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Giosuè Caurducci




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Giosuè Caurducci


La vita
La vita di Carducci attraversa cinque fasi o momenti diversi. La prima fase, quella dell'infanzia e dell'adolescenza, va dalla nascita nel 1835 all'ingresso alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel 1853. Essa è fortemente caratterizzata dal paesaggio aspro della Maremma toscana (il padre era medico a Castagneto), dalla lettura dei classici della biblioteca paterna, di Berchet e del Primato di Gioberti.
La seconda fase va dal 1853 al 1860. Carducci si dichiara «scudiero dei classici» e, durante il periodo in cui insegna retorica alla scuola secondaria di S. Miniato al Tedesco, costituisce con un gruppo di amici la società degli «Amici pedanti». Pubblica le sue prime liriche (Rime, 1857) con lo pseudonimo di Enotrio Romano, poi in gran parte raccolte in Juvenilia. È il momento di un classicismo tutto letterario, caratterizzato fortemente in senso antiromantico e nazionalistico e dalla lettura degli autori latini (Orazio, Virgilio, Catullo, Lucrezio) e dei poeti classicisti italiani (Alfieri, Monti, Parini, Foscolo).

La terza fase va dal 1860 al 1871. Ottenuta la cattedra di eloquenza (cioè di letteratura italiana) all'Università di Bologna, Carducci si trasferisce nel 1860 in questa città. È il momento repubblicano e giacobino di Carducci, che si iscrive alla massoneria, si avvicina al socialismo e introduce nella propria poesia un'aspra polemica contro la Chiesa, contro la monarchia, contro la corruzione della vita politica, a favore di uno sviluppo del processo risorgimentale in senso mazziniano. Nel 1868 pubblica le poesie di Levia gravia (poesie, cioè, «leggere e serie»: l'espressione latina sottintende infatti il termine "carmina" = poesie). In questo periodo compone anche molte poesie di polemica civile che poi confluiranno in Giambi ed epodi. Nel 1870 gli muore il figlioletto Dante. Nel 1871 pubblica una nuova raccolta, Poesie.

Una quarta fase ha inizio nel 1872 e si conclude nel 1889, quando escono le Terze Odi barbare. È la fase della maturità. Da un punto di vista poetico, essa è caratterizzata: 1) da poesie «nuove» (molte di esse entreranno a far parte di una raccolta intitolata significativamente Rime nuove), perché ispirate a temi più intimi e autobiografici (fra cui l'amore per Carolina Cristofori Piva, cantata con il nome di Lina o di Lidia), al motivo della storia e del paesaggio, e 2) dall'esperienza della metrica barbara, nelle Odi dette appunto barbare. Da un punto di vista ideologico e politico, questa fase è caratterizzata da un progressivo abbandono delle idee radicali e giacobine e dall'avvicinamento alla monarchia: decisiva fu, in campo politico, la delusione per la politica trasformista della Sinistra (andata al potere nel 1876), mentre, sul piano autobiografico, furono molto importanti l'incontro con i sovrani avvenuto a Bologna nel 1878 e il fascino personale della regina Margherita, per cui egli scrisse l'ode Alla Regina d'Italia. Negli anni Ottanta Carducci, ammiratore e amico di Crispi, ne condivise la politica "forte" di tipo imperialistico.

La quinta fase va dal 1890, quando Carducci viene nominato senatore (precedentemente era stato due volte deputato) e quindi Cavaliere di Gran Croce, sino alla morte, avvenuta a Bologna nel 1907. È il momento dei massimi riconoscimenti e della sua fama come poeta-vate della "terza Italia". In questo periodo scrive le sue poesie più retoriche, ma anche alcune liriche intime, turbate dall'imminenza della morte: del 1899 è la sua ultima raccolta, Rime e ritmi. Nel 1906 ottiene il premio Nobel per la letteratura (è la prima volta che ciò accade per un poeta italiano).

L'ideologia
Nel periodo fra il 1860 e il 1871 l'ideologia di Carducci è improntata a un classicismo giacobino, quale si era diffuso negli anni della Rivoluzione francese. Ispirato al mito della Roma repubblicana, e dunque antitirannico, questo tipo di classicismo è presente anche in Alfieri, in Foscolo e nel primo Leopardi. È un classicismo democratico e materialistico che esalta il libero pensiero laico: di qui, per esempio, l'acceso anticlericalismo del famoso Inno a Satana. Il classicismo giacobino di Carducci si nutre di letture politiche ispirate al socialismo utopico di Proudhon e agli storici democratici che si rifacevano all'esempio della Rivoluzione francese, come Quinet e soprattutto Michelet. Ma anche la polemica di Hugo contro Napoleone III, quella di Heine contro i filistei tedeschi, e la lezione di poeti francesi satirici e politicamente impegnati, come André Chénier, Auguste Barbier e Pierre Béranger, confluiscono nel patrimonio culturale del Carducci giambico. Accanto a queste letture moderne, è presente poi l'esperienza del lettore di poeti latini come Lucrezio, da cui egli desume la lezione materialistica, Orazio, di cui riprende l'elemento satirico, e Virgilio.

Una volta compiutosi nel 1871 il processo risorgimentale, Carducci resta deluso dalle sue conseguenze e poi dall'esperienza governativa della Sinistra di Depretis. Si avvicina alla monarchia e, pur senza rinunciare al proprio laicismo, cerca di capire il valore storico dell'insegnamento della Chiesa. Anche la giovanile polemica antimanzoniana viene a cadere, e Carducci riconosce infine la grandezza dei Promessi sposi. È ormai diventato il poeta ufficiale dell'Italia umbertina, esaltato proprio da quella borghesia conservatrice che da giovane egli aveva con tanta energia combattuto.

La poetica
Sul piano della poetica, Carducci muove dal rifiuto della tradizione romantica, quale viene espressa non solo da Prati e Aleardi, ma anche, con posizioni tra loro diverse, dal manzonismo e dalla Scapigliatura: al manzonismo rimprovera l'abbassamento stilistico e il carattere moderato e confessionale dell'ideologia, agli Scapigliati l'esterofilia, a cui contrappone il recupero della tradizione classicistica italiana. Ma anche i narratori veristi non sono ben visti: egli infatti non accetta il carattere basso, prosastico, eccessivamente umile delle loro soluzioni linguistiche e formali, restando sempre favorevole, invece, a una prosa sostenuta, retoricamente inarcata e lavorata, e influenzata dai modelli classici.
Nel corso degli anni Settanta, tuttavia, il classicismo di Carducci si avvicina alle esperienze ellenizzanti dei Parnassiani, assumendone alcuni aspetti estetizzanti. Va detto però che questo contatto con le tendenze francesi non deve essere sopravvalutato: nella classicità Carducci cerca modelli ed esempi di "sanità" e di vigore, non di decadenza, come sarà, per esempio, per i décadents francesi degli anni Ottanta.

Alla strofa languida e flaccida dei tardoromantici, egli vuole sostituire una strofa «vigile» e «balzante», capace di riprodurre il ritmo pulsante della metrica classica. Il suo esperimento di metrica barbara presenta un duplice aspetto: per un verso è un tentativo di nobilitazione e di innalzamento, mirante a trasportare in un clima alto situazioni quotidiane e realistiche; per un altro è anche espressione di un'esigenza di rendere in modo più immediato e aperto, meno rigido, i turbamenti e i brividi di angoscia che di tanto in tanto penetrano nella sua compagine lirica. E anche: per un verso è opera di un poeta-professore, che vuole restaurare una lezione del passato ammodernandola e così ripetendo e aggiornando un tentativo fatto, nei secoli precedenti, da altri poeti; per un altro, è già indizio di una esigenza di rinnovamento da cui nascerà il verso libero, particolarmente nella variante praticata e teorizzata da Lucini.

La concezione della poesia e del ruolo del poeta è sempre orientata in Carducci in senso civile. Esauritasi la fase giacobina, in cui Carducci si pone al servizio di una lotta politica di parte, successivamente, dopo la svolta degli anni Settanta, il poeta è da lui considerato il mediatore ideologico per eccellenza della società, l'unico capace di raccordare le memorie gloriose del passato alla speranza dell'avvenire e quindi di indicare alla nazione i percorsi morali e politici del riscatto. Nello stesso tempo però il poeta è visto anche come creatore di classica bellezza che adorna la vita. Il poeta insomma è celebratore del passato e vate del futuro, legislatore sociale e maestro umanistico di civiltà, ma anche istoriatore e decoratore, pronto ad apprestare «rari / fregi» e «vasi» al «convito» dei potenti (come si legge nella poesia programmatica che chiude Rime nuove, Congedo). In questo modo Carducci, mentre recupera la tradizionale concezione romantico-risorgimentale del poeta-vate, l'aggiorna in un senso retorico-decorativo destinato a essere presto ripreso, e in modi ben più scaltriti, da Gabriele d'Annunzio.


L'opera in versi
Carducci ha organizzato la sua produzione non in senso esclusivamente cronologico, ma piuttosto in senso tematico e formale, e cioè a partire dal rispetto del genere, e dunque del tema e del metro.
A causa dei criteri scelti, che tengono conto solo in modo relativo della successione cronologica, poesie di epoca contemporanea possono dunque essere dall'autore divise e collocate in sezioni diverse. Tuttavia le sei sezioni che raccolgono l'intera produzione poetica carducciana disegnano anche un percorso cronologico. In particolare si possono distinguere le prime tre, che riflettono maggiormente l'esperienza del classicismo letterario giovanile e di quello giacobino, dalle ultime tre, che accolgono rime della maturità e della vecchiaia. In effetti Juvenilia presenta testi scritti fra il 1850 e il 1860; Levia gravia (che contiene fra l'altro l'Inno a Satana del 1863, esaltazione del progresso, identificato con il treno e con Satana, e contrapposto allo spirito clericale) fra il 1861 e il 1870; Giambi ed epodi fra il 1867 e il 1879. Rime nuove, pur ospitando testi scritti fra il 1861 e il 1887 e dunque in parte contemporanei alle due precedenti sezioni, se ne distingue, come già dice il titolo, per la novità di una ispirazione che si afferma con sicurezza solo dopo il 1871; infine le Odi barbare riuniscono poesie composte fra il 1873 e il 1889, mentre l'ultima sezione, Rime e ritmi, si pone come continuazione diretta delle due precedenti, accogliendo sia le liriche in metrica tradizionale scritte dopo Rime nuove, sia quelle in metrica "barbara" scritte dopo l'edizione delle Odi barbare del 1889, e dunque, nel complesso, ospitando poesie composte fra il 1887 e il 1898.



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