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L'alienazione nella letteratura italiana
Il rapporto tra l'uomo e la macchina, il lavoratore che diventa una semplice appendice di ciò che egli stesso ha prodotto, sono temi affrontati non solo in economia, ma anche in letteratura. Un esempio è l' opera pirandelliana nota come " I Quaderni di Serafino Gubbio Operatore". Nel romanzo, suddiviso in sette quaderni e narrato in prima persona in forma di diario, il narratore e protagonista, operatore cinematografico della Kosmograph, è attratto, soprattutto, dalla fredda impassibilità della macchina da presa di fronte a tutto ciò che le scorre davanti: tale indifferenza ai drammi ripresi dalla pellicola cinematografica, si trasmette dalla cinepresa all'operatore stesso, Serafino Gubbio, che finisce col diventare un'appendice del proprio strumento.
Il racconto si apre con l'arrivo a Roma di Serafino, segue con una serie di eventi descritti non in ordine cronologico, ma che percorrono il filo logico e i ricordi del protagonista, nel corso del quale egli diventa cosciente della propria alienazione. Un giorno Serafino riprende per intero una scena tragica: l'attore Aldo Nuti uccide per gelosia l'affascinante attrice russa Varia Nestoroff e muore sbranato dalla tigre che avrebbe dovuto abbattere. È qui il punto centrale del romanzo: Serafino è talmente alienato dalla macchina che, impassibile come un automa, continua a girare la scena, in una sorta di raggelante identificazione con la macchina.
Il sesto romanzo pirandelliano nasce alla vigilia della prima guerra mondiale, nel 1914, gli anni del Futurismo, che al netto rifiuto della tradizione univa l'esaltazione della vita moderna e dei suoi aspetti più caratteristici: la velocità, le macchine, le nuove metropoli e i complessi industriali.
Nella struttura e nelle proporzioni del racconto futurista, il funzionamento meccanico della nuova civiltà non deve venire intralciato dall'elemento umano; l'uomo non sarà che una rotella nel gigantesco corpo della macchina.
Pirandello, invece, nutre per le macchine una profonda diffidenza ed è proprio sulla insistita polemica vita/macchina che si aprono i Quaderni di Serafino, ridotto dalla sua professione ad essere esclusivamente 'una mano che gira una manovella'. L'alienazione di un uomo depauperato di vita e di creatività nel farsi servitore di macchinari è il nucleo intorno a cui ruotano le riflessioni di questo io narrante, più interessato a seguire il suo filo teorico/meditativo che a raccontarci la storia di amore e morte presa a pretesto di narrazione.
Tema centrale, infatti, è il contrasto tra la visione meccanizzata della vita, introdotta dalla seconda rivoluzione industriale, e una concezione più attenta ai sentimenti e ai valori dell' uomo. La meccanicità ci porta a vivere caoticamente la nostra esistenza, con il rischio di arrivare alla perdita dei contatti con il nostro essere: 'conosco anche io il congegno esterno, vorrei dir meccanico della vita che fragorosamente e vertiginosamente ci affaccenda senza requie. Oggi così e così; questo e quest' altro da fare; correre qua, con l'orologio alla mano, per essere in tempo là. Nessuno ha tempo o modo d'arrestarsi un momento a considerare, se quel che vede far agli altri, quel che lui stesso fa, sia veramente ciò che sopra tutto gli convenga, ciò che gli possa dare quella certezza vera, nella quale solamente potrebbe trovar riposo. Il riposo che ci è dato dopo tanto fragore e tanto stordimento, che non ci è più possibile raccoglierci un minuto a pensare'.
L'uomo, ormai schiavo della macchina, appare alienato da se stesso, incapace di esprimere il proprio mondo interiore. 'L'uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, e divenuto saggio e industre, s'è messo a fabbricar di ferro, d'acciaio le sue nuove divinità ed è diventato servo e schiave di esse .
Questi mostri che dovevano rimanere strumenti sono diventati invece, per forza, i nostri padroni, e le macchine dopo aver ingoiato la nostra vita, ce la restituiscono in produzione centuplicata e continua: in pezzetti e bocconcini, tutti d'uno stampo, stupidi e precisi, da farne, a metterli su, uno su l'altro, una piramide che non arriverebbe neppure all'altezza d'un palo telegrafico".
Il romanzo dà la netta sensazione di una crisi interiore; Serafino descrive il conflitto causatogli dall'accettare il ruolo di un automa che
deve solamente girare la manovella della
cinepresa: 'L'anima a me non mi
serve. Mi serve la mano; cioè serve alla macchinetta' . Con sottile
ironia Pirandello sottolinea la spersonalizzazione di Gubbio come il suo
asservimento alla macchina, e analogamente con umorismo amaro osserva: ' Sono operatore. Ma veramente, essere
operatore, nel mondo in cui vivo e di cui vivo, non vuol dire mica dire
operare. Io non opero nulla'. Serafino gira la manovella, semplice
esecutore di ordini che altri hanno dato. Al termine, deve solo indicare quanti
metri di pellicola sono stati impiegati, per fare questo, non occorre aver
un'anima. La qualità principale che gli si richiede come operatore è rimanere
impassibile davanti alla vita che lo circonda,come un puro ingranaggio meccanico, la cui perfezione,
consiste nel raggiungere un totale stato di impassibilità: girando la manovella
non può odiare né amare
La totale identificazione con la macchina emerge chiaramente dalle parole di Serafino che afferma 'assumo subito, con essa in mano, la mia maschera di impassibilità. Anzi ecco: non sono più. Cammina lei, adesso, con le mie gambe. Da capo a piedi, son cosa sua: faccio parte del suo congegno".
La vendetta compiuta da Serafino sul suo
ruolo di automa, scalzandolo in una visione estrema, si ritorce, però, contro
di lui: lo choc, provocatogli dall'ultima scena del film in cui Nuti prima
assassina con un colpo di fucile
La cinepresa, che fissa le azioni in una forma, diviene metafora della tendenza dell'uomo a fissarsi in una realtà che egli stesso si dà.
Anche le altre persone, con cui viviamo in società, vedendoci ciascuno secondo la loro prospettiva particolare, ci impongono determinate forme. Noi crediamo di essere uno per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda. Ciascuna di queste forme è una visione fittizia, una
maschera che noi stessi ci imponiamo e che ci impone il contesto sociale. La presa di coscienza di questo "io fittizio" nei personaggi pirandelliani suscita smarrimento e dolore: ciò accade non solo a
Serafino,ma anche agli stessi attori che nel romanzo fanno da cornice. Essi avvertono un senso indefinibile di vuoto,si sentono in esilio da se stessi. Il loro corpo è privato della sua realtà,del suo respiro,della sua voce per diventare solamente un' immagine muta.
Le vicende riprese dalla macchina da presa sono, appunto, finzione cinematografica. La realtà non è più una totalità organica, ma si sfalda in una pluralità di frammenti che non hanno un senso complessivo;allo stesso modo la personalità, l'io si annulla in una serie di frammenti incoerenti.
Se per il Romanticismo e il Decadentismo l'interiorità era il centro del reale, ora questo centro scompare, il soggetto da entità assoluta diviene nessuno. L'umorismo diviene quindi l'arte moderna per eccellenza che dissolve luoghi comuni e abitudini di pensiero radicate, e costringe a vedere la realtà da prospettive inedite, stranianti, capaci di far saltare comodi e rassicuranti sistemi di certezze.
I Quaderni rinviano alla lanterninosofia, riproponendo la concezione filosofico-spiritualistica della realtà come finzione, percepibile grazie alla luce delle lanterne magiche che consentono ad ogni individuo di "proiettare" verso l'esterno un proprio mondo e che approda, infine, alla coscienza dell'impossibilità di pronunciare qualsiasi giudizio sulla vita e sulle azioni umane.
Il contrasto fra l'ideale e il reale, fra l'illusione e la vita, fra la maschera e il volto dà luogo al sentimento dell'impotenza. L' uomo è condannato all'insoddisfazione e all'angoscia in quanto imprigionato e, al tempo stesso impossibilitato a spezzarla. Se la realtà è in perpetuo divenire, essa non si può fissare in schemi. Non esiste una prospettiva privilegiata da cui osservare il reale. Ognuno ha la sua verità, che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose. Ne deriva una desolata incomunicabilità fra gli uomini: essi non possono intendersi perché ognuno fa riferimento alla realtà come è per lui, configurata nella propria solitudine proprio come accade a Serafino nel proprio mutismo.
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