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Figura sociale del detenuto




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Figura sociale del detenuto


Fin qui l'analisi dell'internamento secondo la prospettiva dell'internato.

Guardiamo ora, come la società percepisce le istituzioni totali, i luoghi di detenzione e l'internato.

Passiamo, quindi, ad analizzare alcuni aspetti della figura sociale del detenuto, il quale, per la sua estraneità e per il pregiudizio che lo circonda, sembra costituirsi attorno a una figura caricata di un evanescente misticismo.


Il detenuto è un alias. Forse, proprio perché non lo vediamo, egli è nell'immaginario collettivo, qualcosa di diverso dal criminale, scippatore, truffatore del fisco, che si incontra per strada. La devianza è il crimine, il criminale. L'internato, invece, non ha cittadinanza. E' una figura priva di una identità specifica, forse proprio perché poco specifica e trasversale è la categoria di riferimento. Egli non ha connotati  né personalità specifici. Il carcerato è il carcerato. Non è più il criminale, ma non è ancora un essere "normale" - né forse lo sarà mai più del tutto per sé e per la società.

Abitante un territorio di frontiera[1], in una sorta di limbo sociale, l'internato è qualcosa che vive in una specie di attesa di una riabilitazione sociale che il pregiudizio ha confinato nelle eventualità più remote.

Ecco alcune descrizioni della figura del detenuto, che ho raccolto su un campione di settantacinque persone, di differente estrazione sociale. Le risposte sono state ordinate secondo una classificazione che va dalla risposta più semplice a quella più argomentata:


I detenuti sono persone senza scrupoli;

Il detenuto è un poveraccio che ha sbagliato;

Il detenuto è colui che sta scontando una pena, per aver commesso un reato;

Il detenuto è un individuo che sta in galera, ed è là che deve stare;

I detenuti sono persone emarginate dalla società per non aver saputo gestirsi;

Il detenuto è un delinquente capitato nelle mani della giustizia, ma ce ne sono tanti altri fuori;

Il detenuto è il frutto di una società degradata, momentaneamente isolato, pronto a riprendere il suo posto;

I detenuti sono persone pericolose, e perciò stanno in galera. Se imparano escono, se non imparano restano dentro.

I detenuti hanno avuto quello che meritavano perché hanno una mentalità corrotta;

Non so immaginare un detenuto, ma so che se sta dentro è li che deve stare, perché, insomma, gli altri non è che sono pazzi;

Il detenuto è uno che vive in carcere. Uno pericoloso che finché sta dentro non da fastidio a nessuno. Se sta fuori continua a fare cose pericolose.

I detenuti sono persone allontanate dalla società civile perché non sono capaci di capire che bisogna vivere rispettando le regole. E siccome loro non le sanno rispettare è giusto che stiano in carcere.


Al di là del dato riguardante la relazione fra l'internamento e l'aver commesso un reato, in buona sostanza, nella maggior parte dei casi, si pensa che, le persone che sono andate incontro a determinati cambiamenti, non ritorneranno o non potranno ritornare sui loro passi. Le azioni devianti, dunque, giungono a costituire delle preclusioni sociali[2].

Dobbiamo rilevare che c'è un abisso, a livello di stereotipi sociali, fra il buono e il cattivo, dovuto in parte alle concezioni mediche della devianza come sintomo di una personalità che presenta deficit o che è "malata"[3], e, in parte più consistente, all'immagine mediatica del deviato.

Nello stereotipo culturale, si compie una degenere generalizzazione, sia rispetto al carcerato che rispetto alla struttura carceraria. Il ché non aiuta a cogliere le differenze significative dell'esperienza carceraria. Nella figura dell'internato si confondono persone alla prima esperienza espiativa e uomini che della galera ne hanno fatto un territorio.

Nell'immaginario collettivo, il carcere, invece, grazie anche al contributo degli scarsi risultati che produce - in termini di reinserimento - viene visto come un luogo in cui il detenuto si trovi quasi a proprio agio, grazie anche a quella predisposizione adattiva a stare a contatto con i pari, che gli deriverebbe dalla subcultura aberrante di provenienza.

Si può notare, qui - come anche dalle risposte all'intervista- quello che definirei il paradosso del controllo sociale. La reazione sociale è il risultato del controllo sociale, il quale, come si è tentato di dire, contribuisce alla riproduzione della devianza, nel tentativo di bloccarla. Allo stesso tempo, nel tentativo di bloccare e circoscriverne gli effetti, con il mancato raggiungimento di tali obiettivi - avendo solo prodotto una cristallizzazione della devianza[4] nella parentesi carceraria - il carcere contribuisce alla riproduzione del pregiudizio nei confronti del deviato, e rispetto all'inefficacia del controllo sociale.

Il carcere, come la pena, dunque, perde il suo valore simbolico originario, e acquista un valore quasi antisociale. Il carcere, infatti viene visto come coacervo di affiliazioni e prevaricazioni arbitrarie fra detenuti; un luogo in cui si riproduce la devianza nella subcultura della violenza, degli adattamenti secondari e della solidarietà negativa.

L'immagine fornita dai media, talvolta aiuta in questa opera di ricostruzione di una figura deviante, pur se la sua immagine resta cristallizzata solo al momento dell'arresto e internamento. Dopo quel rito (cerimonia), nulla è dato più di sapere. Da quel momento in poi (come anche fino a quel momento) il deviato esce di scena[5].

Quasi a voler sanzionare quel tradimento del ruolo[6] sociale, egli non ha più diritto alla rappresentazione, sul palcoscenico delle nuove agorà virtuali, mentre il pubblico prosegue ad osservare la rappresentazione.

Sul ruolo dei media nella costruzione della figura sociale del detenuto, come la distanza informativa alimenti pregiudizi, parleremo più avanti. Qui ci limitiamo a osservare come, la scarsa attenzione dei media di massa più frequentati, verso l'intero panorama delle persone coinvolte nella reazione sociale (condizione del detenuto, famiglie, e riabilitato[7]), contribuiscano ad aumentare la frattura fra stereotipi e realtà, così come fra modelli teorici di recupero e condizioni reali.

La figura sociale del detenuto, ancora, assume i contorni di una monade. Separato dalle relazioni sociali, in una struttura dai contorni sfumati, per il resto della comunità egli vive in una sorta di solipsismo autorappresentativo. Gli internati sarebbero soli con la loro pena, in un binomio autoreferenziale. Così, vengono colti nella loro astrattezza, come individui privi di un diverso legame con il sistema sociale, che non sia quello con la cultura deviante.

Il ruolo e il significato della famiglia, assieme agli altri elementi della sua realtà quo ante, vengono chiamati in causa solo in relazione alla carriera deviante. Mentre, non si tiene conto delle conseguenze morali e sociali che derivano all'istituzione familiare con l'atto deviante.

Così racconta un detenuto:


"quando entrano in contatto con le istituzioni carcerarie, i miei familiari perdono la dignità. Vengono trattati come me. Come a colpevolizzarli. La mia donna che, durante un colloquio, si era alzata con la testa oltre il vetro, per farmi un gesto di affetto, un bacio, è stata trattata come l'ultimo degli avanzi di galera. Le madri anziane di molti detenuti, vengono fatte spogliare. Finché tu spogli mé, mi perquisisci nudo, va bene. Quando esco mi fai aprire la bocca, mi spogli nudo. Va bene. Ma i miei familiari non li devi toccare. E' questo che non capiscono, sia i sorveglianti qua dentro, che fuori. Fuori, non capiscono che il pregiudizio uccide le famiglie. E le famiglie, e l'affettività, sono il motore che ti dà la forza di non affogare".


La famiglia, infatti, può essere considerata come il destinatario, involontario, della punizione. Foucault nelle sue riflessioni dice che la prigione fabbrica indirettamente delinquenti, facendo cadere in miseria la famiglia del detenuto[8].

A questa riflessione fa eco quella altrettanto vera che la prigione fabbrica potenziali deviati in relazione al pregiudizio nei confronti dei familiari. Vittime e colpevoli allo stesso tempo, i familiari devono lottare con la stigmatizzazione, in funzione della colpa di aver allevato "mostri sociali", vittime di una scelta deviante, che mette in discussione il senso della propria esistenza, e ne ridefinisce i contorni.

Ridisegna i contorni del sé e del mondo circostante, e talvolta, la prigione, fabbrica coscienze più mature. In tal senso sembra significativa una delle testimonianze che ho raccolto fra i detenuti di Padova


"Bisogna considerare che anche lo status della famiglia ha il suo peso, quando un componente viene incarcerato: i figli dei proletari trovano di solito maggiore comprensione, perché è in fondo considerato legittimo il loro desiderio di ribellarsi a una condizione di povertà; i figli dei borghesi, invece, non hanno scusanti, hanno già tutto e non avrebbero avuto certamente bisogno di infrangere le leggi. Con quel tutto, si intendono ovviamente i soldi. Potrei, a questo punto, pontificare sulla necessità di cercare di capire le ragioni altrui ma preferisco raccontare quello che è successo a mia madre negli anni passati a seguirmi tra aule di tribunale e carceri di mezza Italia, viaggiando in treno o in pullman,.Entrando nelle carceri qualche disagio l'ha incontrato, ma tutto sommato è stato relativo. Non l'hanno mai costretta a spogliarsi durante le perquisizioni e tanto meno si è sentita insultare o minacciare dagli agenti, cose che sembra succedessero alle donne dei detenuti politici.. Invece, passando da una stazione ferroviaria all'altra, è rimasta vittima di due scippi e una rapina vera e propria. forse lei avrebbe motivo per prendersela con alcune categorie di persone, detenuti, tossicodipendenti, nomadi.E invece, forse perché sono pure io in galera. la pensa diversamente e una volta mi ha detto " Capisco questa gente, perché è costretta a vivere sulla strada e spesso non ha neanche da mangiare. Dall'ultima volta che mi hanno aggredita, come vedo qualcuno che ha bisogno metto mano al portafoglio, non aspetto neanche che venga a chiedermi aiuto"


Lontani da ogni forma di sostegno sociale, e allontanati da ogni forma di supporto istituzionale, i familiari dell'internato hanno l'infausto compito di raccattare quel che gli resta, e confezionare una proposta di reinserimento, per sé e per il riabilitato, scevra dal disorientamento e della emarginazione che li stordisce.





S. Cristante, Enciclopedia momentanea, 150 voci della cultura di massa contemporanea, (a cura di), Roma, Arcana, 2002. Pp.268-73 : il volontariato carcerario, di T. Margiotta; "i territori di frontiera sono i luoghi di nessuno, i luoghi dell'estemporaneità, quei non luoghi dove il corpo cede il posto alle relazioni; quelle scene in cui, il senso del luogo è il senso del ruolo; quei luoghi in cui ogni volta ci si sente estranei. Le galere, come i media, sono situazioni e non luoghi. Così come ci parla Alberto Abruzzese.

Lemert E. M., Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Milano, Giuffré Editore, 1981, p. 111

ibidem

In una visione creativa del sistema sociale, si potrebbe immaginare che alla cristallizzazione di una affermazione  dei principi della cultura dominante un determinato momento storico (ovvero la norma), possa corrispondere la cristallizzazione della deviazione alla norma; quasi a riconoscere che, accettato il carattere precario della norma dato dal relativismo culturale, non si debba-possa procedere alla estirpazione della devianza. Riconoscendo il carattere profetico e creativo di certa devianza - quello di Durkheim - quale espressione del "non ancora" normale.

Meyrowitz J., Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici sul   comportamento sociale, Bologna, Baskerville, 1995,

Turnaturi G., Tradimenti - L'imprevedibilità nelle relazioni umane, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2000;

E' uno dei pochi termini che ho a disposizione per una definizione, dal senso condivisibile, di un deviato che abbia scontato la punizione

Foucault M., Sorvegliare e punire, Nascita della prigione, (1975), Torino, Giulio Einaudi Editore, 1976, p. 295;

Un internato della casa penale di Padova "Due Palazzi", racconta, in un articolo pubblicato su W.W.W. Ristretti.it;

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