10 MOTIVI
UMANITARI PER ABOLIRE LA PENA DI MORTE
1) La pena di morte non serve come deterrente per i crimini.
In Giappone, dove la pena di morte è prevista dalla legge, tra il novembre
del 1989 ed il marzo del 1993 le esecuzioni vennero sospese perchè i ministri
di giustizia dell'epoca erano contrari alla pena di morte: durante la
moratoria, il tasso di criminalità non aumentò, anzi diminuì.
L'argomento della deterrenza è quello più frequentemente chiamato in causa:
condannare a morte un trasgressore dissuaderebbe altre persone dal commettere
lo stesso reato. L'argomento della deterrenza non è però così valido, per
diversi motivi.
Nel caso, per esempio, del reato di omicidio, sarebbe difficile affermare che
tutti o gran parte degli omicidi vengano commessi dai colpevoli dopo averne
calcolato le conseguenze. Molto spesso gli omicidi avvengono in momenti di
particolare ira oppure sotto l'effetto di droghe o di alcool oppure ancora in
momenti di panico. In nessuno di questi casi si può pensare che il timore della
pena di morte possa agire da deterrente.
Inoltre la tesi della deterrenza non è assolutamente confermata dai fatti. Se
infatti la pena di morte fosse un deterrente si dovrebbe registrare nei paesi
mantenitori un continuo calo dei reati punibili con la morte e i paesi che
mantengono la pena di morte dovrebbero avere un tasso di criminalità minore
rispetto ai paesi abolizionisti. Nessuno studio è però mai riuscito a
dimostrare queste affermazioni e a mettere in relazione la pena di morte con il
tasso di criminalità.
Un'analisi delle percentuali di omicidi in paesi abolizionisti e mantenitori ha
dimostrato che i paesi mantenitori hanno in genere una percentuale maggiore.
Tale analisi prendeva in considerazione i cinque paesi abolizionisti ed i
cinque paesi mantenitori con il maggior numero di omicidi. Confrontando i dati,
l'analisi conferma che nei cinque paesi abolizionisti il tasso più alto di
omicidi era 11.6 per 100.000 persone, mentre nei paesi mantenitori il tasso più
elevato era 41.6 per 100.000 persone.
Vi sono inoltre dati sulla criminalità di vari paesi che dimostrano come
l'abolizione della pena di morte non comporti alcun aumento della
criminalità.
In Giamaica, per esempio, durante una sospensione della pena di morte tra il
1976 ed il 1980, si verificarono poche variazioni nel tasso di omicidi. In
Canada il tasso di omicidi per 100.000 persone scese da un massimo di 3.09 nel
1975, anno precedente l'abolizione, a 2.41 nel 1980 e da allora è rimasto
relativamente stabile. Nel 1993, 17 anni dopo l'abolizione, il tasso di omicidi
era 2.19 per 100.000 persone, vale a dire il 27% in meno rispetto al 1975. Un
recente studio condotto in California ha dimostrato che nei 15 anni in cui la
California eseguiva condanne a morte molto frequentemente (circa una ogni due
mesi, dal 1952 al 1967) il numero di omicidi è aumentato di circa il 10% ogni
anno.
Tra il 1967 ed il 1991, periodo in cui non hanno avuto luogo esecuzioni,
l'aumento medio annuale era del 4.8%. Lo stesso studio dimostra anche
l'esistenza di ciò che viene denominato effetto brutalizzante della pena di
morte: nei 4 mesi precedenti l'esecuzione di Robert Harris in California,
avvenuta nel 1992, la media mensile di omicidi nello stato era 306 mentre nei 4
mesi successivi la stessa esecuzione tale numero salì a 333, registrando un
aumento del 9%. Uno studio simile ha dimostrato che nello stato di New York,
nel periodo in cui venivano eseguite più condanne a morte che nel resto del
paese, cioè tra il 1907 ed il 1963, si registravano in media due omicidi in più
ogni mese immediatamente successivo ad un'esecuzione.
I molti studi effettuati sull'argomento hanno quindi dimostrato come sia
impossibile affermare con chiarezza che la pena di morte abbia un potere
deterrente.
Lo studio più recente sulla relazione tra la pena di morte ed il tasso di
omicidi, condotto per le Nazioni Unite nel 1988, ha concluso che 'questa
ricerca non ha fornito alcuna prova scientifica del fatto che le esecuzioni
abbiano un effetto deterrente maggiore rispetto all'ergastolo. è improbabile
che si ottenga mai questa prova scientifica. Lo studio non fornisce alcun
fondamento alla tesi della deterrenza'.
2) L'applicazione delle norme giuridiche è spesso soggetta a errori umani
dolosi o involontari.
La pena di morte non colpisce solo i colpevoli, ma anche, forse più spesso
di quanto si immagini, persone innocenti.
Uno studio dello Stanford Law Review ha documentato in questo secolo 350 casi
di condannati a morte negli Stati Uniti, in seguito riconosciuti innocenti. Di
questi 25 erano già stati giustiziati, mentre altri avevano già trascorso
decenni in prigione. 55 dei 350 casi risalgono agli anni '70, 20 risalgono agli
anni compresi tra il 1980 ed il 1985.
In Giappone, Sakae Menda fu condannato a morte nel 1950 per un omicidio
commesso nel 1948. 33 anni dopo egli fu riconosciuto innocente e rilasciato,
dopo aver vissuto per oltre trent'anni nell'attesa dell'esecuzione.
A Taiwan nel febbraio 1982 fu riconosciuto innocente e rilasciato un uomo di 74
anni, condannato per un omicidio commesso nel 1972.
Numerosi sono anche i casi in cui incompetenza e corruzione hanno causato
condanne a morte di innocenti. Tra questi il caso di Vladimir Toisev, abitante
di un villaggio della Repubblica di Bielorussia, condannato a morte per
omicidio nel 1970. Passò diciotto mesi prima di ricevere la commutazione della
condanna, ma fu rilasciato solo nel 1987. Nel 1987 l'organo di stampa Znamya
Yunosti affermò che gli investigatori avevano strappato una confessione a
Toisev nel corso di interrogatori notturni e avevano picchiato suo fratello per
poter ottenere prove false che avvalorassero la confessione. Quando fu scoperto
il vero colpevole, gli investigatori tennero segrete le informazioni per
nascondere l'errore commesso.
Nel 2000 il Governatore dell'Illinois ha decretato una moratoria a tempo
indeterminato atta a stabilire l'iniquità di alcuni processi durante i quali
alcuni detenuti (troppi ndr) innocenti erano stati condannati alla pena
capitale e molti stati nel mondo negli ultimi 2 anni stanno seguendo quest'esempio,
si pensi al fatto che proprio di questi giorni è la notizia che nel mese di
Novembre 2001 in Texas verrà votata un'eventuale moratoria di 2 anni.
(vi rimandiamo ai Dossier ed alle news presenti nelle pagine del sito per
ulteriori e più dettagliate informazioni).
3) La pena di morte è un arma troppo potente in mano a governi sbagliati.
Può essere sfruttata dal governo per eliminare personaggi politicamente o
religiosamente scomodi, alterando persino il concetto di gravità di certi atti.
E' quello che sta attualmente accadendo in Cina dove si muore non solo per aver
commesso crimini gravi, ma anche per il semplice fatto di opporsi al regime.
Nel 1999 il 60% circa delle esecuzioni mondiali sono avvenute proprio in
territorio cinese.
I reati capitali sono 68, tra cui omicidio, stupro, rapina, furto, traffico di
droga, prostituzione, evasione delle tasse e, addirittura, stampa o esposizione
di materiale pornografico. Particolarmente raccapricciante è il fatto che
spesso le esecuzioni vengono fatte in luoghi pubblici e i condannati sono
costretti a tenere al collo un cartello con il loro nome ed il reato per il
quale vengono giustiziati.
Le Associazioni umanitarie, inoltre, denunciano il fatto che spesso ai
condannati, una volta giustiziati, vengono espiantati gli organi senza il loro
permesso; proprio per questo motivo, si ritiene che alcune condanne vengano
eseguite in quanto sono richiesti organi per i trapianti!
4) L'applicazione della pena di morte non incentiva la ricerca di sistemi
preventivi.
Quando viene applicata la pena di morte, la gente prova quasi un sentimento
di soddisfazione, quasi che in questo modo il crimine commesso fosse ripagato,
espiato, dimenticando in realtà che la vittima ha subito una ingiustizia che
non potrà mai essere ripagata. Tuttavia la gente è come soddisfatta. Lo Stato
si mostra così 'giusto' ed efficiente contro il crimine. In questo
modo si corre il rischio che lo Stato possa, in qualche modo sentirsi
dispensato dal ricercare una soluzione che prevenga il crimine stesso.
Le strade sono troppo spesso troppo poco sorvegliate, la polizia non è mai
sufficientemente presente sul territorio per mancanza di personale o per
incapacità organizzativa.
Inoltre, lo Stato non dovrebbe, forse, contribuire rimuovendo le situazioni di
indigenza estrema, promuovendo la dignità umana, eliminando conflitti razziali
troppo spesso causati da leggi poco democratiche?
Lo Stato non dovrebbe promuovere una migliore umanizzazione della società,
combattendo il diffondersi di una mentalità lassista e immorale? Come si
comporta lo Stato nei confronti dello sfruttamento minorile, della pornografia,
della facile vendita di armi?
Il fatto è che lo Stato è troppo spesso vittima della sua economia che gli
impedisce di combattere la battaglia della prevenzione fino in fondo. E in
fondo sono proprio le multinazionali che producono e vendono armi, che
producono pornografia, che diffondono una mentalità in cui il potere ed il
denaro sono il bene supremo. Lo Stato, quindi, legato dall'economia, può
soddisfare la società solo ricorrendo ad un ulteriore crimine.
5) Il diritto alla vita è un principio fondamentale su cui si basa la nostra
società.
Come nessun uomo ha il diritto di uccidere un suo simile per qualsiasi
motivo - il diritto alla vita è un principio fondamentale su cui si basa la
nostra società - così lo Stato, che agisce razionalmente, non spinto
dall'emozione del momento, e in quanto garante della giustizia, non deve
mettersi sullo stesso piano di chi si macchia del più orribile dei crimini:
l'omicidio.
Così facendo si fornirebbe a tutti un esempio di atrocità compiuto dalla legge
stessa, mentre essa è stata creata proprio per la tutela dei diritti umani e
quindi per quello della vita.
6) Lo stato si comporterebbe in modo criminale come il criminale stesso.
Le leggi, infatti, moderatrici della condotta degli uomini e espressioni
della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne
commetterebbero uno esse medesime e, per allontanare i cittadini
dall'assassinio, ordinerebbero un pubblico assassinio.
7) La pena di morte è discriminatoria
La pena di morte è spesso usata in maniera discriminatoria nei confronti di
minoranze razziali, di persone povere e scarsamente istruite e in alcuni casi
può venire usata come arma contro oppositori politici.
Un esempio di come la pena di morte sia usata in maniera iniqua nei confronti
delle minoranze si ha negli Stati Uniti. Studio effettuati recentemente sulle
condanne a morte comminate in vari stati degli USA hanno dimostrato che
l'accusa ha chiesto in media la pena di morte nel 50% dei casi in cui
l'accusato era nero e la vittima bianca e solo nel 28% dei casi in cui sia
l'accusato che la vittima erano neri.
Gli Afro-Americani rappresentano il 12% della popolazione degli Stati Uniti ed
il 50% delle persone giustiziate dal 1930.
E' inoltre dimostrato che la stragrande maggioranza di coloro che hanno subito
la pena di morte, era gente povera. Il ricco non subirà mai la pena di morte.
Il ricco può pagarsi qualsiasi avvocato, può pagare la propria libertà.
8) La pena di morte non ristabilisce alcun equilibrio.
Per quanto autori e filosofi illustri quali Kant ed Hegel giungano a
giustificare, anzi ritengono necessaria la pena di morte su basi retributive,
ci pare che agli effetti i parenti, gli amici e i conoscenti della/e vittime
non si sentano sufficientemente ripagati dalla morte dell'assassino. Lo
sarebbero se ciò servisse a riportare in vita la vittima, se la morte
dell'assassino servisse veramente a ristabilire una situazione di equità.
In realtà se il ladro commette il furto, la restituzione del denaro può servire
a ristabilire una situazione di equità e il carcere avrebbe la funzione sia
come deterrente, sia per la riabilitazione stessa del ladro. Purtroppo
l'omicidio, qualunque siano le motivazioni, è talmente grave proprio perchè
innesca un meccanismo di non ritorno. Nessun atto potrà mai riportare indietro
una persona morta, solo un miracolo.
9) Lo Stato è corresponsabile dei crimini commessi.
Consideriamo il fatto che la personalità di ogni individuo è profondamente
segnata dall'ambiente circostante, dagli eventi che si trova costretto ad
affrontare e dagli eventuali disturbi mentali che lo affliggono. Come può
quindi la società ritenere la sua morte indispensabile pur essendo, in un certo
senso, corresponsabile di ciò che egli ha compiuto? Si arriva davvero al
paradosso.
10) Pena di morte = risparmio ?
Una delle argomentazioni a favore della pena di morte si basa sul fatto che
è meno costoso uccidere i colpevoli piuttosto che tenerli in carcere. Tuttavia
alcuni studi svolti in Canada e negli Stati Uniti dimostrano che l'applicazione
della pena di morte è più costosa del carcere a vita.
Uno studio realizzato recentemente ha rilevato che in media il giudizio
capitale e gli appelli di primo grado costerebbero ai contribuenti circa 1.8
milioni di dollari, due volte di più di quanto costi mantenere una persona in
carcere a vita.
Uno studio condotto in Florida nel 1988 sosteneva che i contribuenti pagano
oltre 3.1 milioni di dollari per ogni esecuzione.