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"Canto l'immensa gioia di vivere/di essere forte, di essere giovane" Gabriele D'Annunzio




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"Canto l'immensa gioia di vivere/di essere forte, di essere giovane" Gabriele D'Annunzio


C'è nel D'An­nunzio la tendenza a trasportare esperienze, at­teggiamenti e sensazioni su un livello che è lontano dalla media comune, di ricercata raffina­tezza e compiaciuta sensualità, accessibile solo a chi sa mettere al primo posto il vero valore del­la vita, che, in piena coerenza con i canoni dell'estetismo, è il bello. Il romanzo "Il piacere" ci offre proprio la misura di una visione della vi­ta dominata dalla ricerca del bello, dalla raffi­natezza e dall'eleganza, in una prospettiva edo­nistica che, se vogliamo, si risolve poi rove­sciandosi simmetricamente in un sostanziale nichilismo.



Il superuomo:

"Canto l'immensa gioia di vivere/di essere forte, di essere giovane": in questa esaltazione della vita si esprime tutta la disposizione all'edonismo e alla sensualità di D'Annunzio, una disposizione che spinge il poeta abruzzese a vedere nella natura la possibilità di continui raccordi e corrispondenze con lo stato d'animo dei suoi personaggi, che lo porta ad immergersi totalmente nella natura nel tentativo addirittura di identificarsi in essa.

È questo il cosiddetto "panismo" dannun­ziano (da Pan, il dio mitologico della natura), i cui caratteri sono perfettamente rilevabili, ad esempio, nella famose poesie "La pioggia nel pineto" e "La sera fiesolana", contenute nell'"Alcyone".

All'estetismo succede un diverso atteggiamento, che si ispira chiara­mente alla filosofia di Nietzsche: il superomi­smo. Questo atteggiamento è rilevabile nei ro­manzi "Il trionfo della morte", "Le vergini delle rocce", "Il fuoco", in cui i rispettivi protagonisti Giorgio Aurispa, Claudio Cantelmo, Estelio Effrena, incarnano la figura del superuomo che si pone al di sopra della massa, nel disprezzo del "grigio diluvio democratico" ed aldilà dei va­lori tradizionali che hanno senso soltanto per la massa. In effetti, il mito del superomismo tra­duce la solitudine dell'intellettuale borghese nella società che si massifica sempre di più. Tut­tavia questa solitudine non viene avvertita dal D'Annunzio con malinconia, ma esaltata come una prerogativa privilegiata e aristocratica; ne deriva che l'intellettuale si pone al di sopra della massa come punto di riferimento forte e vigo­roso, capace anche di dare una giusta indicazione di potenza e di gloria alla propria nazione. In questo modo, il mito del superomismo così delineato trova il suo risvolto nel mito della "supernazione" con cui si cerca di giustificare l'imperialismo "strac­cione" di una potenza del tutto secondaria, come era allora l'Italia, arrivata in ritardo alla competizione con le maggiori potenze eu­ropee.

Il protagonismo del D'Annunzio fu eviden­te anche sullo scenario politico; infatti egli, in­terpretando le esigenze e i sogni della piccola e media borghesia che cercava di reagire ai pro­cessi di massificazione nell'economia e nella politica, esaltò nella primavera del 1915 l'in­terventismo, schierandosi in maniera, se vo­gliamo, anche grossolana e violenta contro il parlamentarismo e contro quello che lui defini­va il "giolittismo".

Si distinse, durante la guerra, in imprese eroiche e insolite: ricordiamo il volo su Vienna e "la beffa di Buccali". Successivamente, a guerra finita, fu sua la diffusione del mito della "vitto­ria mutilata", con cui si cercò, da parte degli am­bienti nazionalisti, di manipolare la coscienza della piccola borghesia sui risultati concreti del­la guerra. Fu sua anche, nel 1919, l'impresa del­la "marcia su Fiume" e della successiva "reg­genza del Carnaro", che, per l'ostentato di­sprezzo della legalità e del parlamentarismo, precorreva la "marcia su Roma" e il fascismo.

Lo stesso D'Annunzio, quindi, come hanno osservato molti critici, proprio regolando la sua vita come se fosse la sua migliore opera d'arte, si diede a costruire il mito superomistico del po­eta-eroe, un mito che veniva alimentato da al­cuni rituali collettivi che lo stesso poeta abruz­zese inaugurò con "adunate oceaniche" sia nel corso della campagna interventista sia nel corso dell'impresa fiumana. Fatto tragico è che tutti questi atteggiamenti di esaltazione dell'indivi­dualismo, di disprezzo delle regole democrati­che e della razionalità in politica, costituirono un test ed un viatico per l'affermazione del fa­scismo, il quale seppe non solo sfruttare abil­mente tutti i miti alimentati dal poeta abruzzese, ma poi seppe anche, al momento opportuno, emarginarlo politicamente, celebrandolo come "poeta del regime", ma in realtà svuotandolo di ogni concreta funzione politica. Questo perché il duce ovviamente non poteva ammettere al­ti protagonisti all'infuori di se stesso.

Il superuomo è senz'altro il punto d'arrivo della personalità dannunzia­na, però in esso si colgono la sproporzione tra il desiderio e la realtà, fra l'at­tenzione spasmodica della volontà e la sua con­creta possibilità di realizzarsi. Ciò che caratte­rizza pertanto il "superuomo" dannunziano è proprio il velleitarismo, riflesso del contrasto fra le illusioni della borghesia italiana e la stessa difficile realtà del nostro Paese. C'è, insomma, uno scarto consistente fra la tensione e l'aspi­razione alla realizzazione, rivelandosi il D'An­nunzio, in questo, validissimo interprete dei mi­ti e degli ideali della piccola borghesia italiana nel periodo a cavallo tra l'800 e il '900.








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