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L’imposta sul reddito (Ire)




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L’imposta sul reddito (Ire)


L’Ire, entrata in vigore nel 2006 in sostituzione dell’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) per effetto della delega fiscale (legge 7-4-2003 n. 80), presenta le seguenti caratteristiche:

è un’imposta sul reddito, che colpisce il reddito complessivo annuale conseguito dal soggetto passivo. Il suo periodo di imposta è dunque l’anno solare. Nei moderni ordinamenti fiscali si è preferito dare una prevalenza ai tributi commisurati al reddito rispetto a quelli gravanti sul patrimonio, tenuto conto dell’esigenza di salvaguardare la proprietà privata e di tutelare il risparmio;

l’Ire grava sul reddito effettivamente conseguito dal contribuente lungo il periodo di imposta, anche se per i proventi derivanti dal possesso di terreni e fabbricati (redditi fondiari) può fare riferimento al reddito medio ordinario, determinato catastalmente;

per reddito netto si intende quello depurato dalle spese sostenute per la sua produzione;

è un’imposta personale e progressiva i cui effetti si possono così riassumere:

o      Effetti sociali. Il carico tributario è commisurato alla capacità contributiva del soggetto passivo grazie alla personalità dell’imposta che, ad esempio, attraverso il meccanismo delle deduzioni per carichi familiari, consente un notevole risparmio fiscale per i soggetti meno abbienti.

o      Più equa ripartizione del reddito. La progressività dell’imposta sottrae una maggiore percentuale di ricchezza ai contribuenti più ricchi, ricchezza che potrà essere distribuita a favore delle classi meno agiate tramite il pagamento di spese di trasferimento.

o      Effetti sulla domanda. La progressività dell’Ire, poiché consente di gravare moderatamente sui redditi dei soggetti meno ricchi (per i quali è maggiore la propensione marginale al consumo), permette di aumentare il loro reddito disponibile per l’acquisto di beni e servizi, con un conseguente sostegno della domanda di consumi.


Le caratteristiche dell’Ire

Si tratta della più importante imposta diretta vigente nel nostro sistema tributario, non solo per l’elevato gettito fiscale che essa rappresenta per l’erario, ma anche in quanto consente la realizzazione dei principi di equità fiscale e di efficienza. Essa, essendo un’imposta progressiva, permette l’attuazione di quanto enunciato nel secondo comma dell’art. 53 della Costituzione.

L’Ire presenta i seguenti caratteri:

è un’imposta globale, in quanto non grava separatamente sui singoli redditi del soggetto passivo, ma colpisce la somma di tutti i redditi percepiti dal contribuente;

è un’imposta generale, perché il suo presupposto è il possesso dei redditi, in denaro o in natura, continuativi o occasionali, provenienti da qualsiasi fonte;

è personale dal momento che, tenendo conto delle condizioni sociali, familiari ed economiche del contribuente, è in grado di adeguarsi alla sua effettiva capacità contributiva (attraverso il meccanismo degli oneri deducibili e delle detrazioni);

è progressiva (per scaglioni) e permette quindi di dare applicazione al fondamentale principio dell’uguaglianza dell’imposta;

infine presenta una notevole flessibilità, nel senso che è uno strumento facilmente manovrabile per il raggiungimento di obbiettivi di politica economia e sociale. Infatti, variazioni anche minime delle sue aliquote possono modificare notevolmente il suo gettito, inasprendo o diminuendo la pressione tributaria e, conseguentemente, espandendo o facendo contrarre la spesa pubblica.


I soggetti passivi dell’imposta

I soggetti passivi dell’Imposta sul reddito sono:

le persone fisiche che risiedono nel territorio dello Stato per i redditi provenienti da qualsiasi fonte, prodotti sia in Italia, sia all’estero. Per evitare che lo stesso imponibile sia tassato due volte, in Italia e nello Stato straniero in cui è stato prodotto, si riconosce al contribuente un credito d’imposta di pari ammontare ai tributi già pagati all’estero. Ai fini fiscali, si considerano residenti nel nostro Paese le persone fisiche iscritte nei registri anagrafici della popolazione, quelle che hanno la sede principale dei loro affari nel territorio dello Stato o vi risiedano per oltre sei mesi all’anno e, infine, i cittadini italiani che risiedono all’estero perché vi prestano servizio per conto dello Stato o di altro ente pubblico;

le persone fisiche non residenti, ma solo per i redditi prodotti nello Stato;

le società semplici e le altre società di persone (società in nome collettivo e in accomandita semplice, associazioni di artisti e professionisti). Si tratta, infatti, di società prive di personalità giuridica che, ai fini fiscali, sono equiparate alle persone fisiche. Esse si denominano soggetti passivi impropri. Infatti, devono presentare la dichiarazione dei redditi, poiché il reddito imponibile  è accertato nei loro confronti, ma l’imposta è dovuta dai singoli soci. In altre parole, il reddito della società è imputato ai soci in proporzione alle loro quote di partecipazione. Ognuno di essi deve quindi presentare la propria personale dichiarazione dei redditi ai fini dell’Ire, dalla quale risulterà il suo reddito complessivo. Anche le imprese familiari sono equiparate alle persone fisiche e sono pertanto soggette all’Ire;

gli enti pubblici e privati che non hanno per oggetto principale l’esercizio di attività commerciali (enti non commerciali), aventi sede e oggetto della loro attività nel territorio dello Stato. Quelli non residenti in Italia sono soggetti all’imposta limitatamente ai redditi prodotti nel nostro Paese. Sono soggetti all’Ire anche le organizzazioni non riconosciute (ad es. i partiti politici).


L’oggetto dell’imposta

L’oggetto dell’imposta è costituito dal reddito complessivo netto annuale conseguito dal soggetto passivo, nonché dai redditi altrui di cui il soggetto abbia la piena disponibilità. Tuttavia, sono esclusi dall’imponibile i seguenti redditi:

i redditi esenti;

i redditi soggetti all’imposta sostitutiva per ritenuta alla fonte, come gli interessi obbligazionari, gli interessi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali;

i redditi soggetti a tassazione separata (ad es. il trattamento di fine rapporto o liquidazione);

i redditi soggetti a ritenuta alla fonte con rivalsa, come i premi e le vincite provenienti da lotterie, concorsi-pronostici o giochi, pagati da organismi sia pubblici sia privati.

I redditi conseguiti dai coniugi sono tassati separatamente. Sempre per quanto riguarda i coniugi, per effetto della comunione dei beni, i redditi derivanti dai beni acquistati durante il matrimonio vanno intestati a entrambi nella misura del 50% ciascuno, o per la diversa quota stabilita ai sensi dell’art. 210 del C.C.

Così pure i redditi dei figli minori conviventi, essendo soggetti all’usufrutto legale: essi si considerano attribuiti a entrambi i genitori (purché entrambi siano titolari dell’usufrutto), in ragione della metà.

Al fine di impedire l’elusione della progressività dell’imposta, la legge stabilisce che i compensi dell’attività separata di ciascun coniuge sono a lui imputabili in ogni caso per l’intero ammontare. Inoltre in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti (ad es. coniuge) quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona.

Negli ordinamenti tributari di alcuni Paesi è in vigore un particolare regime dei redditi familiari, avente lo scopo di adeguare l’imposizione all’effettiva capacità contributiva di ogni famiglia. Esso consiste nell’accordare al contribuente la facoltà di chiedere l’applicazione dell’imposta all’insieme dei redditi del nucleo familiare, composto dai coniugi, dai figli (anche adottivi) minori di età o inabili al lavoro, ecc. L’imposta si calcola applicando al reddito complessivo della famiglia l’aliquota media corrispondente al “reddito medio familiare”.

Il regime dei redditi familiari non è stato ancora adottato nel nostro ordinamento, anche se da più parti ne è stata sollecitata l’introduzione per ragioni di giustizia tributaria.


I redditi si classificano in sei fondamentali categorie:

o      redditi fondiari;

o      redditi di capitale;

o      redditi di lavoro dipendente;

o      redditi di lavoro autonomo;

o      redditi d’impresa;

o      redditi diversi.


I redditi di lavoro dipendente

Il reddito di lavoro dipendente è quello derivante dal lavoro prestato alle dipendenze e sotto la direzione di altri. Esso è costituito da tutte le somme, i valori e le utilità in genere (ad es. i compensi in natura) percepiti nel periodo di imposta a qualunque titolo di dipendenza del rapporto di lavoro, comprese le donazioni (ad es. regali, omaggi, ecc.).

Sono da considerarsi tra i redditi di lavoro dipendente, oltre agli stipendi e ai salari, tutte le indennità percepite in relazione al rapporto di lavoro (di preavviso, di anzianità, ecc.), nonché le pensioni e gli assegni a esse equiparati. In particolare sono compresi nel reddito di lavoro dipendente: gli assegni e le borse di studio; i compensi di lavoratori soci di cooperative (purché regolarmente registrate) nei limiti dei salari correnti maggiorati del 20%; le indennità e i gettoni di presenza pagati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Provincie e dai Comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni (presidenti o scrutatori dei seggi elettorali); le indennità pagate ai membri del Parlamento, ai giudici costituzionali e ai titolari di cariche elettive presso gli enti locali (consiglieri comunali, provinciali, ecc.); le rendite vitalizie; gli assegni periodici alla cui produzione non concorrano né capitale né lavoro (ad es. gli assegni corrisposti al coniuge separato legalmente o divorziato).

Tra i compensi in natura vanno ricordati anche i cosiddetti “fringe benefits”, il cui valore va tassato in misura pari al valore normale dei beni e dei servizi goduti. Si pensi ai viaggi-premio, all’automobile in dotazione, alla disponibilità di un appartamento, ecc. se tali compensi comportano un costo per il datore, essi fanno parte del reddito del lavoratore in concorrenza al costo sostenuto. Pertanto, dovranno essere assoggettati a ritenuta alla fonte, cumulati con i redditi in denaro.

Il reddito di lavoro dipendente è in sostanza formato da tutti i compensi conseguiti dal contribuente nel periodo di imposta in qualità di lavoratore subordinato

Non concorrono invece a formare tale reddito i contributi corrisposti dal lavoratore e dal datore di lavoro a favore di enti previdenziali e assistenziali (Inps, Inail, ecc.). Infine, a un particolare regime fiscale sono sottoposte le indennità di trasferta, che sono soggette all’Ire per la parte eccedente € 46,48 giornalieri. Tale limite è elevato a € 77,47 per le trasferte all’estero.

L’imposizione sui redditi di lavoro dipendente viene effettuata attraverso la ritenuta alla fonte da parte del sostituto di imposta. Sono da ritenersi sostituti di imposta i datori di lavoro che si servano della collaborazione di lavoratori dipendenti ai quali venga pagata una retribuzione periodica a titolo di stipendio, di salario, di indennità o altro reddito simile a quello di lavoro subordinato. Inoltre, sono sostituti di imposta lo Stato, gli enti pubblici o privati che corrispondano pensioni o assegni equiparati (Inps, Inpdap, ecc.). Vengono infine considerati sostituti d’imposta gli esercenti le libere professioni e le arti che si servano di personale dipendente. Il datore di lavoro è tenuto a versare all’erario l’importo delle trattenute di imposta dovute, con l’obbligo di rivalsa sulla busta paga del lavoratore. L’ammontare dell’imposta pagata dal sostituto di imposta verrà perciò sottratto dalla retribuzione del


Esse vanno versate all’erario entro i primi quindici giorni del mese successivo a quello in cui sono state effettuate.



prestatore di lavoro.

Osserviamo che le ritenute ai fini Ire1 sono operate dal datore di lavoro (o dall’ente erogante) sui

compensi elargiti al lavoratore in relazione al periodo di paga, che può essere mensile, settimanale o

giornaliero.

Nell’ipotesi che il periodo di paga fosse mensile, esse verranno effettuate sulla retribuzione di ogni mese.

Tuttavia è da tenere presente che il prestatore di lavoro ha diritto di percepire le cosiddette “maggiorazioni” durante l’anno, quali la tredicesima mensilità e gli eventuali premi di produzione. Di conseguenza, a fine anno il sostituto di imposta sarà tenuto a versare all’erario l’Ire a conguaglio, cioè l’imposta dovuta per i compensi aggiuntivi pagati durante il periodo di imposta.

Il datore di lavoro è inoltre obbligato a rilasciare al dipendente un’apposita certificazione (Cud), un documento fiscale in cui vengono indicati tutti i compensi corrisposti a quest’ultimo nell’intero anno, nonché le relative trattenute fiscali e i contributi sociali. Le trattenute sono da considerarsi a titolo definitivo se il contribuente non ha guadagnato nel periodo considerato nessun altro reddito al di fuori di quello di lavoro dipendente, dei redditi fondiari (entro un dato limite), nonché dei redditi esenti e di quelli soggetti a ritenuta definitiva (ad es. l’imposta sostitutiva). Infatti, in tal caso, egli è esonerato dal presentare la certificazione e la dichiarazione dei redditi, sempreché non abbia oneri deducibili. Se invece il prestatore di lavoro avesse nel corso dell’anno percepito anche redditi diversi da quello di lavoratore dipendente (redditi di capitale, di lavoro autonomo, ecc.), la ritenuta del sostituto di imposta sarà solo a titolo di acconto. Infatti, il contribuente dovrà presentare la dichiarazione dei redditi, nella quale indicherà il suo reddito complessivo (redditi da lavoro dipendente più altri redditi). Ha tuttavia la facoltà di essere esonerato dalla presentazione della dichiarazione, richiedendo che i suoi obblighi relativi vengano assolti dal suo datore di lavoro o ente pensionistico, o dai competenti Centri di assistenza fiscale (C. a. f.). Sul reddito complessivo sarà calcolata l’imposta dovuta, dalla quale sarà naturalmente detratto l’importo delle ritenute fiscali effettuate alla fonte dal suo datore di lavoro.  La differenza dovrà essere versata all’erario (conguaglio per autotassazione). Analogamente, gli enti che pagano pensioni e indennità assimilate sono tenuti a rilasciare al contribuente la certificazione; quest’ultimo, se non ha percepito altri redditi oltre alla pensione, non sarà tenuto ad alcun adempimento.


Redditi soggetti a tassazione separata

Le sei categorie di redditi che abbiamo citato nel paragrafo 2.3 concorrono alla formazione del reddito complessivo netto ai fini Ire. Esistono invece dei compensi che sono esclusi dalla sua sfera impositiva, in quanto tassati separatamente. La ragione di ciò sta nel fatto che essi si formano in un lungo periodo di tempo (cioè in più periodi di imposta), ma vengono corrisposti al contribuente in una volta sola. Per questo, si vuole evitare che il percettore sia penalizzato dalla progressività che caratterizza l’imposta sul reddito.

La tassazione separata è prevista per i seguenti compensi:

le indennità per cessazione di rapporti di collaborazione coordinata (i cosiddetti “lavori a progetto”);

le indennità di anzianità (il cosiddetto “trattamento di fine rapporto”), di previdenza e di preavviso percepite una tantum per la cessazione di rapporti di lavoro dipendente, le indennità di mobilità;

i compensi arretrati relativi ad anni precedenti, percepiti dai prestatori di lavoro dipendente;

le plusvalenze patrimoniali percepite in dipendenza della liquidazione o della cessazione dell’azienda, compreso il valore di avviamento;

i compensi percepiti per la perdita di avviamento.

Tuttavia, per quanto riguarda le indennità di anzianità, di previdenza, di preavviso o simili percepite “una tantum” per la cessazione di rapporti di lavoro dipendente, per i compensi arretrati e per le indennità di cui al primo punto, il contribuente può decidere (in base alla sua convenienza) di non avvalersi della tassazione separata, facendolo constatare nella dichiarazione dei redditi. Tali compensi, in tal caso, concorrono perciò a formare l’imponibile dell’Ire.

La tassazione separata è in genere effettuata, tranne per le indennità di fine rapporto per cui al secondo punto, applicando all’ammontare percepito l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui è sorto il diritto a ottenere il compenso. Se in uno dei due anni anteriori non vi è stato reddito imponibile, si applica l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto dell’altro anno. Se non vi è stato reddito imponibile in alcuno dei due anni si applica l’aliquota dell’Ire stabilita per il primo scaglione di reddito.




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