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Il crepuscolarismo. I poeti crepuscolari.DEFINIZIONE
Il termine «crepuscolare» fu usato per la prima volta il 10 settembre 1910, quando Giuseppe Antonio Borgese pubblicò sul quotidiano 'La Stampa' un articolo, intitolato Poesia crepuscolare, nel quale recensiva tre raccolte poetiche uscite
in quell'anno: le Poesie scritte col lapis di Marino Moretti, le Poesie provinciali di Fausto Maria Martini e Sogno e ironia di Carlo Chiaves. L'aggettivo 'crepuscolare' alludeva ad una presunta insufficienza della loro poesia, che chiudeva in tono sbiadito la grande stagione della tradizione ottocentesca, quella dannunziana e pascoliana. Borgese scrive: 'Poiché son giunti al levar delle mense, devono contentarsi delle briciole. Che c'è da far dopo le «Odi barbare» di Carducci, dopo l'«Otre», dopo «La morte del cervo», dopo quella dozzina di liriche dannunziane, nelle quali la nostra lingua mostrò veramente tutto il suo potere? Dovranno passare molti anni prima che quell'eco si spenga o dovrà sorgere un altro temperamento di quella forza.'Oggi definiamo «crepuscolare», senza alcuna intenzione negativa, un modo
particolare di sentire la vita e di scrivere poesia. La definizione di Borgese ebbe fortuna, ma non fu mai accettata dai poeti a cui si riferì, poiché essi non costituirono mai un gruppo o una corrente, rimanendo ciascuno isolato nella
propria individualità. Il termine «crepuscolare» servì piuttosto a indicare uno stato d'animo di ripiegamento e di abbandono ed una lirica dai toni languidi e malinconici che registrava fatti e volti della realtà quotidiana, anche la più
comune e banale. Alle antiche gerarchie di valori, ormai venute meno, i poeti «crepuscolari» sostituiscono una visione malinconica della vita, spesso autoironica, che tende a mettere in crisi ogni certezza. La poesia crepuscolare è piena di cose, avvenimenti, personaggi modesti, di «buone cose di pessimo gusto» come le definì Gozzano, «povere piccole cose» come le chiamò Corazzini (corsie di ospedali, monachelle, fiori finti, animali imbalsamati, amori adolescenziali).
L'assenza di un programma poetico unico spiega la diversità degli atteggiamenti dell'uno e dell'altro dei crepuscolari (Sergio Corazzini, Giudo Gozzano, Marino Moretti, Carlo Chiaves, Corrado Govoni, Aldo Palazzesci) e il passaggio di alcuni di essi ad esperienze d'arte di altro tipo, per esempio al futurismo o all'ermetismo. Le loro composizioni sono accomunate da un tenue pessimismo, da una malinconia senza scosse e senza ribellioni, da una stanchezza di vivere che
in alcuni, come Corazzini e Gozzano, è connessa con malattie fisiche.LE CARATTERISTICHE La poesia crepuscolare afferma che la vita non è un'opera da plasmare con il gesto eroico, è uno spazio ristretto, angusto, da superare con l'arte, da far rivivere attraverso la mediazione della letteratura, cui l'esistenza comunica le sue tonalità, voci basse, gesti quotidiani e sommesse ironie. I crepuscolari negano alla poesia ogni ruolo sociale e civile, rifiutano il concetto di poeta vate, promotore del progresso della storia e considerano la tradizione e il Classicismo, cui si ispirarono in modi diversi Carducci, Pascoli e D'Annunzio, un'esperienza completamente conclusa. I poeti sono accomunati da una malinconica inquietudine che nasce dalla totale sfiducia in ogni ideale religioso, politico e sociale. Il silenzio dei crepuscolari se ha un significato non è quello di un rifiuto sdegnoso, ma piuttosto di un concreto appartarsi, fatto più di rinuncia e anche un po' di pigra incomprensione, che di motivato giudizio morale e storico. I TEMI E GLI AMBIENTIIl repertorio crepuscolare utilizzò, a livello spaziale, i viali solitari, i giardini incolti, le piazze vuote, i giardini polverosi, le cianfrusaglie dellesoffitte, luoghi in cui si celebrava il rito della noia di domeniche sempre uguali e della prosaicità del quotidiano e dello squallore.Strettamente legata all'ambientazione risulta la scelta della tematiche:
Gli stati d'animo privilegiati sono quelli della tradizione decadente, che si traducono nella malinconia, nel rimpianto di un '800 ormai naufragato, assieme ai miti del progresso e della scienza; Stanchezza e solitudine, che porta alla 'chiusura' in un mondo provincialmente ristretto sono la traduzione dello smarrimento decadente; Su tutta la produzione crepuscolare aleggia un senso diffuso di morte: 'Sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.' (Sergio Corazzini) La poesia, rifiutata la vita come spettacolo, si riempie delle povere piccole cose di cui è fatta l'esistenza.
IL PAESAGGIO E LO SPAZIO Il paesaggio non è più l'intenso luminoso paesaggio di San Martino o quello solare e maestoso di Mezzogiorno alpino di Carducci, né tanto meno quello silvestre dannunziano de La pioggia nel pineto, in cui l'artista si sente immerso panicamente e al quale partecipa vivendo le suggestive e magiche atmosfere di seduzione della natura; il paesaggio crepuscolare si smorza nei toni, nei colori, soffoca la luce, si restringe all'interno di perimetri ben delimitati, recintati, che solo apparentemente chiudono l'orizzonte all'uomo e al poeta; gli orti delle case, dei conventi, i giardini, i parchi delle ville, i solai, i salotti sono il nuovo spazio entro cui il poeta si muove e nei quali scopre e ricorda l'universo intorno; per Moretti l'orto diventa un deposito di cari ricordi, mentre per Corazzini
il piccolo giardino addormentato di provincia è il custode di teneri amori, di sogni, di desideri puri e grandi malinconie: Ricordare è più dolce, ogni filo d'erba potrebbe ricordare ché molto sa. Quante memorie care questo stretto recinto anche ci serba. Hortulus O piccoli giardini addormentati in un sonno di pace e di dolcezze, o piccoli custodi rassegnati prosastica anche quando è ricca di subordinate; tutto ciò assume un aspetto particolare in Gozzano, autore colto e raffinato che mostra una grande abilità nel mescolare aulico e prosastico: la sua lingua è ricca di prosaicismi ma anche di aulicismi, che sono accolti consapevolmente e criticamente; l'abile accostamento del livello lessicale e sintattico aulico e di quello umile provoca un raffinato effetto ironico, che tradisce però una parziale attrazione per le intonazioni auliche e dannunziane. Il lessico gozzaniano accoglie con particolare attenzione i neologismi della moda (veletta) e della tecnica (fotografia, dagherròtipo), e nomi propri, e date,e parole straniere;
la metrica registra, rispetto ai maestri del passato recente, una netta discesa culturale che ha certo contribuito alla fortuna del verso libero in Italia. I versi sono spesso ipometri, cioè mancanti di una sillaba, gli accenti non sono sempre regolari, le rime talvolta imperfette e spesso facili.
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