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Giuseppe Ungaretti (1888 - 1970) - Il porto sepolto (versi liberi), Veglia (versi liberi), I fiumi (versi liberi), San Martino del Carso (versi liberi)




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Giuseppe Ungaretti


Nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto dove i genitori, provenienti da Lucca, gestivano un panificio. Nella città africana frequenta le scuole fino al 1905 leggendo Leopardi e Nietzsche. Entra in contatto con Giuseppe Prezzolino, direttore della "Voce". Degli anni africani rimarrà in lui il ricordo di un paesaggio fantastico e irreale che, trasfigurato dal sogno, si ritroverà dai suoi versi. Nel 1912, passando per L'Italia si reca a Parigi, dove alla Sorbona incontra il filosofo Henri Bergson, uno dei più autorevoli esponenti del soggettivismo e del relativismo. Ha modo di approfondire la conoscenza della poesia decadente e simbolista (Baudelaire, Mallarmè). Frequenta e conosce Apolinaire, Ricasso, Braque, De Chirico, Modiliani, prende contatto con i principali esponenti del futurismo fiorentino, grazie ai quali pubblica nel 1915 le sue prime poesie sulla rivista "Lacerba". Nel 1914 Ungaretti viene in Italia per partecipare con entusiasmo alla guerra e si arruola come volontario in un reggimento di fanteria sul Carso, dove prendono forma le poesie pubblicate nel 1916 con il titolo "Il porto sepolto". I versi del periodo successivo vengono pubblicati in "Allegria di naufragi" (1919). Dopo aver combattuto in Francia nel 1918 Ungaretti torna a Parigi dove sposa Jeanne Dupoix. Nel 1921 si trasferisce a Roma dove pubblica nel 1933 la raccolta "Sentimento del tempo"; collabora come saggista ai più prestigiosi periodici italiani e nel 1936 viene chiamato a ricoprire la cattedra di letteratura italiana all'università di San Paolo in Brasile, incarico che occuperà fino al 1942 quando inizia a insegnare letteratura italiana contemporanea all'università di Roma. Le vicende della seconda guerra mondiale segnano in Ungaretti l'inizio di una nuova e dolorosa consapevolezza, preceduta da alcuni gravi lutti famigliari: la morte del fratello nel 1937 e la perdita del figlio nel 1939. Da queste esperienze è profondamente segnata la prima raccolta poetica del dopoguerra "Il dolore" (1947), "La terra promessa" (1952), "Un grido e paesaggi" (1952), "Il taccuino del vecchio" (1961). Muore a Milano nel 1970. Non va dimenticata la sua attività di traduttore soprattutto di Shakespeare, Racine, William Blake.  


Nel riordinare le sue poesie Ungaretti volle sottolinearne il carattere autobiografico proponendole come una nuova ricerca e sostenendo che non vi possa essere né sincerità né verità in un'opera d'arte se in primo luogo tale opera d'arte non sia una confessione. Il rapporto fra letteratura e vita attribuisce all'arte il significato di un'esperienza assoluta e totale, unica e irripetibile. La raccolta "Porto sepolto" elimina ogni elemento puramente descrittivo e realistico: Ungaretti, ricollegandosi alla lezione del simbolismo porta all'estreme conseguenze il procedimento dell'analogia e cerca di mettere in contatto immagini lontane senza fili attraverso la memoria intesa come l'insieme dei ricordi personali che l'uomo porta con sé e attraverso l'innocenza che rappresenta la ricerca della purezza e la riconquista dell'identità perduta che metta l'uomo in contatto con la dimensione originaria dell'essere. La poesia assume un valore metafisico e religioso poiché il poeta vuole  vedere l'invisibile nel visibile. Sul piano tecnico l'operazione consiste nella distruzione del verso tradizionale favorita dalla rivoluzione futurista delle parole in libertà di cui tuttavia è rifiutato il movimento caotico. Alla poesia è attribuito un significato magico ed esoterico e viene collocata nella zona di confine a ridossi dell'inconoscibile e dell'inesprimibile. La parola assume il valore di un'improvvisa e folgorante illuminazione; si identifica con l'attimo in cui, attraverso l'analogia, la poesia sfiora la totalità e la pienezza dell'essere. La parola viene fatta risuonare nella sua autonomia e nella sua purezza inserita in versi brevi o addirittura isolata fino a farla coincidere con la misura del verso per collocarla nel vuoto e nel silenzio. Si riconoscono tra i temi e i motivi dell'esordio poetico il deserto, il miraggio, le cantilene arabe come ricordo degli anni egiziani; il mare, il porto, il viaggio, legati alla vicenda dell'emigrante. Il discorso continua nel motivo dell'esilio e dell'estraneità. Un momento di approdo è costituito dall'esperienza al fronte, anche se la guerra e considerata in senso metastorico e diventa un pretesto di riflessione su temi universali come la vita e la morte. L'esperienza bellica traduce in immagini concrete la "Poetica dell'attimo" secondo cui ogni cosa può rovesciarsi nel suo opposto e scomparire per sempre all'improvviso. Attraverso la conquista di una nuova tecnica espressiva che sia capace di rendere l'assolutezza dell'aspirazione metafisica si delinea l'oscillazione dialettica tra essere e nulla, realtà e mistero, presenza e assenza, gesto e immobilità. Il porto sepolto equivale al segreto della poesia nascosto nel fondo di un abisso nel quale deve immergersi il poeta che pur tentando di scandagliare l'animo umano non può certamente aspirare ad una risposta definitiva. Il viaggio del poeta riprende come quello di un "superstite lupo di mare" dopo il naufragio, a cui si collega il motivo del viaggio come simbolo di una presenza della morte sempre latente. Le poesie scritte a partire dal 1919 e inserite nella raccolta sentimento del tempo (1933) rappresentano un sostanziale mutamento delle prospettive per quanto riguarda le soluzioni stilistiche e formali. Alla poetica dell'attimo si sostituisce una diversa percezione del tempo che viene inteso come continuità e durata. Sul piano tecnico vengono recuperate le forme metriche tradizionali, in particolare l'endecasillabo, presupponendo la rilettura di Petrarca e Leopardi, adatti a rendere una percezione della rovina e della decadenza. La vita intesa come incessante processo di distruzione e creazione genera nell'uomo il dramma che si origina dal contrasto fra l'infallibilità fantastica e la precarietà della propria condizione. Nasce di qui la poesia del tempo e delle sue metamorfosi. E in particolare il paesaggio romano suscita immagini mitologiche che diventano voci che colmano la sensazione del vuoto. Il tempo viene inteso in un primo momento come profondità storica, in un secondo momento come dimostrazione dell'effimero in relazione con l'eterno, in ultimo come invecchiamento e morte. Nelle liriche contenute nella raccolta il dolore emerge la voce del tormento personale (la morte del fratello e del figlio) e del tormento collettivo (la guerra). Quest'ultima è intesa come uno sconvolgimento apocalittico in cui viene riproposto il valore di una fede religiosa o la richiesta di un umana solidarietà. La raccolta successiva "La terra promessa" pubblicata nel 1950 comprende i frammenti di un più ampio progetto che avrebbe dovuto rappresentare lo sbarco di Enea, le sue imprese gloriose, l'amore di Didone e la morte dell'eroina che lette in chiave allegorica avrebbero potuto riflettere le tematiche di fondo della poesia ungarettiana, cioè la ricerca di una nuova terra per sfuggire alla legge del tempo.


Il porto sepolto (versi liberi)

Il componimento risale al 1916 e dà il titolo alla prima raccolta; Ungaretti spiega che all'età di 16 anni conobbe due ingegneri francesi ad Alessandria d'Egitto che gli parlarono di un porto sommerso che doveva precedere l'epoca tolemaica, provando che Alessandria al tempo era già una città fiorente. Di questa città non si sa più nulla e Ungaretti si domanda che cosa sia rimasto oltre quel porto custodito in mezzo al mare. Il porto sepolto rappresenta perciò l'essenza della poesia, il suo mistero nascosto, la fonte del miracolo e il mito da cui trae origini. Il primo verso allude ad un'immersione rituale e purificatrice a cui segue la risalita alla superficie, come un gesto di resurrezione e di gioiosa rinascita in cui la poesia, strappata alla profondità del mare viene sparsa nell'atmosfera luminosa della terra. Il verbo "disperde" derive dall'Eneide dove si dice che "si disperdevano al vento le sentenze della sibilla". È evidente anche il rapporto con Leopardi quando Ungaretti usa l'aggettivo dimostrativo "questa" come Leopardi lo usò per la sua siepe nell'Infinito e il dimostrativo "quel" nulla come Leopardi lo contrappose nella medesima lirica. Il nulla può essere considerato l'equivalente del mare dove i poeti sono soliti naufragare. Nel passaggio per analogia da un dimensione materiale ad una dimensione immateriale dell'esistenza. Il nulla è sostanziato da un "inesauribile segreto" ossia dal mistero profondo della vita che non ha né inizio né fine e coincide quindi con l'infinito. La condizione essenziale della poesia è un'accanita ricerca della parola che sfiori il segreto senza poterne cogliere l'indicibile sostanza.


Veglia (versi liberi)

Scritta al fronte il 23 dicembre 1915. la prima strofa di 13 versi è costituita da un fluire ininterrotto del discorso poetico che insiste sulla crudezza della situazione: la vicinanza con il cadavere sfigurato e deformato di un compagno caduto nella notte allucinata. La guerra è ridotta ad un macabro confronto privo di retorica e di eroismo tra la vita e la morte. I participi passati costituiscono la struttura portante del componimento e, oltre ad assolvere ad una funzione di rima ("buttato, massacrato, digrignata, penetrata"), si caratterizzano per una immobilità deformata che richiama un senso espressionistico. Attraverso la metonimia "mani congestionate" Ungaretti scava nel profondo di se stesso che continua a vivere, immerso in un silenzio dove si nasconde la fonte dell'esistenza che ora è stata oltraggiata e lacerata. Ma la protesta nei confronti di questa sopraffazione conduce ad un rovesciamento inaspettato: la riscoperta dell'amore. La strofa conclusiva ribadisce le ragioni di un attaccamento alla vita che nascono dal dolore e dall'orrore, prepotente riaffermazione dell'istinto naturale, ma anche una riconquista dei valori dell'umana solidarietà.


I fiumi (versi liberi)

Si tratta di un canto scritto in trincea con cui Ungaretti esprime la presa di coscienza di sé. È la poesia della consapevolezza e di una raggiunta identità che deriva dal recupero del proprio passato attraverso la memoria. Prendere coscienza di sé significa da un lato immergersi nell'Isonzo e ricordare poi i fiumi che hanno segnato la propria esperienza e dall'altro dare un senso alle motivazioni della ricerca poetica. L'acqua è simbolo della vita che dalle sue origine (Il Serchio), giunge fino al presente (l'Isonzo), in mezzo ci sono il Nilo che rievoca la stagione libera e avventurosa dell'infanzia e della prima giovinezza africana e la Senna che richiama l'inquieta formazione artistica e intellettuale con la scoperta della propria vocazione letteraria. Il carattere autobiografico del componimento è sottolineato dall'uso della prima persona. L'immersione nell'acqua ha un valore rituale che rinvia alla cerimonia del battesimo; qui il fiume diventa un'urna che raccoglie la reliquia del corpo. Lo scorrere dell'acqua trasforma e purifica, riducendo l'individuo ad una realtà minerale, ad un sasso del fiume. La figura umana viene scarnificata ("le mie quattr'ossa") e da qui può riemergere, rinascere e liberarsi. Il motivo della partenza ("e me ne sono andato") si traduce nell'immagine dell'acrobata che cammina sull'acqua, con un richiamo al miracolo compiuto da Cristo. Un altro elemento significativo e la nudità del poeta che, in immediato rapporto con la natura, "si china a ricevere il sole", "come un beduino". Attraverso questi passaggi il poeta conquista la propria identità che consiste nel riconoscersi una "docile fibra dell'universo", "partecipe della vita e vibrando all'unisono con il creato". Questa è l'armonia e la rara felicità che Ungaretti cerca e solo in pochi momenti è vicino a realizzarla. Il Serchio, il Nilo e la Senna sono fiumi della realtà, ma soprattutto fiumi della memoria che vengono recuperati nell'Isonzo, sorgente di vita e di poesia. La raggiunta pacificazione con se stesso determina il rapporto di quiete con il paesaggio notturno e nell'ultima strofa le tenebre si risolvono in una corolla.


San Martino del Carso (versi liberi)

Composto il 27 agosto del 1916. questa lirica contiene immagini di desolazione e di morte legate alla guerra. Gli effetti della distruzione ricadono sulle cose in uno squallido paesaggio di macerie e di rovine su cui si è abbattuta la furia degli eventi ("brandello di muro"). Dal paesaggio il pensiero di Ungaretti si sposta ai compagni caduti dei quali non è rimasto più nulla. Si tratta di una scomparsa definitiva che non ammette risarcimento o rinascita, ma ad impedire che vengano del tutto cancellati resta la commossa e pietosa memoria di chi è sopravvissuto: un ricordo fatto di croci che trasformano il cuore in un cimitero. Di qui l'analogia fra il paese e il cuore che appare come "il paese più straziato". Ungaretti in un'opera di scarnificazione del verso elimina le determinazioni di luogo e tutta la poesia utilizza un linguaggio piano, fatto di parole comuni, poste secondo calcolate simmetrie, attraverso riprese e parallelismi emergono a pieno le analogie. È evidente infine l'antitesi tra "qualche" e "nessuna". La simmetria riguarda anche la misura delle strofe composte a due a due da un uguale numero di versi: i distici sono formati rispettivamente da un quaternario e un settenario che letti insieme assumono la cadenze musicali dell'endecasillabo.


Soldati (versi liberi)

Composto nel Luglio 1918. In questa lirica il titolo è parte integrante del testo risultando un elemento essenziale per la sua comprensione costituendo il punto di riferimento del procedimento analogico che assimila la vita del soldato alla fragilità di una foglia d'autunno. L'intera poesia è costituita da un complemento di paragone, retto da un verbo comune usato impersonalmente ("Si sta") che sottolinea una condizione anonima e comune di solitudine desolata e di abbandono. Il paragone restituisce la sensazione di precarietà e di dolore inespresso, affidati a qualche cosa di impalpabile che sta per cadere; si tratta di una vicenda esistenziale continuamente sospesa fra la vita e il nulla, sottolineata dalla profonda spezzatura dei versi intervallati da pause profonde. Scritta tutta di seguito, la lirica sembrerebbe un appunto prosastico, una normale comunicazione inviata dal fronte. Ma il distico che ne risulta è composto da due settenari e spezzando ulteriormente la sequenza Ungaretti imprime un andamento perplesso e discontinuo segno della precarietà e dal dolore che investe ogni manifestazione dell'esistenza.

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