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Contro catilina - cicerone




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CONTRO CATILINA - Cicerone




>I 1> Fino a che punto, Catilina, approfitterai della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora la tua pazzia si farà beffe di noi? A che limiti si spingerà una temerarietà che ha rotto i freni? Non ti hanno turbato il presidio notturno sul Palatino, le ronde che vigilano in città, la paura della gente, l'accorrere di tutti gli onesti, il riunirsi del Senato in questo luogo sorvegliatissimo, l'espressione, il volto dei presenti? Non ti accorgi che il tuo piano è stato scoperto? Non vedi che tutti sono a conoscenza della tua congiura, che la tengono sotto controllo? O ti illudi che qualcuno di noi ignori cos'hai fatto ieri notte e la notte ancora precedente, dove sei stato, chi hai convocato, che decisioni hai preso?

>2> Questi i tempi! Questo il malcostume! Il Senato conosce l'affare, il console lo vede, ma lui è vivo. È vivo? Addirittura si presenta in Senato, prende parte alla seduta, indica e marchia con lo sguardo chi ha destinato alla morte. E noi, uomini di coraggio, crediamo di fare abbastanza per lo Stato se riusciamo a schivare i pugnali di un pazzo! A morte, Catilina, già da tempo dovevamo condannarti per ordine del console e ritorcerti addosso la rovina che da tempo prepari contro noi tutti! >3> Ma come? Un uomo della massima autorità come Publio Scipione, il pontefice massimo, fece uccidere senza mandato pubblico Tiberio Gracco, che minacciava solo in parte la stabilità dello Stato, e noi consoli dovremo continuare a sopportare Catilina, smanioso di distruggere, di mettere a ferro e a fuoco il mondo intero? Non voglio ricordare il passato, episodi come quello di Caio Servilio Ahala che uccise con le sue mani Spurio Melio, il rivoluzionario. Ci fu, ci fu un tempo tanto valore nello Stato che uomini impavidi punivano il concittadino ribelle con maggiore severità del più implacabile dei nemici! Abbiamo un decreto senatoriale contro di te: è di estrema durezza. Allo Stato non mancano né l'intelligenza né la fermezza dell'ordine senatorio: manchiamo noi, noi, i consoli, lo dico apertamente.

>II 4> Decretò un tempo il Senato di affidare al console Lucio Opimio il compito di vigilare sulla sicurezza dello Stato. Non passò una notte e fu soppresso Caio Gracco, per quanto suo padre, suo nonno e i suoi avi fossero stati uomini gloriosi, solo perché era sospettato di sovversione; anche l'ex console Marco Fulvio fu ucciso insieme ai figli. Con un analogo decreto senatoriale furono affidati i pieni poteri ai consoli Caio Mario e Lucio Valerio. Si ritardò forse di un solo giorno l'esecuzione del tribuno della plebe Lucio Saturnino e del pretore Caio Servilio? Eppure da venti giorni lasciamo che si spunti la lama del potere senatoriale. Anche noi disponiamo di un decreto del Senato, ma è chiuso in archivio, come una spada nel fodero. In applicazione a questo decreto dovresti essere già morto, Catilina. Invece sei vivo. Sei vivo non per rinunciare alla tua folle impresa, ma per portarla avanti! Desidero, padri coscritti, esser clemente. Ma non desidero che si pensi che sottovaluto la situazione di estremo pericolo in cui versa lo Stato: perciò, sono il primo ad accusarmi di inerzia e di debolezza. >5> In Italia, nelle gole dell'Etruria, c'è un esercito accampato contro il popolo romano. Cresce di giorno in giorno il numero dei nemici. Ma il capo di quell'esercito, il comandante dei nemici lo vediamo dentro le nostre mura, anzi, eccolo qui in Senato a preparare, giorno dopo giorno, la rovina interna dello Stato. Se, Catilina, subito ordinassi il tuo arresto e la tua condanna a morte, probabilmente dovrei temere di essere criticato da tutti gli onesti per i miei indugi, non per la mia inflessibilità.

Se, però, non mi decido ancora a fare quel che già da tempo era necessario, ho le mie buone ragioni. Morirai solo quando non ci sarà un uomo così corrotto, così perduto, così simile a te da non ammettere che ho agito secondo la legge. >6> Finché esisterà qualcuno che avrà il coraggio di difenderti, vivrai, sì, ma così come stai vivendo adesso: assediato dalle mie guardie, forti e numerose, che ti impediranno di attentare allo Stato. E poi, gli occhi, le orecchie di molti ti spieranno, ti sorveglieranno così come hanno fatto finora. E tu non te ne accorgerai.

>III> Allora, Catilina, cosa aspetti ancora se il buio della notte non può nascondere le tue empie riunioni, se neppure le pareti di un'abitazione privata possono contenere le voci della congiura, se tutto emerge, viene alla luce? Cambia idea ormai, dammi retta; dimentica massacri e incendi. Sei braccato da ogni parte. Tutto il tuo piano ci è più chiaro della luce del sole. Se vuoi, ripercorriamolo insieme.

>7> Ricordi? Il 21 ottobre ho dichiarato in Senato che in un giorno ben preciso, cioè il 27 ottobre, Caio Manlio, tuo complice e collaboratore in questa pazzia, avrebbe dato inizio alla rivolta armata. Mi sono forse sbagliato, Catilina, non dico su un'azione di tali proporzioni, così atroce e incredibile, ma, cosa molto più sorprendente, sulla sua data? Sono stato sempre io a denunciare in Senato che avevi stabilito di massacrare gli aristocratici il 28 ottobre, giorno in cui molti dei principali cittadini sono fuggiti da Roma non per cercare scampo, ma per fermare i tuoi piani. Puoi forse negare che proprio quel giorno, bloccato dalle mie misure difensive, non hai potuto attentare allo Stato? E quel giorno non dicevi che ti saresti accontentato di uccidere me, che ero rimasto, mentre tutti gli altri erano partiti? >8> E quando eri convinto di occupare Preneste di notte, con un colpo di mano, il 1° novembre, non ti sei accorto che, su mio ordine, quella colonia aveva ricevuto i rinforzi della mia guarnigione, delle mie guardie, delle mie sentinelle? Nulla di quanto fai, ordisci, mediti, sfugge alle mie orecchie e ai miei occhi, tanto meno alla mia mente.

>IV> Rievochiamo insieme i fatti dell'altra notte: capirai subito che sono più risoluto io nel vegliare sulla sicurezza dello Stato che tu sulla sua rovina. Denuncio che l'altra notte ti sei recato in via dei Falcarii (non lascerò nulla nell'ombra) in casa di Marco Leca, dove si erano riuniti molti complici della tua pazzia, della tua scelleratezza. Osi negarlo? Perché taci? Te lo dimostrerò, se neghi. Vedo, infatti, che sono qui in Senato alcuni uomini che erano con te. >9> O dèi immortali! In che parte del mondo ci troviamo? Che governo è il nostro? In che città viviamo? Qui, sono qui in mezzo a noi, padri coscritti, in questa assemblea che è la più sacra, la più autorevole della terra, individui che meditano la morte di tutti noi, la fine di questa città o piuttosto del mondo intero. Io, il console, li vedo e chiedo il loro parere su questioni politiche: uomini che bisognava fare a pezzi con la spada, non li ferisco nemmeno con la parola.

Così, Catilina, sei stato da Leca, quella notte. Hai diviso l'Italia tra i tuoi; hai stabilito la destinazione di ciascuno; hai scelto chi lasciare a Roma e chi condurre con te; hai fissato quali quartieri della città dovevate incendiare; hai confermato la tua partenza imminente; hai detto che avresti aspettato ancora un po' perché ero vivo. Sono stati trovati due cavalieri disposti a liberarti di questa incombenza e a prometterti di uccidermi nel mio letto, quella notte stessa, poco prima dell'alba. >10> Ho saputo tutto non appena avete sciolto la riunione. Allora ho protetto, difeso casa mia con misure più efficaci; non ho fatto entrare chi, al mattino, avevi inviato a salutarmi: avevo del resto preannunciato a molti autorevoli cittadini che, per quell'ora, costoro si sarebbero recati da me.

>V> Se le cose stanno così, Catilina, porta a termine quanto hai cominciato! Lascia una buona volta la città! Le porte sono aperte. Vattene! L'accampamento di Manlio, il tuo accampamento, da troppo tempo aspetta te, suo generale. Porta via anche tutti i tuoi; se non tutti, quanti più puoi. Purifica la città! Mi libererai da una grande paura quando ci sarà un muro tra me e te. Non puoi più stare in mezzo a noi! Non intendo sopportarlo, tollerarlo, permetterlo.

>11> Dobbiamo grande riconoscenza agli dèi immortali e a Giove Statore, antichissimo custode della nostra città, per essere sfuggiti ormai molte volte a un flagello così spaventoso, orribile, abominevole per lo Stato. Un solo individuo non dovrà più metterne a repentaglio l'esistenza. Finché, Catilina, hai attentato alla mia vita, quando ero console designato, mi sono difeso ricorrendo a misure private, non alla forza pubblica. Quando poi, in occasione degli ultimi comizi consolari, in pieno Campo Marzio hai cercato di uccidere me, il console, e i tuoi competitori, ho sventato i tuoi tentativi criminali con la protezione e la forza di amici, senza suscitare disordini pubblici. Infine, tutte le volte che hai sferrato un colpo contro di me, l'ho parato con le mie forze: eppure vedevo che la mia fine avrebbe comportato una grave calamità per lo Stato. >12> Ma ormai attacchi apertamente tutto lo Stato; vuoi portare alla totale distruzione i templi degli dèi immortali, gli edifici di Roma, la vita di tutti i cittadini, l'Italia intera. Perciò, dal momento che non oso ancora fare quel che sarebbe urgente e rientrerebbe nei poteri della mia carica e nella tradizione degli antenati, prenderò un provvedimento meno severo, ma più utile alla sicurezza comune. Se infatti ti condannerò a morte, rimarrà nello Stato il gruppo dei congiurati. Ma se tu, come ti esorto da tempo, te ne andrai, la città si libererà dei tuoi numerosi e infami complici, fogna dello Stato. >13> E allora, Catilina? Esiti a fare su mio ordine quel che stavi per fare di tua volontà? Il console ingiunge al nemico di lasciare la città. «È esilio», mi chiedi? No, non te lo posso ordinare, ma, se vuoi il mio parere, te lo suggerisco.

>VI> Del resto, Catilina, cosa può ancora piacerti in questa città, dove non c'è nessuno che non ti tema, nessuno che non ti detesti, tranne gli uomini perduti che aderiscono alla tua congiura? Quale marchio di degradazione morale non è impresso a fuoco sulla tua vita? Quali scandali privati non si legano al tuo nome? Quale oscenità si è mai tenuta lontana dai tuoi occhi, quale delitto dalle tue mani, quale indecenza dal tuo corpo? C'è giovane, da te irretito nei piaceri della depravazione, a cui tu non abbia consegnato il pugnale dell'omicidio o la fiaccola di amori perversi? >14> E ancora: poco tempo fa, quando ti sei sbarazzato della tua prima moglie per poterti risposare, non hai forse aggiunto a questo un secondo inconcepibile delitto? Non intendo soffermarmi; preferisco tacere perché non sembri che nella nostra città è stato commesso un crimine tanto immane ed è rimasto impunito. Non intendo parlare del tuo dissesto finanziario, che sentirai pesarti addosso alla prossima scadenza dei debiti. Vengo piuttosto a fatti che non riguardano i vergognosi vizi della tua vita privata, né le tue difficoltà economiche, né la tua immoralità, ma gli interessi superiori dello Stato, la vita e la sicurezza di tutti noi.

>15> Come puoi apprezzare, Catilina, la luce o l'aria di questo cielo quando sai che nessuno dei presenti ignora che il 31 dicembre dell'anno del consolato di Lepido e Tullo ti sei presentato armato nel comizio, che avevi predisposto un gran numero di uomini per uccidere i consoli e i maggiori esponenti della città e che alla tua folle impresa non si è opposto un tuo ripensamento o una tua paura, ma la Fortuna del popolo romano? Ebbene, sorvolo anche su questi fatti: non sono ignoti e in seguito ne hai commessi molti altri. Quante volte hai attentato alla mia vita quando ero console designato! Quante volte quando ero entrato in carica! A quanti attacchi sono sfuggito con un leggero scarto del corpo, come si dice, ed erano diretti in modo da sembrare infallibili! Non concludi nulla, non ottieni nulla, eppure non desisti dal tentare e dal volere. >16> Quante volte ormai questo pugnale ti è stato strappato dalle mani! Quante volte, per caso, ti è caduto, ti è scivolato a terra! [ma non te ne stacchi neppure un momento] A quali misteri tu lo abbia consacrato e dedicato io non so, dal momento che ritieni inevitabile piantarlo nel corpo del console. >VII> Dimmi: che vita è adesso la tua? Ti parlerò, ormai, non come se fossi mosso dall'odio, eppure dovrei, ma da una compassione di cui non sei affatto degno. Poco fai sei venuto in Senato. In un'assemblea così affollata, tra tanti amici e conoscenti, chi ti ha salutato? Se, a memoria d'uomo, nessuno è stato mai trattato così, ti aspetti forse parole di ingiuria quando già sei schiacciato dal durissimo giudizio del silenzio? Che dire di più? Al tuo arrivo questi seggi si sono svuotati. Non appena hai preso posto, tutti gli ex consoli, che tu hai condannato a morte tante volte, hanno lasciato vuoto, deserto questo settore dei banchi. Insomma, con che animo pensi di sopportare?

>17> Se, ai miei servi, incutessi tanta paura quanta tu ne incuti alla cittadinanza intera, riterrei inevitabile lasciare la mia casa. E tu non pensi di dover lasciare la città? Se poi mi accorgessi di essere, anche a torto, gravemente sospettato e disprezzato dai miei concittadini, preferirei sottrarmi alla loro vista piuttosto che essere oggetto di sguardi di disapprovazione. Tu, invece, che sei consapevole dei tuoi crimini e riconosci che l'odio di tutti è giusto e meritato da tempo, esiti a sottrarti alla vista, alla presenza di chi ferisci nella mente e nel cuore? Se i tuoi genitori provassero paura di te e ti odiassero, se tu non potessi in alcun modo riconciliarti con loro, scompariresti dalla loro vista, immagino. Ora a odiarti e ad aver paura di te è la patria, madre comune di tutti noi, e già da tempo ritiene che tu non mediti altro che la sua morte. E tu non rispetterai la sua autorità, non seguirai il suo giudizio, non avrai paura della sua forza? >18> Catilina! La patria ti si presenta innanzi e, senza bisogno di parole, ti dice: «Da anni, ormai, non c'è delitto che non sia stato commesso se non da te, non c'è scandalo senza di te. Per te soltanto il massacro di molti cittadini, per te ruberie e soprusi a danno degli alleati sono state azioni libere e impunite. Tu non solo sei stato capace di trasgredire alla legge e alla giustizia, ma addirittura di sovvertirle, di annientarle. Sono cose del passato. Benché non fossero tollerabili, tuttavia le ho sopportate, come ho potuto. Ora, però, che io sia completamente terrorizzata solo a causa tua, che si tema Catilina al minimo rumore, che si abbia l'impressione che qualsiasi complotto contro di me non sia alieno dalla tua mente criminale, ebbene non intendo sopportarlo! Perciò vattene e liberami da questa paura, perché non ne sia schiacciata, se è vera, o smetta di temere, se è infondata!».

>VIII 19> Se la patria, come ho detto, ti parlasse così, non dovresti obbedirle anche se non potesse ricorrere alla forza?

Cosa dici? Ti sei consegnato agli arresti domiciliari? Hai chiesto di andare ad abitare da Lepido per evitare i sospetti? Respinto da Lepido, hai osato venire addirittura da me e mi hai pregato di tenerti agli arresti in casa mia. Ma anche da me hai ricevuto la stessa risposta: non mi sarei sentito per nulla al sicuro a dividere con te le stesse pareti domestiche, quando già corriamo gravi pericoli dentro le mura della stessa città. Ti sei rivolto allora al pretore Quinto Metello. Rifiutato pure da lui, ti sei rivolto al tuo amico Marco Metello, un uomo davvero eccellente, che tu giudicavi, evidentemente, il più scrupoloso nel sorvegliarti, il più acuto nel sospettarti, il più severo nel punirti. Ma chi ritiene di dover meritare gli arresti, non sembra ben lontano dal dover essere condannato al carcere? >20> Poiché le cose stanno così, Catilina, se non sai rassegnarti a morire, cosa aspetti a espatriare, a consegnare all'esilio e alla solitudine una vita sottratta a molte, giuste, meritate pene?

«Fai un rapporto al Senato», dici. È questo che chiedi e ti dichiari pronto a obbedire se il Senato decidesse di esiliarti. Non lo presenterò: sarebbe incompatibile col mio carattere. Tuttavia ti farò capire cosa pensano di te i presenti. Vattene dalla città, Catilina! Libera lo Stato dal terrore! Se non aspetti che questa parola, parti in esilio! E allora? Non vedi, non ti accorgi del loro silenzio? Sopportano, tacciono. Perché attendi la conferma della parola, quando ti è chiaro il significato del loro silenzio? >21> Se avessi rivolto le stesse parole a un giovane perbene come Publio Sestio, qui presente, o a un uomo così valoroso come Marco Marcello, il Senato, a ragione, mi avrebbe subito attaccato, assalito con la forza, benché sia console, anche in un luogo sacro come questo. Ma nel tuo caso, Catilina, la loro calma è un'approvazione, la loro sopportazione un giudizio, il loro silenzio un grido. Il che vale per i senatori, la cui autorità ti è certamente cara, ma della cui vita non hai il minimo rispetto, ma vale anche per i cavalieri, uomini del massimo onore e valore, e per tutti gli altri coraggiosi cittadini che circondano il Senato. Hai potuto vedere quanti sono, capirne le intenzioni e, poco fa, udirne le voci. A stento trattengo da te le loro mani e le loro armi, ma facilmente li convincerei ad accompagnarti sino alle porte della città se ti decidessi a lasciare questi luoghi che da tempo vuoi distruggere.

>IX 22> Ma a che servono le mie parole? A piegarti, in qualche modo? A farti ricredere? A indurti a preparare la fuga, a pensare all'esilio? Potessero gli dèi immortali ispirarti tali propositi! Ma non mi illudo: se tu decidessi di andare in esilio spaventato dal mio discorso, una tremenda tempesta di impopolarità si abbatterebbe su di me, se non subito, essendo vivo il ricordo dei tuoi crimini, certamente in futuro! Ma è il prezzo da pagare, purché tale calamità ricada su me solo e non comporti pericoli per lo Stato. Non è il caso di chiederti di provar rimorso per i tuoi vizi, di temere le pene previste dalla legge, di avere dei ripensamenti di fronte alle difficoltà in cui versa lo Stato. Non sei infatti il tipo, Catilina, da astenerti dall'infamia per pudore, dal pericolo per paura, dalla follia per ragionevolezza. >23> Perciò parti, te l'ho ripetuto più volte, e se vuoi scatenarmi contro la disapprovazione pubblica, perché sono un tuo nemico, come affermi, vattene dritto in esilio! Non mi sarà facile sopportare le critiche della gente, se lo farai; non mi sarà facile sostenere il peso dell'impopolarità, se andrai in esilio per ordine del console. Ma se preferisci contribuire alla mia lode e gloria, vattene con quell'infame branco di scellerati, raggiungi Manlio, chiama alla rivolta i cittadini disperati, sepàrati dagli onesti, dichiara guerra alla patria, esulta nel tuo empio banditismo! Non sembrerà, allora, che io ti abbia cacciato tra stranieri, ma che ti abbia invitato a raggiungere i tuoi.

>24> Invitarti? E perché dovrei farlo, quando so che hai già mandato alcuni ad aspettarti armati a Foro Aurelio? E che hai stabilito con Manlio la data del vostro incontro? E che hai inviato anche quell'aquila d'argento che mi auguro porti la rovina, la morte a te e a tutti i tuoi, quell'aquila cui hai eretto un sacello scellerato in casa tua? Puoi privartene per un po' tu che avevi l'abitudine di adorarla prima di andare ad ammazzare qualcuno, tu che muovevi la destra sacrilega dal suo altare per abbatterla su un cittadino?

>X 25> Raggiungerai una buona volta il luogo dove da tempo ti spinge questa tua smania sfrenata e assurda! Il che non ti arreca dispiacere, ma una sorta di incredibile voluttà. A una tale follia ti ha generato la natura, ti ha esercitato la volontà, ti ha preservato la sorte! Non hai mai desiderato la pace, ma neppure la guerra, a meno che non fosse illecita. Hai trovato per caso un gruppo di delinquenti, gente perduta, dimenticata non solo dal destino, ma anche dalla speranza. >26> Che gioia proverai con loro! Di quale piacere sarai pervaso! Quale delirante ebbrezza ti prenderà quando, tra tanti complici, non sentirai né vedrai un solo uomo onesto! In ossequio a questa vita si produssero gli sforzi di cui si parla: giacere sulla nuda terra per preparare una violenza, anzi, per commettere un delitto, passare la notte a insidiare il sonno dei mariti, anzi, i beni dei pacifici cittadini. Hai l'occasione di mostrare la tua famosa resistenza alla fame, al freddo, alle privazioni che tra poco, te ne accorgerai, ti stroncheranno. >27> Ho ottenuto almeno questi due risultati, impedendo la tua elezione a console: puoi, attaccare lo Stato da esule, ma non puoi sovvertirlo da console; il tuo tentativo scellerato è chiamato banditismo, non guerra.

>XI>Ora, padri coscritti, ascoltate con attenzione le mie parole, vi prego, e fissatele nel profondo del vostro animo, perché io possa stornare da me il rimprovero, giusto in un certo senso, che la patria potrebbe rivolgermi. Se la patria, che mi è molto più cara della vita, se l'Italia intera, se la repubblica mi dicessero: «Marco Tullio, che fai? Hai scoperto che costui è un nemico, intuisci che sarà lui a condurre la guerra, sai che è atteso come comandante supremo nel campo nemico, che è l'ideatore del crimine, il capo della congiura, l'istigatore degli schiavi e l'agitatore dei cittadini perduti. Lo lascerai partire? Darai l'impressione di non averlo espulso da Roma, ma di averlo spinto contro Roma? Non darai l'ordine di arrestarlo, di trascinarlo al supplizio, di punirlo con la morte? >28> Che cosa te lo impedisce? La tradizione degli avi? Eppure più volte, in questo Stato, sono stati condannati a morte dei cittadini pericolosi senza mandato pubblico. O te lo impediscono le leggi sull'esecuzione capitale dei cittadini romani? Eppure, a Roma, i ribelli non hanno mai conservato i diritti civili! O temi la disapprovazione dei posteri? Dimostri davvero profonda riconoscenza verso il popolo romano - che, magistratura dopo magistratura, ben presto ha elevato al consolato te, un uomo che si distingueva solo per i suoi meriti, ma era privo della garanzia di una famiglia nobile - se per paura di diventare impopolare o di correre dei rischi trascuri la salvezza dei tuoi concittadini. >29> Ma se il timore di subire una tale impopolarità è fondato, devi forse temere di esser criticato più per la tua inflessibilità che per la tua debolezza? O ti illudi di sottrarti alle fiamme dell'impopolarità quando l'Italia sarà devastata dalla guerra, le città sconvolte, le case bruciate?». >XII> Alle autorevolissime parole della repubblica e agli uomini che condividono queste idee risponderò brevemente. Io, padri coscritti, se avessi pensato che la scelta migliore da farsi fosse di mandare a morte Catilina, non avrei permesso a un delinquente come lui di vivere un'ora di più. Se infatti i cittadini più autorevoli e illustri non si sono macchiati del sangue di Saturnino, dei Gracchi, di Flacco e di tanti altri in passato, se, al contrario, si sono coperti di onore, certamente non avrei dovuto temere che la disapprovazione dei posteri ricadesse su di me per aver eliminato uno che assassina i suoi concittadini. E se anche corressi un tale pericolo, non cambierei idea: l'impopolarità nata dal valore è gloria, non impopolarità.

>30> Eppure ci sono alcuni, qui in Senato, che non vedono cosa sta per abbattersi su di noi oppure fingono di non vedere quel che hanno sotto gli occhi; alcuni che hanno alimentato con la condiscendenza le aspettative di Catilina e rafforzato con l'incredulità una congiura nascente! Facendosi scudo dell'autorità di questi, molti, non solo disonesti, ma anche ingenui, avrebbero detto che agivo con la crudeltà di un tiranno se lo avessi punito. Ma ora mi rendo conto che se Catilina raggiungerà l'accampamento di Manlio, dove intende dirigersi, nessuno sarà così stupido da non capire che è stata organizzata una congiura, nessuno sarà così disonesto da non ammetterlo. E se lui solo verrà ucciso, mi rendo conto che riusciremo a contenere questo flagello per un po', ma non a debellarlo per sempre. Se invece partirà, se si porterà dietro i suoi, se riunirà nella stessa località tutti gli altri disperati che ha raccolto da ogni dove, non solo verrà completamente estirpato il flagello che è tanto cresciuto nello Stato, ma pure la radice e il seme di ogni male.

>XIII 31> Da molto tempo, padri coscritti, siamo in balia dei pericoli e delle insidie della congiura, ma, non so come, il culmine di ogni scelleratezza, di antiche e folli ribellioni è stato raggiunto nel periodo del mio consolato. Se, di questa banda, soltanto lui verrà eliminato, forse per qualche tempo crederemo di esserci liberati dall'angoscia e dalla paura; ma il pericolo rimarrà, nascosto nelle vene e nelle viscere dello Stato. Come spesso i malati gravi, quando sono assaliti dalle vampate della febbre, credono di trovar ristoro bevendo acqua gelida, ma finiscono per aggravarsi, così la malattia che colpisce lo Stato sarà alleviata con la condanna di Catilina, ma si aggraverà se sarà concessa agli altri la vita.

>32> Perciò se ne vadano i colpevoli! Si separino dagli onesti! Si raccolgano in uno stesso luogo! Un muro, infine, li divida da noi, come ho detto più volte! Smettano di attentare alla vita del console nella sua casa, di accalcarsi intorno al palco del pretore urbano, di assediare, armi un pugno, la Curia, di preparare proiettili e torce per incendiare la città! Insomma, ciascuno porti scritta in fronte la sua opinione politica! Questo vi prometto, padri coscritti: ci sarà tanto impegno in noi consoli, tanta autorità in voi senatori, tanto valore nei cavalieri, tanta unanimità in tutti i cittadini onesti che, con la partenza di Catilina, vedrete ogni cosa svelata, messa in luce, repressa, punita. >33> Con questi presagi, Catilina, per la salvezza suprema dello Stato, perché tu e coloro che si sono legati a te in ogni crimine e omicidio andiate incontro alla morte più orrenda, parti per la tua guerra empia e nefasta! Tu, Giove, il cui culto fu istituito da Romolo con gli stessi auspici con cui fondò Roma, tu che a ragione sei chiamato protettore di questa città e dell'impero, difendi da questo individuo e dai suoi complici i templi tuoi e degli altri dèi, le case e le mura della città, la vita e i beni di tutti i cittadini! Punisci con supplizi eterni, nella vita e nella morte, questi uomini avversari degli onesti, nemici della patria, predoni dell'Italia, che un patto criminoso e una complicità di morte hanno legato insieme!



§%@CONTRO L. CATILINA II




>I 1> Finalmente, Quiriti, Lucio Catilina, pazzo nella sua audacia, ansante nel suo crimine, empiamente teso a ordire la rovina della patria, a minacciare col ferro e col fuoco voi e questa città, lo abbiamo cacciato da Roma, o, se volete, lo abbiamo lasciato partire, o, meglio ancora, lo abbiamo accompagnato alla partenza con i nostri saluti. È andato, partito, fuggito, sparito. Quell'essere spaventoso non provocherà più alcuna catastrofe dentro le mura contro le stesse mura! Lui, il solo capo della guerra civile, lo abbiamo vinto: non ci sono dubbi. Il suo pugnale non ci insidierà più al fianco. Nel Campo Marzio, nel Foro, nella Curia, tra le pareti domestiche non saremo più in preda al terrore. Cacciandolo dalla città, gli abbiamo fatto perdere la sua posizione. Apertamente, ormai, combatteremo contro il nemico una guerra regolare: nessuno ce lo impedirà. È indiscutibile che lo abbiamo annientato con una vittoria strepitosa, costringendolo a uscire da trame occulte e a portare allo scoperto la sua azione di bandito. >2> Non ha levato in alto una spada lorda di sangue, come voleva. Se n'è andato e noi siamo vivi. Gli abbiamo strappato il ferro dalle mani. Ha lasciato incolumi i cittadini e in piedi la città. Vi rendete conto di come sia abbattuto, prostrato da questa delusione? Ora è a terra vinto, Quiriti, si sente colpito e annientato e di certo volge spesso gli occhi a questa città che gli è stata strappata dalle fauci e se ne dispera. Ma la città mi sembra lieta di aver vomitato un male così grande, di averlo espulso da sé.

>II 3> Se, poi, a proposito del motivo per cui le mie parole esultano e trionfano, qualcuno, spinto da sentimenti che dovrebbero essere unanimi, mi accusasse duramente di non aver fatto arrestare un nemico così mortale, ma di averlo lasciato partire, gli risponderei che la responsabilità non è mia, Quiriti, ma delle circostanze. Da tempo si doveva eliminare Lucio Catilina, condannarlo alla pena capitale: me lo chiedevano la tradizione avita, l'autorità dei miei poteri e l'interesse dello Stato. Ma quanti non avrebbero creduto ai fatti che denunciavo? Provate a pensarlo! Quanti li avrebbero persino giustificati? [Quanti li avrebbero sottovalutati per stoltezza?] [Quanti li avrebbero favoriti per disonestà?] Ma se, eliminato lui, mi fossi convinto di stornare da voi ogni pericolo, da tempo avrei ucciso Lucio Catilina non solo a rischio di suscitare la vostra disapprovazione, ma anche a rischio della mia vita. >4> Mi rendevo conto, però, che se lo avessi condannato a morte, come meritava, quando neppure per tutti voi il fatto era provato, non avrei potuto perseguire i suoi complici sotto il peso dell'impopolarità. Allora ho agito in modo che voi poteste combatterlo apertamente, perché vi era chiaro chi fosse il nemico. E quanto io ritenga temibile un nemico che non è più qui, potete capirlo, Quiriti, dal dispiacere che provo nel constatare che è partito dalla città con pochi uomini. Magari avesse portato con sé tutte le forze! Invece mi ha portato via Tongilio, che indossava ancora la pretesta quando si invaghì di lui, Publicio e Minucio, indebitati a tal punto nelle bettole da non poter scatenare nessuna rivoluzione! Che uomini ha lasciato! Con che debiti! Che nomi autorevoli e illustri!

>III 5> E così, se confronto il suo esercito con le nostre legioni stanziate in Gallia, con gli uomini arruolati da Quinto Metello nel Piceno e in Gallia, con le truppe che addestriamo ogni giorno, non nutro che profondo disprezzo per quell'accozzaglia di vecchi disperati, di spacconi di campagna, di falliti di provincia, di gente che ha preferito disertare il tribunale per debiti piuttosto che un simile esercito. Basterà che li metta di fronte non dico ai nostri soldati, ma all'editto del pretore, e crolleranno tutti.

Questi qui, invece, che vedo aggirarsi nel Foro, stare davanti alla Curia o addirittura presentarsi in Senato, che brillano di unguenti e sono smaglianti nella loro porpora, avrei preferito che se li fosse portati dietro come soldati. Se rimangono qui, ricordatevelo, questi che hanno disertato l'esercito saranno ben più temibili dell'esercito stesso di Catilina! E bisogna temerli in misura maggiore perché non ignorano che io sono a conoscenza dei loro complotti, ma restano imperturbabili. >6> So a chi è stata assegnata la Puglia, chi controlla l'Etruria, chi il Piceno, chi la Gallia, chi ha richiesto per sé l'organizzazione degli attentati in città, cioè stragi e incendi. Sanno che mi sono stati riferiti tutti i loro programmi dell'altra notte: li ho denunciati in Senato, ieri. Persino Catilina è stato preso dal panico, è fuggito. E loro, che cosa aspettano? Sbagliano davvero se si illudono che l'indulgenza che ho mostrato in passato sia eterna!

>IV> Quel che mi ero proposto, ormai l'ho conseguito: avete perfettamente chiaro che è stata organizzata una congiura contro lo Stato. O qualcuno ritiene che gli amici di Catilina nutrano altri propositi? Ormai non c'è più posto per l'indulgenza! È la situazione a richiedere fermezza. Farò solo una concessione: se ne vadano, partano, non lascino che Catilina si strugga nella loro mancanza! Mostrerò la strada. È partito per la via Aurelia; se si sbrigano, lo raggiungeranno verso sera. >7> Che fortuna per lo Stato, se si libererà da questa fogna! Gli è bastato ripulirsi solo di Catilina e mi sembra abbia acquistato serenità, fiducia. Quale delitto, quale crimine è possibile pensare, immaginare che Catilina non abbia compiuto? C'è, in tutt'Italia, avvelenatore, assassino, bandito, sicario, omicida, falsificatore di testamenti, truffatore, dissoluto, scialacquatore, adultero, prostituta, corruttore della gioventù, corrotto, vizioso che non ammetta di essere stato intimo amico di Catilina? Quale assassinio, in questi anni, è stato compiuto senza di lui? Quale nefanda violenza se non per mano sua? >8> Chi mai ha esercitato un simile potere di seduzione sulla gioventù? Amava gli uni nel modo più turpe, serviva gli altri in ignominiosi desideri, prometteva agli uni il frutto delle passioni, agli altri la morte dei genitori: lo faceva non solo con la promessa, ma anche con l'aiuto materiale. E adesso, con che rapidità è riuscito a raccogliere un gran numero di disperati dalla città e addirittura dalla campagna! Chiunque fosse oberato di debiti, a Roma come in ogni angolo d'Italia, lui lo ha fatto entrare in questa inaudita congrega di criminali.

>V 9> E perché possiate farvi un'idea della sua versatilità in campi diversi, nelle palestre non c'è gladiatore un po' più temerario nell'azione che non confessi di essere amico di Catilina; sulla scena, non c'è attore un po' più infido e depravato che non affermi di essere quasi un suo compagno. E lui, abituato dalla pratica di violenze e crimini a sopportare freddo, fame, sete e veglie, si è conquistato la fama di duro proprio tra questi individui, consumando le risorse della sua intraprendenza e le sue forze interiori nel sesso e nel delitto. >10> Se i suoi complici lo avessero seguito, se le infami schiere di questi disperati avessero lasciato Roma, che gioia per noi, che fortuna per lo Stato e che magnifica gloria per il mio consolato! Le loro passioni, infatti, superano ormai la misura. La loro sfrontatezza non è umana, non è sopportabile. Stragi, incendi, rapine sono il loro unico pensiero. Hanno sperperato patrimoni, hanno ipotecato beni; da tempo hanno perso le sostanze, ora iniziano a perdere il credito; ma rimane in loro quella smania di godere che avevano nell'abbondanza. Se nel vino e nel gioco non cercassero che baldorie e prostitute, sarebbero dei casi disperati, eppure sopportabili. Ma chi potrebbe sopportare che degli inetti complottino contro gli uomini più validi, i più stupidi contro i più savi, gli ubriachi contro i sobri, gli storditi contro gli svegli? Individui che bivaccano nei conviti, che stanno allacciati a donne svergognate, che illanguidiscono nel vino, pieni di cibo, incoronati di serti, cosparsi di unguenti, debilitati dalla copula, vomitano a parole che bisogna far strage dei cittadini onesti e incendiare la città. >11> Sono sicuro che sul loro capo incombe un funesto destino e che sia imminente o per lo meno si stia avvicinando quel castigo che da tempo hanno meritato per la loro disonestà, dissolutezza, delinquenza e depravazione. Se il mio consolato, dal momento che non può farli ravvedere, li eliminerà, prolungherà la vita dello Stato non di qualche giorno, ma di molti secoli. Non c'è infatti nazione che temiamo, non c'è re che sia in grado di muovere guerra al popolo romano; all'estero tutto è in pace, per terra e per mare, grazie al valore di un solo uomo. Rimane la guerra civile: è all'interno che stanno i complotti, è all'interno, nel profondo, che sta il pericolo; è all'interno che sta il nemico. Bisogna combattere contro il vizio, contro la follia, contro il delitto. È questa guerra, Quiriti, che mi impegno a condurre, esponendomi all'odio di uomini perduti; risanerò in qualunque modo quel che potrà essere risanato; non permetterò che rimanga a danno della comunità quel che va reciso di netto. Perciò, se ne vadano oppure se ne stiano tranquilli, o, se rimangono in città e non mutano proposito, si aspettino quel che si meritano!

>VI 12> Ma c'è anche chi sostiene, Quiriti, che sono stato io a mandare in esilio Catilina. Se potessi ottenere un simile risultato con la parola, manderei in esilio proprio chi avanza simili insinuazioni. Un uomo così timoroso, così pieno di moderazione come Catilina non ha saputo sopportare la voce del console! Non appena gli è stato ordinato di andare in esilio, ha obbedito. Ma ascoltate: ieri, dopo aver rischiato la vita in casa mia, ho convocato il Senato nel tempio di Giove Statore e ho illustrato tutta la situazione ai senatori. Quando Catilina si è presentato, quale senatore gli ha rivolto la parola? Chi lo ha salutato? Chi non lo ha guardato come si guarda un cittadino corrotto, che dico, il peggior nemico? Non solo: i principali esponenti dell'ordine senatorio hanno lasciato completamente sgombro il settore dei seggi a cui lui si era avvicinato. >13> Allora io, il console famoso per la sua veemenza, io che con una parola esilio i cittadini, ho chiesto a Catilina se avesse partecipato alla riunione notturna in casa di Marco Leca o no. Poiché lui, che non ha eguali per sfrontatezza, ma era colpevole di fronte a se stesso, dapprima taceva, ho reso pubblico tutto il resto; ho denunciato che cosa avesse fatto quella notte, cosa avesse stabilito per la notte seguente, come avesse programmato tutta la guerra. Lui esitava, era confuso: allora gli ho chiesto perché non si decideva a raggiungere il luogo dove già da tempo aveva stabilito di recarsi, dove, come sapevo, si era fatto precedere da armi, scuri, fasci consolari, trombe, insegne militari e quell'aquila d'argento cui aveva dedicato un sacello in casa sua.

>14> Ho esiliato chi vedevo già muovere guerra? Ma sì, non ci sono dubbi! Questo centurione, Manlio, che ha accampato l'esercito presso Fiesole, a suo nome ha dichiarato guerra al popolo romano! E questo famoso accampamento non sta aspettando Catilina a comandarlo! E Catilina, condannato all'esilio, si sta dirigendo a Marsiglia, come dicono, e non a Fiesole!

>VII> Compito ingrato governare lo Stato, ma anche salvarlo! Ora, se Lucio Catilina, sentendosi braccato, ridotto all'impotenza dai miei provvedimenti, dai miei sforzi e dai rischi che corro, avrà di colpo paura, muterà avviso, lascerà i suoi, rinuncerà all'idea di far guerra, abbandonerà la strada del crimine e del conflitto per darsi alla fuga, all'esilio, non si dirà che sono stato io a strappargli le armi di un'impresa folle, che sono stato io, con la mia sorveglianza, ad atterrirlo, a paralizzarlo, che sono stato io a vanificare le sue speranze e i suoi tentativi, ma si dirà che non ha avuto un regolare processo, che è innocente, che il console, con la violenza e le minacce, l'ha mandato in esilio. E se farà così, non mancherà chi lo giudicherà una vittima, non un colpevole, e giudicherà me il più crudele dei tiranni, non il più solerte dei consoli. >15> Eppure, Quiriti, credo che valga la pena di subire la tempesta di un'impopolarità falsa e ingiusta, purché sia allontanato da voi il pericolo di una guerra orribile e sacrilega. Si dica pure che sono stato io a scacciarlo, purché vada in esilio. Ma, credetemi, non ci andrà.

Quiriti, non chiederò mai agli dèi immortali, per liberarmi dall'impopolarità, che voi veniate a sapere che Lucio Catilina è alla testa dell'esercito nemico e si aggira armato. Eppure nell'arco di tre giorni vi giungerà questa notizia. Una cosa, tuttavia, temo molto di più: di incontrare un giorno lo sfavore pubblico perché ho permesso che partisse, non perché l'ho esiliato. Ma se c'è gente capace di dire che io l'ho bandito, mentre è partito liberamente, cosa direbbe se fosse stato ucciso? >16> Del resto, chi sostiene che Catilina è diretto a Marsiglia è più preoccupato che dispiaciuto. Nessuno di loro prova tanta pietà da preferire che vada a Marsiglia piuttosto che da Manlio! Quanto a lui, anche se non avesse mai premeditato quel che sta compiendo, preferirebbe certo morire da bandito che vivere da esiliato. Ma in questo momento, poiché finora non gli è accaduto nulla che fosse in contrasto con le sue intenzioni e i suoi progetti, se non partire da Roma lasciandomi vivo, auguriamoci che vada dritto in esilio e non lamentiamocene!

>VIII 17> Ma perché parliamo tanto di un solo nemico, per giunta un nemico che si dichiara ormai tale e che non temo, dal momento che, come ho sempre desiderato, ci tiene separati un muro? E perché, invece, non diciamo nulla di questi altri che dissimulano, che restano a Roma, che stanno in mezzo a noi? Se ci fosse una possibilità, vorrei guarirli, riconciliarli con lo Stato, non punirli. E credo che ce la farei, se solo volessero ascoltarmi. Vi mostrerò allora, Quiriti, da quali categorie di persone si compongono le forze di Catilina; poi, nei limiti del possibile, somministrerò a ciascuna la medicina del mio pensiero e della mia parola.

>18> La prima categoria è costituita da uomini che, pur gravati da ingenti debiti, dispongono di proprietà ancora più grandi da cui non possono assolutamente separarsi per un attaccamento morboso. Rientrano in questo gruppo gli uomini più rispettabili (si tratta dei possidenti, infatti), ma le loro pretese e la loro causa sono le più abiette. Tu sei ricco, sei pieno di terre, tu di case, tu di argento, tu di schiavi, tu di beni di ogni sorta ed esiti a sottrarre un nonnulla dal tuo patrimonio per guadagnare credibilità? Che cosa aspetti? Una guerra? Che cosa, allora? Pensi che nella devastazione generale i tuoi possedimenti si salveranno? O aspetti una cancellazione dei debiti? È uno sbaglio aspettarla da Catilina; sarà compito mio stabilire nuovi registri, ma con vendite all'asta. È questo, del resto, l'unico modo per salvare i possidenti. Se si fossero decisi a ricorrere a queste misure in tempo, evitando di far fronte agli usurai con il ricavato delle rendite fondiarie - che pazzia! -, avremmo in loro cittadini più ricchi e più onesti. Ma credo che questi uomini rappresentino il pericolo minore, perché è possibile farli ricredere oppure, se persistono, mi sembrano capaci di augurarsi la rovina dello Stato, ma non di prendere le armi.

>IX 19> La seconda categoria si compone di individui che, per quanto oberati dai debiti, mirano al potere, vogliono arrivare in alto e si illudono di poter conquistare con la rivoluzione quelle cariche cui non aspirerebbero in una situazione di pace interna. È mio dovere dar loro un consiglio, lo stesso che, naturalmente, darei a tutti gli altri: non sperino di poter realizzare la loro impresa. Per prima cosa, ci sono io a vigilare, a intervenire, a provvedere allo Stato. In secondo luogo, nei cittadini onesti è grande il coraggio, grande l'unanimità, grandissimo il loro numero e grandi, inoltre, le milizie. Infine, gli dèi immortali verranno in aiuto di questo popolo invitto, di questo impero glorioso, di questa città straordinaria contro l'immane violenza del male presente. Se poi riuscissero a ottenere quel che desiderano in un'estrema esaltazione, sperano forse di diventar consoli, dittatori o addirittura re sulle ceneri di Roma e sul sangue dei cittadini, come hanno bramato nella loro mente scellerata e perversa? Non si accorgono di aspirare a un potere che, se lo ottenessero, dovrebbero inevitabilmente cedere a un qualsiasi schiavo fuggitivo o a un gladiatore?

>20> La terza categoria è formata da uomini ormai anziani, ma robusti per la continua attività. Appartiene a questa categoria Manlio, cui ora subentra nel comando Catilina. Sono uomini che provengono dalle colonie fondate da Silla, abitate in prevalenza, come mi risulta, dai cittadini migliori e dagli uomini più validi; ma i coloni di cui parlo, trovandosi in un benessere insperato e improvviso, si sono dati allo sperpero e all'arroganza. Costruiscono come se fossero dei ricconi, si danno alla bella vita in proprietà modello, tra un gran numero di schiavi e in conviti sfarzosi; così, si sono riempiti di debiti al punto che, se volessero risollevarsi, dovrebbe chiamare Silla dall'aldilà! Hanno spinto anche dei contadini, gente semplice e squattrinata, a sperare in rapine come quelle del passato. Entrambi li annovero nella categoria dei ladri e dei rapinatori. Ma li avverto: smettano di delirare e di pensare a proscrizioni e dittature. Il dolore di quei giorni ha inciso così profondamente sulla collettività che non solo gli esseri umani, ma neppure le bestie, credo, ne sopporterebbero il ritorno!

>X 21> La quarta categoria è davvero varia, composita e confusa, gente da tempo rovinata che non si risolleva mai, che sotto il peso di antichi debiti vacilla per inettitudine, per incapacità di gestire i propri interessi, anche per spreco. Si dice che, stanchi di citazioni, processi, confische, affluiscano in gran numero nell'accampamento di Catilina dalla città e dalla campagna. Più che soldati coraggiosi, li considero, per i loro debiti, delle nullità. Questi individui, se non sono in grado di reggersi con le proprie forze, cadano a terra quanto prima, ma senza recar il minimo disturbo alla cittadinanza e ai loro più stretti vicini! Non capisco perché, se non sono capaci di vivere con onestà, vogliano morire nella vergogna, né perché considerino meno doloroso morire in tanti piuttosto che da soli.

>22> La quinta categoria è degli assassini, dei sicari, in una parola di tutti i delinquenti. Non li voglio staccare da Catilina, perché non sanno separarsi da lui. E allora muoiano da banditi! Sono in troppi perché il carcere possa contenerli tutti!

L'ultima categoria, poi, non solo nell'ordine, ma anche nello stile di vita, è quella cui appartiene Catilina e comprende uomini scelti da lui, diciamo meglio i suoi fidi. Li avete sotto gli occhi: senza un capello fuori posto, cosparsi di unguenti, imberbi o con la barba ben tagliata, vestiti di tuniche sino alla caviglia e con le maniche lunghe, avvolti da veli e non dalla toga. Tutta la loro energia, tutto lo sforzo di stare svegli li impiegano in bagordi notturni. >23> In questa masnada annovero tutti i giocatori d'azzardo, tutti i dissoluti e gli svergognati. Questi «fanciulli» così graziosi e delicati hanno imparato non solo ad amare e a essere amati, a danzare e cantare, ma anche a brandire pugnali e somministrare veleni. Se non se ne vanno, se non muoiono, sappiate che, anche nel caso in cui Catilina dovesse morire, rimarranno loro, i Catilina in erba! Ma, in fondo, che cosa vogliono questi pusillanimi? Portarsi dietro nell'accampamento le loro donnine? Come potranno rinunciarvi in notti così lunghe? E come affronteranno l'Appennino, con il suo gelo e la sua neve? A meno che non siano convinti di resistere all'inverno meglio degli altri perché sanno danzare nudi nei festini!

>XI 24> Che terrore di questa guerra, se Catilina disporrà di una simile coorte pretoria! Ora, Quiriti, schierate le vostre guarnigioni e i vostri eserciti contro le intrepide milizie di Catilina e, per prima cosa, opponete i vostri consoli e comandanti a quel gladiatore stremato e ferito! Fate scendere in campo il fior fiore, il nerbo dell'Italia intera contro quel pugno di naufraghi esausti, sbattuti dalle onde! Colonie e municipi sapranno senz'altro rispondere alle imboscate di Catilina! Non è il caso, poi, che confronti tutte le forze di cui disponete, i vostri equipaggiamenti e le vostre risorse alla mancanza di mezzi, alla miseria di quel bandito. >25> Ma se, tralasciando tutto ciò di cui siamo provvisti e di cui lui è privo, intendo dire il Senato, i cavalieri, la città, il tesoro pubblico, le rendite statali, l'Italia intera, tutte le province, gli stati esteri, se, tralasciando tutto ciò, volessimo confrontare semplicemente le due cause avverse, solo questo sarebbe sufficiente a farci capire quanto siano a terra! Dalla nostra parte combatte la moderazione, dalla loro l'insolenza; qui la pudicizia, là la vergogna; qui la lealtà, là l'inganno; qui il timore degli dèi, là l'empietà; qui la coerenza, là la follia; qui l'onore, là l'infamia; qui la moderazione, là la sfrenatezza; infine l'equità, la temperanza, il coraggio, la saggezza, insomma tutte le virtù combattono contro l'ingiustizia, la sfrenatezza, la viltà, la temerarietà, insomma contro tutti i vizi. Infine, la ricchezza si oppone alla povertà, l'ordine alla rivoluzione, la ragione alla pazzia e, per concludere, la speranza a una generale disperazione. In un tale conflitto, in un tale scontro, se gli sforzi umani fossero insufficienti, non interverrebbero forse gli dèi immortali a far trionfare le più nobili virtù su tanti e tali vizi?

>XII 26> Questa è la situazione, Quiriti: difendete, come avete fatto finora, le vostre case con turni di guardia. Io ho disposto misure sufficienti a tutelare la sicurezza in città: non avrete nulla da temere; non ci sarà nessun disordine. Tutte le colonie e i municipi sono stati da me informati della partenza notturna di Catilina: difenderanno senza difficoltà le loro città e i loro territori. I gladiatori, una schiera su cui Catilina contava moltissimo, saranno controllati dalle nostre forze, benché siano più coraggiosi di certi patrizi. Quinto Metello, che ho inviato in Gallia e nel Piceno prevedendo questa situazione, schiaccerà Catilina o renderà vano ogni suo movimento e ogni sua azione. Quanto alle altre decisioni da prendere, da preparare, da eseguire ne riferirò al Senato, che, come vedete, ho proceduto a convocare.

>27> Ora, a coloro che sono rimasti in città, anzi a coloro che Catilina ha lasciato in città a minacciare la città stessa e la vita di tutti voi, voglio dare ancora una volta un avvertimento; sono nemici, è vero, ma cittadini di nascita. L'indulgenza che ho mostrato finora, se poteva sembrare debolezza, era finalizzata a smascherare quel che stava nascosto. Ma ormai non posso più dimenticare che questa è la mia patria, che io sono il vostro console, che devo vivere con voi o morire per voi. Non ci sono guardie alle porte, non ci sono insidie per strada: se vogliono partire, posso far finta di niente. Ma se qualcuno creerà disordini in città, se lo scoprirò non solo ad attuare, ma solo a tentare un'azione eversiva, imparerà a sue spese che a Roma ci sono consoli attenti, magistrati egregi, un Senato forte, armi, un carcere voluto dai nostri antenati per punire gli empi reati che siano stati colti in flagrante.

>XIII 28> Tutti questi provvedimenti saranno presi in modo che la peggiore delle crisi sarà risolta con il minimo intervento, i pericoli più gravi superati senza disordini e la guerra civile più feroce e più vasta a memoria d'uomo sedata da me solo, unico generale in toga. Controllerò la situazione, Quiriti, in modo che, se mi sarà possibile, nessun colpevole sconti qui a Roma la pena del suo reato. Ma se la flagranza di un attentato o l'incombere di un pericolo pubblico mi costringessero ad abbandonare la mia indulgenza, otterrò senza dubbio un risultato difficilmente auspicabile in un conflitto tanto vasto e insidioso: nessun uomo onesto morirà, tutti sarete salvi a prezzo del supplizio di pochi. >29> Vi prometto simili risultati non perché io confidi nella mia capacità di previsione o nell'intelligenza umana, Quiriti, ma perché gli dèi immortali con molti e inequivocabili segni mi hanno ispirato questa speranza e questa opinione. Gli dèi, con il loro potere divino, difendono i templi e le case di Roma non da lontano, come solevano fare un tempo contro nemici esterni, ma standoci accanto. Pregateli, Quiriti, adorateli e implorateli perché proteggano dal crimine scellerato dei cittadini più abietti questa città, che hanno voluto la più bella, rigogliosa e potente, oggi che tutti gli eserciti nemici, per terra e per mare, sono stati schiacciati.



§%@CONTRO L. CATILINA III




>I 1> È lo Stato, Quiriti, è la vita di voi tutti, sono i beni, le proprietà, le vostre mogli e i vostri figli, è la capitale di un impero al culmine della gloria, è Roma, città che gode della massima fortuna e prosperità, è tutto questo che, oggi, vedete strappato al fuoco e al ferro, quasi alle fauci di un destino funesto, che vedete salvo e a voi restituito grazie alla suprema benevolenza che gli dèi immortali vi concedono e grazie ai miei sforzi, alle mie iniziative, ai pericoli che ho affrontato. >2> E se il giorno in cui abbiamo salva la vita non ci è meno caro e prezioso del giorno in cui nasciamo, perché è certa la gioia della salvezza, ma incerta la condizione del nascere, e perché nasciamo senza averne consapevolezza, ma ci salviamo con soddisfazione, dal momento che, per riconoscenza, abbiamo elevato al rango degli dèi immortali il fondatore di questa città, sarà doveroso, per voi e i vostri posteri, onorare chi ha salvato questa stessa città, una città che è cresciuta dai tempi della sua fondazione. Avevano quasi ormai appiccato i fuochi tutt'intorno a Roma, nei templi, nei santuari, nelle case, alle mura: li abbiamo spenti. Avevano sguainato le spade contro lo Stato: le abbiamo respinte. Avevano puntato i pugnali alla vostra gola: li abbiamo abbattuti.

>3> Io ho scoperto, messo in luce, illustrato ogni cosa in Senato. Ora, non mi resta che esporvi brevemente i fatti: voi, che ne siete all'oscuro e desiderate esserne informati, potrete così valutarne l'entità, l'evidenza e in che modo siano stati investigati e controllati.

Per prima cosa, non appena Catilina, pochi giorni fa, è sparito lasciando a Roma i complici della sua azione criminale, i capi più feroci di questa guerra nefasta, io, Quiriti, ho sempre vigilato e provveduto alla nostra salvezza, pur tra insidie tremende e oscure. >II> Infatti, quando cercavo di esiliare Catilina (non temo più di suscitare disapprovazione nel dire «esiliare»; anzi, mi rimprovero che Catilina se ne sia andato vivo), dunque, quando volevo bandirlo, pensavo che tutto il gruppo dei congiurati lo avrebbe seguito oppure che chi rimaneva in città, senza di lui, avrebbe perso forza e sicurezza. >4> Ma, non appena ho visto che stavano in mezzo a noi, che erano rimasti a Roma gli individui più fanatici e più violenti, come sapevo bene, ho trascorso giorni e notti a spiare cosa facessero, cosa preparassero. Certo che l'enormità del loro crimine vi avrebbe impedito di credere alle mie parole, ho dovuto coglierli sul fatto perché voi, vedendo con i vostri occhi il loro delitto, avreste finalmente provveduto a salvarvi. Così, non appena sono stato informato che Publio Lentulo aveva cercato di corrompere gli ambasciatori degli Allobrogi perché provocassero una guerra al di là delle Alpi e dei tumulti in Gallia Cisalpina; che questi ambasciatori, con lettere e indicazioni a voce, venivano rimandati dal loro popolo in Gallia, sì, ma per la stessa strada che conduce da Catilina; che li accompagnava Tito Volturcio portando con sé lettere per Catilina, ho pensato che mi fosse offerta un'occasione difficilissima a ripetersi, ma che ho sempre chiesto agli dèi immortali: che tutto il complotto fosse colto sul fatto non solo da me, ma anche da voi e dal Senato.

>5> Così, ieri ho convocato i pretori Lucio Flacco e Caio Pomptino, uomini di provato valore e della massima devozione allo Stato. Ho esposto loro la situazione. Li ho messi al corrente del mio piano. Subito, senza indugio, senza alcuna obiezione, perché nutrono per lo Stato i sentimenti più nobili, hanno accettato l'incarico e, sul far della sera, si sono recati segretamente al ponte Milvio. Lì, nascondendosi nelle case vicine, si sono divisi in due gruppi in modo da avere in mezzo il Tevere e il ponte. Senza generare il minimo sospetto, avevano portato con sé molti uomini intrepidi ed io avevo inviato dalla prefettura di Rieti un gruppo di giovani armati, ragazzi scelti della cui opera mi avvalgo spesso per difendere lo Stato. >6> Erano quasi le tre del mattino, quand'ecco arrivare al ponte Milvio gli ambasciatori degli Allobrogi, con grande seguito, e Volturcio. Vengono subito attaccati. Da entrambe le parti si snudano le spade. Solo i pretori erano al corrente di tutta la vicenda, gli altri la ignoravano. >III> Allora, per intervento di Pomptino e Flacco, cessa lo scontro [che era iniziato]. Tutte le lettere trovate in possesso degli uomini del seguito sono consegnate ai pretori con i sigilli intatti. Gli arrestati vengono condotti da me all'alba. Io mando a chiamare immediatamente il perverso ideatore di tutti questi crimini, Cimbro Gabinio, che non sospettava nulla. Poi convoco anche Lucio Statilio e, dopo di lui, Cetego. Per ultimo viene Lentulo forse perché, la notte prima, diversamente dalle sue abitudini, era stato sveglio per scrivere la sua lettera.

>7> Al mattino, i più autorevoli esponenti della nostra città, venuti a conoscenza dell'accaduto, accorrono numerosi a casa mia e mi consigliano di aprire le lettere prima di portarle in Senato: se non avessero rivelato nulla di importante, avremmo evitato di creare inutili agitazioni in città. Mi sono rifiutato: era mio dovere, in una situazione di pericolo pubblico, rimettere la faccenda impregiudicata al Senato. E infatti, Quiriti, anche se non si fosse rivelato esatto quanto mi era stato riferito, ritenevo di non dover temere l'accusa di eccessiva scrupolosità trattandosi di seri pericoli per lo Stato. Ho convocato subito una seduta del Senato che, come avete visto, è stata affollata. >8> Nel contempo, su consiglio degli Allobrogi, ho mandato in casa di Cetego il pretore Caio Sulpicio, uomo di una certa tempra, a sequestrare le armi che avesse trovato. Ha requisito pugnali e spade a non finire.

>IV> Introduco Volturcio senza i Galli. Col permesso del Senato, gli garantisco l'impunità. Lo esorto a rivelare senza paura quanto sa. Allora lui, riprendendosi a stento da una gran paura, dice di aver ricevuto da Publio Lentulo delle indicazioni e una lettera per Catilina in cui gli si diceva di ricorrere agli schiavi e dirigersi al più presto a Roma con l'esercito. La loro intenzione era di incendiare la città in ogni zona, come era stato stabilito in partenza, e di procedere al massacro della cittadinanza intera: Catilina doveva trovarsi sul posto per catturare i fuggiaschi e unirsi ai capi rimasti a Roma. >9> Dopo Volturcio è la volta dei Galli. Affermano che Publio Lentulo, Cetego e Statilio avevano prestato giuramento e consegnato loro delle lettere indirizzate al popolo allobrogico. Insieme a Lucio Cassio chiedevano ai Galli di inviare al più presto la cavalleria in Italia; la fanteria non sarebbe mancata. Lentulo, poi, aveva assicurato che, secondo gli oracoli sibillini e i responsi degli aruspici, era lui il terzo Cornelio destinato ad avere il supremo potere civile e militare su Roma: prima era toccato a Cinna e a Silla. Lentulo aveva pure aggiunto che, nell'anno in corso, il decimo dall'assoluzione delle Vestali e il ventesimo dall'incendio del Campidoglio, si sarebbe consumata l'ineluttabile caduta di Roma e dell'impero. >10> I Galli riferiscono anche di una discussione sorta tra Cetego e gli altri congiurati: questi ultimi e Lentulo proponevano di fissare il massacro e l'incendio della città per i Saturnali, Cetego trovava questa data troppo lontana.

>V> Per non dilungarmi troppo, Quiriti, facciamo portare le tavolette che ciascun congiurato avrebbe scritto. Il primo a cui mostriamo il sigillo è Cetego: lo riconosce. Tagliamo lo spago, leggiamo. Aveva scritto di sua mano al Senato e al popolo degli Allobrogi che avrebbe mantenuto le promesse fatte agli ambasciatori; chiedeva agli Allobrogi di adempiere, a loro volta, agli obblighi presi dai loro rappresentanti. Allora Cetego, che sino a poco prima era riuscito a fornire spiegazioni sul rinvenimento in casa sua di spade e di pugnali, dichiarando di essere sempre stato un collezionista di armi pregiate, non appena leggiamo la sua lettera, tace di colpo, schiacciato, stroncato dalla consapevolezza del suo crimine.

Viene introdotto Statilio che riconosce il suo sigillo e la sua scrittura. Gli sono lette le tavolette che presentano quasi il medesimo contenuto delle precedenti. Confessa. Allora mostro le tavolette a Lentulo e gli chiedo se riconosce il sigillo. Annuisce. «Lo riconosci certamente», gli dico. «Presenta l'effigie del tuo avo, uomo di grande valore che amò unicamente la patria e i suoi concittadini. Anche muta, questa effigie avrebbe dovuto trattenerti da un crimine così mostruoso!». >11> Gli viene letta la lettera, di analoga ispirazione, rivolta al Senato e al popolo degli Allobrogi. Gli concedo di parlare, se intende aggiungere qualcosa. Dapprima risponde di no, ma, poco dopo, quando la deposizione viene messa a verbale e letta, si alza in piedi. Chiede ai Galli di chiarire quali legami intercorressero tra di loro e perché fossero venuti a casa sua. Lo stesso fa con Volturcio. I Galli gli rispondono con brevità e con decisione, rivelando il nome di chi li aveva condotti da lui e il numero degli incontri. Gli chiedono, a loro volta, se non abbia niente da dire a proposito degli oracoli sibillini. Allora Lentulo, di colpo, perde la testa di fronte al suo crimine, mostrando quanto sia devastante averne coscienza. Poteva negare l'accusa. Invece confessa, all'improvviso, contro l'opinione di tutti. Così, non solo gli venne a mancare l'acume e l'abilità oratoria, da sempre suoi punti di forza, ma, per la gravità e l'evidenza del suo crimine, lo abbandonarono anche quella protervia e quella mancanza di scrupoli che lo rendevano unico. >12> A un tratto Volturcio ci chiede di portare la lettera che Lentulo gli avrebbe consegnato per Catilina e di aprirla. Lentulo, anche se profondamente sconvolto, riconosce il suo sigillo e la sua scrittura. La lettera non recava nomi, ma diceva così: «Saprai chi sono da chi ti ho inviato. Cerca di essere uomo e considera sino a che punto ti sei spinto. Ti è chiaro ormai cosa devi fare. Assicùrati l'appoggio di tutti, anche dei più umili». Poi viene convocato Gabinio, che inizia a rispondere con arroganza, ma alla fine non nega nessuna delle accuse dei Galli. >13> Del resto, Quiriti, se tavolette, sigilli, scritture e infine la confessione di ciascuno mi sembravano prove inconfutabili, molto più lo erano il pallore, gli occhi, l'espressione, il silenzio di questi uomini. Erano così sbalorditi, gli occhi piantati a terra, gli sguardi furtivi da uno all'altro, che le accuse sembravano muovere da loro stessi più che dagli altri.

>VI> Messe a verbale e lette le deposizioni, Quiriti, ho chiesto al Senato che decisioni intendesse prendere nell'interesse dello Stato. I primi a intervenire si sono espressi con la massima durezza e la loro posizione è stata approvata all'unanimità dal Senato. Dal momento che non è stato ancora redatto il verbale, Quiriti, vi riporterò a memoria come si è svolta la seduta. >14> Per prima cosa, mi vengono rivolti i più vivi ringraziamenti perché con coraggio, intelligenza e lungimiranza ho liberato lo Stato da pericoli gravissimi. Ricevono meritate lodi anche i pretori Lucio Flacco e Caio Pomptino per aver collaborato alla mia azione con forza e lealtà. Si elogia anche il mio eccellente collega, per aver troncato ogni rapporto pubblico e privato con i congiurati. Si decide inoltre di mettere agli arresti domiciliari Publio Lentulo, dimessosi dalla carica di pretore, e pure Caio Cetego, Lucio Statilio e Publio Gabinio, che erano tutti presenti. Lo stesso provvedimento è deciso per Lucio Cassio, che si era assunto l'incarico di incendiare la città; per Marco Cepario, accusato di aver ricevuto il compito di portare alla rivolta i pastori della Puglia; per Publio Furio, uno dei coloni insediati da Silla nelle terre di Fiesole; per Quinto Annio Chilone, che, insieme a Furio, si era sempre prodigato nella collusione con gli Allobrogi; per Publio Umbreno, il liberto, che per la prima volta avrebbe accompagnato i Galli da Gabinio. Il Senato ha agito con indulgenza, Quiriti. Ha ritenuto infatti che condannare solo i nove uomini più corrotti, quando la congiura è così estesa e i nemici interni così numerosi, avrebbe potuto far ricredere tutti gli altri, una volta assicurata la salvezza dello Stato. >15> E, in mio onore, è stata anche decretata una cerimonia di ringraziamento agli dèi immortali per il loro aiuto decisivo: è la prima volta dalla fondazione di Roma che viene tributata a un civile. La motivazione è la seguente: «Per aver salvato la città dall'incendio, i cittadini dal massacro, l'Italia dalla guerra». Se confrontiamo questo ringraziamento con quelli del passato, la differenza è che gli altri vennero decretati per vittorie militari, questo, ed è l'unico, per la salvezza dello Stato.

È stato fatto quello che prima di tutto bisognava fare. Publio Lentulo, benché, a seguito di prove inconfutabili, della sua confessione e della sentenza del Senato, avesse già perso non solo la carica di pretore, ma anche i diritti civili, si è dimesso. Ci siamo liberati così, nel punirlo come privato cittadino, di quello scrupolo che non aveva comunque impedito al glorioso Caio Mario di uccidere un pretore, Caio Glaucia, contro il quale non era stata pronunciata nessuna sentenza.

>VII 16> Ora che avete catturato e messo agli arresti gli ignobili capi della più scellerata e pericolosa delle guerre, potete convincervi, Quiriti, che tutte le truppe di Catilina, tutte le sue speranze e risorse sono crollate, una volta rimossi questi pericoli della città. Quando lo cacciavo da Roma, prevedevo, Quiriti, che con Catilina lontano non avrei dovuto temere quell'infingardo di Lentulo o quel grassone di Cassio o quel pazzo temerario di Cetego. Tra tutti questi solo Catilina dovevamo temere, ma finché fosse rimasto dentro le mura cittadine. Conosceva tutto. Si insinuava ovunque. Sapeva chiamare a sé, tentare, corrompere e osava farlo. Per indole era portato al male e all'indole univa la forza e l'eloquenza. Disponeva di uomini fidati, selezionati per missioni speciali. Se affidava un incarico ad altri, lo considerava come non attuato: non c'era niente cui non intervenisse direttamente, cui non fosse presente, cui non vigilasse senza risparmio. Sapeva sopportare il freddo, la sete, la fame. >17> Era così risoluto, temerario, spregiudicato, astuto, prudente nei delitti e cauto nelle azioni disperate che, se non lo avessi tenuto lontano dagli intrighi interni e costretto a una guerra da banditi (sarò sincero, Quiriti), difficilmente avrei allontanato dal vostro capo una tal mole di mali! Lui non ci avrebbe condannati per il giorno dei Saturnali, non avrebbe reso nota con tanto anticipo la data della fine dello Stato, non avrebbe fatto cadere in mano nostra sigilli e lettere a prova inconfutabile del suo crimine! Ora che non è qui, la crisi è stata controllata in modo tale che in una casa privata non abbiamo mai scoperto un furto con tanta evidenza come è stata scoperta e colta in flagrante questa pericolosa congiura contro lo Stato. Se Catilina fosse rimasto a Roma sino a oggi, benché io sia intervenuto a oppormi a tutti i suoi piani, finché era qui, avremmo dovuto comunque affrontarlo, a dir poco, e non avremmo liberato lo Stato da enormi pericoli con tanta tranquillità, calma, silenzio, avendolo come nemico dentro la città.

>VIII 18> Eppure, Quiriti, da come ho condotto la vicenda sembra che siano intervenuti gli dèi immortali a disporla e a risolverla con la loro volontà e saggezza. Se ci riflettiamo possiamo convincercene, perché sembra davvero difficile che la mente umana sia in grado di governare fatti tanto complessi. Ma gli dèi, standoci accanto in tali circostanze, ci hanno offerto aiuto e protezione al punto che potevamo quasi vederli con i nostri occhi. Non intendo parlarvi di fenomeni come meteore apparse di notte a illuminare a occidente il cielo; non voglio ricordare fulmini e terremoti, né parlare di altri fatti che si sono verificati con frequenza durante il mio consolato e che sembravano quasi il preannuncio divino degli eventi capitati ora. Un episodio, Quiriti, non va taciuto né dimenticato. Ve lo racconto. >19> Ricordate sicuramente che, durante il consolato di Cotta e di Torquato, alcuni fulmini hanno colpito vari monumenti sul Campidoglio, le immagini degli dèi sono state rovesciate, le statue degli antichi eroi abbattute, le tavole bronzee delle leggi fuse ed è stata danneggiata, sul Campidoglio, anche la stuata d'oro del fondatore della nostra città, Romolo, che, come rammentate, è raffigurato bambino mentre tende le labbra alle mammelle della lupa. In quell'occasione gli aruspici, fatti venire dall'intera Etruria, ci dissero che stavano per verificarsi stragi, incendi, la fine delle leggi, una guerra civile, la caduta di Roma e dell'impero, a meno che gli dèi immortali, placati in ogni modo, non avessero interceduto a piegare con la loro potenza quasi il destino stesso. >20> In seguito alle loro profezie, abbiamo celebrato giochi per dieci giorni senza trascurare niente che potesse placare gli dèi. Gli aruspici ci consigliarono anche di costruire una statua di Giove di dimensioni maggiori e di collocarla in alto e, contrariamente al passato, di volgerla a oriente. Speravano che se la statua, che vedete, avesse guardato verso il sorgere del sole, verso il Foro e la Curia, le manovre ordite nell'ombra contro Roma e l'impero sarebbero state messe in luce così chiaramente da risultar visibili al Senato e al popolo di Roma. Quei consoli hanno disposto così l'erezione della nuova statua, ma i lavori sono stati così lenti che essa non è stata collocata né dai consoli che mi hanno preceduto né da me prima di oggi.

>IX 21> Chi dunque, Quiriti, può essere tanto lontano dal vero, tanto sconsiderato, tanto insensato da negare che tutto ciò che cade sotto la nostra vista e in particolare Roma siano governati dalla volontà, dalla potenza degli dèi immortali? Quando, infatti, si prediceva che venivano preparate stragi, incendi, la fine della repubblica, e questo per iniziativa di cittadini, ad alcuni tali crimini apparivano troppo grandi per essere credibili. Ma ora avete appurato che tali delitti sono stati non solo ideati da cittadini esecrabili, ma addirittura messi in opera! E non è un segno così evidente, da sembrare un'espressione della volontà di Giove Ottimo Massimo, il fatto che questa mattina, mentre i congiurati e i loro accusatori venivano tradotti al tempio della Concordia per il Foro, come avevo ordinato, in quel momento veniva posta la statua? Non appena è stata collocata e rivolta verso di voi e il Senato, avete visto che tutti gli intrighi orditi contro il bene della collettività sono stati scoperti e messi in luce. >22> Ecco perché meritano ancor più l'odio e la morte questi individui che non solo hanno cercato di appiccare fiamme empie e funeste alle vostre case, alle vostre abitazioni, ma anche ai templi, ai santuari degli dèi.

Se dicessi di averli fermati io, sarei presuntuoso, atteggiamento imperdonabile. È stato Giove a fermarli, lui solo! Giove ha voluto salvare il Campidoglio, i templi, la città intera, voi tutti! Guidato dagli dèi immortali, io mi sono limitato a prendere decisioni e sono arrivato a disporre di prove schiaccianti. In verità, la corruzione degli Allobrogi non sarebbe stata tentata, né Lentulo e gli altri nemici dello Stato avrebbero dato con tanta sconsideratezza informazioni della massima importanza a degli sconosciuti, a dei barbari, e consegnato loro delle lettere, se gli dèi immortali non avessero privato del senno uomini così temerari. Che dire di più? Se dei Galli appartenenti a un popolo non del tutto sottomesso (l'unico rimasto che è forse in grado di dichiarare guerra ai Romani e non sembra escluderlo) hanno rinunciato a sperare nell'indipendenza e in altri considerevoli vantaggi offerti loro dai patrizi e hanno anteposto la vostra salvezza ai loro interessi, ebbene, non credete forse che questo sia avvenuto per volontà divina, quando invece avrebbero potuto vincerci senza combattere, solo tacendo?

>X 23> E allora, Quiriti, festeggiate questi giorni con le vostre mogli e i vostri figli, dal momento che sono state decise cerimonie di ringraziamento in ogni tempio! Spesso abbiamo tributato onoranze agli dèi immortali, giustamente, sì, ma mai come ora. Infatti, siete stati strappati alla fine più crudele e più orribile, strappati senza morti, senza sangue, senza eserciti, senza combattimenti. Con la toga avete vinto, grazie a uno solo, a me, comandante in toga. >24> Ricordate infatti, Quiriti, tutte le guerre civili, non solo quelle di cui avete sentito parlare, ma anche quelle di cui voi stessi serbate memoria e cui avete assistito. Lucio Silla uccise Publio Sulpicio, [cacciò da Roma] Caio Mario, il difensore di Roma, molti uomini valorosi in parte li bandì e in parte li eliminò. Il console Cneo Ottavio espulse dalla città, con la forza delle armi, il suo collega; tutto lo spazio che avete sotto gli occhi fu pieno di cadaveri ammassati uno sull'altro e del sangue dei cittadini. Poi Cinna ebbe il potere con Mario; allora, davvero, furono eliminati gli uomini più in vista, furono spente le luci della città. In seguito Silla si vendicò della ferocia di questa vittoria. Non starò a dire con quante perdite tra i cittadini e con quanta rovina per lo Stato. Marco Lepido entrò in conflitto con Quinto Catulo, uomo che si distingueva per fama e valore; non fu tanto la sua morte ad arrecar dolore allo Stato, quanto quella dei suoi. >25> Eppure, tutte queste lotte non miravano a distruggere lo Stato, ma a cambiarlo. Non si voleva abbatterlo, ma primeggiare in uno Stato vivo, non si voleva dare alle fiamme Roma, ma distinguersi in Roma. [E tutte queste lotte, di cui nessuna intendeva annientare lo Stato, furono tali da risolversi non con il ristabilimento della concordia sociale, ma con l'uccisione dei cittadini.] Invece, in questa guerra, l'unica a memoria d'uomo ad essere così vasta e feroce e tale che nessun popolo barbaro l'ha mai mossa contro la sua gente, una guerra in cui Lentulo, Catilina, Cetego e Cassio hanno stabilito di annoverare tra i nemici tutti gli uomini la cui salvezza avrebbe consentito di salvare lo Stato, ebbene, Quiriti, in questa guerra io mi sono mosso per assicurare a voi tutti la salvezza. E anche se i vostri nemici pensavano che sarebbero sopravvissuti solo quei cittadini che fossero scampati a una strage infinita e quella parte di città che si fosse sottratta alle fiamme, io ho salvato Roma, io ho salvato la cittadinanza!

>XI 26> A ricompensa della mia opera, Quiriti, non vi chiedo nessun premio al valore, nessuna dimostrazione di onore, nessuna testimonianza di lode, ma solo che sia eterno il ricordo di questa giornata. È dentro il vostro cuore che desidero che siano riposti e conservati i miei trionfi, tutte le attestazioni di onore, le testimonianze di gloria, i riconoscimenti di stima! Nessuna cosa che sia muta, priva di parola può darmi gioia, insomma niente che uomini anche meno degni potrebbero ottenere. Sarà il vostro ricordo, Quiriti, ad alimentare la mia impresa, la parola a farla crescere, le opere letterarie ad accompagnarla negli anni e a renderla grande. Penso che l'esistenza di Roma e il ricordo del mio consolato vivranno insieme per lo stesso tempo, spero per l'eternità. E penso altresì che siano vissuti nel nostro Stato, nella stessa epoca, due uomini dei quali uno ha esteso i confini del vostro impero non sulla terra, ma nelle regioni celesti, l'altro ha salvato la sede dell'impero.

>XII 27> Ma dal momento che, dopo tutto quello che ho fatto, la mia posizione è ben diversa da chi ha combattuto all'estero, perché io devo vivere a fianco di coloro che ho vinto e domato e non mi lascio alle spalle nemici morti o ridotti all'impotenza, è vostro dovere, Quiriti, provvedere affinché un domani il mio operato non si ritorca contro di me, quando gli altri traggono profitto dalle loro imprese. Io ho provveduto perché non vi nuocessero i piani scellerati e nefandi degli individui più temerari. Ora sta a voi provvedere alla mia incolumità. È pur vero, Quiriti, che nessuno di costoro è in grado di nuocermi. Perché è grande la protezione che viene dagli onesti: me la garantiranno in ogni momento. Grande è l'autorità dello Stato: tacita, mi difenderà per sempre. Grande è la forza della coscienza: chi la trascurerà volendo nuocermi, denuncerà se stesso. > 28> Non sono abituato a cedere di fronte alla temerarietà di nessuno, Quiriti: al contrario sono io che sfido incessantemente chiunque sia colpevole. E se l'attacco dei nemici interni, che ho stornato da voi, dovesse ricadere su me solo, starà a voi, Quiriti, decidere quale sorte volete riservare a chi si è esposto all'impopolarità e a pericoli di ogni sorta per la vostra salvezza. Quanto a me, quali vantaggi potrei ancora conseguire se nelle cariche pubbliche, che siete voi a concedere, e nella gloria, che dipende dal merito personale, non c'è nulla di più alto cui io possa aspirare? > 29> Il mio obiettivo, Quiriti, quando tornerò ad essere un privato cittadino, sarà di difendere e di consolidare il mio operato di console in modo che se, nel tutelare le istituzioni, mi sono attirato dell'impopolarità, questa ricada sui miei oppositori e arrechi a me gloria. Per finire, la mia condotta politica sarà tesa a non smentire la mia impresa: cercherò di non farla sembrare casuale, ma frutto del mio valore.

Cala la notte, Quiriti. Dopo aver pregato Giove, protettore vostro e di questa città, tornate alle vostre case e continuate a difenderle con turni di guardia come la notte passata, anche se il pericolo è ormai scongiurato. Che non dobbiate farlo troppo a lungo e che possiate vivere per sempre in pace, sarà compito mio, Quiriti.



§%@CONTRO L. CATILINA IV




>I 1> Vedo, padri coscritti, che il volto, gli sguardi di voi tutti si sono rivolti a me. Vedo che siete preoccupati non solo del pericolo che minaccia voi e lo Stato, ma, se questo è stato scongiurato, del pericolo che corro io. La simpatia che mi mostrate mi è cara, nei mali, e gradita, nel dolore. Ma, per gli dèi immortali, rinunciatevi! Dimenticate la mia salvezza! Pensate a voi e ai vostri figli! Se mi è stata affidata la carica di console perché sopportassi sino in fondo ogni amarezza, ogni dolore, ogni strazio, vi farò fronte con coraggio, ma addirittura con gioia, purché i miei sforzi procurino prestigio e salvezza a voi e al popolo romano. > 2> Io, padri coscritti, sono quel console per il quale né il Foro, sede suprema della giustizia, né il Campo Marzio, consacrato dagli auspici consolari, né la Curia, protezione sovrana di tutti i popoli, né la casa, rifugio di ogni essere umano, né il letto, destinato al riposo, e neppure, infine, questa [sedia curule] prerogativa della mia carica, sono stati mai esenti da pericoli e da insidie mortali. Ho taciuto molto. Ho sopportato molto. Ho concesso molto. Ho risanato molto col mio dolore, mentre voi vivevate nella paura. Ora, se gli dèi immortali hanno voluto che portassi a termine il consolato strappando voi e il popolo romano a un orrendo massacro, le vostre mogli, i vostri figli e le vergini Vestali a oltraggi inauditi, i templi, i santuari e questa nostra patria bellissima alle fiamme più deleterie, l'Italia intera alle devastazioni della guerra, ebbene, affronterò tutto quel che la sorte vorrà riservarmi! Se infatti Publio Lentulo, credendo ai vati, ha ritenuto che il suo nome fosse predestinato alla rovina dello Stato, perché non dovrei compiacermi del fatto che il mio consolato sia stato, per così dire, predestinato alla salvezza del popolo romano? > II 3> Quindi, padri coscritti, provvedete a voi stessi! Pensate al futuro della patria! Salvate la vostra vita, quella delle vostre mogli, dei vostri figli, salvate le vostre proprietà! Difendete la gloria e il futuro del popolo romano! Smettete di preoccuparvi, di darvi pensiero per me! In primo luogo, infatti, voglio sperare che tutti gli dèi che proteggono Roma mi ricompenseranno secondo i miei meriti. Poi, se dovesse capitarmi qualcosa, saprò morire con animo preparato e sereno: la morte non può essere vergognosa per il valoroso, né prematura per chi è stato console, né triste per il saggio. Tuttavia non sono così di ferro da restare insensibile all'angoscia del mio caro e affezionato fratello, qui presente, e alle lacrime di tutti coloro che mi vedete intorno. Né la mia mente si astiene dal tornare spesso a casa, richiamata da mia moglie, completamente prostrata, da mia figlia, sconvolta dalla paura, dal mio piccolo figlio, che mi sembra stretto tra le braccia della repubblica come ostaggio per il mio operato di console, e infine da mio genero, che sta qui davanti ad aspettare l'esito di questa giornata. Tutto ciò mi procura ansia, un'ansia che mi spinge però a voler salvare tutti loro insieme a voi, anche a costo della mia vita, piuttosto che morire noi e loro nella distruzione dello Stato.

>4> Allora, padri coscritti, date tutto il vostro appoggio alla salvezza dello Stato! Guardate quali tempeste si abbatteranno su di voi, se non correrete ai ripari! Non è chiamato in causa, non è sottoposto alla severità del vostro giudizio un Tiberio Gracco, per aver aspirato alla rielezione di tribuno della plebe, né un Caio Gracco, per aver cercato di portare alla rivolta gli agrari, né un Lucio Saturnino, per aver ucciso Caio Memmio. Nelle nostre mani ci sono uomini che sono rimasti a Roma per scatenare incendi, per uccidervi tutti, per accogliere Catilina. Nelle nostre mani ci sono lettere, sigilli, scritture, infine la confessione di ciascuno di loro. Qui si tratta di collusione con gli Allobrogi e di rivolte servili; si richiama Catilina, si decide di eliminarvi tutti perché non rimanga nessuno a piangere il nome del popolo romano e a compatire le sventure di un impero così vasto. > III 5> Tutto questo è stato riferito dagli informatori, ammesso dagli accusati, giudicato da voi con molte deliberazioni, in un primo momento quando mi avete manifestato la vostra gratitudine con straordinari elogi e avete dichiarato che, grazie alle mie capacità e alla mia solerzia, era stata scoperta la congiura di questi uomini perduti; poi, quando avete costretto Publio Lentulo a dimettersi dalla carica di pretore; in seguito, quando avete deciso di arrestare Lentulo e gli altri che avete giudicato colpevoli; ma, soprattutto, quando avete decretato una cerimonia di ringraziamento a mio nome, onore che nessun civile aveva ricevuto prima di me; infine ieri, quando avete dato ingenti ricompense agli ambasciatori degli Allobrogi e a Tito Volturcio. In seguito a tali iniziative, l'impressione è che gli uomini nominatamente messi agli arresti siano già stati condannati da voi senza esitazione.

>6> Tuttavia ho deciso di riferire a voi, padri coscritti, come se la questione fosse ancora impregiudicata e chiedervi di pronunciarvi sul reato e di stabilire la pena. Premetterò solo quel che è di pertinenza a un console. Già da tempo vedevo che nello Stato si agitavano ampi fermenti, si andavano preparando rivolte e covavano sciagure. Ma che fossero dei cittadini a tramare una congiura così estesa, così esiziale, non l'avrei mai creduto! Ora, qualunque cosa accada, qualunque sia l'orientamento del vostro pensiero e del vostro giudizio, dovete decidere prima di notte. Vedete l'enormità del crimine su cui dovete esprimervi. Se credete che i complici siano pochi, commettete un grave errore. Il male si è propagato più di quanto si pensi. Si è diffuso non solo in Italia, ma addirittura ha valicato le Alpi e, serpeggiando nell'ombra, ha invaso già molte province. Sarebbe assolutamente impossibile schiacciarlo con ulteriori rinvii. Qualunque misura decidiate, dovete far giustizia presto!

>IV 7> Vedo che, sinora, sono due le proposte avanzate. Decimo Silano sostiene che bisogna condannare a morte chi ha cercato di distruggere lo Stato. Caio Cesare, invece, respinge la pena di morte e propone tutta la durezza di ogni altro castigo. Entrambi, come conviene alla loro carica e alla gravità dei reati in causa, fanno appello al massimo rigore. Il primo ritiene che neppure per un istante devono vivere e respirare la nostra stessa aria individui che hanno cercato di eliminare tutti noi, di cancellare l'impero, di estinguere il nome del popolo romano e ricorda che questo tipo di pena fu spesso comminata, nel nostro Stato, a cittadini colpevoli. Il secondo è dell'opinione che gli dèi immortali hanno creato la morte non perché fosse una punizione, ma una necessità naturale e una cessazione di travagli e miserie. Per questo i saggi l'hanno sempre affrontata senza rimpianto e i valorosi spesso con gioia. Il carcere, invece, in particolare l'ergastolo, è stato istituito come pena eccezionale per i reati più empi. Cesare suggerisce che i colpevoli siano confinati in municipi diversi. Tale proposta comporta tuttavia un'ingiustizia, se la imponiamo ai municipi, e una difficoltà, se chiediamo il loro consenso. Ma qualora ne siate convinti, approvatela. > 8> Da parte mia cercherò e, come spero, troverò chi non ritenga incompatibile con la sua dignità accogliere provvedimenti presi per il bene comune. Cesare aggiunge pesanti sanzioni contro i municipi nel caso in cui uno dei prigionieri riesca a fuggire; circonda così i rei di una sorveglianza spietata, degna di un reato commesso da uomini perduti; suggerisce poi che né il Senato, né il popolo romano possano mitigare la pena dei condannati. Li priva così anche della speranza, la sola che, di solito, consola l'uomo nelle sciagure. Propone inoltre la confisca dei beni: solo la vita lascia a questi criminali. Se gliel'avesse tolta, in un attimo li avrebbe liberati da molte sofferenze morali e fisiche e da tutti i castighi per i loro delitti. È proprio per suscitare nei malvagi una sorta di terrore, finché fossero vivi, che i nostri antenati hanno voluto che nell'aldilà ci fossero supplizi per i colpevoli, perché si rendevano conto che non si avrebbe avuto paura di una morte senza punizioni.

>V 9> Ora, padri coscritti, so bene cosa mi convenga. Se seguirete il parere di Caio Cesare, per il fatto che egli segue il gruppo politico detto democratico, probabilmente dovrò aver meno timore degli attacchi dei democratici, essendo lui il promotore e il sostenitore di questa proposta. Se invece voterete la proposta di Silano, potrei andare incontro a difficoltà maggiori. Ma l'importante è che l'interesse dello Stato prevalga sulla considerazione dei pericoli personali. Abbiamo infatti da parte di Cesare, così come richiede il suo rango e la nobiltà dei suoi antenati, una proposta che è garanzia della sua incrollabile devozione allo Stato. È evidente quale differenza intercorra tra la superficialità dei demagoghi e uno spirito davvero democratico, tutto teso al bene del popolo. > 10> Vedo, comunque, che non pochi di coloro che si spacciano per democratici sono assenti, evidentemente per evitare di dare un giudizio sulla condanna a morte di cittadini romani. Eppure, questi «democratici» solo l'altro ieri hanno fatto arrestare dei cittadini romani, hanno approvato una cerimonia di ringraziamento in mio onore e, ieri, hanno ricompensato con la massima generosità i nostri informatori. Chi ha approvato l'arresto dei colpevoli, il rito di ringraziamento per il magistrato istruttore e le ricompense per gli accusatori si è già espresso su tutta la vicenda e sulla causa, nessuno può dubitarne! Ma Cesare sa che la legge Sempronia è stata promulgata a riguardo dei cittadini romani e che chi è nemico dello Stato perde completamente i diritti civili; sa, infine, che il promotore della legge Sempronia è stato condannato, per reati politici, senza appello al popolo. E non pensa che lo stesso Lentulo, nonostante la sua straordinaria generosità, possa ancora chiamarsi 'democratico' dal momento che ha meditato con tanta ferocia, con tanta crudeltà la rovina del popolo romano e la fine di Roma. E allora Cesare, da uomo così mite e indulgente, non esita a gettare Publio Lentulo nel buio eterno di una prigione e impone che, in futuro, nessuno possa vantarsi di aver mitigato il supplizio di Lentulo e farsi chiamare ancora 'democratico', quando si tratta della rovina del popolo romano. Propone inoltre la confisca dei beni, perché a ogni sofferenza fisica e morale sopraggiunga la miseria.

>VI 11> Perciò, se accoglierete questa proposta, mi darete come alleato in assemblea un uomo che gode del massimo favore popolare. Se, al contrario, preferirete seguire il parere di Silano, il popolo romano ci libererà facilmente dall'accusa di crudeltà ed io dimostrerò che è la decisione di gran lunga più mite. Del resto, padri coscritti, si può essere crudeli nel punire un crimine tanto feroce? Io giudico sulla base di quel che sento. Che io possa, allora, gioire con voi della salvezza dello Stato se è vero che, in questa vicenda in cui mi mostro così impetuoso, non sono mosso da spietatezza (chi è più mite di me?), ma da un profondo senso di umanità e di pietà! Mi sembra infatti di vedere questa città, luce del mondo e scudo di ogni popolo, crollare di colpo in mezzo alle fiamme; nell'animo mi raffiguro, in una patria sepolta, miseri e insepolti cadaveri di cittadini buttati uno sull'altro; ho davanti agli occhi la figura di Cetego e il suo delirio di forsennato sui vostri corpi. > 12> Ma quando immagino Lentulo signore assoluto di Roma (lui stesso ha confessato di aspettarselo dal destino) e Gabinio suo dignitario, quando immagino Catilina qui, in città col suo esercito, allora sono sconvolto di fronte ai lamenti delle madri, alla fuga di fanciulle e bambini, alla violenza sulle vergini Vestali! Lo strazio, la pietà di queste immagini mi ispirano un comportamento duro, inflessibile verso chi avrebbe voluto tradurle in realtà! Del resto mi chiedo: se un padre scopre che un servo gli ha ucciso i figli, trucidato la moglie, bruciato la casa, se questo padre non condanna il servo alla pena più severa, vi sembrerebbe clemente e pietoso o l'essere più disumano e crudele? Per me, in verità, è inclemente e duro come il ferro chi non cerca di lenire il proprio dolore e il proprio tormento con il dolore e il tormento di chi è colpevole. Allo stesso modo saremo considerati pietosi solo se in noi non ci sarà ombra di cedevolezza verso questi uomini che hanno voluto trucidare noi, le nostre mogli e i nostri figli, che hanno tentato di radere al suolo le case di ciascuno di noi e la sede di tutto lo Stato, che si sono proposti di insediare gli Allobrogi sui resti della nostra città e sulla cenere di un impero annientato. Ma se vorremo mostrarci troppo indulgenti, saremo inevitabilmente accusati di essere oltremodo crudeli, perché è in ballo la sopravvivenza della patria e della cittadinanza. > 13> O forse qualcuno, l'altro ieri, ha giudicato troppo crudele un uomo così coraggioso e devoto allo Stato come Lucio Cesare quando ha affermato, in presenza del marito di sua sorella, donna della massima rispettabilità, che bisognava condannarlo a morte e ha ricordato che era stata giusta la morte, ordinata dal console, di un suo avo e quella, in prigione, del giovane figlio di questi, inviato dal padre a trattare? Avevano compiuto azioni paragonabili alle attuali? Volevano distruggere lo Stato? Allora si trattava di richieste di largizioni e di conflitti tra le parti. E in quel tempo, l'antenato di Lentulo, un uomo del massimo prestigio, combatté Gracco e restò gravemente ferito perché lo Stato non venisse minimamente danneggiato. Lentulo, invece, per scalzare le fondamenta dello Stato ricorre ai Galli, chiama gli schiavi alla rivolta, fa venire Catilina, ordina a Cetego di trucidarci e a Gabinio di eliminare tutto il resto della cittadinanza, a Cassio di incendiare la città, a Catilina di devastare e di saccheggiare l'Italia intera! Quel che dovete temere, a mio giudizio, è che le vostre disposizioni appaiano troppo blande in presenza di un crimine così immane e mostruoso! Ma molto di più dobbiamo temere di apparire crudeli verso la patria se saremo miti nella condanna, piuttosto che duri verso i nostri peggiori nemici se saremo inflessibili!

>VII 14> Tuttavia, padri coscritti, non posso nascondere quanto sento dire. Ci sono in giro voci che arrivano sino a me: a quanto pare, alcuni temono che io non disponga di mezzi sufficienti per eseguire quanto voi deciderete oggi. Ogni cosa è stata prevista, disposta, sistemata, padri coscritti, non solo con tutto l'impegno e lo zelo di cui sono capace, ma soprattutto grazie al desiderio del popolo romano di difendere la sua sovranità e di conservare i beni comuni. Tutti sono venuti qui, uomini di ogni classe, condizione, età! Pieno è il Foro, pieni i templi intorno al Foro, piena ogni strada che porta a questo tempio. Dai tempi della fondazione di Roma, è questa l'unica circostanza in cui tutti nutrono gli stessi intendimenti, a eccezione di chi, accorgendosi di essere a un passo dalla fine, ha deciso di morire insieme a tutti gli altri piuttosto che da solo. > 15> Questi individui ben volentieri li metto a parte, li separo; per me, non vanno annoverati tra i cittadini colpevoli, ma tra i peggiori nemici! Ma gli altri, o dèi immortali!, con che affluenza, con che impeto, con che coraggio sono uniti in nome della salvezza e del prestigio comune! Dovrei ricordare i cavalieri? Se cedono a voi senatori il primato del grado e dell'autorità, non vi sono certo inferiori per devozione allo Stato! Dopo un dissenso durato molti anni hanno ritrovato l'unione e la concordia con voi: la giornata di oggi e la causa presente li rendono vostri alleati! Se riusciremo a conservare per sempre l'unione politica che si è rafforzata sotto il mio consolato, vi assicuro che in futuro nessuna crisi politica colpirà lo Stato in nessuna delle sue parti. Con lo stesso impeto vedo che sono accorsi per difendere lo Stato i tribuni dell'erario, uomini di straordinario valore. In modo analogo tutti gli scribi, che oggi si trovavano per caso nell'erario, hanno tralasciato le operazioni di sorteggio per votarsi alla salvezza comune. > 16> Sono presenti in massa tutti i liberi, anche i più umili. C'è qualcuno a cui questi templi, il volto della città, il possesso della libertà e infine questa stessa luce e il suolo comune della patria non ispirino piacere, ma soprattutto un sentimento di dolcezza e di gioia? > VIII> È importante conoscere, padri coscritti, la devozione dei liberti i quali, guadagnandosi un posto nella nostra comunità con il loro valore, considerano questa la loro vera patria, una patria che chi è nato qui e nelle famiglie più altolocate non ha considerato tale, ma alla stregua di una città nemica. Ma perché menziono queste classi e questi uomini che le proprietà, l'interesse comune e infine il bene più dolce che c'è, la libertà, hanno spinto qui a difendere la vita della patria? Non c'è schiavo, purché viva in condizioni tollerabili, che non inorridisca di fronte alla pazzia dei nostri concittadini, che non aspiri al mantenimento della situazione attuale, che non contribuisca alla salvezza comune, per quanto osi, per quanto possa. > 17> Perciò, se qualcuno di voi rimane sconcertato sentendo che un intermediario di Lentulo si aggira per negozi con l'intenzione di far proseliti tra i bisognosi e gli sprovveduti, a prezzo di denaro, ebbene, anche questo è stato tentato, ma non è stato trovato nessuno che fosse di condizione così misera o di propositi così disperati da mettere a repentaglio il posto dove siede al lavoro, dove si guadagna da vivere, la sua stanza e il suo lettuccio, insomma da voler compromettere il tranquillo corso della sua esistenza. In verità, la stragrande maggioranza di chi ha un'attività in proprio, diciamo meglio tutta questa categoria, apprezza la pace come nessun'altra. Infatti, ogni mestiere, ogni lavoro, ogni attività si basa sull'affluenza di clienti e si alimenta con la pace. Se l'attività diminuisce con la chiusura dei negozi, che cosa accadrebbe se venissero incendiati?

>18> In queste condizioni, padri coscritti, l'appoggio del popolo romano non vi manca. Fate in modo che non sembri che manchiate voi al popolo. > IX> Avete un console che si è salvato da innumerevoli pericoli e insidie, addirittura dalla stretta della morte, non in nome della sua vita, ma della vostra salvezza! Tutte le classi sono unanimi nel pensiero, nella volontà, nella parola: vogliono conservare questo Stato. Assediata dalle torce e dai dardi di un'empia congiura, la patria comune vi tende, supplice, le mani. A voi si affida, a voi affida la vita di tutta la collettività, a voi la rocca e il Campidoglio, a voi gli altari dei Penati, a voi il fuoco eterno di Vesta, a voi i templi e i santuari di tutti gli dèi, a voi le mura e le case della città. Inoltre, è sulla vostra vita, sull'esistenza delle vostre mogli e dei vostri figli, sulle proprietà di tutti, sulle case e sui focolari che oggi dovete esprimere il vostro giudizio! > 19> Avete come capo un uomo memore di voi e dimentico di sé, facoltà che non sempre è data. Avete tutte le classi, tutti gli uomini, l'intero popolo romano in condizioni di completa unanimità, cosa che vediamo oggi per la prima volta in una questione di politica interna. Pensate con quanti sforzi è stato fondato l'impero, con quanto valore è stata assicurata la libertà, con quanta benevolenza divina sono prosperati i nostri averi. Tutte cose che una sola notte avrebbe potuto distruggere. Oggi dobbiamo prendere provvedimenti perché un simile tentativo non solo non possa essere attuato, ma neppure concepito da dei cittadini. E queste parole non le ho dette per accendervi (il vostro ardore supera del resto il mio), ma perché la mia voce, che dev'essere ascoltata per prima negli affari di Stato, sembri aver assolto i doveri di console.

>X 20> Adesso, prima di ritornare al voto, dirò poche cose su di me. So di essermi procurato tanti nemici quanti sono i congiurati: e sono moltissimi, lo sapete bene. Ma è gente ignobile, vile, abietta, così li considero. Se un giorno, aizzati dai folli disegni di un criminale, dovessero prevalere sulla vostra autorità e su quella dello Stato, neppure allora mi pentirò delle mie azioni e delle mie decisioni, padri coscritti. Perché la morte, di cui essi forse ci minacciano, è stabilita per tutti, ma nessuno ha mai ottenuto tanta gloria quanta ne avete concessa a me con i vostri decreti. Ad altri avete tributato ringraziamenti per azioni militari, a me per aver salvato lo Stato. > 21> Sia gloria a Scipione, che con intelligenza e valore costrinse Annibale a ritornare in Africa e a lasciare l'Italia! Riceva lodi eccelse il secondo Africano, che cancellò le due città più ostili al nostro impero, Cartagine e Numanzia! Abbia fama l'illustre Paolo, il cui carro trionfale fu nobilitato dalla presenza di Perseo, il re un tempo più potente e nobile! Sia gloria eterna a Mario, che liberò due volte l'Italia dal pericolo di invasioni e dalla paura della schiavitù! A tutti sia anteposto Pompeo, le cui imprese, i cui meriti si estendono fino alle regioni e ai confini tracciati dall'orbita del sole! Tra le lodi di questi eroi avrà senz'altro un posto anche la mia gloria, a meno che non sia ritenuta impresa più ardua conquistare nuove province in cui possiamo espanderci, che non tutelare, per chi è lontano, un luogo in cui possa tornare vincitore. > 22> È pur vero che sotto un certo aspetto la vittoria all'estero è migliore della vittoria politica: i nemici stranieri, quando sono vinti, sono asserviti, oppure, quando ricevono dei favori, si sentono obbligati; invece chi appartiene al novero dei cittadini, se viene fuorviato da qualche idea insensata e diventa un nemico della patria, è impossibile piegarlo con la forza o ammansirlo con dei favori, sempre che gli sia stato impedito di nuocere allo Stato. Ecco perché so di aver intrapreso contro dei cittadini perduti un conflitto che non avrà fine. Ma l'aiuto vostro e di tutti gli onesti e il ricordo di pericoli così gravi - ricordo che vivrà per sempre non solo nel nostro popolo, ormai salvo, ma nelle parole e nella mente di tutte le genti - difenderanno me e i miei cari da questa guerra, ne sono sicuro. Non ci sarà certamente una forza così grande da spezzare e dissolvere la vostra unione con i cavalieri romani e un così unanime accordo tra tutti gli onesti.

>XI 23> A questo punto, in cambio del comando supremo, dell'esercito e della provincia che non ho voluto, in cambio del trionfo e di altre dimostrazioni di onore cui ho rinunciato per provvedere alla vostra salvezza e a quella di Roma, in cambio dei rapporti di clientela e di ospitalità nelle province, rapporti che, con le mie risorse in città tutelo con la stessa fatica con cui li amplio, insomma, in cambio di tutti questi vantaggi, in cambio della singolare devozione che vi ho dimostrato e della mia solerzia nel salvare lo Stato, di cui avete testimonianza, non vi chiedo altro se non di ricordare questo momento e tutto il mio consolato. Finché questo ricordo rimarrà fisso nella vostra mente, riterrò di essere protetto dal muro più saldo. E se la forza dei sovversivi riuscisse a tradire le mie aspettative e ad avere la meglio, vi raccomando il mio figlioletto, cui non mancherà certo la vostra protezione nella vita e nella carriera politica, se rammenterete che è figlio di colui che ha salvato tutto questo a rischio della sua sola esistenza. > 24> Sta a voi, adesso, prendere una decisione con la stessa solerzia e con la stessa fermezza con cui avete iniziato: è in discussione la sicurezza vostra e del popolo romano, la vita delle vostre mogli e dei vostri figli, gli altari e i focolari sacri, i templi e i santuari, le case e le abitazioni dell'intera città, l'impero e la libertà, la vita dell'Italia, lo Stato nel suo complesso. Avete un console che non esiterà a eseguire i vostri decreti e a difendere quanto stabilirete, finché vivrà. Egli potrà garantire di persona.





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