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Sallustio




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SALLUSTIO


Sallustio nacque in Sabina nell'86a.C., forse questore nel 55 o 54; inizialmente fu legato ai populares: tribuno della plebe nel 52, accusò violentemente Milone uccisore di Clodio e Cicerone che lo difendeva. Cacciato dal senato con accusa di indegnità morale, combatté per Cesare nella guerra civile. Con la vittoria divenne pretore e poi governatore dell'Africa nova: accusato di corruzione, fu invitato da Cesare a ritirarsi a vita privata per evitare una condanna. Qui Sallustio scrisse il Bellum Catilinae ed i Bellum Iugurthinum, le sue due opere principali. Morì nel 33 o 34 a.C. In tutte due le sue opere Sallustio pone due ampi proemi nei quali si sforza di giustificare il fatto del ritiro dalla vita politica per scrivere opere storiche, anche se Sallustio attribuisce alla storiografia un valore assai minore rispetto alla politica, anzi la considera come legata alla politica e con lo scopo di far parte alla formazione dell'uomo politico. Sallustio denuncia l'avidità di potere e ricchezza come i mali che avvelenano la vita politica romana. Infatti le sue due opere sono due specie di analisi della situazione. Il loro impianto monografico è una novità quasi assoluta e serve a mettere a fuoco un solo problema storico: così il Bellum Catilinae illustra il punto + alto della crisi, il Bellum Iugurthinum affronta direttamente il problema costituito dal fatto che la nobilitas corrotta non riesce a difendere lo stato, e si sofferma sulla prima vittoriosa resistenza dei populares. La storia di Sallustio ed il confronto con quella dio Cicerone ci danno molte informazioni sulla lotta delle partes. Riassunto del Bellum Catilinae: Catilina è un personaggio di animo energico, ma irrimediabilmente rovinato dai debiti; Catilina viene tradito, scoperto e costretto a fuggire. I facinorosi che aveva raccolto attorno a se vengono arrestati e processati: Cesare chiede una condanna mite, Catone la morte. Prevale il secondo. Catilina viene in seguito intercettato e, presso Pistoia, muore combattendo valorosamente. Dai discorsi pronunciati da Catilina affiorano + volte i motivi della crisi: da una parte i potenti che monopolizzano cariche politiche e ricchezze, dall'altra una massa senza potere, priva di prospettive future e coperta di debiti. Catilina aveva visto la possibilità di formare un gruppo di persone avverso al regime senatorio; ma l'immagine di Catilina è dominata dall'esigenza moralistica già nel suo ritratto all'inizio dell'opera. Il fenomeno catilinari fa oramai parte di una degenerazione morale che investe numerosi membri della classe dirigente. Nel prologo all'inizio dell'opera che prende il nome di archeologia, sono spiegate le ragioni di Sallustio secondo le quali è presente la degenerazione: essa sarebbe causa della fine del metus hostilis, cioè della sconfitta del nemico comune (Cartagine) che teneva unite le forze dello stato romano e impediva ad esso di guardare al suo interno. Un secondo excursus al centro dell'opera denuncia la degenerazione della vita romana da Silla alla guerra tra Cesare e Pompeo. Qui Sallustio accusa entrambe le parti: i populares per fare incattivire la plebe con promesse e gli aristocratici per combattere solamente per ampliare i propri privilegi. Quindi bisognava abolire la conflittualità ed era da Cesare che Sallustio si aspettava ciò, ristabilendo la res publica e la concordia tra i vari ceti. Inoltre Cesare diventa, nell'opera, fuori da ogni contatto coi catilinari per non fargli avere la condanna di capo dei populares. Sallustio indica come causa prima di questa congiura contro Cesare la corruzione della gioventù. Sallustio fa anche pronunciare a Cesare un discorso legalitario per sconsigliare la condanna a morte e questo discorso rispecchia il pensiero di Cesare negli ultimi anni, e facendogli mostrare la preoccupazione per l'ordine e la legalità come valore perenne voleva suggerire la coerenza e la continuità della linea politica dello stesso Cesare. Sallustio inoltre fa una riflessione sui due personaggi (Cesare e Catone) protagonisti della discussione (novità assoluta): il ritratto di Cesare è centrato sulla sua liberalità, munificentia e misericordia e sull'energia che sorregge la sua brama di gloria. Le virtù tipiche di Catone sono invece quelle di integritas, severitas ed innocentia. Differenziandone i mores, Sallustio affermava che tutti e due erano positivi per lo stato romano, anzi erano quasi complementari. In particolare nei principi etico-politici di Catone Sallustio riconosceva un fondamento irrinunciabile alla res publica. Riassunto del Bellum Iugurtinum: Giugurta, impadronitosi col crimine del regno di Numidia, era riuscito a concludere una pace vantaggiosa. Mario viene eletto console e riceve l'incarico di portare a termine la guerra dell'Africa. Allora arruola nell'esercito i capite censi (censiti non per il censo ma per la loro persona fisica: danno inizio alla formazione di eserciti personali che saranno la rovina di Roma perché devoti ad una sola persona): La guerra si conclude solo quando Bocco, re di Mauritania, tradisce Giugurta e lo consegna ai romani. Qui la guerra acquista si rilievo ma solo sullo sfondo della vicenda principale che rappresentava la degenerazione della vita politica: l'opposizione antinobiliare rivendicava contro la nobiltà corrotta il merito della politica di espansione, della difesa del prestigio di Roma. C'è sempre un excursus al centro volto a indicare la causa della rovina della res publica, in questo caso il regime dei partiti. Ma in questo caso la condanna di Sallustio è meno lieve che nel Bellum Catilinae e il suo bersaglio principale è la nobiltà; anche se, al fine di rappresentarla in un blocco unico guidato da un gruppo corrotto, Sallustio trascura nei suoi discorsi la parte aristocratica favorevole ad un impegno attivo nella guerra, quella più legata al mondo degli affari e più incline ad una politica di imperialismo espansionistico. Nei discorsi di Memmio e Mario sono contenute le linee direttive della politica dei populares: Memmio invita a ribellarsi contro i pauci ed elenca le cause della crisi (manipolizzazione delle cariche, sperpero del denaro pubblico, non osservanza dei doveri della res publica). Mario invece parla della nascita di una nuova aristocrazia che si fondi sui talenti naturali di ciascuno e sul suo tenace impegno a svilupparli cercando di far ritrovare gli antichi valori che hanno fatto la grandezza di Roma. Sallustio li giudica come i migliori discorsi rappresentativi dei migliori valori etico-politici espressi dalla democrazia romana nella lotta contro la nobiltà. In particolare il discorso di Mario esprime le ambizioni al potere dell'elitè italica: non è del tutto approvato da Sallustio, specialmente per quanto riguarda i capiti censi e la virtus, quest'ultima inquinata dall'affermarsi del proletariato militare. Nel ritratto di Giugurta Sallustio esprime una certa ammirazione per l'energia del re barbaro: la sua natura non è corrotta fin dall'inizio ma lo diviene progressivamente. Comunque dopo la sua corruzione, Sallustio non gli da + molta importanza e non mette mai i fatti in luce sotto il suo punto di vista, insomma una volta corrotto è solo un piccolo tiranno ambizioso, non ammirevole per l'energia come prima. Le Historiae sarebbero state la maggiore opera storica di Sallustio, se non fosse giunta la morte nel 33-34 a.C.. Ci fu un ritorno alla forma annalistica, molto usata nella storiografia latina anche in seguito. L'opera, oggi quasi completamente perduta, influenzò molto la cultura di età augustea. Alcuni dei frammenti rimasti sono quattro discorsi e due lettere, una di Pompeo e l'altra di Mitridate. Quest'ultima ha una particolare importanza, poiché dalle parole del sovrano orientale affiorano le cause delle lamentele dei popoli soggiogati dai Romani: infatti il solo motivo che i Romani hanno per fare guerra contro gli altri popoli è l'insaziabile sete di potere e ricchezze. Un altro frammento proviene dal proemio dell'opera, dove Sallustio riconosce nella mancanza del metus hostilis (Cartagine) la ragione della decadenza romana. Infatti solamente il timore per Cartagine poteva mantenere unità la società romana, e non far si che si liberassero forze distruttive come l'ambizione personale ed i vizi morali. Le Historiae sono molto negative: infatti la corruzione dei costumi dilaga senza rimedio, i corrotti si affacciano oramai incontrastati sulla scena politica: si può dire che il pessimismo di Sallustio si accresce nell'ultima opera: il motivo di ciò sta nel fatto che lo storico, dopo l'uccisione di Cesare, non ha più una parte dalla quale schierarsi, ne aspetta più nessun salvatore. Lo stile di Sallustio è uno stile molto particolare: completamente diverso da quello di Cicerone che basava il suo modo di scrivere sulla concinnita (stile equilibrato, eleganza di collegare le cose fra di loro), e pensava ad una scrittura storiografica adattata al modello dell'oratoria. Infatti lo stile di Sallustio è fondato sull'inconcinnitas (le cose non sono collegate tra di loro, frequenti cambiamenti di soggetto a dimostrare uno stile nervoso, che rifiuta un discorso proporzionato). Questo stile nel suo insieme produce un effetto di oscurità maestosa e quasi spaventosa. A questa atmosfera contribuisce l'abbondanza arcaizzante, che consiste anche nella ricerca di una concatenazione di frasi di tipo paratattico, così i pensieri sono posti insieme uno sopra l'altro, sono evitate strutture bilanciate e caratteristiche del discorso oratorio. Estrema l'economia dell'espressione, l'alliterazione frequente da arcaismo, ma potenzia anche il senso delle parole. In definitiva uno stile arcaizzante ma innovatore allo stesso tempo, perché diverso da tutti gli altri presenti finora. Nella tecnica narrativa c'è una drammaticità più intensa proprio perché più controllata; i personaggi principali delle due opere sono tragici, e praticamente sono due monografie tragiche dei due personaggi. Anche gli argomenti sono scelti in funzione della drammaticità dei casi che lo storico vuole descrivere. Sallustio nell'antichità ebbe una fortuna abbastanza salda, anche se gli fu rimproverato un po' l'eccesso di arcaismo; Nell'età antoniniana invece fu uno degli autori prediletti, quando riprese nuovo vigore il gusto arcaizzante; il suo maggiore ammiratore fu probabilmente Tacito. Nel Medioevo continuò ad essere ammirato ed ebbe un'influenza ragguardevole sulla storiografia degli umanisti.

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