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Rivoluzione francese




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Rivoluzione francese


Con il termine 'Rivoluzione francese' si indica quel complesso di eventi politici, sociali e culturali che si verificarono in Francia tra il 1789 e il 1799 e che condusse, attraverso varie fasi, all'abolizione dell'antico regime e all'instaurazione del regime napoleonico. Numerosi elementi confluirono nell'esplosione rivoluzionaria: la crisi dell'assolutismo e dei residui di feudalesimo che ancora sopravvivevano in Francia, le difficoltà economiche dello stato e il conseguente malcontento dei ceti più poveri, la crescente pressione della borghesia, che rivendicava un ruolo politico; ragioni economiche e sociali, dunque, sono alla base di quella che gli storici considerano la più importante delle rivoluzioni moderne.

L'economia francese del XVIII secolo aveva vissuto un periodo di discreta prosperità al cui interno, però, si individuano alcuni cicli di crisi, uno dei quali iniziò nel 1778: già impoverita da decenni di sprechi, cattiva gestione, guerre, nel biennio 1778-79 la Francia dovette affrontare le difficoltà legate ad alcuni anni di cattivi raccolti che, causando forti rincari del prezzo del pane, esasperarono i ceti più deboli predisponendoli alla ribellione. Il tessuto sociale che viveva in prima persona una situazione economica così problematica era costituito dal ceto borghese, che andava progressivamente rafforzandosi, e dai contadini e dai salariati urbani, messi a dura prova dalla crisi economica e schiacciati dalla pressione fiscale esercitata dallo stato assoluto. Ma in tutti i settori della società le accuse al re, alla corte, all'assolutismo, alle arretratezze politiche avevano fatto presa su molti francesi, grazie anche alla diffusione della  cultura illuministica, favorevole alle politiche riformistiche o attestata su posizioni di radicale denuncia dell'antico regime: la borghesia in particolare aveva accolto con entusiasmo i principi di libertà, uguaglianza, pubblica felicità, governo rappresentativo e costituzione predicati dagli illuministi.

La complessità della situazione emerse con chiarezza nel maggio 1789, quando, dopo il fallimento di alcuni tentativi di riforma fiscale, il re Luigi XVI fu costretto a convocare gli Stati generali, cioè l'assemblea che riuniva i rappresentanti del clero, della nobiltà e del Terzo Stato, affinché si trovasse una soluzione ai problemi finanziari. Ma i rappresentanti del Terzo Stato decisero di riunirsi da soli e, in presenza di un atteggiamento del re sempre più orientato a imporre con la forza le sue decisioni, il 9 luglio si proclamarono Assemblea nazionale costituente, dandosi l'obiettivo di redigere una costituzione che accogliesse le istanze di libertà e rinnovamento della nazione. Nello stesso tempo il popolo parigino, organizzato in sezioni rivoluzionarie e armato, il 14 luglio prese d'assalto ed espugnò la Bastiglia, fortezza e prigione, simbolo odiato dei soprusi dell'assolutismo monarchico, mettendosi così dalla parte dell'Assemblea costituente contro il re e gli aristocratici. In tutta la Francia, intanto, dilagava contro il sistema feudale la rivolta dei contadini, che ottennero il 4 agosto l'abolizione dei privilegi feudali; poco dopo (26 agosto) fu approvata la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, che sanciva la morte dell'antico regime assolutistico. Per far fronte al debito dello stato la rivoluzione decise, inoltre, di mettere le proprietà della Chiesa a disposizione del paese: dichiarati patrimonio nazionale, nel novembre del 1789 i beni del clero vennero posti in vendita. Pochi mesi dopo fu decretata la soppressione di tutti gli ordini religiosi e nel luglio del 1790 venne approvata la Costituzione civile del clero, che poneva i preti e i vescovi al servizio della Francia, li svincolava dalla fedeltà al pontefice e li trasformava in funzionari pubblici.


Dichiarazione dei diritti dell'uomo 


Considerata unanimemente l'atto di nascita delle moderne costituzioni, tipiche dei regimi parlamentari e democratici, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo fu redatta in Francia dall'Assemblea nazionale costituente nell'agosto 1789, pochi giorni dopo la delibera con cui l'Assemblea stessa aveva votato l'abolizione dei privilegi feudali; nel documento, che segnava la fine della monarchia assoluta, erano fissati i diritti di libertà politica, religiosa, di pensiero, il diritto alla proprietà privata e l'uguaglianza delle garanzie giuridiche per tutti i cittadini, ispirandosi interamente ai concetti di libertà e uguaglianza e di sovranità del popolo. Né i decreti antifeudali né la Dichiarazione incontrarono l'approvazione del re: questi, anzi, rispose con la forza organizzando e concentrando truppe a Versailles e provocando una nuova, violenta insurrezione popolare dopo quella che aveva condotto alla presa della Bastiglia. La popolazione parigina guidata da un corteo di donne insorse e, raggiunta Versailles, costrinse Luigi XVI, la famiglia reale e i deputati dell'Assemblea a trasferirsi a Parigi, dove la pressione e il controllo esercitati dal popolo erano fortissimi. Da allora il sovrano sarebbe stato costretto a condurre la sua battaglia contro i rivoluzionari sperando in un aiuto proveniente da oltre i confini francesi, il che spiega l'intervento, nell'agosto del 1792, dell'impero austriaco, della Prussia e della Russia a fianco delle forze controrivoluzionarie.

Espressione del ceto borghese, la Dichiarazione deve la sua portata rivoluzionaria al carattere universalistico che la contraddistingue e che la allontana, superandole, da tutte le precedenti carte costituzionali dell'Occidente: in essa non vengono infatti menzionate nazioni precise né additate particolari forme di governo, a indicarne l'applicabilità nei contesti istituzionali e territoriali più diversi. Al di là della contingenza storica e geografica in cui è nata essa si pone, dunque, come espressione delle istanze democratiche contro ogni regime assolutistico.


Rivoluzione industriale 


Con il termine 'rivoluzione industriale' si indica il rapido processo di trasformazione che a partire dagli ultimi decenni del '700 cambiò il volto dell'Inghilterra prima e dell'Europa poi. Il termine 'rivoluzione' è stato utilizzato per sottolineare il valore di rottura radicale con i modi di vita e di produzione nelle campagne e nelle città prima di tale processo. In sintesi, il fenomeno storico che si è convenuto di chiamare 'rivoluzione industriale' costituisce lo spartiacque tra una società basata principalmente sullo sfruttamento della terra (e quindi sulla distinzione tra proprietari terrieri e contadini) e una società che, grazie allo sfruttamento di fonti di energia quali il carbone prima, il petrolio e l'elettricità poi, applicate a nuove macchine, produceva anche nuove classi sociali: la borghesia degli imprenditori e gli operai salariati. Le premesse di questo grande evento si posero in Inghilterra, dove intorno al 1735 Darby aveva messo a punto un processo che consentiva di ottenere dal carbone naturale il coke da utilizzare nei forni dell'industria metallurgica; ciò non solo consentì di aumentare notevolmente la produzione di ferro, ma richiese lo sviluppo di tecniche più efficienti per sfruttare intensivamente le miniere di carbone. L'invenzione (Watt, 1769) della macchina a vapore, nata da questa esigenza, permise di incrementare la produzione del settore minerario e nello stesso tempo di azionare con maggiore efficienza i telai e i filatoi dell'industria tessile; cominciò così quel gioco di interazioni tra i vari settori produttivi (siderurgico, minerario, energetico, tessile), ognuno potentemente stimolato dai progressi dell'altro, che avrebbe caratterizzato appunto la rivoluzione industriale. La conseguenza più evidente dell'invenzione della macchina a vapore fu, oltre all'aumento vertiginoso della produzione industriale, il passaggio dell'impresa da una dimensione artigianale alla fabbrica intesa in senso moderno, cioè come unità di produzione in cui si incontrano due forze motrici: l'operaio e la macchina. Ciò ebbe ripercussioni sociali enormi: nacque una nuova classe sociale, quella degli operai salariati, retribuiti non più in rapporto alla produzione della bottega artigiana, ma indipendentemente dai risultati economici dell'azienda; si avviò un massiccio processo di urbanizzazione, poiché la concentrazione delle fabbriche nelle città indusse gli operai ad abbandonare le campagne e a inurbarsi, spesso costringendoli a vivere in condizioni disperate.

Al di fuori dell'Inghilterra nel corso del XVIII secolo il fenomeno della rivoluzione industriale ebbe dimensioni ridotte: alcuni nuclei di fabbriche apparvero in Francia, in Svizzera, in Belgio e nell'Italia del Nord, piccoli segnali di un decollo che nel secolo successivo avrebbe interessato anche la Germania e gli Stati Uniti trascurando, invece, la più arretrata realtà italiana, che solo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento avrebbe assistito allo sviluppo dell'industria moderna.

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