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Dopo aver letto il dialogo dei capitoli XXV e XXVI tra il cardinal Borromeo e don Abbondio, analizza in base a quali motivi l'alto prelato rimproveri il povero parroco e quali ragioni questi opponga per giustificarsi.
Nel romanzo de "I Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni, tra la fine del capitolo XXV e l'inizio del capitolo XXVI troviamo il significativo dialogo tra don Abbondio e il cardinale Federigo Borromeo.
Il cardinale ha chiamato a colloquio il parroco, per avere alcuni chiarimenti a proposito del rifiuto di unire in matrimonio Renzo e Lucia. All'esplicita domanda dell'alto prelato, egli risponde molto vagamente, accennando solo ad alcune minacce da parte di un potente signore. Il cardinale intima al parroco di proseguire nel racconto, così don Abbondio, pur riluttante, spiega ogni particolare. Il cardinale rimane basito dalle parole di don Abbondio, che ammette di non aver maritato i due giovani per paura di non aver salva la vita. Egli, con molta foga e veemenza, gli ricorda tutti gli insegnamenti che vengono impartiti dalla Chiesa ad un uomo, prima che egli si addossi il ministero di sacerdote. Fra questi è importante ricordare che la Chiesa non garantisce che chi compie del bene abbia salva la vita terrena. Don Abbondio, pur vergognandosi di trovarsi in una simile situazione, risponde al cardinal Federigo con parole poco convincenti: egli ammette di aver sbagliato, ma afferma anche di non aver in sé abbastanza risorse spirituali da placare le ire di un signore potente come don Rodrigo. Egli si ritiene poco coraggioso, e con questo gesto compie un'esatta analisi di sé, ma la sua esplorazione interiore si ferma in quel punto: egli pensa d'essere incapace di migliorare. Il cardinale ribatte dicendo che nessuno il coraggio lo trova in sé, nessuno tiene in poco conto la sua vita, ma è necessario pregare e amare il prossimo, per soddisfare appieno i doveri imposti dal ministero sacerdotale.
Il cardinale domanda poi al parroco quali cose egli abbia fatto per i suoi figliuoli. A questa domanda il parroco non è in grado di rispondere, quindi l'alto prelato rimane amareggiato e ribatte ricordandogli che se avesse fatto ciò che il dovere richiedeva, adesso avrebbe saputo in che modo parlare. Don Abbondio si dimostra testardo e insensibile nel non comprendere il suo peccato.
Il cardinal Federigo gli chiede il motivo per cui non gli si sia rivolto prima, dal momento che avrebbe saputo come aiutarlo.
Don Abbondio, con stizza, esclama di aver trascurato di parlargliene per paura, poiché egli solo aveva visto quelle facce, e poiché afferma che bisogna trovarsi nelle situazioni per poterle giudicare. In questo momento, il cardinal Borromeo esprime tutta la sua umanità, pregando il prelato di rimproverargli apertamente le sue stesse colpe. Don Abbondio comprende quanto sia santo quell'uomo e loda la sua bontà; nello stesso momento comprende anche quanto siano state deplorevoli le sue azioni. Egli, però, invece di pentirsene pienamente accusa le due donne e Renzo, cercando di mettere questi ultimi in cattiva luce davanti all'alto prelato. Federigo Borromeo difende i poveri, e ripete a don Abbondio che avrebbe dovuto amarli per la loro già triste situazione, e non avrebbe dovuto metterli nella condizione di compiere un inganno.
A queste parole don Abbondio è confuso e si commuove, nonostante egli non riesca ad accusarsi completamente.
In questo dialogo è possibile rintracciare i profili di due figure umane profondamente differenti, e simboliche allo stesso tempo: il cardinal Federigo Borromeo è un modello di santità da seguire, ma don Abbondio rappresenta l'uomo comune, con tutte le relative debolezze.
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