valuta il progresso in termini di strumenti riflessivi che permettono agli umani di cercare di agire sulle loro condizioni naturali di vita, il giudizio può risultare differente in quanto, come c'è stato un progresso delle idee scientifiche, c'è stato anche un progresso delle idee morali come, ad esempio, il riconoscimento delle libertà individuali e dell'uguale dignità delle persone. Su un piano più pratico sembra difficile negare le prospettive favorevoli aperte da ciò che si continua a chiamare il progresso tecnico, particolarmente nel campo biomedico, anche se ci si preoccupa tanto delle sue molteplici derive possibili. Pharo fa anche notare come oggi, in gran parte del mondo, esistano degli "Stati di diritto" e che si sta tentando di allargare l'influenza su scala planetaria di quella che, tutto sommato si può considerare una cultura di civilizzazione. Pharo alla fine punta il dito contro quelli che chiama gli "avversari della razionalità", sia della razionalità in generale che in particolare, quelli che affermano che "insistono grossolanamente su un supposto naufragio dei lumi durante il XX° secolo" (Pharo 2004, pag. 367). In realtà, sempre secondo Pharo non sono le idee di razionalità e di progresso che sono naufragate, ma piuttosto la loro negazione. L'autore recupera anche l'idea di "civilizzazione", nonostante molti autori vi abbiano visto una sottile forma di dominio e di giustificazione dell'ordine stabilito, dello "status quo", in quanto egli stesso non vede, nella storia umana, nessun'altra alternativa alla razionalità ed alla civilizzazione morale, concepita semplicemente come la capacità di qualunque società di dominare i propri demoni distruttori. Pharo, per concludere, afferma che

le posizioni di chi non crede al progresso, né alla razionalità, né ai Lumi, né alla civilizzazione sono posizione o nichiliste o, potremo dire noi, "pessimiste" (scrivere delle apparenze?). Il recupero della razionalità e dei valori legati alla civilizzazione e al progresso sono una costante del pensiero di Pharo e, in questa conclusione, paiono enunciati apposta in opposizione ai "critici della modernità". A questo punto mi sembra utile fare notare come un'idea di progresso, di razionalità e di logica non sia affatto in contraddizione con il recupero ed il valore della tradizione. Due famosi intellettuali francesi come lo storico della letteratura e dell'arte Marc Fumaroli e il grande matematico Laurent Lafforgue (vincitore nel 2002 del "Fields Medal", l'equivalente del premio Nobel nella matematica) hanno posizioni critiche nei confronti del sistema educativo francese perché avendo introdotto il dubbio sistematico nei confronti della propria tradizione e del proprio passato si sarebbe bloccato il processo di trasmissione della conoscenza e si sarebbe impedita un'educazione vera e propria. Per Fumaroli, addirittura, il passato ci libera e ci educa. (Doninelli 2007, 90 - 95). La tradizione viene spesso vista come una sorta di cappa che rischia di limitare e di soffocare il progresso ma, in realtà, pare non essere così.

Martin Heidegger in "Sein und Zeit" , utilizzando l'etimologia latina, definiva la tradizione come un tradere se, un "affidarsi a", come la capacità di rivivere e di riassumere ciò che ci è pervenuto (Heidegger 1978). Tradizione non è comunque solo un "affidarsi a", è anche trasmissione di conoscenza, è anche affidare delle conoscenze apprese dal passato a chi potrà usarle in futuro, tradizione è anche affidare qualcosa e prendere in consegna qualcosa. La tradizione affida delle conoscenze e delle esperienze apprese nel passato a chi (sia utilizzandole che confutandole) ne farà tesoro e le utilizzerà per progredire per favorire il progresso. La tradizione, il passato e la Storia sono anche trasmissione di conoscenze ed è proprio questa trasmissione questo passaggio che permette il progresso. Lo stesso Pharo per riproporre e rivitalizzare la "sociologia morale" utilizza autori "classici" come Durkheim e Weber che possono essere considerati, per alcuni aspetti come la tradizione della sociologia. Ma il nostro autore non riserve solo di "strumenti sociologici" ma, come abbiamo visto fa largo uso anche delle sue profonde conoscenze filosofiche, conoscenze che non sono riferibili solamente alla filosofia analitica dalla quale attinge spesso ma anche pensatori "tradizionali" rispetto alla filosofia. Quel suo continuo riferirsi alla razionalità a cercare i "fondamenti razionali" e logici devono non poco ad Aristotele (filosofo che peraltro Pharo cita spesso) ed al suo principio di non contraddizione. L'affermazione che fa Pharo quando dice che non sono i Lumi con le idee di razionalità e di progresso che portavano con sè che hanno fallito bensì il loro diniego è tendenzialmente vera anche se, a mio modestissimo parere, bisognerebbe sottolineare come certi germi di irrazionalità e di fallimento erano insiti anche dentro lo stesso illuminismo o almeno all'interno di certe sue derive. Gli atteggiamenti negativi nei confronti della tradizione e del passato possono portare a tagliare proprio quei legami che permettono la "trasmissione" di cultura e di conoscenze di cui si parlava precedentemente. Senza tradizione senza una "storia" che possa permettere di "registrare" e di "fare tesoro" delle esperienze si interrompe la trasmissione della conoscenza e del sapere e si rischia di "bloccare" il vero progresso, così come una razionalità scarna, povera e male interpretata rischia, paradossalmente di diventare "irrazionale". Forse il peggior nemico del progresso è il "progressismo". La rottura dei legami "verticali" rischia anche di rompere quelli "orizzontali" in quanto anche la tradizione può unire non solo "verticalmente" (ad esempio tra generazioni diverse) ma anche "orizzontalmente" in quanto può unire persone differenti (anche per cultura ed etnia) alle quali è affidato lo stesso patrimonio. Questi stessi rischi i Lumi li hanno portati anche in una loro creazione: la "democrazia" Già Alexis de Tocqueville nel suo famosissimo "La democrazia in america"affermava che "Non soltanto la democrazia fa dimenticare all'uomo i suoi avi, ma gli nasconde anche i suoi discendenti, lo separa dai suoi contemporanei e lo riconduce di continuo verso se stesso, minacciando infine di chiuderlo nella solitudine del suo stesso cuore (Tocqueville 1968, 520). Di fronte alla nascente ma già forte democrazia americana Tocquville vedeva già dei rischi legati sia all'individualismo sia al "potere assoluto" della maggioranza, un potere che, diceva sempre questo autore che neanche il sovrano più dispotico avrebbe potuto permettersi. Tocqueville non era ne antidemocratico ne reazionario ma vedeva solamente i rischi potenziali che la democrazia poteva portare con sé, e identificò gli antidoti per queste derive negative nelle "libere associazioni" (le uniche che, secondo lui, per utilizzare una terminologia pharoana, erano in grado di permettere un legame civile). Così come anche i Lumi e certo "progressismo" ("progressismo" non "progresso") hanno avuto delle derive "irrazionaliste". Lo scozzese Adam Ferguson, precursore della sociologia e filosofo utilitarista e morale affermò che il progresso tecnologico porta superstizione quanto ne porta l'ignoranza. Neanche Ferguson era un "reazionario" anzi, era illumista ma anche lui aveva percepito le possibili derive "irrazionaliste" dei lumi. Quindi, anche se causa di progresso sia scientifico che morale, i Lumi, da soli e senza l'apporto di una tradizione, hanno spesso ottenuto risultati lontani dal progresso e dal miglioramento che essi stessi auspicavano.

Il mettere a paragone tre autori differenti e distanti tra loro (anche nel tempo) come Pharo, Girard e Schmitt, non è stato casuale. La scelta è stata fatta, oltre per le implicazioni sociologiche e scientifiche delle loro teorie. anche per il differente modo con cui questi autori si sono rapportati ai temi della "tradizione" e del "progresso".









Forse in questo caso potremmo definire la democrazia più che una creazione dei Lumi una riscoperta di un'eredità del mondo greco classico. Anche in questo caso il "progresso" è avvenuto grazie ad una "tradizione" che ha permesso una "trasmissione". La democrazia classica era in ogni caso molto diversa da quella contemporanea che noi potremmo definire più correttamente da un punto di vista etimologico una "laocrazia".

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