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L'influenza di D'Annunzio non era molto vasta, ma, quando abbina il suo estetismo con il culto del Superuomo e l'esaltazione nazionalistica, comincia ad esercitare una funzione egemonica su alcuni gruppi di giovani intellettuali.
Nell'articolo di presentazione del Convito (la rivista estetizzante di Adolfo De Boris), rivolge implicitamente la speranza di raccogliere un vivo fascio di energie che volgano a salvare qualche cosa di bello dalla turbata onda di volgarità che ricopre l'Italia.
I temi che conquisteranno un'intera generazione sono:
una concezione aristocratica della vita,
volontà di dominio,
di amore per la violenza,
disprezzo per il pericolo,
di capacità di godere e di aderire al mondo con tutti i sensi,
il culto per la bellezza,
il disprezzo per la plebe,
il rifiuto dell'Italia ufficiale,
della sua ordinaria amministrazione,
del suo regime parlamentare,
dei suoi intrighi, dei suoi compromessi,
della sua debolezza nei confronti della massa popolare e del movimento socialista,
esaltazione della patria come bene supremo della gloria,
della potenza e del primato di una nuova Italia.
Queste sono le componenti che concorrono a formare la figura del Superuomo, nel primo romanzo in cui compare esplicitamente: Le vergini delle rocce.
Lo scrittore nacque a Pescara nel 1863, da Luisa De Benedctis a da Francesco Paolo Rapagnetta, che prese il cognome dal padre adottivo Antonio D'Annunzio, ereditandone il ricco patrimonio.
Frequentò il ginnasio liceo al collegio Cicognini di Prato, dove conseguì la licenza liceale nel 1881, rivelandosi studente brillante e appassionato lettore di testi letterari.
A questa passione univa una grand'ambizione che lo portò a dare alle stampe nel 1879 sotto il nome di Florio Bruzio, la sua prima opera poetica, "Primo Vere" e "In memoriam".
Coi primi successi fu sollecitato a collaborare ai giornali letterari del tempo. Nel 1881 si stabilì a Roma e strinse amicizie col pittore Francesco Paolo Michetti; qui si scrisse alla facoltà di Lettere, senza mai conseguire la laurea.
Divenne brillante frequentatore del bel mondo e degli ambienti letterari e giornalistici. Collaborò alla rivista più in voga del tempo come "Capitan Fracassa" "Cronaca Bizantina" e "La Tribuna".
In brevissimo tempo s'impose come protagonista della vita culturale romana, si realizza così quell'identificazione tra vita e letteratura, che coincise col successo dei due libri "Canto novo" e "Terra Vergine".
Clamorosa fu la vicenda con la giovane duchessa Maria Hardouin di Gallese, che si concluse, nel 1883, dopo la fuga dei due amanti, con il matrimonio, pur osteggiato dalla famiglia della sposa.
Nell'anno del suo matrimonio apparve il volume Intermezzo di Rime, nel 1886, Isaotta Guttadauro ed altre poesie, poi L'isotteo, La Chimera, cui si aggiunsero il Libro delle vergini nel 1884 e San Pantaleone, confluiti più tardi nelle Novelle della Pescara.
Costantemente, vigila nel cogliere le maggiori novità poetiche artistiche e musicali assimilandole con straordinaria semplicità a quelle tendenze estetizzanti e decadenti.
Questa prima fase trova il suo momento nel "Il Piacere" dove confluisce la sua esperienza romana.
Nel 1891 a causa dei debiti si allontana da Roma e si trasferisce a Francavilla dove concluse il racconto Giovanni Episcopo che risente la lezione degli scrittori russi, di recente scoperti attraverso le traduzioni francesi.
Tra la primavera e l'estate nel 1891 scrisse L'innocente (pubblicato a puntate sul Corriere di Napoli), aveva cominciato anche un altro romanzo, L'invincibile, che portò a termine col titolo Il trionfo della morte nel 1894.
A Napoli, trascorse due anni in miseria collaborando con i giornali locali quali Il Mattino. Questo soggiorno fu movimentato da una relazione con una principessa Maria Gravina Cruyllas, moglie di un ufficiale dell'esercito, da cui ebbe una figlia.
L'incontro con il traduttore francese Georges Hérelle con cui aveva tenuto una fitta corrispondenza, fu l'occasione per la diffusione delle opere di D'Annunzio in Francia, e conseguentemente per l'affermarsi della sua fama in Europa.
Alla fine del 1893 dovette lasciare Napoli, costretto dall'assedio dei creditori si rifugiò in Abruzzo presso Michetti, e si dedicò alla stesura del romanzo il Trionfo della morte.
Nel 1895 con il discorso Allegoria dell'autunno, in occasione della chiusura dell'Esposizione Internazionale d'Arte a Venezia, dove inizia una relazione con la grand'attrice Eleonora Duse.
D'Annunzio è in fase d'elaborazione della teoria del Superuomo, ricavata da Nietzsche, di cui si farà sostenitore e propagatore. Nel romanzo Le vergini delle rocce emana in forma saggistico-narrativa la genesi del Superuomo.
Nel 1897 fu eletto deputato della Destra con un gesto clamoroso, poi entrò nelle file dell'Estrema Sinistra, contro il governo Pelloux.
In questi anni ha inizio la sua carriera di drammaturgo: con La Città Morta ispirata alla Duse egli cerca la strada di una gran tragedia moderna.
A lei fa seguito una fittissima produzione teatrale tra cui: Il Sogno d'un tramonto d'autunno; La Gioconda; La gloria; Francesca da Rimini; La figlia di Iorio; La fiaccola sotto il moggio; La nave; Fedra. Oltre alle opere teatrali si hanno rifacimenti d'opere precedenti, i primi svolgimenti della Poesia delle Laudi e della stesura del romanzo il fuoco.
Nel 1898 lasciò la Gravina e si stabilisce a Settignano, i primi anni del secolo vedono il trionfo delle "Laudi" e della "Figlia di Iorio", finisce la relazione con la Duse.
Di nuovo, fu incalzato dai debiti e si rifugia in Francia, nel 1910, dove compose in francese, cercando sempre di mantenere i rapporti con il pubblico italiano.
Tra il 1911 e 1914 manda al Corriere della Sera le prose delle Faville del maglio, per risolvere le sue sempre precarie condizioni finanziare, collabora alla nuova arte del cinema, con sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria.
Nel 1915 torna in Italia dove tenne discorsi interventisti, entrata l'Italia in guerra si arruola come tenente dei Lancieri di Novara e si distinse per coraggio e audacia, soprattutto in mare e in cielo.
Per una ferita all'occhio destro fu costretto ad una lunga convalescenza a Venezia durante la quale nacquero le prose del Notturno.
Alla fine della guerra, d'Annunzio avvalendosi del prestigio conquistato, interviene a livello politico, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia.
L'impresa avvicinava d'Annunzio al nuovo partito fascista però oscillava tra le sue ambizioni partecipative e le diffidenze nei confronti di Mussolini.
Scelse di ritirarsi nella villa di Cargnacco sul lago di Garda e nel 1926 affida all'editore Mondadori la pubblicazione dell'edizione completa delle sue opere, permettendogli di trasformare la villa in un museo, oggi testimonianza dei suoi gusti, delle sue manie e delle sue imprese.
Morì l'1 marzo del 1938 lasciando in eredità la villa di Cargnacco trasformata dal regime in un'istituzione, il "Vittoriale degli italiani".
D'Annunzio rielaborava modelli antichi e moderni, sempre pronto a cogliere le nuove tendenze, con temi e immagini dalle forme di provenienza più varia. In questa prospettiva s'inquadra il lavoro che vede, negli anni 1980 - 1990, documentato nei Taccuini, un insieme d'appunti, che il poeta, era solito prendere, nei vari momenti della sua esistenza.
A 16 anni d'Annunzio, pubblica la prima raccolta di versi, Primo vere, rilevando una straordinaria capacità mimetica soprattutto nell'imitare il classicismo carducciano.
Più significativa e matura la seconda raccolta, Canto novo, pubblicata a Roma nel 1882, comprende 61 componimenti, ordinati in cinque libri. In canto novo si fondono elementi animali e vegetali, paesaggi solari marini e silvestri, da un fresco e trionfante erotismo. La raccolta definitiva, è ridotta a solo 27 liriche, ordinate in due sezioni canto del sole e canto dell'ospite.
Segue nell'83 la raccolta Intermezzo di rime, svolgendo temi moderni proprio del Decadentismo, con indulgenze di sapore scandalistico, con morbosità descritte, con immagini di corruzione e Decadenza.
Questo vario lavoro di sperimentazioni e imitazioni, sfocia in un'opera di nuova identità, fatto d'affetti semplici, di gesti e di comportamenti sommessi, il poema consta di 54 poesie, traccia il passaggio dalla sensualità al ritorno dell'innocenza.
Si apre con un proemio in versi, che augura uno dei temi-chiave principali: la nostalgia dell'infanzia e della famiglia; si articola poi in tre sezioni, che hanno un titolo latini: Hortus Conclusus (giardino chiuso); Hortus larvarum (giardino dei fantasmi); Hortus animae (giardinetto dell'anima).
Nella visione tipica della raccolta di novelle, esalta la radice animale dell'uomo, nella raffigurazione di personaggi "anteriori" alla cultura.
Questo dominante analogismo felino, si esprime non solo nelle immagini zoomorfe, ma anche negli intrecci dei racconti, impostati su un'idea di selezione sessuale, che attribuisce la donna al vincitore di una lotta tra maschi.
Rispetto a Terra Vergine, l'esperienza narrativa subisce una svolta, grazie alla lezione dei naturalisti francesi, che agisce in modo più sistematico, nel suggerire figure, temi e intrecci che entrano nella composizione di numerose novelle.
E' importante la curiosità e l'interesse per opere straniere, come i racconti di Maupossant, che adottano figure e situazioni, ambientate dallo scrittore in Normandia, nella terra d'Abruzzo.
I racconti nascono da un atteggiamento narrativo che tende al distacco, però secondo D'Annunzio, quest'atteggiamento porta soltanto all'impersonalità, così come, nell'ambito degli influssi francesi, l'impronta di Flambert, getta uno dei ponti più significativi, tra l'esperienza naturalista e quella dell'estetismo decadente.
Su questa linea si sviluppano: Terra Vergine; Il libro delle Vergini e San Pantaleone.
L'autore in veste di un "Io" narrante, (anche se distante dal mondo descritto), è tuttavia coinvolto in un ambiguo compiacimento, per quest'ambiente primitivo, prezioso e violento.
L'uso del dialetto abruzzese, da un lato rileva, uno degli aspetti della sperimentazione linguistica, dall'altro la distanza tra l'autore e i suoi personaggi.
Il D'Annunzio, affrontando solo racconti e novelle, sentiva il bisogno di andare oltre: scrivere un romanzo d'ambiente romano, che avesse sapore di scandalo, il personaggio principale dai "segni caratteristici" che erano i suoi, avrebbe dovuto rappresentare il suo dramma, quale si è aperto nella sua giovinezza irrequieta e affamata di donne, così che le sue esperienze, che aveva gustato nell'arte e nella vita, sarebbero state messe bene in luce.
La difficoltà, però, era quella di conciliare, quest'esperienza effimera di vita con la rigorosa disciplina dell'arte.
Da questo concetto nasce "Il Piacere", che è il romanzo di un personaggio, ma anche, il romanzo di una città, vista attraverso quel personaggio: Andrea Sperelli.
Il Piacere composto nel 1888, è il primo filone romanzesco, che il D'Annunzio, pensò di ordinare in cicli: la trilogia dei "Romanzi della rosa", di cui fanno parte: Il Piacere; L'innicente e Il trionfo della morte, dell'altra trilogia dei "Romanzi del giglio", pubblicò solo Le Vergini delle rocce.
"Il Piacere", è ambientato in una Roma lussuosa, protagonista è il conte Sperelli, poeta, pittore e musicista dilettante, ma soprattutto, raffinato artefice di piacere, tormentato, però, dal ricordo di una relazione complicata e sensuale, con Elena Muti.
Intanto lui, si tuffa in una serie di nuove avventure, finché, un rivale geloso, lo sfida a duello e lo ferisce.
Si abbandona in una convalescenza, nella villa della ricca cugina, dove conosce una donna casta e sensibile, Maria Ferres, però s'illude di avere per lei un amore spirituale, infatti, con Maria non cerca altro che riprodurre le sensazioni, già provate per Elena, così, le due figure di donna s'intrecciano, e quando in un rapporto amoroso con Maria, Sperelli si lascia sfuggire il nome della sua ex amante, Maria inorridita, scappa da lui.
Andrea Sperelli, è considerato il primo vero "eroe" della nostra letteratura, come l'equivalente di Dorian Gray di Wilde.
Le tipologie di donne, che Gabriele D'Annunzio, descriveva nella sua opera, erano di due tipi: la donna fatale e la donna vittima.
Com'esempio di donna fatale, possiamo considerare Elena Muti, che fa soffrire l'uomo per il suo fascino, ma anche per la sua corruzione, perché sacrifica l'amore per il giovane Sperelli, per sposare un ricco lord.
Poi abbiamo la donna vittima, impersonata da Maria Ferres, anch'essa, una bellezza sensuale, ma temperata da un'espressione di sofferenza e malinconia.
In qualche modo rappresentano, una l'amor profano e l'altra l'amor sacro, verso Maria, infatti, è spinto da un bisogno d'adorazione, affascinato dall'idea di possederla, nello stesso letto in cui ha posseduto Elena, cosa che avrebbe reso più acuto, il singolare sapore di profanazione.
Proponiamo il profilo di una donna attrice, la famosa Eleonora Duse, cui s'ispirò D'Annunzio per il personaggio della Foscarina nel Fuoco.
Il romanzo ambientato a Venezia, ha come protagonista Stelio Effrena, altra figura d'artista e di superuomo e proiezione dell'autore. La trama si sviluppa su due linee principali.
Una è la relazione del protagonista con la Foscarina, complessa e tormentata storia d'amore, sia per la differenza d'età, sia per l'affacciarsi nella vita di Stelio di una giovane e seducente diva, Donatella Arvale.
Il testo, nella sua composizione, gioca tra complicati dialoghi d'amore e lunghi ragionamenti d'arte, di letteratura e musica, in cui s'impegnano l'ambizioso protagonista e i suoi colti amici.
Nella narrazione, lo stile tende ai suoi toni ampi, alternando dialoghi e discorsi con frequenti preziosità liriche.
Sotto questa categoria, si usa comprendere una serie di prose composte in un lungo periodo, dal soggiorno francese alla morte.
Il notturno nasce quando, una ferita all'occhio destro, D'Annunzio fu costretto ad una lunga convalescenza a Venezia; in una condizione di tenebre a causa di una benda che gli proteggeva gli occhi, scrisse queste prose su numerosi cartigli.
L'opera fu accolta con entusiasmo per la novità di un'esperienza che si configurava come un viaggio d'esplorazione dell'ombra.
L'io del poeta, si concentra su di se e ascolta il fluire delle sensazioni e dei ricordi che emergono dal buio. Lo scrittore vive in compagnia dei suoi fantasmi, insegue visioni di morte. Tra i fantasmi più cari appare quello distruggente della madre malata.
Il notturno comprende: La contemplazione della morte; La Leda segna ciglio; Le faville del maglio; Il libro segreto.
Tra la fine del 1902 e la fine del 1903 D'Annunzio lavora intensamente alla composizione delle laudi.
Il piano iniziale prevedeva sette libri, dedicata a ciascuna delle stelle della costellazione delle Pleiadi, ma esso fu ridimensionato a tre raccolte.
La prima raccolta Maia poi Elettra ed ultima Alcyone.
Le laudi s'ispirano all'ideologia del Superuomo, di una poesia che proclama la conquista del mondo. Maia si presenta come un elogio del Superuomo in forma di Ulisse navigatore, e cioè sperimentatore incessante.
Elettra, esalta vari eroi, riconosciuti come specchi di sé e guide nel suo programma d'immersione nell'universo.
Segue una serie di componimenti dedicati alle città del silenzio, nella convinzione che dal silenzio verrà l'eroe, che promette gloria futura.
Conclude con un canto augurale per la nazione eletta.
Il terzo libro delle Laudi: Alcyone, comprende un'ampia serie di componimenti, la cui struttura segue il percorso del ciclo delle stagioni, come un diario che segna un arco stagionale che va da commiato lacrimoso della primavera, all'appressarsi dell'umido equinozio d'autunno.
Tuttavia da spazio in modo pieno alla poesia dell'estate, con una lode ossessiva delle messi, della frutta e dei fiori e di quanto la natura estiva produce nel suo grande grembo.
La raccolta nasce da una tregua che il poeta si concede, allentando la tensione eroica e oratoria proprio delle altre opere.
In Alcyone, possono convivere senza stridori il trasformarsi dei singoli oggetti con un minuto descrittivismo.
Ciò è possibile appunto perché nel mondo d'Alcyone il protagonista e il mondo che lo circonda non esistono oggettivamente, ma soltanto in quanto, creazioni del libero e onnipotente gioco del soggetto, che può fare e disfare se stesso e il mondo.
Una tra le poesie più significative del D'Annunzio, del ciclo dell'Alcyone, è la Pioggia nel pineto.
In questa poesia si alternano due motivi diversi, ma non divergenti tra loro: il motivo naturalistico, molto mimetico, e quello fantastico.
Ma se questi sono senza dubbio i motivi più appariscenti che fanno un testo emblematico, nel bene e nel male, della produzione dannunziana, bisogna pur dire che il gran motivo della Pioggia del pineto è un altro.
Infatti, il fulcro del componimento, è il tono favoloso e illusorio che caratterizza tutta la lirica, tanto nei suoi aspetti naturalistici mimetici e musicali quanto nei suoi aspetti metamorfici, labili e provvisori, appunto come labile ed illusoria è una bella favola che in un gioco di reciproche illusioni unisce e separa il poeta ed Ermione.
Taci. Sul le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane;ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove sui nostri volti silvani,
piove sulle nostre mani ignude,
sui nostri vestimenti leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude novella,
su la favola bella che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta.Risponde
al pianto il canto
della cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancòra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirito
silvestre,
d' arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
é molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce più
roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo più pioco
s'allenta,si spegne.
Solo una nota
ancor trema,si spegne,
risorge,trema,si spegne.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove sulle tue ciglia,
Ernione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta rivente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta
tra le palpebre e gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di tratta in tratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde rigor rude
ci allaccia i malleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove,chi sa dove!
E piove sui nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani ignude,
i nostri vestimenti
leggeri,
sui freschi pensieri
che l'anima schiude
novella
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ernione.
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