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Area di progetto - "La donna e il suo rapporto con la religione"




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Commenti dei principali personaggi de "i promessi sposi"


COMMENTI DEI PRINCIPALI PERSONAGGI DE "I PROMESSI SPOSI" Don Abbbondio: A

Comunicare: scambiare informazioni


Comunicare: scambiare informazioni mittente: la persona che è responsabile

Promessi sposi


1. L'indugio narrativo   Nei Promessi sposi un curato di campagna del XVII
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Area di progetto



"La donna e il suo rapporto con la religione"













Ho scelto di sviluppare la mia area di progetto sul tema della donna e il suo rapporto con la religione in quanto credo che ogni tipo di credenza, devozione o rifiuto per una forma di quest'ultime, costituisca un aspetto importante della vita di una persona in quanto contribuisce a formare quelle che sono le caratteristiche proprie di una persona, le sue attitudini nell'affrontare le paure della propria esistenza, o più semplicemente, gli eventi della quotidianità.











I    Promessi Sposi

di Alessandro Manzoni


Il romanzo di Manzoni, pur essendo ambientato nel Seicento, affronta temi attuali dell' Ottocento. E' un romanzo storico che utilizza però alcuni elementi di fantasia: abiti, usi e costumi del Seicento presentano alcuni elementi dell'Ottocento che vengono utilizzati dall'autore per rendere più interessante il romanzo ai suoi lettori. L'insieme dei temi e dei motivi più frequenti e caratterizzanti dei Promessi Sposi sono: la storia, la carestia, la peste, la religione, la guerra, l'ignoranza, la corruzione, la violenza, il dominio dei potenti, l'amore e la Provvidenza. Proprio quest'ultima gioca un ruolo di prima importanza nel romanzo.


La provvidenza

Il tema della Provvidenza è dominante nei Promessi Sposi.

Si tratta di una forza superiore che agisce e interviene a determinare fatti e circostanze per volgerli al bene, a favore dei personaggi più sfortunati, quelli che senza l'intervento divino sarebbero forse destinati ad essere semplici pedine nella scacchiera dei potenti e ad essere manovrati da quest'ultimi senza alcun diritto di libertà.

C'è sempre Qualcuno lassù che vede e provvede, che sa quello che fa e perché lo fa, e che c'è per tutti, specialmente per i poveri.

La Provvidenza è il filo che non si spezza mai, e suscita, anche nei momenti bui, una ridente speranza, una riposata fiducia; è la certezza su cui si posa la forza del libro; la presenza di Dio si percepisce in ogni momento ed in ogni luogo perché i fatti non accadono mai per caso e questo il lettore lo comprende perché i personaggi del romanzo come Lucia o Renzo ad esempio sono consapevoli di non essere in nessun momento abbandonati ad un triste destino.
La Provvidenza esprime la posizione di Dio nei confronti della storia: Egli non tollera a lungo il trionfo della malvagità e l'oppressione della virtù: agisce per vie impensate come attraverso il vecchio servitore di Don Rodrigo, che si avvia sulle gambe malferme ad avvertire Padre Cristoforo che Lucia sarà rapita, attraverso Menico, il bimbo che quasi fortuitamente recapita il messaggio, attraverso Lucia stessa che, con una frase, induce l'Innominato a cercare definitivamente conforto nella fede cattolica, ed a recarsi dal Cardinale Borromeo per essere convertito.

Nel capitolo V vediamo come Fra Cristoforo con veemenza dice a Renzo «non sai tu che Dio è l'amico de' tribulati, che confidano in lui? [.] vuoi tu confidare in Dio? e per risposta Renzo «Oh si!

E nel VI capitolo sempre Fra Cristoforo dice: " Dio ha sempre gli occhi su di loro riferendosi ai poveri.

La Provvidenza è un elemento fondamentale del romanzo: pur nello sviluppo drammatico, e, a volte, tragico degli eventi, pur con una certa angolazione pessimistica nell'osservazione dei fatti, il filo conduttore dell'opera resta quello della certezza della conclusione positiva, nel bene; i personaggi così detti positivi e poi in seguito lo stesso Don Rodrigo percepiscono davvero l'intervento della mano divina nella loro vita.
Lucia si affida completamente a Dio nel momento in cui deve abbandonare il suo paese e trova conforto nel pensiero che Egli non turba la serenità dei suoi protetti se non per dar loro qualche gioia più grande: scrive infatti nel VIII capitolo «e non turba mai la gloria de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande

In un momento veramente difficile i due promessi si affidano cecamente a Dio certi che lui non li abbandonerà.

 


'L'intervento di Dio negli accadimenti piccoli e grandi è in ogni momento così forte che ti sembra di poterlo toccar con mano: è una presenza paterna, amorosa e severa, che palpita in ogni cosa; e il poeta l'avverte con la fede semplice e intatta dei suoi contadini, della povera gente: «quel che Dio vuole, Lui sa quel che fa, c'è anche per no»; «lasciamo fare a Quel lassù»; «tiriamo avanti con fede, e Dio ci aiuterà».

E in questo mondo basso, più triste che lieto, l'opera di Dio la senti soprattutto nelle tribolazioni, negli affanni, e in quegli spiragli di luce che s'aprono improvvisi in mezzo alle tenebre dell'angoscia e chiudon le porte alla disperazione.

E' il tema che palpita nelle parole di fra' Cristoforo ai due sposi finalmente ricongiunti: «Ringraziate il Cielo che v'ha condotti a questo stato, non per mezzo dell'allegrezze turbolente e passeggere, ma co' travagli e tra le miserie, per disporvi a un'allegrezza raccolta e tranquilla».

Ed era già nella chiusa dell'«Addio ai monti»: «chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande»".

(Natalino Sapegno da 'Ritratto di Manzoni e altri saggi')

Nell' VIII capitolo Fra Cristoforo prima che Renzo parta per Milano, e Agnese e Lucia per Monza, invita a pregare "tutti insieme" per Don Rodrigo: egli non ha nemmeno il conforto della preghiera come invece hanno i promessi sposi e Agnese, e Fra Cristoforo chiede al Signore di aver pietà di Don Rodrigo, di toccargli il cuore, di renderlo suo amico perché il perdono è un valore fondamentale e la misericordia di Dio è immensa.

L'infinità bontà di Fra Cristoforo viene ancora una volta ribadita ma soprattutto si mostra come l'intervento di Dio venga fortemente invocato dai nostri personaggi principali perché consapevoli che la mano di Dio agisce continuamente nelle vicende.

Nel capitolo XIII Renzo, in mezzo al tumulto di Milano, mostra il suo sdegno nel momento in cui la folla voleva impiccare il vicario a causa della carestia dicendo «Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? Assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atrocità? Ci manderà de' fulmini, e non del pane!

Dio è buono con chi se lo merita.

Nel romanzo ci viene raccontato un esempio di intervento divino veramente diretto perché è un vero e proprio miracolo.

Lo troviamo nel III capitolo quando Fra Galdino racconta di ciò che è avvenuto nel convento di Romagna, quando un albero di noce stava per essere sradicato perché non produceva più i frutti ma un cappuccino che abitava non lontano da lì Padre Macario e che in quel momento stava passando davanti al giardino di quell'uomo, gli disse di non tagliare quella pianta,di lasciarla nel giardino, perché quell'anno avrebbe fatto più noci degli altri anni; e così fu. Per riconoscenza metà del raccolto andò al convento.

Nel romanzo la presenza di Dio si può "toccare con mano".












Il personaggio di Lucia


Il personaggio di Lucia fa il suo ingresso in scena nel II capitolo quando Renzo, appresa la brutta notizia dell'impossibilità di celebrare le nozze a causa dell'opposizione di Don Rodrigo, si reca a casa della futura sposa per comunicarle la notizia del rinvio.

Lucia viene descritta come una come una giovane donna con i capelli neri, «d'una modesta bellezza» e di sana robustezza, vive con la madre Agnese e lavora alla filanda.

Ragazza umile, del popolo,alla quale la modesta origine non impedisce di albergare nell'animo una nobiltà di sentimenti e di ideali a fare invidia a persone di più alta nascita e cultura, ella è conscia dei suoi doveri di donna e di cristiana.

E' una ragazza molto gentile e giudiziosa con una grandissima fede nel Signore Dio e nella Santissima Vergine Maria.

Da subito appare al lettore il sentimento di religiosità di Lucia: ella infatti sentendo il volere di Renzo di porre fine alle angherie di Don Rodrigo dicendo «questa è l'ultima che fa quell'assassino» disse Lucia con foga «per l'amor del cielo! Il signore c'è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male?».

Lucia quindi è espressione della saggezza cristiana, per lei l'unico timore è il timore di Dio.

Lui è l'artefice di tutto ciò che ci sta intorno ed è sempre presente, in ogni momento e non abbandona mai chi crede in lui.

E' dotata di una morale solida, ma anche capace di sottili astuzie come quando dà a fra Galdino una gran quantità di noci perché concluda prima la questua e torni presto al convento a chiamare Fra Cristoforo per avvisarlo dell'abuso di potere di Don Rodrigo.

Di fronte alle tante difficoltà che Lucia deve affrontare nel cammino verso il matrimonio con l'amato Renzo, ella si fa sopraffare da terrore, angoscia, smarrimento ponendo in evidenza l'orrore che lei prova nei confronti del male; Lucia si oppone con tutte le sue forza a ciò che la sua coscienza non ritiene giusto, agendo nella sola direzione del bene e usando le sole armi della fede e della preghiera per combattere le angherie.

Nel capitolo XX Lucia viene rapita dei bravi e trasportata al castello dell'Innominato: durante il viaggio Lucia tenta più volte di scappare gettandosi addosso allo sportello della carrozza ma viene sempre trattenuta dal bravi; essendo impossibile la fuga, non le rimane che affidarsi alla sola arma che la può aiutare e che è la sua forza: la preghiera.

Ella dice: «per l'amor di Dio, e della Vergine santissima, lasciatemi andare! Cosa v'ho fatto di male io? Sono una povera creatura che non v'ha fatto niente. Quello che m'avete fatto voi, ve lo perdono di cuore; e pregherò Dio per voi [.] Ricordatevi che dobbiamo morir tutti, e che un giorno desidererete che Dio vi usi misericordia. Lasciatemi andare, lasciatemi qui: il Signore mi farà trovar la mia strada».

Lucia senza pensarci due volte è disposta a perdonare tutto ciò che le hanno fatto, non le importa quanto la stanno facendo soffrire, se la libereranno lei pregherà per loro affinché Dio stesso perdoni gli sbagli e li conduca nella retta via.

E' proprio la fede di Lucia che porta gli eventi a scorrere in un modo inaspettato: le sue preghiere portano il Nibbio, uno dei bravi dell'Innominato, ha provare un sentimento che mai ci saremmo aspettati di vedere in una persona come lui: la compassione.

Il capitolo XXI è sicuramente uno dei più significativi di tutto il romanzo: Lucia sembra suscitare un effetto strano nei confronti di chi le sta intorno e insieme con la sua bellezza porta una sorta di cambiamento: nella testa dell'Innominato iniziano a succedere strane cose, egli inizia ha intravvedere in sé un mondo interiore e quei continui no che sente nella testa sono un qualcosa di superiore che lo portano a voler vedere Lucia nonostante il suo presupposto iniziale di volersi subito liberare della giovane donna e di mandarla subito da Don Rodrigo.

Nel colloquio che Lucia ha con l'Innominato, esprime tutta la sua fede religiosa dicendo che Dio perdona ogni cosa per un opera di misericordia e se l'Innominato la lascerà andare lei pregherà per lui perché per lei Dio è la vera forza che da sicurezza e permette di credere in un futuro migliore, e non è, come dice l'Innominato, la parola più usata da coloro che per difendersi non usano le mani. Lucia è molto buona e capisce che l'Innominato non è così crudele come fa credere a tutti: «Lei ha buon cuore [.] potrebbe farmi paura più di tutti gli altri, potrebbe farmi morire; e in vece mi ha. un po' allargato il cuore. Dio gliene renderà merito».

Nella sua stanza del castello dell'Innominato, Lucia passa una notte terribile in una torbida sequenza di pensieri, immagini e spaventi.

L'unica cosa che poteva fare era pregare e pensò che le sue richiesta sarebbero state senz'altro ascoltate maggiormente se avesse fatto un'offerta: Il voto .

«Fatemi uscire da questo pericolo, fatemi tornar salva con mia madre, Madre del Signore; e fo voto a voi di rimaner vergine; rinunzio per sempre a quel mio poveretto, per non esser mai d'altri che vostra».

Solo la fede in Dio può salvare Lucia: non vede altra soluzione che la completa dedizione nei confronti dell'unico salvatore; solo la Santa Vergine Maria e suo figlio il Signore possono portare Lucia lontano dall'Innominato e da Don Rodrigo; la fede di Lucia è la sua salvezza e porta l'Illuminato a capire i suoi sbagli, a recarsi dal cardinale Borromeo dal quale otterrà il perdono dei peccati e la conversione.

Dopo che è stata liberata a Lucia, una volta giunta alla casa del sarto, tornò in mente la terribile notte passata, comparve chiara e distinta la memoria del voto: i suoi primi pensieri furono: «oh povera me, cos'ho fatto!».

Subito dopo le tornarono in mente le circostanze per le quali aveva compiuto quella scelta e «dopo aver ottenuto la grazia,pentirsi della promessa, le parve un'ingratitudine sacrilega, una perfidia verso Dio e la Madonna; le parve che una tale infedeltà le attirerebbe nuove e più terribili sventure [.] si levò con devozione la corona dal collo, e tenendola nella mano tremante, confermò, rinnovò il voto, chiedendo nello stesso tempo, con una supplicazione accorata, che le fosse concessa la forza d'adempirlo».

Lucia spera che la Provvidenza, che secondo lei aveva allontanato Renzo forse per sempre, potesse aiutarlo a rassegnarsi a quella nuova situazione.

Lucia ha paura di rivelare alla madre del voto fatto alla Madonna perché sa che non lo approverà o meglio non lo capirà.

Nel capitolo XXXVI la giovane incontra per la prima volta dopo tanti mesi si angoscia e sofferenza Renzo, il quale, nonostante avesse ricevuto la lettera mandatagli da Agnese per avvisarlo del voto della figlia, non vuole rassegnarsi.

Lucia dal canto suo, è smarrita perché sa che il voto è fatto e non si può tornare indietro: lei crede veramente nella Vergine e sa che se lei è ancora viva è solo merito suo.

Renzo cerca di farle cambiare idea dicendole che la Madonna «non vuol promesse in danno del prossimo».

Lucia si ritrova in un altro momento difficile: Renzo insiste perché lei diventi sua moglie ma Lucia non vuole tradire il voto fatto e per questo ancora una volta chiede aiuto alla Maria Vergine «o Santissima vergine! [.] M'avete soccorsa allora; soccorretemi anche adesso!».

Lucia cade nello sconforto: aver rivisto Renzo è per lei un dolore forte perché aveva così tanto immaginato con le guance arrossite un futuro insieme che ora non le sembra vero che quei progetti non si realizzeranno mai.

Solo il colloquio con il tanto amato Fra Cristoforo porta un po' di serenità nell'animo di Lucia: il buon frate dice a Lucia che non ha fatto assolutamente male a promettersi alla Madonna essendosi trovata in quella situazione ma che «i deputati alla cura dell'anime» possono qualora l'interessato voglia sciogliere dall'obbligo contratto con il voto; Lucia sembra però ancora titubante e domanda a Fra Cristoforo se è peccato tornare indietro e il frate risponde che non lo è assolutamente, perché è Dio che ha dato ai suoi ministri in terra la facoltà di farlo.

La nostra promessa sposa, grazie a quella sorta di devozione che essa prova nei confronti di Fra Cristoforo nel quale lei crede ciecamente, e sciolto ogni dubbio, chiede finalmente lo scioglimento del voto.

Nell'ultimo capitolo del romanzo Lucia fa ritorno al suo paese e si ricongiunge con la madre e con Renzo: i loro primi pensieri vanno a Fra Cristoforo che è morto di peste; dice Lucia « pregate per l'anima sua: benché si può esser quasi sicuri che a quest'ora prega lui per noi lassù».

Per tutto il romanzo la forza che permette a Lucia di andare avanti nonostante le difficoltà è la fede in Dio e la devozione per Maria; dopo qualche mese di matrimonio nacque la prima figlia dei nostri, ormai non più promessi ma felici sposi e non a caso le fu dato il nome di Maria.

Il "sugo di tutta la storia" come viene detto nel XXXVIII capitolo «i guai vengono bensì spesso perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore».






Nathaniel Hawthorne






Born:      July 4 1804 ) Salem, Massachusetts United States


His birthplace is now a museum.

William Hathorne, who emigrated from England in 1630, was the first of Hawthorne's ancestors to arrive in the colonies.

After arriving, William persecuted Quakers. William's son John Hathorne was one of the judges who oversaw the Salem Witch Trials. Having learned about this, the author may have added the 'w' to his surname in his early twenties, shortly after graduating from college.



Died:      May 19 1864 aged 59 Plymouth, New Hampshire United States


Occupation: Novelist Short story writer, Custom House worker, U.S. Consul                                                        


Literary movement:     Romanticism

The scarlet letter  



The character of Hester Prynne



Hester Prynne is a young woman who has to carry on her chest a crushing and humiliating symbol, the A of "ADULTE" as punishment for her adulterous affair with Arthur Dimmesdale, the town minister.

Hester is physically described in the first scene as a tall woman with a figure of perfect elegance on a large scale

Hester is married to Roger Chillingworth, but while Hester is waiting for her husband's arrival from Amsterdam, she meets Dimmesdale and engages in the adulterous affair, which leads to Pearl's birth.

What is most remarkable about Hester Prynne is her strength of character.

Hawthorne reveals through her public humiliation in Puritan society, her character, unknown to all people.

Her inner strength, her defiance of convention, her honesty, and her compassion may have been in her character all along, but the scarlet letter brings them to our attention.

She is, in the end, a survivor.

The reader first meets the incredibly strong Hester on the scaffold with Pearl in her arms, beginning her punishment.

While she might be feeling agony as if her heart had been flung into the street for them all to spurn and trample upon her face reveals no such thought.

In this first scene, Dimmesdale implores her to name the father of the baby and her penance may be lightened, Hester says "Never!" and when asked again, she says I will not speak!

While this declaration relieves Dimmesdale and he praises her under his breath, it also shows Hester's determination to stand alone despite the opinion of society.

Hester's self-reliance and inner strength are further revealed in her defiance of the law.

In the first chapter we can see a general ostentation for Hester because she was the terrible sings of the presence of the devil and of the power of the evil.

She was the symbol of the disgrace and all the inhabitants of the Puritan village want to remind Hester of her mistake: Clergymen paused in the street, to address words of exhortation, that brought a crown, with its mingled grin and frown, around the poor, sinful woman.

If she entered a church, trusting to share the Sabbath smile if the Universal Father, it was often her mishap to find herself the text of the discourse

Also the kids looked at her in a strange way although they didn't know the meaning of the scarlet letter: They had imbibed from their parents a vague idea of something horrible in this dreary woman [.]therefore, first allowing her to pass, they persuaded her at a distance with shrill cries

Hester is alone: nobody takes care of her in that village totally different from Amsterdam and totally different from her.

Sometimes a strange thought takes possession of her mind because she feels a relief on the scarlet letter and the next instant back it all rush again Had Hester sinned alone?

But something strange was happening in her: she thought that the scarlet letter had endowed her with a new sense it gave her a sympathetic knowledge of the hidden sin in other hearts

Hester was scared by this new sense and she didn't understand why a sinner could have had a similar power to see into the people and she didn't understand if what she saw, was the truth.

Despite her lonely existence, Hester somehow finds an inner strength to defy both the townspeople and the local government.

This defiance becomes stronger and will carry her through later interviews with both Chillingworth and Governor Bellingham.

Her determination and lonely stand is repeated again when she confronts Governor Bellingham over the issue of Pearl's guardianship.

When the governor determines to take Pearl away from her, Hester says: God gave me the child! He gave her in requital of all things else, which he had taken from me. Ye shall not take her! I will die first!

The chapter XIII is, maybe, one of the most important for Hester Prynne: in that chapter we can see a change in Hester behavior and in the society's attitude towards Hester.

Hester never defied the public and she submitted without complain

«With nothing to lose it could only be a genuine regard for virtue that had brought back the poor Hester to the right way».

She became an indispensable help for the patient.

There glimmered the embroiled letter, with comfort in its unearthly ray

Instead of the symbol of sin for this people the scarlet letter was Light.

Her breast, with its badge of shame, was but the softer pillow for the head that needed one

Hester wasn't any more the black sheep of the society and now the "A" was the symbol of her calling.

She was for the other inhabitants part of the society and they said that she was " our Hester ".

The scarlet letter had the effect of the cross on a nun's bosom

Also her physical aspect was changed: she use to put on austere clothes and her hair wasn't long, as it was earlier, but it was short and hidden.

Hester was upset because everything was against her: she could have been a prophet or she could have fought for her destiny and probably she would have been condemned to die if Pearl wasn't born.

But it doesn't happen and Hester was alone, with Pearl.

Providence, in the person of this little girl, had assigned to Hester's charge, the germ and blossom of womanhood, to be cherished and developed amid a host of difficulties

Hester is confused; she doesn't know what she could do: she only says that she has to help Dimmesdale because he is in danger with Roger Chillingworth and she is guilty for that.

Hester reveals itself as a good woman who wants to save the other people and who admits her fault and she doesn't want that the revenge of her ex husband strikes Dimmesdale.

For Hester is not so important what the society thinks about her.

When in chapter XIV Hester decides to speak with Roger she says that for Dimmesdale it would have been better to die instead of leaving with Roger, the evil.

Hester says to Roger that she is sinner more than Dimmesdale and she doesn't understand why Roger doesn't revenge itself on Hester.

He answered that the scarlet letter was his revenge.

Hester is disgusted at his behavior.

When in chapter XV Hester could speak with Dimmesdale she implores he to forgive her; she reveals a great force of mind.

After having obtained the forgiveness she seems being reborn.

Hester rip the scarlet letter and she threw it as far as possible: without her stigmata everything was wonderful.

The scarlet letter was her passport into regions where other women dared not treat.

Shame, Despair, Solitude! These had been her teachers and they had made her strong

But now without the "A" everything was better.

Hester decides to run away with Dimmesdale and Pearl to the Old World in which they could stay together and they will be protect among many people and nobody would have never judge them.

During the procession Hester sees something strange in Dimmesdale: he isn't the same men with which she had plan the flight and with which she sat on a log in the wood hand in hand.

Dimmesdale during the procession get on the scaffold and there he died; but first he revealed the fault of Chillingworth and he asks forgiveness for all those soul sinners.

Hester disappeared with Pearl.

After many years Hester went back to his house.

When Hester died her grave was behind another grave and for these graves there was only one slab with the notice: "ON A FIELD, SABLE, THE LETTER A, GULES".




The novel is a condemnation not of Hester but of the community which has so harshly and hypocritically judged her.

Hawthorn's novel portrays both the inhumane effects if the cruel enforcement of the morality of Puritanism, and the courage and love of Hester as she lives to transcend that inhumane cruelty.

Hester is shown to suffer not because she is evil, but because her human frailties have been judged evil by a community which refuses to accept such frailty in its members.

Ironically, her lover is the man who represents more than any others the Puritan values.

In Hawthorn's view, Hester is far more human and moral than the others in the community because she accepts herself and her frailty, because she accepts responsibility for her actions, and because she emerges triumphant as a result of her steadfast character and her capacity for love and forgiveness.

As harmful as this Puritan marking of Hester as a grave sinner is to her, she possesses a strength of character which allows her to transcend the social and moral judgment against her.

The novel is a celebration of Hester Prynne's independence, of individual courage against collective cruelty, of the promptings of the heart against social repression.






Gustave Flaubert



Maitre du réalisme, précurseur du roman modern,                      Gustave Flaubert est une figure de premier plan de la littérature française.

Gustave Flaubert est né en 1821 à Rouen.

Son père est chirurgien à l'hôpital et le jeune homme apprend vite la réalité des souffrances humaines. Mais la vie provinciale étroite et souvent mesquine, l'ennuie profondément. Flaubert éprouve les affres du "mal du siècle" et s'exalte à la lecture des romantiques. Au fond de lui, il conservera toujours cette dualité profonde entre une tendance romantiques et une tendance réaliste. A' quinze ans, le jeune homme s'éprend d'une vénération muette pour Elisa Schlesinger, l'épouse d'un éditeur de musique. Il n'oubliera jamais cet amour de jeunesse qui réapparaitra dans L'Éducation sentimentale. Il s'installe à Paris pour y étudier le droit sans goût, mais il fréquente les milieux artistiques, se lie avec Victor Hugo, et écrit ses premiers textes d'inspiration autobiographique: Mémoires d'un fou en 1838, Smarth (1839), Novembre (1842). En 1844 Flaubert est atteint d'une première crise nerveuse et se retire dans sa propriété de Croisset près de Rouen qu'il ne quittera plus guère. Il se consacre définitivement à la littérature: il « s'attelle » littéralement au travail long et pénible de l'écriture. Il mène une vie solitaire entrecoupée de quelques voyage à Paris ou à l' étranger; il se lie avec la poétesse Louise Collet, avec qui il entretiendra jusqu'au bout une correspondance nourrie. Son existence se confond le plus souvent avec le travail. En 1848-1949, il écrit La Tentation de Saint Antoine (récit baroque) achevé en 1872. En 1857, Madame Bovary lui assure la célébrité dans le milieux littéraires, après un procès retentissant dont il sort vainqueur. Dès lors, Gustave Flaubert est lancé.

Salammbô (1862), roman historique qui fait revivre le Carthage d'Hannibal, obtient un très grand succès. Mais l'Education sentimentale (1869) à laquelle l'écrivain a travaillé de très longues années est un échec qui le laisse profondément amer. Sa tristesse est accrue par la mort de sa mère  et de nombreux amis, par la maladie, et par de grosses difficultés financières. En 1877 il écrit les Trois Contes qui est considéré un chef-d'ouvre. Des 1877 à 1880, Flaubert travaille à la rédaction de Bouvard et Pécuchet, roman satirique qu'il n'achèvera pas. Il s'éteint en 1880, sans avoir le sort glorieux que l'avenir devait réserver à ses ouvres.






Un cour simple



Un cour simple fait parti des 'Trois contes'.

C'est l'histoire d'une jeune fille Félicité qui est restée seule parce que son père, un maçon, s'ést tué en tombant d'un échafaudage, puis sa mère meurt, ses sours se dispersent, et un fermier la recueille, et l'emploie toute petite à garder les vaches à la campagne. Elle avait eu, comme une autre, son histoire d'amour mais elle était restée déçue par cette histoire parce qu'elle était tombée amoureuse d'un jeune garçon Théodore qui l'avait abandonnée pour se garantir la conscription de ne pas servir et, donc, avait épousé une vielle femme très riche Mme Lehoussais. Ce fut un chagrin désordonné; ayant reçu son comptes elle s'était rendue à Pont- L'évêque. À Pont- L'évêque elle s'installa chez Mme Aubin.

Félicité réunissait toutes les vertus et la bourgeoisie de Pont- L'Evêque envieraient à Mme Aubin cette servante; Félicité était une travailleuse acharnée et infatigable qui se levait à l'aube et faisait le ménage, la cuisine, lavait, repaissait, savait brider un cheval. Elle s'occupait aussi de Paul et Virginie, les deux enfants de Mme Aubin, l'un de sept et l'autre se quatre ans et elle éprouvait beaucoup d'affection pour eux. Une autre qualité suprême, sans doute, aux yeux de ces dames de la bourgeoisie normande c'était que Félicité était économe: un pain de douze livres lui durait vingt jours. Elle était rusée et intelligente, elle protégeait sa patronne des astuces des marchands qui, de cette manière avaient pris de la considération pour elle.

Paul fut envoyé au collège de Caën. Mme Aubin se résigna à l'éloignement, Félicité regrettait son tapage mais elle avait une nouvelle occupation: elle devait accompagner Virginie au catéchisme.

Dans l'église «Le prêtre fit d'abord un abrégé de l'Histoire Sainte.

Elle croyait voir le paradis, le déluge, la tour de Babel, des villes tout en flammes, des peuples qui mouraient, des idoles renversées; et elle garda de cet éblouissement le respect du Très-Haut et la crainte de sa colère.

Puis elle pleura en écoutant la Passion.

Pourquoi l'avaient-ils crucifié, lui qui chérissait les enfants, nourrissait les foules, guérissait les aveugles, et avait voulu, par douceur, naitre au milieu des pauvres sur le fumier d'une étable? Les semailles, les moissons, les pressoirs, toutes ces choses familières dont parle l'Evangile se trouvaient dans sa vie; le passage de Dieu les avait sanctifiées ; et elle aima plus tendrement les agneaux par amour de l'Agneau, les colombes à cause du Saint-Esprit»[2].

Ce fut à force de les entendre qu'elle apprit les saintes Écritures; l'éducation religieuse avait été négligé quand elle était enfant. Félicité imitait tous les usages de Virginie: elle jeûnait, elle se confessait avec Virginie et elles firent ensemble un autel. Enfin ce fut le jour de la première communion, les enfants ôtaient un après l'autre : «Quand ce fut le tour de Virginie, Félicité se pencha pour la voir; et, avec l'imagination que donnent les vraies tendresses, il lui sembla qu'elle était elle-même cette enfant; sa figure devenait la sienne, sa robe l'habillait, son cour lui battait dans la poitrine; au moment d'ouvrir la bouche, en fermant les paupières, elle manqua s'évanouir»[3]. Le lendemain matin Félicité alla à la sacristie et elle reçut la communion dévotement.

Virginie fut envoyée au collège chez les Ursulines de Honfleur. Victor, le neveu de Félicité décida de s'enrôler pour un long voyage et Félicité voulut le recommander à Dieu. Après quelques mois Félicité reçut une lettre: qui annonçait la mort de Victor. Félicité fut détruite par cette triste nouvelle, elle cria désespérément.

En même temps la santé de Virginie empirait. Un soir elle reçurent la nouvelle de l'aggravation de la santé de Virginie. «Félicité se précipita dans l'église, pour allumer un cierge»[4]. «Elle répétait les mêmes prières, jetait de l'eau bénite sur les draps, revenait s'asseoir, et la contemplait» .

Le désespoir du Mme Aubin était énorme : elle se fachait contre Dieu parce qu'elle ne méritait pas cette mort-là. Félicité allait au cimetière tous les jours.

Puis les années passèrent sans d'autre événement que le retour des grandes fêtes : Paques, l'Assomption, la Toussaint.

Un jour Mme Aubin décida de retirer les vêtements de Virginie qui jusqu'à cette été- là étaient restes dans l'armoire quand les deux femmes s'étreignirent: c'était la première fois dans leur vie.

«Félicité lui en fut reconnaissante comme d'un bienfait, et désormais la chérit avec un dévouement bestial et une vénération religieuse. La bonté de son coeur se développa»[6].

Félicité était toujours prête à aider les personnes en difficulté: quand elle entendait dans la rue les soldats elle leur offrait du cidre. Félicité soignait les cholériques et protégeait les Polonais. Puis elle se dédia à Colmiche, un veillard que vivait sur la rive d'un fleuve, en soignant le tumeur: il la remerciait d'une faible; peu après il mourut et Félicité fit dire un Messe pur le repos de son ame.

Un jour le servant de Mme Larsonnière porta à Mme Aubin son perroquet parce qu'elle devait partir avec son mari qui avait obtenu un nouveau poste: le perroquet était le signe de leur respect pour Mme Aubin. Le perroquet occupait l'imagination de Félicité depuis longtemps. «Il s'appelait Loulou et son corps était vert, le bout de ses ailes rose, son front bleu et sa gorge dorée»[7].

Mme Aubain qui était fachée par ce cadeau, donna le perroquet à Félicité. Elle lui apprit à parler. Un jour Lulu disparus et Félicité se donna corps et ame à le chercher.

«Loulou, dans son isolement était presque un fils, un amoureux»[8]

Félicité en même temps était devenu sourde. Un matin elle le trouva mort; elle pleura beaucoup et sa patronne lui permis de le faire empailler ; elle demanda au pharmacien qui l'adressa au M. Fallancher. Il lui promis de le lui rendre entre une semaine mais elle le revit après six mois. Félicité était bouleversée, elle croyait ne plus le revoir. Après avoir attendu beaucoup de jours: «Enfin, il arriva, - et splendide, droit sur une branche d'arbre, qui se vissait dans un socle d'acajou, une patte en l'air, la tête oblique, et mordant une noix, que l'empailleur par amour du grandiose avait dorée.

Elle l'enferma dans sa chambre. Cet endroit, où elle admettait peu de monde, avait l'air tout à la fois d'une chapelle et d'un bazar, tant il contenait d'objets religieux et de choses hétéroclites»[9].

«Ne communiquant avec personne, elle vivait dans une torpeur de somnambule. Les processions de la Fête-Dieu la ranimaient. Elle allait quêter chez les voisines des flambeaux et des paillassons, afin d'embellir le reposoir que l'on dressait dans la rue. A l'église, elle contemplait toujours le Saint-Esprit, et observa qu'il avait quelque chose du perroquet. Sa ressemblance lui parut encore plus manifeste sur une image d'Epinal, représentant le baptême de Notre-Seigneur. Avec ses ailes de pourpre et son corps d'émeraude, c'était vraiment le portrait de Loulou. L'ayant acheté, elle le suspendit à la place du comte d'Artois, - de sorte que, du même coup d'oil, elle les voyait ensemble. Ils s'associèrent dans sa pensée, le perroquet se trouvant sanctifié par ce rapport avec le Saint-Esprit, qui devenait plus vivant à ses yeux et intelligible.

Le Père, pour s'énoncer, n'avait pu choisir une colombe puisque ces bêtes-là n'ont pas de voix mais plutôt un des ancêtres de Loulou. Et Félicité priait en regardant l'image, mais de temps à autre se tournait un peu vers l'oiseau. Elle eut envie de se mettre dans les demoiselles de la Vierge. Mme Aubain l'en dissuada»[10].

En printemps Mme Aibain s'étaignit. Félicité pleura désesperée: la mort de la patronne l'avait troublée elle lui parait una chose inadmissible, contraire à l'ordre des choses.

«Ce qui la désolait principalement, c'était d'abandonner sa chambre, - si commode pour le pauvre Loulou ! En l'enveloppant d'un regard d'angoisse, elle implorait le Saint-Esprit, et contracta l'habitude idolatre de dire ses oraisons, agenouillée devant le perroquet. Quelquefois, le soleil entrant par la lucarne frappait son oil de verre, et en faisait jaillir un grand rayon lumineux qui la mettait en extase»[11].

Félicité s'enferma dans la maison en vivant avec la retraite de sa patronne et le seul vêtement qu'elle possédait. Elle économisait sur la lumière en se couchant quant le ciel devenait sombre. Elle tomba malade, comme sa patronne, de pneumonie. Le cour de Mme Aubain fut choisi pour accuellir l'autel pour la celebration du Corpus Domini.

La santé de Félicité empirait de jour en jour et un prête fut appellé par donner l'extrême-onction.

«Les oppressions et la fièvre augmentaient. Félicité se chagrinait de ne rien faire pour le reposoir.

Au moins, si elle avait pu y mettre quelque chose! Alors elle songea au perroquet. Ce n'était pas convenable, objectèrent les voisines. Mais le Curé accorda cette permission; elle en fut tellement heureuse qu'elle le pria d'accepter, quand elle serait morte, Loulou sa seule richesse»[12].

Avant de mourir Félicité tomba en délire: en pensant à la procession elle le voyait comme si elle était dans la rue avec les autres fidèles. Elle était preoccupée pour Lulu.

«Une vapeur d'azur monta dans la chambre de Félicité. Elle avança les narines, en la humant avec une sensualité mystique; puis ferma les paupières. Ses lèvres souriaient. Les mouvements du cour se ralentirent un à un, plus vagues chaque fois, plus doux, comme une fontaine s'épuise, comme un écho disparait; et, quand elle exhala son dernier souffle, elle crut voir, dans les cieux entrouverts, un perroquet gigantesque, planant au-dessus de sa tête»[13]


Après avoir souffert à cause de sa déception d'amour Félicité trouve de l'encouragement dans la maison de Mme Aubin. La maison de Mme Aubin est pour Félicité tout ce qu'elle a, c'est toute sa vie. Félicité a seulement l'affection des deux enfants de Mme Aubin, rien d'autre, et quand elle perd cet affection elle se retrouve seule. Elle donne alors toute son affection à Lulu, le perroquet, dans lequel elle voit le Saint- Esprit. Flaubert devait être un croyant et il veut montrer que les pauvres et les ame simples sont plus riches en sensibilité que les gens de la bourgeoisie parce qu'ils ont la capacité d'accueillir Dieu. L'écrivain dit que Félicité a une intelligence limitée (elle ne comprend rien des dogmes), qu'elle n'a reçu aucun type d'instruction pendant son enfance, même pas religieuse, mais il met en évidence qu'elle réussit à croire avec simplicité à ce qu'elle apprend, même si elle ne sait rien définir, rien expliquer, et pratique tout, avec une silencieuse dévotion, comme elle a appris de Mme Aubin. Je crois qu'il estime positivement sa naïveté son ingénuité, il l'admire, parce que l'innocence, la rectitude du cour, la bonté de Félicité conduisent la servante à être vraiment pieuse, pure et altruiste. Il peut sembler que Flaubert se moque de son ingénuité surtout lorsqu'elle identifie le Saint-Esprit avec le perroquet, mais ce n'est pas vrai; l'ironie est dirigée ver ceux qui ne sont pas capables d'être comme Félicité; par exemple les bourgeois, dont l'instruction les a gonflés d'orgueil en les empêchant près de Dieu.







La donna nella religione di Cristo


Introduzione


«Nato in Palestina sul tronco della religione giudaica, e dunque appartenente al ceppo delle religioni orientali, già nella seconda metà del primo secolo il cristianesimo non è più fenomeno esclusivamente orientale e giudaico. La Chiesa ha cominciato a staccarsi dalla sua matrice giudaica ed è ormai, come Paolo non si era mai stancato di affermare nella sua predicazione e nelle sue lettere, Chiesa di giudei e pagani».[14]

Il cristianesimo si sviluppa in primo luogo in Palestina, uno stato diviso in diverse regioni, la più grande delle quali era la Giudea, e si rivolge inizialmente ai giudei con la sua predicazione del Vangelo. La comunità giudaica però lo respinge, la maggior parte dei giudei, infatti, non si lasciava convincere dalla predicazione di Paolo che si rivolge allora ai pagani i quali sembrano accogliere la sua predicazione. Il cristianesimo si diffonde, infatti, nel mondo romano durante il I secolo d.C. e attraverso le più grandi città greche giunge nella capitale dell'Impero.

Questo punto merita un'attenta riflessione sulle condizioni economiche, sociali e politiche di questi primi secoli dopo la nascita di Cristo: i principali problemi dell'Impero erano causati dalla penetrazione barbara sempre più pressante e dai numerosi cambiamenti interni. Sul confine del Reno e su quello del Danubio le popolazioni germaniche si presentavano capaci d'incursioni che arrivavano ben dentro il territorio dell'Impero e queste vennero arrestate solo a prezzo di grossi sforzi militari e di gravi sacrifici economici. L'importanza che in questa situazione aveva assunto l'esercito non fu priva di conseguenze per tutta l'organizzazione dell'impero: gli stessi comandanti non sono più esponenti della classe superiore e tra le file dell'esercito anche i barbari vengono reclutati. Esistevano fondamentalmente tre tipi di reclutamento: reclutamento volontario, ereditario e fiscale.

Il reclutamento volontario era probabilmente la fonte maggiore di arruolati; potevano arruolarsi sia cittadini Romani che barbari, a patto che fossero liberi. Era vietato inoltre l'arruolamento di criminali, cuochi, panettieri, osti e altre professioni ritenute umilianti nonché dei decurioni, che spesso cercavano di sfuggire ai loro pubblici doveri arruolandosi. Per quanto riguarda il reclutamento fiscale, questo imponeva a singoli facoltosi contribuenti di dover fornire una tassa pagabile in reclute.

Naturalmente, soprattutto i proprietari terrieri, piccoli o grandi, sempre alla ricerca di manodopera per i loro latifondi, preferivano fornire i loro coloni peggiori, dal punto di vista fisico o sociale, per cui tale reclutamento dava all'esercito reclute mediocri.

Per quanto riguarda i problemi economici, essi erano in parte connessi con quelli militari: le campagne si spopolavano; le città costituivano, grazie alle mura che le cingevano, un rifugio più sicuro, ma saccheggi e assedi erano frequenti; le vie di comunicazione erano insicure; la necessità di spese per difendere lo Stato dagli eserciti nemici comportò un inasprimento fiscale che mise in crisi molte attività economiche e la forte inflazione provocò aumenti dei prezzi. A questo quadro negativo vanno aggiunte catastrofi naturali come i terremoti ed epidemie più frequenti e micidiali che in altri periodi.

Questo stato d'insicurezza, esteso a tutte le aree dell'impero, favorisce il clima "millenaristico", la paura della fine del mondo e l'attesa di una salvezza ultraterrena. In questo clima Paolo annuncia la salvezza di tutti gli uomini mediante la fede nel Cristo morto e risorto: la sua predicazione sembra dare una speranza di un futuro migliore ad un popolo demoralizzato dalla situazione contemporanea. Non tutti i pagani però accolgono favorevolmente la predicazione cristiana, non perché atei o perché fermamente credenti nel paganesimo ma a volte per protesta contro Paolo e la sua fede in quanto «essi sembrano temere soprattutto che i loro interessi economici strettamente legati alle varie forme di culto locale (dalle pratiche divinatorie al culto di Artemide) siano messi in pericolo dalla predicazione cristiana e presentano quindi Paolo e i suoi compagni come degli agitatori che turbano la pace religiosa e la quiete sociale»[15]. La popolazione pagana vede dunque mettere a repentaglio, insieme alle sue tradizioni religiose, anche i propri interessi di ordine economico; motivazione, questa, di prima importanza data la già esistente crisi economica.

Nel grande rimescolamento culturale e sociale la cultura cristiana diviene punto di convergenza di molte tradizioni disperse qua e là nell'impero, costituendo un tratto unificante dei successivi decenni. Il cristianesimo prevale nel giro di un paio di secoli sugli altri culti fino a diventare religione ufficiale dell'Impero. Sviluppatasi prevalentemente come religione dei ceti subalterni urbani arriva ad avere adepti in tutti i ceti della società. Il cristianesimo assume quindi un carattere prevalentemente cittadino che manterrà ancora per parecchio tempo.

Per tutto il secolo i rapporti fra le comunità cristiane e le istituzioni furono complessi e ambigui: a periodi di tolleranza, in cui i procedimenti contro i cristiani erano rari o del tutto assenti, se ne alternavano altri in cui i martiri erano all'ordine del giorno; e non tutte le classi sociali erano investite allo stesso modo da queste ondate di violenza.

Nonostante i problemi affrontati dai cristiani nell'Impero, essi si dedicano allo studio della cultura classica e costruiscono un'imponente letteratura, segnata da opere di assoluto rilievo e d'importanza non soltanto teologica o religiosa: la produzione letteraria cristiana costituisce, a tutti gli effetti, il principale avvenimento culturale di un'età per il resto non molto ricca di significative personalità di scrittori o d'importanti movimenti letterari.




La condizione della donna


La predicazione della religione di Cristo comportò un cambiamento nel rapporto tra i sessi mettendo in discussione quei rapporti che fino ad allora caratterizzavano la società giudaica e quella romana. La donna era sempre stata sottoposta al potere dell'uomo in particolare a quello del marito il quale poteva avere più mogli e volendo poteva anche ripudiarle.

Gesù predica l'uguaglianza tra i sessi e per lui il matrimonio era monogamico e indissolubile.

Le donne che vissero negli anni di diffusione del cristianesimo e di massima grandezza di Roma beneficiarono di miglioramenti nelle condizioni politiche, economiche e sociali.


Edith Stein, filosofa vissuta nella prima metà del Novecento, svolge un ruolo importante nell'analisi della condizione della donna; quest'analisi riveste una notevole importanza per una corretta impostazione della "questione femminile". La scrittrice affronta un'analisi partendo dalle nozioni sulla condizione della donna contenute nei maggiori testi dell'Antico Testamento.

Edith Stein nasce a Bratislava il 12 Ottobre 1891 da una famiglia ebraica ortodossa, si converte successivamente al cristianesimo. Dopo essere diventata lettore all'istituto di pedagogia a Münster, nel 1934 entrò nel convento Carmelitano a Colonia e prese il nome di Teresa Benedetta della Croce. Venne arrestata dai nazisti e rinchiusa nel campo di concentramento di Auschwitz dove trovò la morte il 9 agosto 1942. Con la sua beatificazione nel Duomo di Colonia voluta da Papa Giovanni Paolo II, il 1 maggio del 1987, la Chiesa cattolica volle onorare, per esprimerlo con le parole dello stesso Pontefice, «una figlia d'Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea».

Fu canonizzata dallo stesso Giovanni Paolo II l'11 ottobre 1998 e nominata, assieme a S. Brigida e S. Caterina da Siena, patrona d'Europa.

Edith Stein nel libro intitolato La donna, il suo compito secondo la natura e la grazia affronta l'analisi partendo dalle nozioni sulla condizione della donna contenute nei maggiori testi dell'Antico Testamento. Nel Genesi non si parla di un dominio dell'uomo sulla donna: ella viene detta compagna e aiuto e già in questo contesto viene sottolineato come moglie e marito sarebbero dovuti divenire una sola carne. Scrive Paolo nella Lettera ai Corinzi «il marito renda alla moglie ciò che le deve, e lo stesso faccia la moglie verso il marito. La moglie non è padrona del suo corpo, ma il marito; e così pure il marito non è padrone del proprio corpo, ma la moglie»[16]. L'uomo così doveva farsi con la moglie «una sola carne» e nessuno poteva dividere ciò che Dio aveva unito.

Fu dopo il peccato originale che uomo e donna iniziarono a guardarsi con occhi diversi.

La relazione tra uomo e donna viene nuovamente spiegata nella lettera di Paolo agli Efesini in questo modo: «le donne siano soggette ai loro mariti come al Signore. Il marito è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa, egli, il salvatore del corpo di lei»[17].

La sottomissione della donna non è quindi giustificata in nessun modo, se non come una posizione superiore dell'uomo sulla donna solo perché da lui derivante e più che altro perché essa deve essere protetta da lui e non perché la donna è un essere inferiore all'uomo e perciò quest'ultimo non ha nessun diritto a dominarla. Il sesso femminile, peraltro, è nobilitato dal fatto che il Salvatore è nato da una donna; «una donna fu la porta attraverso cui Dio fece il suo ingresso nel genere umano»[18].

Nella religione di Cristo non mancano quindi contraddizioni: Cristo affermava che ripudiare una donna era reato di adulterio, come lo era sposare una donna ripudiata; solo nel caso in cui la donna fosse adultera era concesso il ripudio mentre manca ogni cenno all'adulterio maschile.


Girolamo vissuto nel quarto secolo d.C. rese, nella traduzione della Vulgata, la frase originale «ò dunàmenos chorein, choreito» dove chorein significa comprendere con l'intelletto, con «qui potest capere, capiat» e perciò la frase fu intesa: "chi è in grado di farlo [vale a dire di restare casto] lo faccia" e questo, essendo inteso perciò come un invito, divenne la base per la castità nel sacerdozio e un più generale invito alla verginità. Cristo intendeva però dire «chi può intendere intenda» cioè «chi può comprendere con l'intelletto, lo faccia» ovvero chi può comprendere il valore della verginità e vuole condividerlo è libero di farlo; egli quindi non imponeva nessun obbligo e per lui la verginità doveva essere una scelta.

Da questa errata traduzione di Girolamo si diffuse la predicazione della castità, il valore della verginità come stato superiore al quale si doveva aspirare. Paolo intensifica la questione scrivendo nella Lettera ai Corinzi che chi «ha determinato nel suo animo di mantenere vergine la sua (fanciulla) farà bene. Così chi sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio»[19]. Paolo in quegli anni esortava una pratica chiamata 'nozze spirituali' in cui invitava il fidanzato a permettere alla fanciulla di mantenere la sua verginità. Fu soprattutto grazie al culto di Maria (che si diffuse rapidamente quando il cristianesimo venne riconosciuta come religione di Stato) che la castità venne ancor più esaltata e proposta come il più alto modello comportamentale.

Girolamo si dedica al tema della verginità nella Lettera 22 che scrive a Eustochio. Questa è una delle più famose epistole di Girolamo: l'argomentazione dello scrittore, in questa appassionante difesa della verginità, si basa su una dottrina che, nel tardo quarto secolo, era giunta a Girolamo attraverso una ricca tradizione sia greca sia latina.

Girolamo si basa sulla dottrina che il matrimonio è una condizione posteriore alla creazione originaria.

La vera natura dell'uomo, secondo Girolamo, trascende le differenziazioni sessuali, e la nuova nascita in Cristo, che è vergine, la ricostituisce.

Girolamo scrive: «Ut scias virginatem esse naturae, nuptias post delictum: virgo nascitur caro de nuptiis in fructo reddens, quod in radice perdiderat»[20]. (Affinché tu sappia che la verginità è lo stato naturale e che il matrimonio è venuto dopo la colpa, impara che dal matrimonio nasce carne vergine, che rende nel frutto ciò che aveva perduto nella radice). Girolamo sottolinea poi il valore della verginità indipendentemente dal suo essere stato naturale ma in quanto valore caro a Dio: «Neque enim aureum vas et argenteum tam carum deo fuit, quam templum corporis virginalis» . (Nessun vaso d'oro e d'argento, infatti, fu caro a Dio quanto il tempio di un corpo verginale).

Dio stesso vede questa caratteristica come la cosa più importante che supera per significato anche l'oro ed l'argento.

Girolamo non vuole imporre per nessun motivo la scelta della castità, non vuole esaltarla come dogma imposto, ma vuole insegnare ad apprezzarla; «virginatem non efferimus, sed servamus. Nec sufficit scire, quod bonum est, nisi custodiatur adtentius, quod electum est». (Non insegniamo la verginità, insegniamo a conservarla. Non è sufficiente sapere ciò che è bene se non si custodisce con ogni attenzione ciò che si è scelto).

Girolamo attacca inoltre tutte quelle fanciulle che non credono nel valore della verginità e che cedono ai piaceri della carne commettendo poi anche atti ignobili per poter porre rimedio alla gravidanza: «piget dicere, quot cotidie virgines ruant, quantas de suo gremio mater perdat ecclesia (.) Videas plerasque videas ante quam nuptas infelicem conscentiam mentita tantum veste protegere, quas nisi tumor uteri et infantum prodideri vagitus, erecta cervice et ludentibus pedibus incedunt. Aliae vero sterilitatem praebibunt et necdum sati hominis homicidium faciunt. Nonnullae, cum se senserit concepisse de scelere aborti venera meditantur et frequenter etiam ipsae commortuae trium criminum reae ad inferos perducuntur, homicidiae sui, Christi adultarae, necdum nati filii parricidae»[23]. (Rincresce dire quante vergini cadono ogni giorno, quante ne perda dal suo grembo la madre Chiesa (.) ne puoi vedere molte, vedove prima che si siano sposate, nascondere la loro miserabile coscienza soltanto con una veste ingannatrice: se non le tradisce il rigonfiamento o un vagito di infante, camminano a testa alta e con i piedi vivaci. Altre, invero, bevono prima la sterilità e commettono omicidio nei confronti di un uomo non ancora generato. Alcune quando si accorgono di aver concepito nella colpa, ricorrono ai farmaci che fanno abortire e frequentemente muoiono anch'esse con l'aborto e vengono condotte agli inferi, colpevoli di tre crimini: assassine di se stesse, adultere nei confronti di Cristo, omicide di un figlio non ancora nato).

Girolamo continua a ribadire la fortezza d'animo che le giovani donne caste e pure devono avere per poter rimanere tali, in quanto, se il dolce corteggio delle passioni verrà a sconvolgere la loro adolescenza e se dovessero sentire l'uomo nella sua carnalità, sospirare il loro fiore, esse dovranno affidarsi allo scudo della fede in quanto anche Dio pur potendo tutto, non può però rialzare una vergine dopo che questa è caduta e comunque, essere sposa di Dio è meglio di qualunque altra cosa e perciò in questo caso, l'orgoglio è santo e la sposa di Dio è migliore di ogni altra sposa. Eustochio viene esortata a tenere caro ciò che ha pensando anche alla sorella Blesilla che dopo aver perduto la corona della verginità in quanto si è sposata ha perso anche i piaceri del matrimonio perdendo il proprio marito sette mesi dopo le nozze. Blesilla dunque, vedendo la sorella, rimpiange ciò che lei ha perduto e che invece Eustochio porta con fierezza. "L'onore delle vergini, scrive sempre Girolamo, consiste nell'attirarne altre" ed è perciò che Eustochio deve accogliere alla sua stessa tavola tutte le sue ancelle che come lei hanno fatto la scelta di vita migliore che si potesse fare, ma deve evitare le cattive compagnie che corrompono i buoni costumi. Ci sono poi tante vergini, veterane della castità, che a causa delle mille insidie che si celano ovunque, proprio sulla soglia della morte, hanno perduto la corona sulla quale non c'erano dubbi.





Bibliografia

G. JOSSA, Il cristianesimo antico. Dalle origini al concilio di Nicea, CAROCCI, ROMA 1997

G. CONTE ed E. PIANEZZOLA, Corso compatto di letteratura latina B. L'età imperiale, LE MONNIER, FIRENZE 2004

E. CANTARELLA, L'ambiguo malanno. La donna nell'antichità greca e romana, EINAUDI SCUOLA, MILANO 1995

E. STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, CITTÀ NUOVA, ROMA 1968

S. GIROLAMO, Lettere, BUR, MILANO 1989




Tutte le citazioni sono tratte da N. HAWTHORNE, The scarlet letter, PLAIN LABEL BOOKS

G. Flaubert, un coeur simple, MILLE ET UNE NUITS, P.10

Ibid., P.11

Ibid., P.16

Ibid., P.17

Ibid., P.19

Ibid., P.20

Ibid., P.22

Ibid., P.24

Ibid., P.25

Ibid., P.26

Ibid., P.27

Ibid., P.29

G. JOSSA, Il cristianesimo antico. Dalle origini al concilio di Nicea, CAROCCI, ROMA 1997, P. 47.

Ibid., P. 50.

E. CANTARELLA, L'ambiguo malanno .La donna nell'antichità greca e romana, EINAUDI SCUOLA, MILANO 1995, P.178.

E. STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, CITTÀ NUOVA, ROMA 1968, P.77.

Ibid., P. 81.

E. CANTARELLA, op. cit., P.188.

S. GIROLAMO, Lettere, BUR, MILANO 1989, P.133.

S. GIROLAMO, op. cit., P.143.

S. GIROLAMO, op. cit., P.143.

S. GIROLAMO, op. cit., P. 119.

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