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Verismo e positivismo




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Verismo e positivismo

Nel 1861 fu proclamato il Regno d'Italia: si concludeva così la lunga e travagliata fase risorgimentale della storia italiana. Tuttavia restavano ancora le questioni di Venezia (annessa nel 1866) e di Roma (conquistata nel 1870). In politica interna gravi erano i contrasti tra il 'Partito d'Azione', che si ispirava agli insegnamenti garibaldini e mazziniani, fiduciosi nella iniziativa popolare, e i moderati, che puntavano all'attività diplomatica. Alle discordie politiche si affiancava, nel campo sociale, il problema del grande divario tra Nord e Sud.

Nel 1861, infatti, si sviluppò il brigantaggio, espressione del disagio della popolazione meridionale, che si era vista forzatamente associata nel processo di unificazione nazionale a quelle delle regioni settentrionali, sorrette da un'economia molto più progredita. Nella rivolta confluirono le delusioni dei contadini per la mancata soluzione del problema della distribuzione delle terre, la protesta dei legittimisti fautori del regime borbonico e l'ostilità popolare nei confronti della leva obbligatoria e delle pesanti imposte fiscali introdotte dal nuovo Stato.

Da Roma i Borbone alimentarono la rivolta nel tentativo di trasformarla in guerra legittimistica, ma in realtà questo fattore fu alquanto marginale, esasperato dal governo piemontese, interessato ad attribuire la rivolta ai Borbone. I governanti della Destra usarono violente misure repressive, fino ad affidare i processi dei briganti ai tribunali militari (Legge Píca, 15 agosto 1863). Nel 1865 il brigantaggio cessò; ma le questioni, che lo avevano provocato, non erano state affatto risolte.

Nonostante queste contraddizioni, l'Italia era ormai entrata in contatto con la cultura europea, dalla quale era stata profondamente influenzata. Ciò aveva però, al tempo stesso, determinato, come scrive Petronio, lo svilupparsi di uno stato di dislocazione storica; basti pensare che dopo i moti del 1848 in Francia, dove si erano affermate rivendicazioni socialiste, gli Italiani furono assaliti dal timore di un'eventuale diffusione in patria dello 'spettro rosso', vale a dire del socialismo, anche se questa era una paura infondata, in quanto non esisteva in Italia, ancora un quarto stato organizzato.

Il Positivismo

L'ideologia filosofico-esistenziale tipica della seconda metà dell'800 è il Positivismo, che propone la conoscenza scientifica come l'unico sapere possibile, di contro alla metafisica (priva, per i positivisti, di valore), e l'estensione del metodo scientifico a tutti i campi, anche a quelli riguardanti l'uomo e la società: nasce così la sociologia di Auguste Comte.

Il Positivismo, che nutre una grande fiducia nella ragione, concepita come strumento di progresso, è incentrato su una visione laica della vita, ma si differenzia dall'illuminismo. Questa corrente, infatti, si faceva promotrice dell'ideale rivoluzionario di una borghesia in ascesa, che muoveva verso una fondazione critica della scienza, la quale ottimisticamente poneva l'uomo nella condizione fiduciosa del razionalizzatore della realtà. I positivisti, invece, essendo gli esponenti di una classe borghese che si è già affermata, mirano, sorretti da una minore carica polemica, a mantenere lo status quo, opponendosi alle esigenze del quarto stato e alle dottrine socialiste, ed ad estendere la validità della scienza al campo gnoseologico, per cui, secondo loro, anche il territorio della psicologia è analizzabile con gli stessi strumenti fisico-matematici delle discipline esatte.

Ma la visione dell'uomo 'positivo' comporta non solo il modello antropologico di un essere analizzabile sub specie scientiae, ma anche una sorta di uomo totale, che cioè manifesta se stesso in una pluralità di atteggiamenti e sentimenti: da quelli più nobili e alti a quelli più laidi e riprovevoli. Inizia così l'attenzione dei positivisti e, dunque, dei naturalisti-veristi alla più vasta fenomenologia della natura umana che la cultura dell'Occidente abbia fino ad allora individuato e studiato.

Per questa ansia laica di Assoluto, i positivisti sono, per certi versi rapportabili agli idealisti; come quest'ultimi tendevano a caricare l'arte e la filosofia di significati assoluti, così i positivisti attribuiscono alla scienza una validità assoluta, quasi di tipo 'religioso'. Tuttavia, diverse sono le parole d'ordine: se i romantici ragionano in termini di filosofia speculativa, di spirito, di dialettica, i positivisti ragionano in termini di scienza, umanità e progresso.

Naturalismo e Verismo

Il Verismo italiano è particolarmente legato al Naturalismo francese, ossia a quella tendenza che si esprime con Emile Zola, il quale si rifà alle tesi di Hippolyte Taine.

Le caratteristiche del Naturalismo. Gli elementi peculiari del Naturalismo sono i seguenti:

  • la presenza del substrato filosofico positivistico; lo stesso Zola ritiene che la nuova letteratura sia 'una conseguenza dell'evoluzione scientifica del secolo' e che bisogna sostituire allo studio dell'uomo in astratto quello dell'uomo 'positivo' e 'naturale';
  • la visione, proposta da Taine, dell'uomo visto come il prodotto di tre elementi: rate, milieu, moment (razza o fattore ereditario, ambiente sociale, momento storico), che lo determinano nei suoi tratti psicologici e nei suoi aspetti comportamentistici (concezione deterministica della vita);
  • la poetica, secondo cui l'opera d'arte è una tranche de vie, una fetta di vita studiata con i metodi delle scienze naturali e sociali;

l'orientamento del romanzo verso lo studio della società in tutti i suoi aspetti, da quello più basso e vile a quello più nobile ed elevato;

l'analisi della società contemporanea, nei suoi aspetti urbani ed industriali (si veda il ventre di Parigi di Zola), con un'attenzione particolare al lumpenproletariat (il proletariato degli stracci), di cui documenta le tendenze negative, come l'emarginazione, la criminalità, la prostituzione;

la rappresentazione, attraverso una psicologia scientifica, della brutalità dei sentimenti, che tuttavia si impongono per la loro spontaneità e istintività nella loro terribile e brutale veridicità (si vedano Una vita e Palla di sego di Maupassant e L'ammazzatoio e La bestia umana di Zola).

Le caratteristiche del Verismo e le modificazioni rispetto al Naturalismo. II Verismo italiano, pur riallacciandosi in senso lato a tali elementi caratteristici, opera una modificazione di essi. Vediamo dunque, punto per punto, i vari cambiamenti:

  • reinterpretazione del background filosofico, nella fattispecie di stampo positivistico; questo determina una mancanza del gusto per la scientificità della letteratura. La 'naturalezza' dei personaggi veristici consiste non nell'essenzialità dei caratteri tipici della letteratura naturalistica, bensì nei legami viscerali con un mondo 'primitivo';
  • assenza di una meccanica e pedissequa applicazione della concezione deterministica (solo nel Mastro don Gesualdo di Verga si accenna a 'tare ereditarie' che condizionano e 'determinano' il comportamento);
  • atteggiamento, pur nella tendenza all'analisi sociale, di attesa incerta verso un paese nuovo, ancora tutto da scoprire e di attenzione verso il fascino del 'profondo Sud', fatto per cui non si affermano, in Italia, testimonianze importanti di romanzo-inchiesta o romanzo-diagnosi; scontro traumatico fra valori e disvalori culturali; analisi della società contemporanea, nei suoi aspetti rurali e tradizionali, la cui mentalità conserva dei parametri culturali fortemente peculiari; (a rappresentazione, attraverso una psicologia della corporeità, dei sentimenti ancestrali e violenti del carattere umano (il senso di una giustizia primitiva, l'ossessione dell'onore il richiamo del sangue, il peso della fatica quotidiana).

Sintesi delle differenze fra Zola e Verga. Da queste premesse nascono le sostanziali differenze tra i maggiori esponenti delle due correnti letterarie: Zola e Verga. Esse vengono formulate da Luigi Russo nel modo seguente. Zola, ottimista e progressista, si ritiene un 'moralista sperimentatore', che, se denuncia il lucido meccanismo delle passioni violente dell'uomo e le contraddizioni della società, lo fa per cercare di correggerle e renderle le più inoffensive possibili. Verga, invece, pessimista e conservatore, è vincolato da un'ottica fatalistica che non gli fa intravedere alcuno spiraglio di miglioramento e soluzione.

La soluzione linguistica dell'impersonalità. Un elemento, invece, che accomuna Naturalismo e Verismo riguarda la sfera letteraria: si tratta della tecnica dell'impersonalità. In base ad essa, ambienti e fatti sono visti con l'animo e con gli occhi dei personaggi. In particolare, negli scrittori veristi essi sono resi con un lessico ed uno stile che tendono a ricalcare il parlato; perciò viene abbandonato il fiorentino colto proposto dal Manzoni e vengono rivalutate le voci dialettali.

Per realizzare tali obiettivi, apparve come strumento più opportuno l'obbligo da parte dello scrittore di non far avvertire la propria presenza (impersonalità), bensì di agire come se l'opera d'arte si fosse scritta da sé, non rivelando l'impronta dell'autore, ma lasciando parlare le cose e i personaggi, proprio come esige la massima di Maupassant: L'art exprime le dedans par le dehors (L'arte esprime il di dentro con il di fuori). Vedremo però come però l''impersonalità' verghiana abbia radici del tutto peculiari e irripetibili e come essa non sia sempre volutamente attuata, in quanto cede il posto ad un originale 'slittamento lirico'. Per le analisi testali specifiche si veda il terzo percorso sul romanzo.

Verga e il verismo

L'attività letteraria di Verga si divide solitamente in due fasi. La prima, denominata pre-verista o realistico-borghese, comprende romanzi storici (come Amore e patria del 1856-57 e I carbonari della montagna del 1861-62) e romanzi (1866-75) che studiano l'alta società e gli ambienti degli artisti scapigliati. La seconda fase è rappresentata dai capolavori di orientamento verista, come 1 Malavoglia, Mastro Don Gesualdo e le novelle.

Vediamo le trame e le caratteristiche dei romanzi della prima fase.

Una peccatrice (1866) racconta l'amore di un poeta per una donna ammaliatrice, che si avvelena e muore suonando il pianoforte. Storia di una capinera (1869) è la storia di una educanda che, destinata a diventare monaca, si innamora; incompresa, si dispera e, ammalatasi di tisi, muore. Eva (1873) ha come protagonista un giovane pittore, fiducioso del suo genio, che, dopo essersi innamorato di una giovane ballerina dotata di buon senso, deluso dal mondo della passione facile, se ne va a morire, tisico, presso la sua famiglia, in Sicilia. Tigre reale (1873) narra l'amore di Giorgio un giovane, 'fiacco' nelle sue passioni, per una contessa russa che muore. Egli ritorna alla fine a vivere dalla figlia e dalla moglie: il treno che riporta il cadavere della contessa in Russia s'incrocia con quello che porta Giorgio e la famiglia in villeggiatura. Eros (1875) è la storia di un marchese, che conclude il suo folle amore per la cugina con il suicidio.

Dopo queste opere pre-veriste secondo Petronio non torneranno più, nelle opere maggiori, elementi come l'autobiografismo (Verga, anche se non tratta avvenimenti vissuti in prima persona, li inserisce in una società nella quale egli stesso ha vissuto), l'Erlebnis (partecipazione nelle vicende narrate), il sentimentalismo tardo-romantico, il tema del fallimento dell'artista superuomo, il carattere dei 'romanzo d'appendice' o feuilleton (foglio di colore diverso inserito in un giornale a puntate) che traspare dai temi tipici della paraletteratura (folli amori, duelli, avventure esotiche e ambientazione nei café chantant e nel demi monde degli artisti da avanspettacolo).

Tuttavia queste opere presentano anche caratteri di continuità tra il periodo pre-verista e quello verista tout-court. l'ambientazione in un contesto contemporaneo all'autore, l'analisi di uno spaccato di società, il contrasto tra le classi sociali (si veda l'episodio allusivo del treno in cui sono 'contrapposti' la contessa russa da un lato e la famiglia borghese di Giorgio), l'analisi di personaggi 'vinti', il tentativo di allontanarsi dai classici per usare il linguaggio parlato.

La conversione di Verga al Verismo e Nedda

L'opera del cambiamento totale è la novella Nedda (1870): Nedda è una raccoglitrice di olive, che, avuta una figlia da un uomo povero, dopo la morte di lui non riesce ad impedire la morte della bimba, che sopraggiunge per fame.

Quest'opera si fonda su un moto polemico contro la società borghese, quella società di 'banche e imprese industriali' (come l'ha definita nella prefazione di Eva), che causa dolori come quelli subìti dalla protagonista. Ormai l'ambiente che egli rappresenta non è più quello mondano e frivolo delle ballerine e degli artisti falliti, di cui egli ormai avverte la stanchezza, bensì una realtà arcaica ma non dimenticata, che può essere 'risvegliata' allo stesso modo della fiamma che, come egli racconta nell'esordio, viene destata nel caminetto dal fuoco che pareva spento. Il disagio nei confronti del mondo falso e vuoto dell'alta borghesia e degli ambienti scapigliati conduce ad una conversione al Verismo.

Tale conversione, secondo Gaetano Trombatore, sarebbe rimasta un avvenimento derivato da un'esigenza morale, se tre elementi non avessero concorso in modo determinato a produrla:

  • l'evoluzionismo darwinistico (selezione naturale e sopravvivenza dei più forte) da cui derivò il senso della vita come lotta per l'esistenza e perciò la visione degli attriti fra le classi sociali;
  • la questione meridionale, che lo guidò alla scoperta della sua terra, la Sicilia;
  • il naturalismo, che gli insegnò che l'arte deve ritrarre la verità dalla vita umana e perciò deve rivolgersi di preferenza agli strati più umili della società, perché è là che si manifestano nella loro primordiale essenza le leggi fondamentali della vita.

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