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SCHEDA DI LETTURA
Elio Vittorini, UOMINI E NO, Oscar Mondadori 1998
Elio Vittorini nasce nel 1908 a Siracusa. Il padre, autore di poesia e di drammi, fa il capostazione ed egli trascorre la sua infanzia "in piccole stazioni ferroviarie con reti metalliche alle finestre e il deserto intorno". Elio ,ragazzo irrequieto e ribelle, a tredici anni fugge da casa "per vedere il mondo". La sua giovinezza è segnata dalla smania di evasione: la scuola tecnica per ragionieri lo ha espulso per scarso rendimento ed è stato chiamato in questura per via della sua amicizia con Alfonso Failla, il quale fa parte di un gruppo di anarchici siracusani in lotta contro il dilagare dello squadrismo fascista. Si sposa con Rosa, sorella di Salvatore Quasimodo, e inizia a scrivere i primi articoli su <<La Stampa>>. Le sue principali letture sono Gide, Joyce e Kafka. Nel 1929 realizza il sogno di vivere a Firenze dove, la sera, si incontra con gli amici alle "Giubbe rosse", punto di incontro di tutti i letterati e artisti non solo fiorentini. In questi anni nasce l'interesse di Vittorini per la narrativa americana e inizia a studiare l'inglese. Nel 1934 le sue critiche al Regime, apparse sul giornale fascista il "Bargello", gli procurano una denuncia. Con Bilenchi e Pratolini, gli amici più cari di questi anni fiorentini, si accosta ai primi testi marxisti. Il 26 luglio 1943, durante una riunione clandestina per mettere a punto un'edizione speciale dell' "Unità", lo scrittore viene arrestato e rimarrà nel carcere di San Vittore fino a settembre. Tornato libero partecipa alla Resistenza, restando comunque nascosto nel Varesotto per via dell'ordine di Mussolini di sparargli a vista. Nel 1944 si reca a Firenze per organizzare uno sciopero generale. Identificato dalla polizia tedesca fugge precipitosamente e si ritira per un certo periodo in montagna. Qui, tra la primavera e l'autunno, scrive Uomini e no che pubblica nel 1945. Finita la guerra torna a Milano dove dirige e collabora al "Politecnico", un giornale vissuto tra il '45 e il '47, in cui si imbastisce un dibattito sui problemi dei rapporti tra politica e letteratura e sulla necessità per l'intellettuale di equilibrare il proprio impegno sociale senza intaccare la libertà creativa. Gli ultimi anni dell'attività culturale dello scrittore si svolgono intorno alla rivista "Il menabò", sulla quale egli affronta i problemi dei rapporti tra letteratura e industria e polemizza con la mentalità cosiddetta "umanistica". Nel 1963 si ammala gravemente; muore il 12 febbraio 1966.
QUALE FUNZIONE HANNO I CAPITOLI O GLI INSERTI IN CORSIVO ?
"Io a volte non so, quando quest' uomo è solo - chiuso al buio in una stanza, steso su un letto, uomo al mondo lui solo - io quasi non so s'io non sono, invece del suo scrittore, lui stesso." (cap 54)
I capitoli scritti in corsivo sono, in realtà, interventi dell'autore che riportano un immaginario dialogo tra l'autore stesso e il personaggio di Enne 2. La loro funzione è quella di contrapporre le due realtà in cui si viene a trovare l'uomo: l'età adulta e l'infanzia.
La prima, segnata dall'atrocità della guerra e dalla conseguente lotta partigiana, è l'età della consapevolezza mentre con la seconda, al contrario di quello che ci aspettavamo, ovvero un'idealizzazione dell'età infantile, lo scrittore vuole rappresentare i pensieri e i desideri di Enne 2 adulto riportati nella sua condizione di bambino. Vediamo infatti come alla fine del cap. 58 l'autore inserisca l'immagine dei "ragazzi biondi" uccisi da Enne 2 bambino e i suoi fratelli. Il tema della morte è presente anche attraverso la figura di Berta che deve vegliare la sua compagna morta. Da questo intervento, come da tutti gli altri, emerge il desiderio di Enne 2 di cambiare la vita di Berta e quindi di proteggerla:<<Io voglio cambiartela (la vita) Voglio che non ti accada quello che ti è accaduto>>.
LA TECNICA DEL RALLENTAMENTO
Durante tutto il corso del racconto è usatissima la tecnica del rallentamento, ottenuta mediante frequenti ripetizioni. Con essa l'autore vuole rendere assoluti i personaggi, i dialoghi e le azioni collocandoli in un'atmosfera soprareale nella quale il tempo sembra fermarsi . Il capitolo 101 è un chiaro esempio dell'utilizzo di questa tecnica, infatti il dialogo tra Giulaj e il capitano procede tramite domande e risposte pressoché identiche tra loro. Anche le parti narrative risentono della tecnica del rallentamento come si vede fin dal primo capitolo nel quale viene ripetuto più volte lo stesso concetto: "è l'inverno più mite che abbiamo avuto da un quarto di secolo. . .dal 1908", e ancora nel capitolo 43 dove si nota l'insistente presenza del pronome indefinito "niente". Questa tecnica rende, a volte, la narrazione monotona rendendo la lettura noiosa.
NUMEROSE DOMANDE NON SONO SEGUITE DA RISPOSTA. AD ESSE DI FATTO C'E' O NON C'E' RISPOSTA?
Nel corso della narrazione i personaggi spesso rivolgono a se stessi o agli altri numerose domande che rimangono, però, senza risposta. Gracco, alle domande <<Perché, ora, lottavano? Perché vivevano come animali inseguiti e ogni giorno esponevano la loro vita? Perché dormivano con una pistola sotto il cuscino? Perché lanciavano bombe? Perché uccidevano?>> che rivolge a se stesso , e in seguito, in modo diverso a Orazio, non sa trovare e non riceve una risposta. Di fatto non esiste una risposta generale, valida per tutti, in quanto questi interrogativi sono posti unicamente per far pensare i lettori, ognuno dei quali potrà rispondere in base alle proprie riflessioni.
QUALE SPAZIO E QUALI RELAZIONI FRA ESSI HANNO I GRANDI TEMI DELLA LETTERATURA AMORE, MORTE E GUERRA?
I tre temi amore, morte e guerra hanno uno spazio rilevante all'interno del romanzo ed essi sono strettamente legati tra loro da rapporti di causa - effetto. La guerra fa da sfondo all'intera vicenda: essa inquadra il periodo storico, la seconda guerra mondiale e, in particolare, la lotta di Resistenza in Italia.
Ad essa si legano gli altri due temi che fungono da conseguenza o da principio. L'amore, visto come fede nei principi ai quali i partigiani aderiscono e credono con tutti loro stessi, porta gli uomini ad accettare e intraprendere la lotta per la Liberazione, ma proprio la battaglia porterà alcuni valorosi combattenti, come il Foppa o Coriolano, a perdere la vita per il bene di tutta la popolazione. Ecco allora che la morte diventa la conseguenza, quasi inevitabile, della guerra. La morte è, però, conseguenza anche dell'amore impossibile di Enne 2 per Berta. L'uomo, turbato per la perdita dei compagni e per l'impossibilità di vedere realizzato il desiderio di vivere con la donna amata, decide di compiere un'ultima suicida missione.
L'UMANITA' IN UOMINI E NO E' DIVISA IN DUE CATEGORIE COME AFFERMA IL TITOLO?
L'autore, con il suo romanzo, divide l'umanità in due categorie: la società dominata dal fascismo, che è il mondo negativo, il male e la resistenza a questo stato di cose fino al rischio della vita, che è il bene. Quelli che Vittorini nel titolo chiama "uomini" sono Enne 2 e i suoi compagni impegnati nella lotta partigiana al fine di liberare gli italiani dalla piaga del fascismo. Al contrario, i personaggi che nel libro rappresentano il mondo fascista, dominato dalla violenza, vengono definiti, già nel titolo, "non uomini".
PERCHE' ENNE 2, QUANDO DIVIENE DISPERATO, NON E' GIUDICATO ADATTO ALLA LOTTA PARTIGIANA?
"Disse che bisognava toglierlo da una forma di lotta in cui poteva permettersi di essere disperato. Nessuno dei nostri doveva lottare con disperazione." Secondo il nostro parere questa frase, pronunciata dal Gracco, mette in evidenza come il protagonista Enne 2, turbato dalla recente morte di alcuni compagni e dall'ennesimo rifiuto di Berta, venga giudicato inadatto alla lotta partigiana. Questo perché un uomo preso dalla disperazione è portato a compiere azioni che mettono in pericolo oltre che la sua stessa vita, anche quella di altri valorosi combattenti. Un buon partigiano per poter adempiere nel migliore dei modi al suo lavoro deve, in primo luogo, conoscere la felicità, infatti, come afferma la saggia Selva, "Che cosa può sapere di quello che occorre agli uomini se uno non è felice? Noi per questo lottiamo. Perché gli uomini siano felici.".
IL PERSONAGGIO DI BERTA
<< Berta chiese al vecchio che cosa intendesse dire, e il vecchio disse che intendeva dire quello per cui accadeva ogni cosa, e per cui si moriva, disse, anche se non si combatteva.
"La liberazione ?" disse Berta.
Il vecchio sembrava cercasse la risposta migliore, guardava davanti a sé con occhi lieti. "Di ognuno di noi," rispose.
"Come, di ognuno ?"
"Di ognuno, nella sua vita."
"E il nostro paese ? E il mondo?"
"Si capisce," il vecchio rispose. "Che sia di ognuno, e sarà maggiore nel mondo." (cap.68).
Il personaggio di Berta, all'interno del romanzo, assume un duplice ruolo che la fa apparire, nella sfera del privato, strettamente legata al personaggio principale Enne 2 da un forte legame affettivo e, nella sfera universale, un simbolo rappresentante la lotta per la liberazione con conseguente raggiungimento della felicità. Nel primo caso Enne 2 tenta, facendo leva sui sentimenti della donna, di allontanarla dall'altro uomo, di "liberarla" dal marito; la lotta assume quindi un senso individuale ed esistenziale. Nel passo del romanzo qui riportato si afferma invece che la lotta che si conduce ,ovvero la lotta di Resistenza, deve essere per la "liberazione" di tutti.
LA NOTA
Le prime due edizioni del romanzo erano accompagnate da una Nota dell'autore, soppressa nelle seguenti, dalla quale emerge il punto di vista di Vittorini sul rapporto realtà-invenzione narrativa. Uomini e no non è un libro di storia; in esso la storia e la vita tendono a farsi arte ed in questo è il suo interesse specifico, in questo è la sua capacità di farci partecipi oggi di ciò che accadde più di quarant'anni fa. Non si tratta neanche di vicende inventate, infatti anche se nomi e luoghi non sono quelli reali, anche se non avvennero precisamente quei fatti o non avvennero precisamente in quel modo, il libro è profondamente autobiografico e rispecchia, pur deformandole, delle precise realtà. Le azioni del protagonista sono da vedere come quelle dello scrittore nella storia "privata" ma non in quella pubblica, infatti Vittorini partecipò alla Resistenza ma non come combattente. Profondamente reale è il fatto centrale del libro: quello dei morti di Largo Augusto, anche se il luogo fu il Piazzale Loreto e anche se i morti furono quindici uomini, ostaggi prigionieri dei fascisti e non il vecchio, la donna, la bambina che Vittorini descrive. È reale perché così fu il sentimento della città davanti a quei morti: lo sdegno e la pietà, lo smarrimento di Berta e la fermezza della folla furono nella gente di allora. E sono reali i partigiani che l'autore ci presenta, per la loro semplicità umana, come degli uomini e non come degli eroi.
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