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ITALIANO: CESARE PAVESE
BIOGRAFIA
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Cesare Pavese nasce nelle Langhe, a S.
Stefano Belbo in provincia di Cuneo nel 1908 da una famiglia di piccolo
borghese trasferitasi poi a Torino, dove rimase per gran parte della sua vita,
abitando presso la casa della sorella Maria.
Rimase sempre legato alle Langhe nelle quali tornò ogni estate della sua
fanciullezza.
Le Langhe saranno per Pavese sempre un luogo "mitico", una "casa" accogliente e rappresenteranno per lui una speranza di sicurezza.
Quando nel 1916 i possedimenti paterni di S. Stefano Belbo, dovranno essere venduti per le difficoltà economiche della famiglia, Pavese vive questo distacco dalla casa natale come una perdita di una parte di sé.
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A Torino frequenta il liceo classico "D'Azeglio" ove trovò come professore di italiano Augusto Monti, un personaggio di spicco e noto scrittore antifascista, grazie ad esso Pavese, tra il 1923 ed il 1926, partecipa a quel rinnovamento delle coscienze che a Torino si concretizzava grazie anche all'opera di Gobetti e Gramsci.
Il carattere di Pavese, già timido ed introverso, con la morte del padre, avvenuta in tenera età, subisce un'ulteriore accentuazione della sua emotività e tendenza all'isolamento.
Le lettere dell'adolescenza sono già una risposta, seppur ambigua, alla situazione umana e morale di Pavese, infatti in esse cogliamo ciò che lo turba maggiormente sul piano esistenziale, come il suicidio dell'amico Elio Baraldi, l'incapacità di esternare il proprio amore per la compagna di classe Olga, quest'ultima tema di meditazione sulla sua infelicità nelle lettere agli amici, e ancora, la timidezza che lo rende incapace di ottenere un appuntamento con la ballerina Pucci.
Nel 1927 si iscrisse all'Università degli Studi di Torino, nel 1930 si laureò con una tesi, per la verità criticata, sulla poesia "Foglie morte" di Whitman, appassionato estimatore della cultura americana, insieme a Vittorini alimenterà un vero e proprio mito dell'America, come terra dell'individualismo e della libertà, traducendo libri di autori importanti come Dickens, Joyce, Melville.
Conseguita la laurea in lettere si dedicò all'insegnamento, questo per qualche tempo, in seguito si occupò di traduzioni e collaborazioni presso varie riviste culturali e testate giornalistiche.
Nel 1931, con la morte della madre, andrà ad abitare presso la sorella Maria ove rimarrà fino alla morte.
Nel 1933 cominciò a lavorare presso la casa editrice Einaudi, appena fondata dal suo amico Giulio Einaudi, il quale decide di riunire alcuni giovani intellettuali torinesi tra cui, oltre a Pavese, Vittorini, Ginzburg, Mila e Carlo Levi, fu uno dei principali collaboratori e animatori di questa casa editrice.
Nel 1935 viene arrestato perché trovato
in possesso di alcune lettere indirizzate a una militante del partito comunista
clandestino, dopo alcuni mesi di carcere fu condannato a tre anni di confino a
Brancaleone Calabro, ma dopo un anno, in seguito a un condono, peraltro
ripetutamente chiesto sia da Pavese che dalla sorella Maria direttamente a
Mussolini, poté tornare a Torino.
Al suo ritorno a Torino nel '36 ebbe due scottanti delusioni, venne a
conoscenza che la donna che amava sin dai tempi dell'università si era sposata
e che la pubblicazione sulla rivista culturale "Solaria" della sua raccolta di
poesie "Lavorare stanca" non ebbe il successo desiderato, queste delusioni (non
tanto la seconda quanto la prima), gli fanno sfiorare il suicidio.
Il lavoro intenso divenne per lui un'evasione dall'angoscia, è infatti proprio il suo periodo più fecondo sia come scrittore che come collaboratore della casa editrice Einaudi, nel 1937 l'incontro con Vittorini gli consente di collaborare alla "Antologia Americana".
La letteratura americana esercita da sempre un profondo fascino su Pavese che grazie alla sua opera di traduzione e con la direzione di una collana Einaudi, contribuirà a diffonderla nel nostro paese.
La vita di Pavese si rispecchia in quasi tutte le sue opere, infatti l'esperienza del confino vissuta nel 1935 si riscontra nel suo romanzo breve "Il carcere", scritto tra il novembre del 1938 e l'aprile del 1939, ma pubblicato solamente nel 1948 accoppiato a "La casa in collina" , in un volume complessivo intitolato "Prima che il gallo canti", seguono "Paesi tuoi" nel 1939, pubblicato nel '41, "La bella estate" scritto nel '40, ma pubblicato solo nel 1949, sempre nel 1940 Pavese scrisse il romanzo breve "La spiaggia" dapprima apparso sulla rivista romana "Lettere d'oggi" e successivamente pubblicato postumo nel 1956 da Einaudi.
Sempre nel 1940 Pavese è impegnato in diverse attività, continua ad elaborare la sua teoria del mito, che darà i primi risultati con la pubblicazione di "Feria d'agosto" del 1946, inoltre è a capo della sezione romana della casa editrice Einaudi, sempre di questi anni è il suo amore per Fernanda Pivano.
Il 1940 è un anno intenso per Pavese infatti proprio in questo anno pubblica una nuova edizione di "Lavorare stanca" ora diviso per sezioni e aumentato di poesie scritte tra il '36 e il '40.
La guerra è vissuta da Pavese come un fatto lontano e pieno di rimorsi, infatti per problemi di salute, dapprima non venne chiamato alle armi e, dopo l'8 settembre 1943, quando quasi tutti i colleghi e gli amici partecipano ad organizzare la guerra partigiana, Pavese lascia la città bombardata e in mano ai tedeschi per rifugiarsi presso la casa della sorella a Serralunga, dove rimase nascosto, qui ebbe un periodo di forte crisi interiore che lo portò dopo la liberazione, ad iscriversi al Partito Comunista Italiano al quale rimase legato fino alla fine.
Nel 1946 scrisse un romanzo politico intitolato "Il compagno" che verrà premiato con il premio Salento, pur essendo giudicato freddamente dalla critica.
Sempre in quegli anni conclude i "Dialoghi con Leucò" e tra il 1947 e il 1948 si dedica alla stesura della "Casa in collina".
Inizia una collaborazione con il giornale "L'Unità" dove pubblica una serie di articoli sul ruolo dell'intellettuale e sui rapporti letteratura - società, tra i nuovi autori Pavese promuove la pubblicazione di "Sentiero dei nidi di ragno" di Italo Calvino.
La militanza politica nel partito non aiuta Pavese, anzi si ritrova sempre più isolato perché non accetta la "linea" ufficiale del comitato centrale, questo lo spinge a tornare agli studi, con i quali approfondisce la costruzione di una poetica personale incentrata sul significato conoscitivo e antropologico del mito.
Gli ultimi romanzi sono la testimonianza di quel gioco di simboli che trasfigurano le cose quotidiane e danno loro un significato e un valore, di questo suo periodo sono: "La bella estate" ed infine "La luna e i falò", quest'ultimo è il romanzo della piena maturità, il suo capolavoro che lo fa risaltare alla critica e con il quale vinse nel 1950 il premio "Strega".
In questo periodo va incontro all'ultima grande delusione, la più drammatica: la storia d'amore con Constance Bowling, un'attrice americana conosciuta a Roma, dopo giorni intensi di felicità la storia d'amore si interrompe perché la ragazza torna in America.
Proprio mentre la sua attività di scrittore raggiunge l'apice della notorietà, per Pavese la vita non sembra più sopportabile, nel marzo del 1950 annota sul suo diario " Non ci si uccide per amore di una donna, ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nudità, miseria, infermità, nulla"; per questo nulla, la sera del 27 agosto 1950, dopo essere passato a salutare i suoi amici nella redazione torinese de "L'Unità", si uccide con dei barbiturici in una stanza d'albergo a Torino.
Sul comodino un biglietto: "Tutto fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più".
REALISMO E SIMBOLISMO
Scrivere per Pavese significa innanzitutto costruire se stesso come uomo.
Egli lavora, nelle diverse forme del suo impegno, intorno a due temi:Realismo e Simbolismo.
Nelle sue opere è presente la realtà, ma questa viene analizzata attraverso i simboli, i miti della nascita e della morte e il contrasto, irrisolto, amore-sessualità.
Il tema predominante per Pavese è il mito, cioè, "l'indistinto in fondo alla nostra coscienza" , "l'elemento primordiale della coscienza" e che attraverso il periodo dell'infanzia e dell'adolescenza prefigura il nostro rapporto con le cose, o meglio, il nostro destino umano.
Egli considera il luogo della nascita e dell'infanzia come un emblema del destino di libertà e di autenticità propria di ogni uomo.
Una sua opera maggiore di realismo simbolico è senza dubbio "Paesi tuoi", considerato, erroneamente, dalla critica del tempo come un romanzo "neorealista" che raccontava semplicemente una tragedia rusticana di fine Ottocento.
Il giudizio della critica ovviamente non piacque a Pavese.
PAVESE E LA LETTERATURA AMERICANA
Il mito americano nasce, in Italia, attraverso la cultura di un'intera generazione che si opponeva al fascismo non solo politicamente e civilmente, ma anche proclamando la propria libertà culturale e il luogo che incarnava questa libertà era appunto l'America.
La letteratura americana era una letteratura giovane e proprio per questo non appesantita da una tradizione letteraria secolare, come era invece quella del vecchio continente.
Insieme a Vittorini, Pavese, contribuirà notevolmente alla diffusione della letteratura americana in Italia.
La sua "carriera" come traduttore e diffusore della cultura americana nasce nel 1930 sulla rivista "Cultura", dove Pavese pubblica un saggio sullo scrittore americano Sinclair Lewis, che in quell'anno aveva ricevuto il premio Nobel per la letteratura, di seguito gli viene affidata la traduzione de "Il nostro signor Wrenn", ha qui inizio la sua attività di traduttore.
PAVESE E IL NEOREALISMO
Definire Pavese uno scrittore neorealista è sicuramente errato, o perlomeno, non è esatto.
Vediamo innanzitutto il significato del Neorealismo:esso nasce da uno stato d'animo, da una volontà di voler influire sul reale e dal bisogno di testimoniare e raccontare i fatti nel modo più reale possibile, le opere neorealistiche sono una fedele copia della realtà.
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Il fenomeno del Neorealismo non era un movimento prettamente legato alla letteratura, anzi, le sue maggiori rappresentazioni le possiamo trovare nell'ambito cinematografico nella produzione di grandissimi film come: "Ossessione" (1942) di Luchino Visconti, "Roma città aperta" (1945) e "Paesà" (1946) di Roberto Rossellini, e "Ladri di biciclette" (1948) di Vittorio De Sica, questi film erano imperniati intorno alla realtà del nostro Paese, la trasposizione della realtà era così ricercata che gli attori che li interpretavano erano presi dalla strada.
Pavese pur avendo numerosi punti di contatto con il Neorealismo, alla cui affermazione effettivamente concorrerà, essendo stato a lungo ritenuto un maestro di questo genere, è comunque molto diverso principalmente per un motivo: lo scopo del Neorealismo è, come già detto in precedenza era riportare la realtà del periodo senza modificarla o personalizzarla quindi con l'unico scopo, appunto, di raccontare i fatti.
I personaggi dei romanzi di Pavese, in prevalenza contadini delle Langhe od operai e popolani della periferia torinese, rientrano sicuramente nella tipologia neorealista e quindi racconta anche egli la realtà, ma il suo fine, rispetto al Neorealismo, era quello di approfondire la problematica interiore ed esistenziale dell'uomo.
RELAZIONE SUL LIBRO: "LA SPIAGGIA"
Cesare Pavese scrisse il romanzo breve "La spiaggia", tra il 1940 e il 1941, il romanzo è scritto in prima persona.
Narra la storia di un professore torinese (in cui Pavese si identifica) che dopo diversi anni ritrova l'amico d'infanzia, Doro, sembra rinascere l'amicizia, il professore però nota dei strani cambiamenti nell'amico.
Doro invita l'amico professore al mare, nella sua villa sulla costa ligure, ma quando questi sta per raggiungerlo al mare, improvvisamente Doro gli comunica che andrà lui a Torino per passare qualche giorno insieme e ricordare i vecchi tempi.
I due tornano nelle Langhe, terra della loro infanzia, e per qualche giorno Doro il vecchio ritrova se stesso, ma quando finisce questa vacanza e si dirigono sulla costa ligure, Doro ritorna improvvisamente irrequieto, la storia prosegue poi per tutto il romanzo descrivendo la vacanza al mare, la società, i divertimenti estivi, l'apparente calma e spensieratezza, risaltando però al tempo stesso il vuoto interiore dei personaggi.
È l'analisi di una società, l'alta borghesia, in cui si risalta, apparentemente, la gioia di vivere e l'assenza di problemi, ma alla fine ciò che risalta veramente è il vuoto interiore di queste persone così ricche, ma al tempo stesso così vuote e annoiate dalla vita.
La prima sensazione che risalta è la non descrizione fisica dei personaggi del romanzo, mentre vengono descritti minuziosamente i gesti, le posizioni e le espressioni dei personaggi.
Il romanzo è scritto in prima persona e ruota nella sua quasi totalità intorno al personaggio del professore torinese, una persona pacata e pacifica.
Il romanzo è ambientato in Italia, tra le Langhe vicino Torino, Genova e la costa ligure, l'ambiente che circonda i personaggi viene descritto raramente eccetto nel caso della natura, che a tratti viene esaltata e descritta nei particolari.
Il Pavese descrive la natura dei suoi luoghi d'origine mentre solo in rari casi descrive la natura della costa ligure (esalta la pianta d'ulivo che ha vicino al suo alloggio in più occasioni, per poi disprezzarla quando sente di doversene andare via), trovo strano che non venga descritto quasi per niente il mare, coreografia costante di buona parte del romanzo.
Il romanzo è molto realistico nel suo insieme, i suoi personaggi sono quasi insignificanti, di loro si conosce poco o niente, vengono usati per descrivere momenti ed eventi e basta, per loro non c'è altro spazio, anche il suo amico Doro, per lunghi tratti scompare senza lasciare traccia.
E' proprio questa caratteristica dei personaggi (l'essere insignificanti e non sempre protagonisti), che rende il romanzo realistico, perché riflette quello che accade veramente nella realtà, dove ognuno di noi ha sì una sua storia, ma questa non interessa a nessuno.
Mostra una società vuota, con il solo intento di divertirsi, molto superficiale e infatti molti dei personaggi non hanno una loro identità, non sanno cosa vogliono esattamente, sono felici, ma al tempo stesso tristi e vuoti.
Anche in questo romanzo pavesiano notiamo un ritorno alle origini, alle Langhe, la ricerca dell'infanzia.
L'estate finisce e con se l'amicizia, ognuno ritorna alla sua vita, magari con la speranza di aver riempito in parte quel vuoto interiore.
RELAZIONE SUL LIBRO: PAESI TUOI
Paesi tuoi, un romanzo breve di Cesare Pavese, è stato scritto tra il giugno e l'agosto del 1939, il romanzo è scritto in prima persona, ma lo stesso Pavese fece poi notare in seguito che i pensieri di Berto, alle volte troppo intellettuali, dovevano essere assimilati a una terza persona.
Racconta la storia di un meccanico, Berto, e un "goffo" contadino, Talino, che si conoscono in carcere a Torino, salta subito evidente che c'è un confronto tra campagna e città, infatti sono uno l'opposto dell'altro per abitudini, atteggiamenti, personalità.
Dopo aver condiviso per 15 giorni il carcere vengono rilasciati lo stesso giorno e Berto, pur non nutrendo amicizia o stima verso Talino si lascia convincere da quest'ultimo a seguirlo nella sua cascina nelle campagne torinesi, che in vista della trebbiatura del grano ha bisogno di un meccanico che si occupi della trebbiatrice.
Berto, dopo varie ripensamenti, e soprattutto dopo essere stato cacciato di casa dalla sua affittuaria, e senza uno straccio di lavoro, decide così di andare per qualche tempo in campagna per guadagnare qualcosa, o perlomeno avere un posto dove mangiare e dormire.
Talino anche se goffo e campagnolo è astuto e "torbido", infatti all'inizio della storia pur non dimostrandosi cattivo non è mai chiaro nei suoi atteggiamenti e nelle sue parole, raccontando a Berto delle bugie.
Arrivati a casa di Talino, dopo un'estenuante viaggio in treno, vengono accolti da Viverra, il padre di Talino, uomo scorbutico e furbo. ma grande lavoratore.
E così tra le vicende della campagna, i giorni scorrono lenti.
Berto subito dopo il suo arrivo comincia ad analizzare i componenti della famiglia di Talino, soprattutto le sorelle, che vengono descritte come donne rozze, "dure", robuste come uomini, ma una di loro, Gisella, è diversa dalle altre, è più aggraziata, femminile, tra loro nasce giorno dopo giorno un amore, fatto di sguardi fugaci, parole sussurrate e incontri segreti.
Tutto questo purtroppo non sfugge a Talino, che da goffo contadino che sembrava, rivela la sua vera natura malvagia e bestiale!
Egli oltre che malvagio è anche un codardo, perché il fine nascosto del portare Berto nella sua cascina era quello di avere una guardia del corpo, dato che aveva molte inimicizie dovute al fatto che aveva incendiato una cascina (oltre ad altre cose).
È codardo e malvagio, perché viene alla luce che lui ha avuto rapporti incestuosi con la sorella Gisella (simbolismo amore - sessualità) e quando si accorge del rapporto di questa con Berto si ingelosisce.
Dapprima la sua gelosia si manifesta con battute taglienti nei confronti di Berto e Gisella e poi si conclude nel giorno della trebbiatura con l'assassinio di Gisella, rea di averlo mandato in carcere per l'incendio della cascina e poi in seguito per il rapporto con Berto.
Alcuni tratti del romanzo sono a dir poco stravaganti, come Berto che ogni volta che guarda le colline intorno la cascina di Talino le accosta a delle mammelle, questo evento è presente più volte nel romanzo.
Dopo il mortale ferimento di Gisella si continua a lavorare come se nulla fosse successo e cosa ancor più brutta alla fine del romanzo c'è un'omertà, sempre presente, manifestata in modo "sottile" e che viene fuori prepotentemente nell'ultima parte quando Talino viene salvato dall'arresto.
Il romanzo è pieno di metafore, alcune molto difficili da cogliere altre invece evidenti, come per esempio "Talino faceva degli occhi da sembrare un caprone", secondo la mia opinione, voleva mettere in risalto la sua vera persona, oppure la descrizione della gente di campagna dedita solamente al lavoro, quasi senza altri valori, imbruttita all'inverosimile fisicamente, quasi fossero delle bestie.
La fine del romanzo mi lascia perplesso, perché Gisella è sì condannata a morire per il colpo datole da Talino, ma il romanzo finisce che lei è ancora in agonia e quindi la tragedia è troncata dando così toni ancora più forti al romanzo.
RELAZIONE SUL LIBRO: LA LUNA E I FALÒ
Il romanzo 'La luna e i falò' di Cesare Pavese è il viaggio nel tempo di un trovatello cresciuto bracciante in una fattoria delle Langhe, emigrato in America, e tornato con un po' di fortuna nelle sue campagne. Elemento, a mio avviso importante, è il ricordo: tornando nel paese d'origine,oltre ad avere una qual sorta di nostalgia di esso, riscopre moltissime cose naturali, come le aie, i pozzi le voci, i canneti, , gli odori delle fascine, le vigne, o determinati paesaggi che, emigrando in America, si era dimenticato. Appena arrivato alla sua patria ritorna a rivedere i luoghi di quando era bambino, ma si sente quasi imbarazzato del suo comportamento, si vergogna dei suoi capi d'abbigliamento, di non essere più in grado di andare in giro scalzo come un tempo; non riesce a convincere i suoi amici che un tempo era stato anche lui una persona semplice come tutti gli altri paesani. Pensa inoltre che se non avesse preso la decisione a tredici anni di andarsene, anche egli avrebbe fatto la vita da contadino e non sarebbe mai uscito dalla valle del Belbo. Non si sente a suo agio tra la gente del paese, in quanto , avendo fatto fortuna, aveva preso atteggiamenti, modi di fare e di vestire troppo differenti. Inizialmente, appena partito dalla patria, non si sente a proprio agio: infatti per le strade di Genova sente la mancanza di tante piccole cose apparentemente futili, ma per lui importanti. Egli si fa raccontare da Nuto, la fine dei suoi famigliari, come ad esempio il Padrino, va a trovare i suoi amici di infanzia, ma si accorge che tutto è cambiato. Egli trascorre molto tempo con Nuto, un suo vecchio amico d'infanzia, che gli racconta gli avvenimenti più importanti avvenuti nel periodo della sua assenza; ricordano anche la sua famiglia, la casa e il luogo dove svolse il suo primo lavoro, quello svolto nei campi quando era giovane;racconta a Nuto del suo incontro a Genova con la ragazza americana e dei lavori che svolse là. In questo libro troviamo molti temi; abbiamo il tema del ritorno: il protagonista ritorna a S. Stefano Belbo, da dove era partito ancora ragazzo per recarsi in America, dove si è arricchito, e ora invece può permettersi una vita agiata. Non è più il ragazzino che veniva mandato a lavorare nei campi, ma è qualcuno oggi che potrebbe essere a sua volta padrone. Ritorna con la mente a quella che è stata la vita da ragazzo, però vista alla luce dei nuovi tempi e si trasforma in una ricerca dell'identità del protagonista con il mondo che, oggi, davanti a se, vede ovviamente cambiato. Sotto il punto di vista storico, tutto è cambiato:c'è stata la guerra, la Resistenza, ma è cambiato soprattutto perché è cambiato lui stesso. Ultimo tema pavesiano che ricorre in questo romanzo è la morte: nelle pagine finali un personaggio, Valino, compie l'eccidio della propria famiglia e dà fuoco alla casa. Accanto a questo c'e la morte di Irene e Santina, due delle ragazze che il protagonista aveva conosciuto da bambino. Pavese raccoglie alcuni miti: il mito della città e della campagna, della fuga e del ritorno e anche, chiaramente, il mito dell'America, che rimane solo un sogno, perché in America non c'è mai andato. Vengono inoltre narrati anche i suoi odii, i suoi interessi, la sua curiosità di conoscere e capire la vita contadina.
Appunti su: il realismo mitico e simbolico di vittorini e pavese, realismo simbolico, https:wwwappuntimaniacomumanisticheletteratura-italianoitaliano-cesare-pavese-biograf25php, gisella e santina pavese, realismo mitico, |
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