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LE "CATEGORIE" DI PENSIERO E LE NUOVE VERITA' DEL '900
Kant: l'innamorato deluso della filosofia, che non rinuncia alla "speranza razionale" verso l'episteme
"La ragione umana viene afflitta da domande che non può respingere, perché le sono assegnate dalla natura della ragione stessa, e a cui però non può neanche dare risposta, perché esse superano ogni capacità della ragione umana.
Concedi alla ragione il privilegio di essere l'ultima pietra di paragone della verità."
Lo stesso Kant, che si era proposto di riesaminare globalmente la struttura della conoscenza, respingendo lo scetticismo scientifico di Hume (che aveva minato sia i fondamenti della scienza attraverso la confutazione del principio di causalità efficiente) ma condividendone quello metafisico, si era dichiarato un innamorato deluso dell'indagine della natura, in quel perenne anelito che porta l'uomo a trascendere l'orizzonte e avventurarsi nella metafisica.
Nella sua Estetica trascendentale aveva individuato delle leges mentis universali e immutabili, che sono appunto le forme pure di spazio e tempo. Nella prima parte dell' Analitica trascendentale, poi, aveva distinto anche altre 12 categorie, quei concetti basilari della mente che rappresentano le supreme funzioni unificatrici dell'intelletto. Il mondo alla kantiana appare così rassicurante: il filosofo di Königsberg dotava tutti gli uomini delle stesse lenti per guardare il mondo. Ogni uomo dispone, inoltre, per Kant, dell'Io penso, che lo rende legislatore della natura, intesa come conformità a leggi dei fenomeni. Ecco allora che, in Kant, le leggi della natura corrispondono a quelle dell'intelletto. Ma, cosa intendeva per natura? La natura di Kant, come abbiamo accennato, è fenomenica. Alla base della Critica della ragion pura, infatti, egli poneva la distinzione tra realtà fenomenica, che deriva, almeno in parte, dall'esperienza sensibile (essendo il risultato della sintesi tra materiale a posteriori - i dati del molteplice empirico - e di un elemento formale a priori - le forme pure della sensibilità e dell'intelletto), e realtà noumenica, ossia la cosa in sé, non conoscibile dall'uomo. In seguito Kant farà coincidere, nella Critica della ragion pratica, il noumeno con l'imperativo categorico, rendendolo, se non conoscibile, comunque accessibile. Nella Critica del Giudizio, tentava una mediazione tra la natura fenomenica e meccanicistica conosciuta dalla scienza nella prima Critica e quella noumenica e finalistica postulata dall'etica nella seconda, confermando comunque come l'uomo, pur nel rischio continuo di naufragio, alla verità, o meglio, alla ricerca della verità non possa mai rinunciare.
I filosofi disincantati fino al '900: "I maestri del sospetto". Il valore delle loro intuizioni verso una nuova verità.
"La volontà di conoscere il vero, che ci sedurrà ancora a molti cimenti, quella famosa volontà della veracità di cui ancora tutti i filosofi hanno parlato con venerazione, quali questioni non ci ha di già proposte! Quali questioni strane, pericolose, problematiche! È una storia già molto lunga - eppure, non sembrerebbe datasse da ieri? Quale meraviglia, se alfine diventiamo diffidenti, se perdiamo la pazienza, se ci vogliamo sfiduciati? Se abbiamo imparato da codesta Sfinge a proporre a noi delle questioni? Ma chi è mai che ci interroga? Qual è quella parte di noi stessi che tende alla verità? (.) Ammesso pure che noi vogliamo la verità: ma perché non piuttosto la menzogna? o l'incertezza? o persino l'ignoranza? Ci si è fatto innanzi il problema del valore della verità - o forse siamo andati noi in cerca di tale problema? Chi di noi è qui Edipo, chi la Sfinge? Sembra un convegno di interrogazioni e di punti interrogativi. (.) In qual modo una cosa potrebbe aver origine del suo contrapposto? Per esempio, la verità dall'errore, oppure, la volontà del vero della volontà dei falso? Oppure, un'azione disinteressata dall'interesse.? Oppure, la contemplazione ascetica del saggio dalla concupiscenza? (.) Questo metodo di giudicare ci presenta il pregiudizio tipico, che ci permette di ravvisare i metafisici di tutti i tempi; questo metodo d'apprezzamento forma la base di tutti i loro processi logici; partendo da questo punto, dalla loro « fede », cercano di arrivare alla « conoscenza », a qualche cosa, infine, cui danno il nome di « verità ». (.)"
(F.W. Nietzsche, Al di là del bene e del male)
Paul Ricoeur individuò con l'espressione maestri del sospetto tre filosofi: Marx, Nietzsche e Freud, i quali dissolsero, ognuno a suo modo, la concezione cartesiana della coscienza. Infatti il cogito perde la sua fondatezza o non appare più organico e delineato: il pensiero individuale viene messo in discussione, si scoprono nuovi fattori che incidono su di esso.
Per Marx la coscienza si riduce a sovrastruttura, espressione più o meno diretta dei rapporti che definiscono la struttura, in un certo periodo storico. Il nostro modo di pensare dunque, le nostre scelte, idee, dottrine etiche sarebbero, secondo Marx, manifestazioni più o meno evidenti del risultato ultimo della dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione: la struttura.
È chiaro come il pensiero di Marx sia ancora vincolato ad un determinismo esasperato che tralascia la complessità e il carattere autonomo del pensiero umano.
Tuttavia una grande intuizione è ravvisabile nel porre la coscienza, seppur ridotta a semplice sovrastruttura, in relazione al momento storico. Marx abbandona l'idea (che era stata anche kantiana) che le categorie di pensiero siano contrassegnate dall'immutabilità nel tempo e ravvisa una continua modificazione di essa al variare della struttura. È questa una notevole considerazione, che allontana ogni pretesa di individuare un solo modello di uomo come punto di riferimento per tutti i periodi storici: ci sono invece tanti uomini diversi quante le strutture socioeconomiche che si susseguono nel tempo. Non è un caso infatti che Marx , pur nel suo determinismo, si sia impegnato per arrivare a conoscere la verità, con un atteggiamento critico e obiettivo, che permettesse di descrivere gli uomini "quali sono realmente" (L'ideologia tedesca). Fondamentale è in Marx il rifiuto dell'ideologia, intesa come falsa rappresentazione della realtà, ravvisata negli ideologi della Sinistra hegeliana. Il sistema deterministico di Marx ha spezzato le ali della filosofia (come aveva fatto anche Hegel, nel terzo dei tre capisaldi), circoscrivendola alla contemplazione del sistema socioeconomico in cui è inserita. Quella marxiana è una filosofia che non vola, cammina con la società; si potrebbe definire scherzosamente una "filosofia a spasso con i tempi".
Il sospetto di Nietzsche necessita di un discorso più ampio. E si avvicina di più al sentire dell'intellettuale novecentesco.
Vediamo come nella sua distinzione tra apollineo e dionisiaco si intraveda già uno sdoppiamento dell'essere umano (che poi sarà sviluppato anche nell'Interpretazione dei sogni di Freud nel 1899) che ancora una volta mette in crisi la concezione cartesiana di coscienza unica e coerente.
La sua attività filosofica costruisce una vera e propria scuola di sospetto, come lo stesso filosofo l'ha definita. Alla base della speculazione nietzschiana sta la tesi secondo la quale l'uomo è caratterizzato da una debolezza congenita, che risulta direttamente proporzionale alla sua ansia di certezza, alla sua volontà di verità. Nell'Umano, troppo umano (1878-1880) Nietzsche afferma che gli uomini edificano un sistema di certezze, al fine di sopportare l'impatto con un mondo che, secondo lui, "danza sui piedi del caos". In quest'ottica le certezze degli uomini appaiono come menzogne vitali, e rispondono a bisogni umani. È la posizione del Nietzsche illuminista, che, pur rifiutando ogni idea di progresso e fiducia nella ragione, si pone in un atteggiamento di critica della cultura tramite la scienza. Il suo è infatti un procedimento critico di tipo storico-genealogico; eleva il sospetto a regola di indagine, e ritiene, come aveva fatto anche Marx, che non esistano realtà statiche o immutabili, ma che ogni cosa sia l'esito di un processo da ricostruire.
Questa concezione si identifica con la figura del viandante, che in barba alle tenebre del passato, inaugura una filosofia del mattino, basata sulla transitorietà come libero esperimento senza certezze precostituite.
La Morte di Dio per Nietzsche condensa il rifiuto di ogni prospettiva oltremondana, che contrapponga un altro mondo al mondo reale, e lo smantellamento della personificazione delle certezze ultime dell'umanità, di tutte le credenze metafisiche e religiose scaturite dalla necessità di dare un senso all'universo e alla vita. In questo senso, morale, religione e metafisica appaiono inutili in una dimensione di decadenza universale di ogni assoluto. Non è un caso che nel Crepuscolo degli idoli si dissolva per tappe ogni tipo di dualismo, da quello platonico a quello kantiano, di mondo reale e mondo dell'aldilà.
Questa crisi totale delle certezze, che porterà Nietzsche ad un approdo nichilista, troverà una soluzione, per nulla tranquillizzante, nel prospettivismo. L'ultimo Nietzsche ritiene che non esistano cose o fatti, ma solo interpretazioni circostanziate di cose o fatti; le verità appaiono come "illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria"; il linguaggio è un sistema di metafore, prodotto dell'uomo sociale, concetti e categorie sono schematizzazioni che vengono scambiate per metodi oggettivi e modi di essere della realtà.
In questo sfondo nietzschiano crolla il concetto cartesiano di coscienza, si sfalda la kantiana convinzione di possedere strumenti cognitivi universali, con cui individuare un senso nella realtà. Tutto è affidato all'approccio dionisiaco del Super-Uomo, che presuppone un distacco dalla massa e il dominio di essa, una figura in grado di superare il nichilismo e la Morte di Dio, e di intraprendere l'attività interpretante e prospettica. Ecco quindi che In Nietzsche scompare ogni tentativo euristico: la filosofia smaschera, dissolve, è il punto di partenza per il Super-Uomo, il quale, in fondo, non va oltre la contemplazione critica e prospettica del reale. La morale scompare anche sul piano ideologico, e con essa un'utopia regolativa.
Con Freud abbiamo la sistematizzazione di una mirata e precisa dissoluzione del cogito cartesiano. Se prima si pensava che la psiche coincidesse con la coscienza, Freud afferma che la maggior parte della vita mentale avviene nell'inconscio, ossia la realtà abissale primaria in cui il conscio è solo manifestazione visibile. Nella seconda topica del 1920, Freud distingue tre istanze, che sono: L'Es, l'Io e il Super-io. La prima rappresenta una forza impersonale e caotica, un calderone di eccitamenti ribollenti, in contrasto con il Super-io, l'insieme di imposizioni e censure interiorizzate dal bambino nei primi anni di vita. L'Io rappresenta la parte organizzata della personalità, che sintetizza e governa Es, Super-io e mondo esterno. Ecco che in Freud non si parla più tanto di coscienza, ma di personalità: l'irrazionale e il principio del piacere diventano parti integranti dei processi cognitivi umani, su cui incombe l'ombra incontrollata dell'inconscio.
Il Kant del Novecento
Il 18 settembre del 1994, Giulio Giorello pubblica sul Corriere della Sera un articolo dedicato ad un grande filosofo del '900, scomparso il giorno prima: Sir Karl Raimund Popper.
Popper rifiutò il determinismo nel suo significato più generale, in quanto: "La teorie scientifiche si distinguono dai miti in quanto sono criticabili alla luce della critica". Di qui il rifiuto delle pretese di scientificità delle teorie di Freud e del materialismo dialettico marxiano. Per Popper, infatti, vi è un' asimmetria tra verificazione e falsificazione: "Le teorie scientifiche - scrive Giorello - non sono mai provate dagli esperimenti, ma possono essere smentite. Per questo, conoscenza scientifica è un'insieme di teorie falsificabili, tali cioè che vietano la realizzazione di almeno un evento osservabile." Giorello paragona la scienza di Popper ad una "rivoluzione permanente", espressione utilizzata per definire la politica di Trotzkij.
"Senza teorie non potremmo nemmeno vivere. Persino le nostre osservazioni vengono interpretate con il loro aiuto: il marxista vede lotta di classe dappertutto, il freudiano scorge ovunque repressione e sublimazione. (.) Non dobbiamo lasciarci rinchiudere in una prigione mentale."
Nonostante, come altri, abbia vissuto tutte le crisi avvenute nel '900, nello scenario europeo, dal sovvertimento dei fondamenti culturali agli stravolgimenti bellici, Popper ha ridato le ali alla filosofia, collocandola nel "cielo" della ricerca epistemologica, convinto del fatto che il nostro mondo, cattivo, violento, contradditorio, resta comunque "il migliore dei mondi possibili".
Se Kant aveva riesaminato la struttura della conoscenza, Popper indaga sulla dinamica della scienza, lasciando un'impronta importante nel trarre le sue conclusioni. Innanzitutto, Popper sottolinea l'inevitabilità del susseguirsi di scoperte scientifiche, che sono frutto del desiderio di conoscenza innato e insaziabile dell'uomo, e afferma che esse saranno razionali nel momento in cui l'atteggiamento critico si rivela in tutta la sua forza. La grande umanità di Popper sta proprio in questo: nel collocare il progresso non nella dimensione quantitativa ma in quella qualitativa, poiché esso si misura in base alla vicinanza di una teoria ad una verità ideale, che lasci spazio alla condivisione, e quindi alla critica. Si tratta di riacquistare quella speranza razionale che era stata propria di Kant, nella prospettiva di un mondo migliorabile.
Conclusione: perché mi piace Einstein
"Qual è il senso della vita, o della vita organica in generale? Rispondere a questa domanda implica comunque una religione. Mi chiederete, allora, ha un senso porla? Io rispondo che l'uomo che considera la propria vita e quella delle creature consimili priva di senso non è semplicemente sventurato, ma quasi inidoneo alla vita. (.) Cento volte al giorno, ogni giorno, io ricordo a me stesso che la mia vita, interiore ed esteriore, dipende dal lavoro di altri uomini, viventi o morti, e che io devo sforzarmi per dare nella stessa misura in cui ho ricevuto e continuo a ricevere. (.) Indagare sul senso o sullo scopo della propria esistenza, o della creazione in generale, mi è sempre parso assurdo da un punto di vista obiettivo. Eppure tutti hanno certi ideali che determinano la direzione dei loro sforzi e dei loro giudizi.(.) Gli ideali che hanno illuminato il mio cammino, e che via via mi hanno dato coraggio per affrontare la vita con gioia, sono stati la verità, la bontà e la bellezza. Senza il senso di amicizia con uomini che la pensano come me, dalla preoccupazione per il dato obiettivo, l'eternamente irraggiungibile nel campo dell'arte e della ricerca scientifica, la vita mi sarebbe parsa vuota. (.) Non esistono grandi scoperte né reale progresso finché sulla terra esiste un bambino infelice.
Bibliografia:
o N. Abbagnano, G. Fornero, Il nuovo protagonisti e testi della filosofia (volumi 2B e 3A), Paravia, Varese 2007
o A. Caforio, A. Ferilli, Il senso della fisica (volume 2), Le Monnier scuola, Varese 2009
o M. Spiazzi, M. Tavella, Lit and lab (volume 3), Zanichelli, Milano 2004
o G. Baldi, S. Giusso, M. Rossetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo (volume su Svevo e Pirandello), Paravia 2002
o Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, Tascabili economici Newton, Roma 1994
o Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Supplemento a Famiglia cristiana numero 19 del 7 maggio 1997
o F. W. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Rusconi libri, 2004
o A. Einstein, Il mondo come lo vedo io, Newton Compton, 2005
o Articolo tratto dall'archivio storico del Corriere della Sera, su www.archiviostorico.corriere.it, scritto da Giulio Giorello il 18 settembre 1994
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