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Commento del primo canto




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Commento del primo canto


L'Iliade è un poema epico, suddiviso in 24 canti, essenzialmente guerresco, appartenente alla tradizione Greca, che veniva attribuito dagli antichi Greci al poeta Omero. Narra la vicende degli ultimi cinquantun giorni di una guerra che opponeva da dieci anni i Greci ai Troiani, abitanti della città di Troia in Asia minore, altrimenti detta Ilio (è appunto da questo nome che deriva il titolo dell'opera).                             L'opera non tratta, come parrebbe dal titolo, la guerra di Ilio, ma un episodio di questa guerra, l'ira di Achille, con un'azione che si svolge in un periodo brevissimo, se paragonato alla durata della guerra: gli ultimi 51 giorni del 10° anno, prima della caduta della città. Proprio per questo l'opera si potrebbe a buon diritto re-intitolare 'L'Ira di Achille', perché tutta l'attenzione è incentrata su questo fatto, infatti l'autore tende ad evidenziare soprattutto il carattere di  Achille, il personaggio principale, potremmo dire il protagonista del poema, è nota infatti la tendenza degli antichi Greci ad esaltare la propria patria e il proprio popolo, ed essendo probabilmente anche Omero di origine greca, non si astiene dal celebrare il Pelide, immagine del Greco per eccellenza. . Parlando allora della famosa ira d'Achille è opportuno precisare che in realtà le ire sono due, e non una, e il passaggio dall'una all'altra, divide il poema in due parti: nella prima Achille non vuole più combattere, nella seconda si immerge nella battaglia straziando il nemico. Non si parla mai della caduta di Troia, né dell'inizio della guerra, ma si parla soltanto di una parte di essa.                                Già dai primi versi del poema si possono notare quelle formule fisse e quella ricorrenza frequente di frasi stereotipate, caratteristiche della tradizione orale. Parlando di formule mi riferisco ad una serie di frasi, che, quando il poema veniva ancora tramandato oralmente dai cantori o aedi, e doveva quindi essere memorizzato, facilitavano questo compito, essendo facilmente adattabili ai diversi contesti con minime variazioni; ad esempio, le Troiane saranno spesso 'dalle bianche braccia', indipendentemente dal colorito mediterraneo e abbronzato della loro pelle; Achille sarà 'piè veloce' anche se, come si sa, dopo il suo litigio con Agamennone, si rifiutò di muovere quei piedi per fare la guerra. Sempre fra queste formule fisse, spesso ritroviamo i patronimici, e in particolare, nel primo canto ritroviamo soprattutto l'Achille Pelide e l'Atride Agamennone.                                 Il primo canto inizia con l'invocazione alla musa da parte del poeta, la dea in questione è probabilmente Calliope, musa della poesia epica. La scena si apre sull'accampamento degli Achei, quando il sacerdote di Apollo, Crise, si reca da Agamennone portando ricchi doni per riscattare la figlia Criseide, catturata come schiava. La struttura di questo canto si basa essenzialmente sul discorso diretto, sono poche le descrizioni e le narrazioni, ma, quelle presenti, sono molto dettagliate e precise, e mi sembra d'obbligo citare i versi dal 430° al 439° nei quali si descrive precisamente l'attracco di una nave al porto e tutti i movimenti necessari all'operazione.                          Il canto si articola in otto parti principali. Nella prima il poeta descrive l'arrivo di Crise al campo Acheo e il rifiuto dei doni da parte di Agamennone, evento scatenante delle vicende narrate, poiché senza l'obbligata restituzione di Criseide, ovviamente Agamennone non avrebbe preteso un dono per ripagarlo della perdita subita, e dunque non avrebbe sottratto la schiava ad Achille, scatenando la sua ira. Il personaggio che più colpisce è , a mio parere, proprio quello del sacerdote, poiché è causa fondamentale degli eventi, pur essendone ignaro, e questo ce lo fa notare il saggio Nestore, durante l'adunanza degli Achei, quando dice: " ..e gli altri troiani molto potrebbero godere in cuore, se tanto sapessero che voi due contendete." ( vv 256-257), in effetti Crise non sa di quali eventi è stato la causa, e se lo sapesse se ne rallegrerebbe. . La seconda parte ci descrive la preghiera del sacerdote e la vendetta di Apollo, e qui entra in scena la prima divinità, protettrice e vendicatrice, le cui caratteristiche sono ben definite dagli epiteti attribuitigli da Omero, il Lungi Saettante, il Sire Irato, L'arco d'Argento, e dal suo carattere si può delineare quello degli altri dei, che reggono le sorti della battaglia, ma che tuttavia obbediscono al proprio destino, e nulla possono contro di esso, e perché non lo ignorino, c'è sempre il potente Zeus a ricordarlo. Parlando del destino non si può certo ignorare la figura che sta al centro di tutto il componimento, Achille. E qui si viene alla terza parte del I canto, la più importante, dove hanno luogo gli eventi che danno origine alla sottile trama della narrazione. In questa parte ci viene descritta l'assemblea dei Danai, e soprattutto l'ira di Achille. Qui emergono i veri caratteri dei personaggi, i dialoghi sono veri e realistici, leggendo sembra quasi di tornare indietro nel tempo e ascoltare la conversazione, vedendo davanti ai propri occhi crescere l'ira dei due guerrieri e aspettandosi che da un momento all'altro si scateni una lite tremenda; fortunatamente intervengono in due a calmare gli animi; per prima la dea Pallade Atena, seconda divinità che entra in scena, per evitare che Achille compia un gesto irreparabile, e poi Nestore, con le sue dolci parole, che scorrono come miele dalla sua bocca, parole sagge di padre, e qui l'assemblea si scioglie dopo un ultimo intervento di Achille, che acquieta solo momentaneamente la sua ira. In questa parte indubbiamente l'autore fa sfoggio di tutta la sua bravura, plasmando i volti e le scene, in modo tale da farle rivivere al lettore, e con questa pausa, data dall'assemblea, Omero spinge sempre più lontano il momento in cui ci annuncerà l'inizio di una nuova battaglia, congelando gli istanti, uno dopo l'altro, fin quasi a fermare il tempo in questo punto, con l'ira di Achille che domina su tutto, spandendosi e allargandosi, crescendo a dismisura e occupando tutto lo spazio. E poi come d'incanto la narrazione riprende, da dove era rimasta, e si arriva alla quarta parte. La scena sembra più calma, Agamennone uscito dall'assemblea si reca a preparare la nave che dovrà partire per riportare la giovane Criseide a suo padre; sembra quasi che abbia dimenticato le promesse fatte ad Achille, essendo così indaffarato in altri pensieri. E invece ecco che chiama due araldi e li invia a prendere la schiava Briseide. Achille, vicino alle navi, aspetta l'arrivo dei messaggeri, ma vedendo che questi per paura e rispetto non si avvicinano e non gli parlano, è egli stesso ad invitarli, perché di certo non si opporrà e non farà loro del male, portando rispetto all'incarico che coprono, messaggeri divini e degli uomini, li chiama. Ci sembra quasi, nonostante tutto, di vederlo sorridere di fronte al timore che hanno di lui i due giovani. In questa parte viene nominato anche quello stesso Patroclo, che, morendo per mano del principe Troiano Ettore, scatenerà una nuova ira in Achille, questa volta meno futile e più sanguinaria della prima. Passiamo ora alla quinta parte. Qui troviamo Achille, che si avvia verso la riva del mare, invocando la madre. E qui compare Teti, una bellissima figura materna, a mio avviso la stessa incarnazione della maternità, incarnazione della dolcezza, in un panorama di lutti e tragedie, addolorata per la sorte crudele del figlio e disposta a tutto per lui. Anche in questo punto si ripresenta la grandiosa bravura dell'autore nel presentarcela, lei ,che sorge come nebbia dalla spuma del mare, e noi la vediamo avvolgente e protettrice, che nasce quasi dall'acqua e accorre al richiamo del figlio, che in questa parte appare ai nostri occhi come un fanciullo, quasi capriccioso, a tratti, ma sempre irato e desideroso di vendetta. Dopo essersi sfogato con la madre, che pur sapendo già l'accaduto, essendo divina, lo incita a raccontare, conoscendo il suo desiderio di sfogarsi, le chiede di vendicarlo, domandando aiuto a Zeus re dei numi. A questo punto l'autore interrompe l'argomento della vendetta per portarci su un altro piano, torna indietro al motivo scatenante dell'ira, e noi ritroviamo Agamennone, in procinto di salpare, per recare i doni e riportare la figlia al sacerdote. E siamo alla sesta parte, nella quale Crise riabbraccia gioiosamente sua figlia. In questa sesta parte troviamo scene di vita quotidiana, molto frequenti per altro in tutto il poema, grazie alle quali si sono potuti ricostruire molti aspetti della vita di quel tempo. L'Iliade infatti non è soltanto un testo poetico, ma molto di più.  Le scienze umane, in particolare la storia, l'archeologia, la sociologia, sono immensamente debitrici ad Omero, per molti aspetti. Il poema di Omero è un importantissimo tramite per capire il pensiero mitico, non solo perché è scritto da una mente eccezionalmente colta che è formata in questa mentalità, ma anche perché dai racconti possiamo intuire l'atteggiamento dei Greci di quel tempo nei confronti degli Dèi, della morte, della giustizia, di ciò che è considerato bene e male, pio o empio. I poemi omerici rappresentano quello che per un credente cristiano può essere la Bibbia, ma anche un testo che contiene la sapienza del tempo, una fonte di ispirazione per le norme sociali, un criterio di giudizio degli avvenimenti collettivi e individuali.


Ritornando al testo però possiamo ancora parlare di questa sesta parte per i sentimenti che ci comunica. Leggendola ho provato molta pace e tranquillità: quando Agamennone affida ad Ulisse il comando della nave, e viene descritto il percorso di questa per "sentieri d'acqua", sembra quasi di essere affacciati al parapetto dell'imbarcazione, che scorre leggera sull'acqua, e di sentire il soffio della brezza marina sulla pelle, e di vedere il cielo azzurro sopra la nostra testa. La stessa atmosfera si ha quando Ulisse giunge da Crise e gli consegna la figlia, poi si svolge il rituale sacrificale in onore di Apollo, e dopo che Crise chiede al dio di togliere ai Danai la pena, la nave Greca salpa e fa ritorno all'accampamento. Dopo questo brano Omero ci porta in avanti di parecchi giorni e ritroviamo il Pelide presso le barche, ancora irato, che non si reca da tempo all'assemblea e più non scende in battaglia. Siamo alla settima parte. Qui, ritornando indietro nel tempo nuovamente, Omero ci ricorda che Achille aveva affidato alla madre il compito di vendicarlo, e rivediamo Teti, che emerge dagli abissi del mare salendo su, su nell'Olimpo. Qui supplicherà Zeus finché il tonante non acconsentirà ad esaudire le sue richieste. È una piccola parte, ma significativa, e viene messa in evidenza nell'Iliade perché nettamente separata dalla precedente e dalla successiva. È separata dalla parte precedente per via del tempo trascorso tra una scena e l'altra, e dalla successiva per via di un cambiamento di spazio. Dopo aver dato il suo assenso, infatti, Zeus, che si trovava in disparte dagli altri dei, sulla cima più alta dell'Olimpo, fa ritorno alla sua dimora, e qui arriviamo all'ottava e ultima scena. Era, moglie di Zeus, che parteggia per i Greci, e sa già tutto ciò che è accaduto, s'infuria con lui, perché non può sopportare che dia la vittoria ai Troiani finché Achille non tornerà in guerra. Allora Zeus minaccia di scagliarla giù dall'Olimpo, e qui interviene Efesto, dio del fuoco, che salva la situazione raccontando un buffo aneddoto e saltellando di qua e di là per la stanza versando ambrosia a tutti gli dei e provocando l'ilarità generale. Il canto si conclude con Zeus ed Era che, riappacificatisi, si stendono sul letto divino e si addormentano insieme.

E qui si conclude il primo canto, diverso da tutti gli altri, per i contenuti e per le sensazioni che provoca nel lettore. Un canto che non parla di battaglie e di guerrieri, un canto che mostra gli uomini, con la loro forza e la loro fragilità, e per finire, a mio parere, una più che degna introduzione per questo poema, l'Iliade, poema di dei, di guerre e d'eroi.


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