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UGO FOSCOLO |
IL PROPRIO RITRATTO
'Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,
crin fulvo, emunte guance,
ardito aspetto,
labbri tumidi, arguti, al riso lenti,
capo chino, bel collo, irsuto petto;
membra esatte; vestir semplice, eletto,
ratti i passi, il pensier, gli atti, gli accenti:
prodigo, sobrio; umano, ispido, schietto;
avverso al mondo, avversi a me gli eventi.
Mesto i più giorni e solo; ognor pensoso,
alle speranze incredulo e al timore,
il pudor mi fa vile e prode l'ira;
cauta in me parla la ragion, ma il core,
ricco di vizi e di virtù, delira.
Morte, tu mi darai fama e riposo'.
Note biografiche di
di Maria Pia Perrotta
Composto, forse
tra il 1801 e il 1802, il sonetto è, sotto il profilo analitico, una fiera
confessione e una sincera descrizione di se stesso. Il Foscolo aveva capelli
rossi e ricciuti, ampia fronte, occhi piccoli ma scintillanti, era ribelle,
coraggioso, schivo, passionale, scontroso, malinconico, insofferente ad ogni
forma di costrizione, tuonava con voce rauca contro gli oppressori. Non bello
ma ricco di parola e di memoria, affascinante e trascinatore. Personalità
carismatica ma complessa e difficile, fortemente tormentata dall'eterno
contrasto tra sentimento e ragione, tra il desiderio di morte, intesa come
liberazione e non come vile arrendevolezza, e l' anelito all'eterno, tra
bisogno di pace personale e ribellione politica. Poeta per eccellenza, impavido
soldato, fu colui che amò molte donne, trasfigurandole su un piano di divina
bellezza, quella bellezza armoniosa, pura, che riteneva il conforto e la gioia
ai mali degli uomini.
IL CONTESTO STORICO
Quando scoppia la Rivoluzione Francese (1789)Ugo Foscolo ha undici anni e,
trasferitosi da Zante a Venezia nel 1792, può seguire
più da vicino il fermento che prende gli animi più sensibili dell'Italia
settentrionale, quando il re del Piemonte, Vittorio Amedeo III, entra nella
coalizione europea del 1793 contro la Francia. Dopo di lui si associano, in
quella coalizione, gli altri Stati italiani, il Papato, la Toscana, Genova e
Napoli. Soltanto la Repubblica aristocratica di Venezia ne rimane fuori. Due
anni dopo, quel miscuglio di alleanze si scioglierà, mentre solo il Piemonte
rinnova i patti con l'Austria a Valenciennes.
Nel 1796, nella sconvolta compagine europea, appare la stella di Napoleone, a
cui è stato affidato il comando degli eserciti della Repubblica, schierati
contro gli Austro - Piemontesi, in Italia. I Francesi, valicate le Alpi,
sconfiggono ripetutamente i Piemontesi a Montenotte,
Millesimo, Dego e Mondovì,
costringendoli alla pace di Cherasco (28 aprile 1796)
e alla pace di Parigi, per la quale il giovane generale ha via libera in
Italia. E' poi la volta degli Austriaci ad essere sconfitti ,in più riprese, a
Lodi, Lonato, Castiglione,
dopo essere stati cacciati anche dalla famosa fortezza del Quadrilatero. Poi di
nuovo, in un susseguirsi fatidico, ad Arcale e infine
a Rivoli, fino all'armistizio di Leoben. Gli
Italiani, di fronte a questa travolgente ondata, si esaltano ed accolgono
Napoleone, trionfante, come liberatore. A Milano, sgombra dagli Austriaci,
viene creato un governo provvisorio, col nome di Congregazione di Stato,
composta da molti uomini illustri, tra cui il Parini
; nelle città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio nasce la Repubblica
Cispadana. Il governo Veneziano continua nel suo atteggiamento di indifferenza
innanzi agli importanti eventi, ma le idee innovatrici sono già penetrate nelle
menti di molti veneziani, una di quelle menti è quella del giovane Foscolo.
IL CONTESTO FILOSOFICO-LETTERARIO
Il poeta vive una tumultuosa e non lunga vita a cavallo di due secoli, il XVIII
e il XIX, molto diversi tra loro. Del primo porterà con sé la concezione
materialistica e meccanicistica del mondo, come fu anche per Leopardi, e il
gusto neoclassico. Del secondo assimilerà i valori di patriottismo, umanità,
solidarietà e amore. Resosi consapevole di quel dissidio, si pone, ostinato,
come arbitro del suo destino, operando delle scelte coerenti con il suo
pensiero, che gli costeranno innumerevoli sofferenze e sacrifici sul piano
umano ed economico.
Ateo convinto, egli vede l'universo come una realtà puramente materiale, dove
tutto è
cadùco e destinato a finire, la stessa anima non è
immortale, non vi sarà una rinascita dopo la morte. Da qui deriva una visione
sconsolata dell'esistenza, dominata da un'arcana forza in cui l'uomo è
trascinato dal moto inarrestabile degli eventi e delle cose, contro cui è
inutile lottare. Sembrerebbe la fine di tutto ma le risorse infinite del
Foscolo fanno luce
nelle tenebre: a sovrastare la precarietà del mondo, si erge la Poesia,
fautrice della Fama infinita, che contrasta la finitezza dell' Universo.
Reagisce al freddo
razionalismo, creandosi una propria religione, quella delle illusioni, che
hanno il potere
di innalzare l'uomo dal suo stato di pessimismo e di scetticismo per elevarlo
al bello, all'eterno, ai valori spirituali.
L'amore per il passato, che serve per meglio vivere e sopportare il presente,
lo allontana ancor di più dal razionalismo astratto del pensiero illuminista,
che fu avversario della tradizione, soprattutto quella medioevale, nella quale
vedeva oscurantismo, superstizione e ignoranza. La sua visione della storia si
avvicina a quella del Vico, e da lui apprende pure il concetto di fantasia, per
mezzo della quale si trasfigurano la realtà e il pensiero in poesia. Nella sua
lirica si trovano tantissimi riferimenti mitologici, è il suo neoclassicismo, che
non è uno stile elegante, volto solo ad arricchire esteriormente i propri
contenuti, bensì un ritorno nostalgico alle origini greche della sua infanzia e
un afflato spirituale, capace di ridare all'uomo la sua essenza interiore più
vera. Il richiamo al classicismo è insomma per lui un'esigenza dello spirito.
In una lettera del 1808 egli così scrive: 'Non oblierò mai che nacqui da
madre greca, che fui allattato da greca nutrice, e che vidi il primo raggio di
sole nella chiara e selvosa Giacinto, risuonante ancora de'
versi con che Omero e Teocrito la
celebravano'.
Tuttavia il suo amor patrio, la sua partecipazione concreta alle lotte per la
libertà, il suo coraggio nella vita e sul campo di battaglia, la sua penna
ammonitrice, fanno di lui un padre ideale dell' Ottocento italiano, a lui si
rivolsero, prendendolo ad esempio sublime, i grandi eroi, poeti e scrittori,
protagonisti della nostro Risorgimento, come il Mazzini, il Garibaldi, il
Pellico, il Carducci, il Berchet, il Ruffini e altri ancora.
Niccolò Ugo
Foscolo
nasce a Zante ( Zacinto ),
isola greca dello Ionio, il 6 febbraio del 1778, suo padre Andrea è medico di
bordo della marina veneziana; sua madre Diamantina Spathis
è una greca di 31 anni, 7 più del marito. E' il primo di quattro fratelli, dopo
di lui nasceranno Rubina e Giovanni Dionigi. Giulio, l'ultimo verrà alla luce
nel 1787, quando tutta la famiglia si è già trasferita a Spalato; lì Ugo
frequenta il Seminario, dove attende agli studi con poco profitto e viene
espulso, per aver picchiato due maestri; lo confesserà al Monti, con rimorso,
non per l'atto compiuto quanto per aver perso le proficue lezioni di latino.
Sono comunque quelli gli anni più tranquilli fino al 1788, quando muore il
padre. La madre parte quasi
subito per Venezia, mentre i figli sono affidati alle cure della nonna materna e delle zie di Corfù; Ugo va a stare con una zia di Zacinto.
Lì trascorre alcuni anni nel paesaggio selvatico e ridente dell'isola, libero
di correre e vagare, saziando il suo animo curioso e irrequieto; compirà le
prime galoppate e imparerà a nuotare in quell'infinito mare azzurro. E' di quel periodo un episodio
'scandaloso' riportato da Spiridione De Biasi,
raccoglitore di memorie locali, secondo il quale Ugo cercò di forzare le porte
del ghetto ebraico della città,
perché non poteva ammettere che venissero usate certe discriminazioni. L'età
del colpevole e l'intercessione della zia fecero in modo che il gesto non
avesse conseguenze, ma l'accaduto serve a spiegare l'intima natura del poeta,
che prepotentemente andava manifestandosi.
Il 1792 è l'anno dell'arrivo a Venezia ed anche quella città esplorerà con
interesse e ammirazione. Frequenta la scuola laica di San Cipriano
a Murano, dove ha come primo maestro Angelo Dalmistro,
il quale gli trae dall'animo l'amore, già latente, per la poesia. I primi anni
a Venezia sono di dura povertà ma di studio intenso: non ancora diciottenne
conosce i classici greci, latini e italiani ed i filosofi del settecento,
poiché, insieme con la vena letteraria, è comparso un profondo interesse sul
mistero della vita e del destino dell'uomo, dopo il tramonto definitivo della
fede cristiana. Elabora un Piano di studi in cui determina un sistematico
programma di letture. E compone le prime poesie, nelle quali si intravedono i
suoi modelli, Parini, Alfieri e Monti. Frequenta,
anche se saltuariamente le lezioni di Melchiorre Cesarotti,
grande patriota e traduttore di Omero e di Ossian.
Raccoglie i primi successi e come uomo e come poeta, s'aggira per le vie e i caffè, con un logoro soprabito verde, come un bohemien ed è ammirato dalle donne. Una di queste, Isabella Teotochi Albrizzi, colta e affascinante, che lo accoglie nel suo salotto letterario, suscita in lui una grande passione, la prima di una lunga serie di amori, spesso infelici. Nel frattempo aderisce alle idee rivoluzionarie e giacobine, con il risultato di rendersi sospetto al governo oligarchico di Venezia e di essere costretto a rifugiarsi sui Colli Euganei, dove inizia un romanzo d'amore in lettere , Laura (l'abbozzo del futuro romanzo epistolare 'Le ultime lettere di Jacopo Ortis'), e termina la prima tragedia, il Tieste, di stampo alfieriano. L'opera è rappresentata con enorme successo il 4 gennaio del 1797, nel teatro di Sant'Angiolo e replicata per trenta sere consecutive. Il pubblico, che apprezza la tragedia, è composto da giovani, democratici e patrioti.
Il suo temperamento impetuoso non permette a lungo una vita dedita soltanto alla scrittura e alla contemplazione filosofica, è tempo che quello spirito ruggente esploda in qualche modo:
'Il pensiero sta per divenire azione
Preso, oltre che
dalla poesia, anche dai capovolgimenti storici, abbandona Venezia, riparando a
Bologna, nella Repubblica Cispadana, lì scrive l'ode 'A Bonaparte liberatore', in cui esorta il
francese a liberare l'Italia e si arruola come tenente tra i Cacciatori a
cavallo. Ma pochi mesi durano le sue speranze: quando torna a Venezia, chiamato
come segretario del Comitato del governo democratico, apprende del vergognoso
trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), con il
quale il Bonaparte cede Venezia agli Austriaci, e
fugge a Milano. Lì conosce Parini , stringe maggiori
legami con Vincenzo Monti, della cui moglie, Teresa Pickler,
si innamora vanamente; diviene infine redattore del 'Monitore italiano
', soppresso molto presto per la spregiudicatezza con cui si giudica
l'operato dei Francesi. Di nuovo a Bologna incomincia a scrivere 'Le
ultime lettere di Jacopo Ortis', interrotto per andare a combattere
contro gli austro-russi, nell'esercito francese guidato dal Massena,
in Emilia e in Romagna (1799); ferito a Cento, partecipa successivamente alla
difesa di Genova.
Nella città ligure ristampa l'ode a Bonaparte,
accompagnata da una sdegnosa lettera, che ammonisce il primo console a non
farsi attirare dalla tirannide e a cancellare l'onta di Campoformio.
Le imprese militari e le vicende amorose, da quel momento, saranno un
susseguirsi ininterrotto, senza che lui tralasci la penna e da infaticabile
scrittore qual è, compone l'ode ' A Luigia Pallavicini
caduta da cavallo'(1800), dedicata ad una nobildonna amica, rimasta
sfigurata in seguito ad un incidente. Tra un'impresa militare e l'altra, a
Firenze conosce Isabella Roncioni , che ama
inutilmente, perché promessa ad un altro e dopo pochi mesi a Milano, dove è
ritornato, dopo la vittoria francese di Marengo, intreccia una nuova relazione
con Antonietta Fagnani Arese,
per la quale scrive l'ode 'All'amica risanata'.
Nel 1802, compone per incarico del governo, l'Orazione a Bonaparte,
per i comizi di Lione, dove il primo console aveva convocato i delegati
d'Italia, volendo trasformare la Repubblica cisalpina in italiana. Pubblica le Ultime
lettere di Jacopo Ortis e nel 1803 le Odi e i celebri dodici
sonetti. E' di quest'epoca il Commento alla Chioma di Berenice,
poema di Callimaco, tradotto in latino da Catullo.
Dal 1804 al 1806 emigra nella Francia del Nord, presso la divisione del
generale Pino, per lo sbarco in Inghilterra, progettato dal Bonaparte
e mai realizzato. Conosce l'inglese Fanny Emerytt e
da quella relazione nasce una figlia di nome Floriana, della cui esistenza sarà
ignaro fino al suo trasferimento in Inghilterra. Ritorna a Milano e nel 1807
pubblica il carme Dei Sepolcri, scritto dopo aver appreso la notizia
dell'editto di Saint Cloud, emanato dal governo
francese ( giugno del 1804), il quale comandava che i cadaveri dovessero essere
seppelliti fuori della città, in pubblici cimiteri, senza distinzioni di
classe. Un anno dopo sarà professore di eloquenza all'università di Pavia, ma
la cattedra sarà soppressa da Napoleone, ormai sospettoso di ogni forma di
libero pensiero. Da quella cattedra il Foscolo ha il torto di non proferire
parole leziose nei confronti dell'imperatore e di richiamare gli Italiani,
incitandoli alla rinascita e alla libertà. Nel contempo viene attaccato con
satire ed epigrammi da maligni avversari e dal Monti, con cui rompe ogni
rapporto. Risponde alle accuse, non rendendosi conto di prodigare troppi onori
a coloro che non lo meritano, ma è consapevole della sua indole dignitosa fino
all'estremo e rivolge al Monti queste memorabili e schiette parole: 'Discenderemo
entrambi nel sepolcro, voi più lodato certamente, io forse più compianto; il
vostro epitaffio sarà un elogio; sul mio si leggerà che, nato e cresciuto fra
tristi passioni, ho serbato la mia penna vergine di menzogne.'
Il 1811 vede nascere un'altra sua tragedia, l'Aiace, nella quale si
intravedono allusioni antinapoleoniche, è di nuovo ramingo da Milano a Venezia,
da Bologna a Firenze. Nuovi amori, nuove passioni: con la milanese Maddalena Bignami, con la contessa Cornelia Martinetti e a Firenze
con Quirina Mocenni Magiotti.
Nella villa di Bellosguardo, dove si è rifugiato, per
trovare un po' di pace, si dedica alla composizione dell'ultimo capolavoro, le Grazie
e nel 1813 termina la terza tragedia, la Ricciarda, che ottiene
maggiore successo della seconda.
All'annuncio della sconfitta napoleonica a Lipsia (1813), corre di nuovo in
battaglia per la difesa dell'Italia. Porta, nel frattempo a compimento, la
traduzione del Viaggio sentimentale dell'inglese Lorenzo Sterne e la Notizia intorno a Didimo Chierico,
satira contro i letterati suoi avversari, in cui traccia un nuovo e più
disincantato ritratto ideale di sé. Nel 1814 Napoleone abdica e la Lombardia è
annessa all'Austria.
L'esilio
Viene invitato
dal governo austriaco a collaborare alle iniziative culturali del regime, in un
primo momento è incerto se accettare o meno, però alla vigilia del giorno in
cui deve prestare giuramento di fedeltà agli invasori, non ha più esitazioni e
lascia definitivamente l'Italia per andare in volontario esilio, prima in
Svizzera e poi in Inghilterra. Si congeda dalla famiglia con una bellissima
lettera, in cui scrive, tra l'altro:' L'onore mio e la mia coscienza mi
vietano di dare un giuramento che il presente governo domanda per obbligarmi a
servire nella milizia, dalla quale le mie occupazioni e l'età mia e i
miei interessi mi hanno tolta ogni vocazione. Inoltre tradirei la nobiltà,
incontaminata fino ad ora, del mio carattere col giurare cose che non
potrei attenere, e con vendermi a qualunque governo. Se dunque, mia cara madre,
io mi esilio, tu non puoi né devi né vorrai querelartene, perché tu stessa mi
hai ispirati e radicati col latte questi generosi sentimenti; e mi hai
più volte raccomandato di sostenerli'. E' l'atto conclusivo
della vita di un uomo, che non piegò mai la testa di fronte al tiranno e che
preferì una terra straniera, per non barattare la sua libertà con le lusinghe e
le ricompense dei nemici.
In Svizzera dimora fino al 1816, incalzato dalle ristrettezze finanziarie e
dalle persecuzioni della polizia austriaca, unico sollievo sono le lettere di
Quirina Mocenni, che lo conforta col proprio
affetto e lo aiuta economicamente. Decide comunque di approdare in Inghilterra
e, prima di andarsene, riconoscente, scrive una commovente lettera alla donna,
chiedendola in moglie. La risposta di lei ,che lo conosce nel profondo, forse
più di qualunque altro, è sincera e nobile :'Tu perderesti il solo bene
che ti resta, la libertà e l'indipendenza assoluta; io non potrei offrirti quel
che vorrei di cui madre natura mi fu avara, e che l'età mi toglie. Vorrei piuttosto
morire che essere cagione del tuo malcontento. Tu puoi trovare una compagna che
sia degna di te, nobile, giovane, ricca, avvenente, amabile..io, non avendo
nessuna di queste doti, ti sarei a carico come moglie'.
A Londra trova migliore accoglienza, per la sua fama di autore dei Sepolcri
e per non essersi piegato di fronte a Napoleone, acerrimo nemico dell'
Inghilterra. Ciò nonostante la sua personalità singolare e i suoi scatti di
ira, creano qualche perplessità nella imperturbabile e composta società
inglese. Si raccontano gustosi episodi, accaduti nei migliori salotti, dove
Foscolo, oltre a fare sfoggio della sua eloquenza, si abbandonava a gesti
impulsivi come, quando, dopo aver perso ad una partita a scacchi, si strappava
i capelli e faceva volare dal tavolo tutto quello che vi era sopra; oppure
quando, preso dai suoi discorsi enfatici ed appassionati, camminava in lungo e
in largo per la stanza, dimenandosi e gesticolando. Non di meno il suo aspetto
arruffato, il suo sguardo di fuoco, creavano disagio nei malcapitati
spettatori. Lo scrittore Walter Scott, ci dà un convincente ritratto del poeta,
descrivendolo con l'ironia tipica degli Anglosassoni, in una pagina del suo
diario, datata 24 novembre 1825: 'A proposito di forestieri, a Londra
albergava, un quattro o cinque anni fa, uno di quegli animali che sono Leoni
(inteso, il termine, come celebrità letteraria)dapprima, ma che in un paio di
stagioni diventano con regolare metamorfosi cinghiali (seccatori), un certo Ugo
Foscolo, immancabile nella bottega dell'editore Murray
e nei ritrovi letterari. Brutto come un babbuino e insopportabile presuntuoso
schiamazzava, infuriava e disputava senza aver nemmeno un'idea dei principi
secondo i quali gli uomini di giudizio ragionavano, e strepitava tutto il tempo
come un maiale quando gli tagliano la gola'. Ma il suo genio superava
di gran lunga il suo carattere irascibile e, se alcuni lo abbandonarono per il
suo caratteraccio, altri continuarono ad apprezzarlo per l'ingegno, che
oscurava fortunatamente la sua indole bizzosa. La vita lussuosa della città,
gli fa spendere più denaro di quanto possa permettersi, perciò è costretto a
lavorare alacremente, per pagare i debiti.
Finalmente incontra la figlia Floriana, dalla quale ha tremila sterline, avute
in eredità dal nonno, Foscolo le spende per la costruzione di una magnifica
villa, che chiama Digamma - Cottage e fa arredare con
gusto raffinato. Il sogno dura fino al 1823, poiché il numero dei creditori si
fa pressante ed è costretto lasciare la villa per andare ad abitare in un
modesto appartamento. Scrive incessantemente soprattutto opere critiche come il
Discorso sul testo della Divina Commedia e il Discorso storico sul testo del
Decamerone. Ridotto agli estremi, vende i suoi
libri e dà lezioni private.
Rifiuta sdegnosamente l'aiuto sincero di alcuni amici e preferisce vagare sotto
falso nome di quartiere in quartiere, per sfuggire ai creditori e all'arresto.
La sua forte fibra e il suo morale cominciano a cedere e pensa di tornare a
morire nella sua terra, ma il destino sta per compiersi, quello che lui ha
temuto e profetizzato nei suoi scritti, sta per accadere. Trattenuto da varie incombenze,
non riuscirà a partire e si ritira in un villaggio poco distante da Londra, Turnham Green, assieme alla figlia, che, devota e
affettuosa, non lo abbandonerà mai fino alla morte.
Gli stenti, le delusioni, la nostalgia hanno ragione di lui, ammalato di
idropisia, si spegne il 10 settembre 1827, alle ore 8 e tre quarti di sera.
Viene seppellito nel cimitero di Chiswick. Davanti a
quella tomba si inginocchieranno altri due 'grandi', Mazzini e Garibaldi. Essi, come
tanti eroi del Risorgimento, lo riterranno un esempio e un maestro di grandi
virtù, capace di accendere gli animi per la rinascita della propria terra.
Le sue spoglie dovranno attendere molti anni per poter riposare in patria: nel
1871,quando l'unificazione italiana è finalmente del tutto compiuta, vengono
trasportate a Firenze e tumulate in Santa Croce, dove riposano accanto agli
illustri, che egli ha celebrato nei Sepolcri.
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