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Italo Svevo
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Italo Svevo
(19 dicembre , Trieste - 13 settembre , Motta di Livenza)
Italo Svevo, pseudonimo di Ettore Schmitz, nasce a Trieste. Il padre, un commerciante tedesco di origine ebraica, e da Allegra Moravia, dopo aver frequentato le scuole di base nella città natale, nel viene mandato in Germania, a Segnitz, in Baviera, per imparare il tedesco e studiare per prepararsi a seguire le orme del padre come commerciante. In questo periodo si accosta ai classici e legge soprattutto Richter e Shakespeare.
Nel 1878 ritorna a Trieste dove frequenta l'Istituto commerciale, ma dopo soli due anni, nel , il fallimento della vetreria del padre lo costringe a lasciare gli studi e a trovare lavoro presso la filiale a Trieste della Banca Union di Vienna. Nel muore il padre e pubblica a sue spese, il suo primo romanzo dal titolo Una vita. Nel sposa la cugina Lidia Veneziani, e inizia la collaborazione con il giornale triestino 'Il Piccolo'.
Deluso dall'insuccesso letterario decide di dedicarsi
esclusivamente al commercio e diventa curatore di affari nel colorificio
Veneziani che appartiene al suocero Gioacchino.
Per motivi d'affari legati al colorificio dove lavora, negli anni tra il e il , Svevo deve
intraprendere diversi viaggi all'estero e sembra aver completamente dimenticato
la sua passione letteraria. Mentre nel frattempo la su produttività nel campo
letterario non si arresta.
Questo è il primo romanzo sveviano e risente di una certa rigidità e in alcuni casi di una scarsa finezza linguistica
Ne è protagonista Alfonso Nitti, un giovane colto, ma economicamente disagiato, che dall'amato paese natale si trasferisce in città per lavorare presso la banca Maller. Qui la nostalgia della campagna lo assale, mentre il lavoro in banca si fa sempre più duro, carico di responsabilità ed scarso di soddisfazioni e riconoscimenti. Saranno solo gli incontri nella casa in cui alloggia a rendergli la vita meno triste. Lo farà soprattutto l'amicizia ambigua che nascerà con la figlia del principale, Annetta, la quale proporrà ad Alfonso la stesura di un romanzo a quattro mani. Gli incontri con la giovane diverranno molto frequenti, mentre l'amore del protagonista nei confronti di Annetta crescerà, rendendo il loro rapporto più stretto nonostante l'apparente freddezza della ragazza.
Pubblicato per la prima volta nel 1898 (a spese dell'autore), il romanzo andò incontro ad un triste insuccesso e all'indifferenza della critica, tanto che lo stesso Svevo, nella prefazione alla seconda edizione, sentì di poter scrivere: «Non ha ottenuto una sola parola di lode o di biasimo». Fu Joyce, nel 1927, dopo aver dichiarato pubblicamente il suo sincero apprezzamento per questo libro, ne decretò il trionfo, facendo sì che esso fosse nominato a capolavoro.
Nel tratteggiare l'ambiente triestino in cui la vicenda è ambientata, Svevo dà vita ai corpi e alle figure dei quattro personaggi centrali del romanzo: Emilio Brentani, Stefano Balli, Angiolina e Amalia. A tutti gli altri, che casualmente entrano nella vicenda a respirarne gli intrecci, l'autore lascia il semplice ruolo di comparse.
Emilio è un intellettuale piccolo borghese economicamente abbastanza tranquillo, invece dal punto di vista psicologico, egli è un 'inetto', un debole, un uomo che mente a se stesso pur di non scoprirsi misero.
Emilio sogna l'uscita dal nido e il godimento dei piaceri della vita e, quando finalmente nella sua esistenza appare Angiolina, una bionda con il volto illuminato dalla vita, in lei vede incarnati i simboli della pienezza vitale e della stessa salute fisica, caratteri contrari al suo modo di essere.
Nel 1919
inizia a scrivere il suo terzo romanzo, "La coscienza di Zeno", che pubblicherà nel
presso l'editore
Cappelli di Bologna.
Joyce, che legge il romanzo e lo apprezza, consiglia l'amico di inviarlo ai
critici francesi che dedicheranno, nel , alla Coscienza di Zeno e agli altri due
romanzi la maggior parte del fascicolo della rivista
'Le navire d'argent'. Ma intanto anche in Italia,
qualcosa si smuove, e sulla rivista milanese 'L'esame' nel , esce un intervento
di Eugenio Montale, intitolato "Omaggio a Italo Svevo".
Svevo abbandona lo schema ottocentesco del romanzo raccontato da un narratore estraneo alla vicenda e fa sì che la sola voce che il lettore immagini di ascoltare sia quella del nuovo «inetto».
Il romanzo non ha una collocazione ben precisa, i fatti non si susseguono cronologicamente e secondo uno schema lineare. Spesso il passato ripercorre le strade del pensiero di Zeno e si confonde con il presente. Il risultato, oltre a rappresentare un'altra delle novità apportate all'universo letterario da "La coscienza di Zeno", è anche ciò che Svevo definisce «tempo misto».
Zeno Cosini, invitato a farlo dal proprio psicanalista, si cimenta nella stesura di un memoriale, una sorta di confessione autobiografica a scopo terapeutico. Quando decide di interrompere la cura, scatena l'indignazione del dottor S., il quale, in una lettera (che costituisce la prefazione al romanzo), dichiara la volontà di pubblicare lo scritto di Zeno per vendicarsi della truffa subita dallo stesso. L'intero racconto scaturisce dalle parole del protagonista. A dirla tutta, di Zeno, nevrotico e malato immaginario, non ci si può sempre fidare: ciò che egli racconta delle proprie esperienze lascia spesso il gusto dell'ambiguo. È lo stesso dottor S. a farlo presente quando, nella propria lettera, allude alle «tante verità e bugie» che Zeno pare aver accumulato nel racconto di sé.
Uno dei brani guida della raccolta "La coscienza di Zeno" è:
Il fumo: Zeno pensa che la causa della sua malattia sia il vizio del fumo. Decide di liberarsene, prima con propositi precisi fatti a se stesso, e vincolate da un solenne U. S. (ultima sigaretta), poi facendosi ricoverare in una casa di cura, dove però non passa nemmeno una notte, perché, preso dalla sua solita gelosia infondata per la moglie, corrompe l'infermiera e se ne torna a casa, dove la moglie, lo accoglie con un benevolo sorriso.
Nei confronti della psicoanalisi freudiana, in particolare, Svevo mantiene una posizione ambivalente: da un lato non né accetta alcuni principi e non ama, a parte qualche eccezione, lo stile con il quale si esprime Freud, dall'altro la giudica un fenomeno degno di riflessione, che egli non può più abbandonare.
In seguito alle sedute psicoanalitiche alle quali si era sottoposto il cognato Bruno Veneziani a Vienna presso il dottor Freud, Svevo inizia ad interessarsi alla psicoanalisi.
La verità è, per Svevo, l'equivalente della salute: due valori assolutamente privi di importanza, che sono sottoposti all'inevitabile svolgersi della vita.
La sua opinione circa la teoria freudiana è scettica per quanto riguarda le sue possibilità terapeutiche, mentre la trova stimolante per la creazione letteraria. L'autore infatti vedeva nella nevrosi un segno positivo di non rassegnazione e di non adattamento ai meccanismi alienanti della civiltà che impone un regime di vita, sacrificando la ricerca del piacere.
Svevo intanto lavora a una serie di novelle e ad un quarto romanzo, "Il Vecchione" o "Le confessioni di un vegliardo", quando, a causa delle ferite riportate in un incidente automobilistico vicino a Motta di Livenza in provincia di Treviso, perde la vita nel settembre del 1928, e le opere e gli abbozzi intrapresi verranno pubblicati solamente postumi.
Il vero successo per Italo Svevo arriverà soltanto dopo la sua morte, facendolo conoscere a livello internazionale e apprezzare la sua modernità e la sua innovazione.
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