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'DIFESA DELL'ATTORE ROSCIO' Cicerone
>I 1> E così quest'uomo, persona tanto squisita e straordinariamente fidata, sta provando a servirsi dei suoi registri, quale testimonianza a suo favore nel processo che è stato intentato. Generalmente sono queste le parole di quelli che hanno sborsato soldi in prestito, passando attraverso i registri di un onest'uomo: «E io avrei mai potuto corrompere un uomo di tal pasta per indurlo a registrare il falso sul suo libro, esclusivamente per il mio interesse?». Mi aspetto solo che da un momento all'altro Cherea se ne venga fuori con le seguenti parole: «Avrei mai avuto la faccia di costringere questa mia mano scellerata ad annotare un nome falso?». Certo che se lui tirerà fuori i suoi registri, farà lo stesso anche Roscio. Nelle scartoffie di quello comparirà il credito verso Roscio, ma niente del genere nei documenti del mio cliente. >2> Perché mai si dovrebbe prestare maggior fede a quello che non a questo? «Ma lui avrebbe messo per iscritto il credito, se non avesse avuto il beneplacito di costui a registrare la somma versata?». Non avrebbe messo nero su bianco quanto lui stesso, per suo esplicito volere, era disposto a sborsare? Infatti, così come è un atto disonesto annotare a proprio credito una somma che non è dovuta, è altrettanto vergognoso non trascrivere il proprio debito. Lo prova il fatto che sono ugualmente soggetti a condanna i registri di chi non ha riportato la verità e quelli di chi ha registrato il falso. Ma ora guarda fino a che punto mi spingo, tanto sono fiducioso nelle mie numerose possibilità di vincere questa causa. Se Caio Fannio tira fuori i suoi papiri, quelli del dare e dell'avere, da lui scritti nel suo interesse in maniera del tutto arbitraria, io non mi oppongo a che lo giudichiate con animo favorevole. >3> Quale fratello è mai stato così accondiscendente con il fratello, quale padre con il figlio, da considerarne valida la testimonianza, qualunque essa fosse stata? Roscio lo confermerà; avanti, mostraci i registri; tutto quello di cui sarai convinto convincerà anche lui, ciò che ti parrà giusto sarà così anche per Roscio. Poco fa chiedevamo di vedere i libri dei conti di Marco Perpenna e Publio Saturio, ora, invece, abbiamo urgenza di consultare solamente i tuoi, Caio Fannio Cherea, e non ci opponiamo a che la lite dia loro ragione; perché, dunque, non li esibisci? >4> Non tiene i registri? No, anzi, lo fa con estrema diligenza. Non trascrive ogni minimo debito in questi suoi libri? Certo, tutte quante le somme. E qui si tratta di una cifretta da niente? Beh, sono centomila sesterzi. Coma fa, allora, a passarti inosservata un'entrata così straordinaria? Sono centomila sesterzi: come possono non esser registrati nel libro dei debiti e dei crediti? In nome degli dèi immortali! Può esistere un uomo tanto sfrontato da avere la faccia di pretendere per sé quel denaro, che, però, evita di trascrivere sul suo registro?! Uno che davanti ad una corte riunita non esita a giurare ciò che non ha voluto annotare sul suo libro, senza che in questo fosse vincolato dal giuramento?! E tenta per di più di convincere gli altri di quanto nemmeno lui è in grado di dimostrare?!
>II> Subito incalza dicendo che me la prendo troppo per questi registri; >5> per forza: ammette di non aver trascritto il debito sul libro del dare e dell'avere, ma poi pretende che tornino quei conti fatti su brogliacci. Certo devi volerti molto bene ed avere un'altissima considerazione di te per esigere la riscossione di un debito che non risulta dai documenti ufficiali, ma dagli scartafacci! Già è un comportamento da presuntuoso leggere ad alta voce il proprio registro, servendosene come testimonianza; ma addirittura esibire un taccuinetto, tutto conti e cancellature, non è semplicemente folle? >6> Se le due cose avessero lo stesso valore e fornissero le medesime garanzie, perché informate secondo uguali principi di attendibilità e precisione, che bisogno ci sarebbe di creare un registro, di compilarlo, di tenerlo in ordine e di conservarlo, anche per i documenti più antichi? Se invece abbiamo deciso di tenere un libro dei conti proprio perché non prestiamo alcuna fiducia ad un brogliaccio qualunque, si vorrà investire di peso e inviolabilità, per di più alla presenza di un giudice, ciò che per opinione comune non ha alcun valore e importanza? >7> Perché mai siamo così disordinati nel prendere i nostri appunti e invece così precisi nel redigere un registro? Quale il motivo? Perché quelli valgono un mese, questi una vita; i primi, poi, si cancellano subito, i secondi, invece, vanno religiosamente conservati, perché gli uni testimoniano il lavoro di poco, gli altri contemplano un'attività scrupolosa e attendibile, frutto di un'esistenza da sempre onorata e rispettabile; si tratta, infatti, di documenti stilati secondo un ordine ben preciso, mentre questi non sono altro che appunti sparpagliati. Ecco perché nessuno si è mai sognato di presentarli in tribunale, preferendo, invece, esibire i registri e leggerli ad alta voce. >III> Tu stesso, Caio Pisone, investito di grande autorità e degno di ogni stima per onestà e valore, non oseresti esigere del denaro, avvalendoti del tuo brogliaccio dei conti. >8> Non c'è bisogno che io insista troppo a lungo su quanto è comunemente noto a tutti; piuttosto voglio avanzare una domanda, che riguarda strettamente l'argomento: da quanto tempo hai trascritto questo debito sul tuo taccuino degli appunti, Fannio? Sta arrossendo, non sa che rispondere, non ha niente da inventare sul momento. Poniamo l'ipotesi che tu dica che sono ormai due mesi: in questo caso si sarebbe già dovuto trascrivere sul libro dei conti. Ma i mesi potrebbero essere più di sei. Perché, allora, il nome in questione resta tanto a lungo trascurato nel tuo brogliaccio? E se, alla fine, fossero addirittura più di tre anni? Come si spiega che, mentre tutti quelli che tengono un registro si affannano a trasferirvi sopra i conti quasi mese per mese, tu, invece, non ti preoccupi di lasciarlo in brutta copia per tutto questo tempo? >9> Li hai o non li hai gli altri nomi ben ordinati sul tuo libro dei conti? Se la risposta è no, mi spieghi con che criterio organizzi i tuoi registri? Ma se anche mi dici di sì, perché, allora, quando trascrivevi di seguito tutti gli altri debiti, non ricopiavi questo, certamente tra i più consistenti, abbandonato da oltre tre anni nei tuoi appunti? Forse non volevi che si sapesse in giro che Roscio ti era debitore; perché scriverlo, allora? O magari ti era stato chiesto di non farlo; nel caso, come mai lo avevi ugualmente annotato, anche se in brutta copia?
Comunque, pur essendo certo di come si siano svolte le cose, non mi posso ancora ritenere del tutto soddisfatto, almeno finché non riesco a strappare dalla bocca di Caio Fannio la testimonianza che non gli è dovuto alcun denaro. È un'impresa grande quella che tento, difficile l'impegno che assumo; ma io voglio che Roscio esca vincitore solo se al tempo stesso avrà fatto dell'accusatore il suo testimone. >IV 10> Ti era dovuta una somma ben determinata, quella di cui si fa ora richiesta alla presenza di un giudice, e per la quale le parti, come vuole la legge, si sono impegnate reciprocamente circa le spese da sostenere in caso di giudizio negativo. Se tu qui hai domandato un solo sesterzio in più di quello che ti è dovuto, hai già perso la causa: infatti, una cosa è il giudizio, un'altra l'arbitrato. Il giudizio si fonda su una cifra stabilita, l'arbitrato no; in giudizio, poi, ci si presenta con lo stato d'animo o di vincere o di perdere completamente la causa; invece, si affronta un arbitrato nella convinzione di ottenere certo qualcosa, ma non tanto quanto ci si era proposti. >11> Sono le parole stesse contenute nella formula a testimoniarcelo. Che c'è nell'istanza sottoposta a giudizio? Termini diretti, inflessibili, assoluti: «se risulta che sono dovuti cinquantamila sesterzi». In un caso del genere, se uno non riesce a dimostrare che gli spettano quei cinquantamila sesterzi fino all'ultimo soldo, perde la causa. E in un arbitrato che cosa c'è? Un che di rilassato, di accomodante: «che si conceda quanto è più giusto e più vantaggioso». Il querelante ammette di avanzare una richiesta superiore al dovuto, ma sostiene che gli basterà, anzi sarà anche troppo ciò che il giudice vorrà accordargli. E così uno ha piena fiducia nella causa, l'altro ne diffida. >12> Stando così le cose, ti domando perché mai hai fatto un compromesso a proposito di questo denaro, di questi benedetti cinquantamila sesterzi, dell'attendibilità dei tuoi registri, e hai preteso l'intervento di un arbitro, chiedendo appunto «quanto di più giusto e di più vantaggioso ti si voglia concedere e promettere, se la ragione sta dalla tua parte». Chi è stato arbitro di questa situazione? Magari fosse uno di Roma! Ma è di Roma. Che fortuna se fosse presente in tribunale! Sì, è qui tra noi. Oh, se se ne stesse seduto in quel gruppetto presieduto da Caio Pisone! È lui, è proprio Caio Pisone. E tu hai scelto la stessa persona, perché ti fosse prima arbitro e poi giudice? Hai permesso al medesimo cittadino di agire a sua totale discrezione e poi lo hai vincolato ad una procedura giuridica così rigidamente strutturata? Chi è mai riuscito a strappare ad un arbitro l'esatta cifra da lui proposta? Nessuno; infatti, la richiesta era sempre la stessa, che gli venisse cioè accordato quanto fosse più giusto. Tu ti sei rivolto prima ad un arbitro e poi a un giudice sempre per lo stesso credito! >13> Di norma, quando ci si accorge che le possibilità di vincere una causa in presenza di un giudice cominciano a vacillare, si cerca scampo in un arbitro; costui, invece, ha avuto il coraggio di fare esattamente il contrario, di passare cioè da un arbitro a un giudice! Ma una mossa del genere, l'avere scelto un arbitro che desse credito ai registri e al denaro richiesto, ha pregiudicato la situazione, dimostrando che non gli si doveva proprio un bel niente.
E con questo due terzi della causa son risolti; costui sostiene di non aver pagato in contanti, ma al tempo stesso, visto che si rifiuta di leggere i suoi documenti ufficiali, non attesta neanche di aver registrato la somma. Gli resta solo da dire che ha fatto una stipulazione; non vedo, infatti, per lui altra possibilità per poter avanzare richiesta di una somma di denaro ben determinata. >V 14> Bene, la stipulazione l'hai fatta - dove, però? Quali il giorno e la circostanza? Chi c'era presente? C'è qualcuno disposto a dire che io ne debba rispondere? Nessuno. A questo punto, se io ponessi fine al mio discorso, salterebbe agli occhi che ho dato soddisfacente prova di buon senso e di scrupolosità, occupandomi egregiamente della causa e della controversia che l'ha generata, della formula, della multa da pagare in caso di sconfitta, persino del giudice, perché il suo verdetto sia necessariamente favorevole a Roscio. È stata richiesta una somma di denaro ben precisa, la cui terza parte è quanto deve versare chi perde. Ne consegue necessariamente che questi soldi o li si è pagati in contanti o li si è registrati come debito o li si è stipulati. Fannio asserisce che nessuno gli ha dato niente, i suoi libri dei conti confermano che la cifra non è stata trascritta, il silenzio dei testimoni fa logicamente supporre l'inesistenza di una stipulazione. Come si spiega, allora, la faccenda? >15> Ora, visto che il qui convenuto Roscio è uno di quelli a cui non è mai importato nulla dei soldi, ma si è sempre preoccupato di godere di ottima reputazione; che, a proposito del giudice, noi vorremmo tanto ci stimasse con benevolenza non meno che si esprimesse con parere a noi favorevole; e per ultimo, che l'uditorio è tale da meritare tutta la nostra riverenza, quasi fosse un giudice, tanto è nobile e dignitoso, discuteremo la causa come se in questa formula fossero racchiusi e compresi tutti i possibili casi regolamentati da una legge, tutte le decisioni dell'arbitro scelto dalle parti, tutti i doveri della vita privata. Prima ho tenuto banco perché così esige il mio lavoro, ora invece mi esprimerò in tutta libertà, rivolgendomi non più, come in precedenza, al giudice, ma a Caio Pisone e prenderò le difese non dell'imputato, ma dell'amico Roscio: fino a poco fa mi interessava vincere, adesso il mio unico scopo sarà salvare la buona reputazione del mio cliente.
>VI 16> Tu, Fannio, chiedi a Roscio dei soldi. Ma che genere di soldi? Rispondi pure con la massima sincerità. È denaro che ti si deve secondo un accordo ben preciso o ti è stato promesso e poi offerto quale gesto di grande generosità? Perché di queste due situazioni una è alquanto grave e anche un po' antipatica, l'altra già più sopportabile e semplice da risolversi. Ti spettano, dunque, dei soldi per via della vostra società? Che dici? Sai, in un caso del genere non c'è mica tanto da scherzare né si può argomentare la difesa con due parolette raffazzonate. Se è vero che esistono cause private estremamente delicate, dove in gioco c'è non solo la faccia, ma direi quasi la vita, è bene ricordare che tali cause sono tre: di fiducia, di tutela, di società. Infatti, viene considerato ugualmente sleale, addirittura empio, tradire la fiducia, che è poi ciò che dà senso alla vita, o frodare il pupillo sotto nostra tutela, o truffare il socio che si è unito a noi in affari. >17> Ad ogni modo, comunque stiano le cose, noi ci limiteremo a giudicare chi dei due si è preso gioco dell'altro e lo ha ingannato; sarà così la disamina del comportamento delle due parti in causa ad offrirci indirettamente una testimonianza sicura e decisiva. Tu pensi che la responsabilità sia di Quinto Roscio? Ma cosa dici? Non credi piuttosto che, come il fuoco si spegne immediatamente a contatto con l'acqua e perde il suo vigore, allo stesso modo ha davvero vita breve una bruciante calunnia scagliata contro un'esistenza trascorsa in assoluta onestà? Roscio che ha ingannato il socio! Ma come può una colpa tanto grave far presa su un uomo del genere? Per Giove! Uno che - e lo dico senza difficoltà - possiede in sé un'onestà innata, superiore alla sua arte, amante com'è della verità più che del suo mestiere; uno che il popolo Romano considera migliore come uomo che come attore e che in virtù del lavoro che fa è così adatto a calcare la scena che potrebbe con altrettanta dignità far parte del senato per il suo totale disinteresse. >18> Ma perché sto qui a parlare di Roscio alla presenza di Pisone, facendo la figura dello sciocco? Sembra che mi stia affannando a cercar parole per descrivere l'identità di uno sconosciuto. Esiste sulla faccia della terra un solo uomo che tu apprezzi di più? C'è qualcuno che ti sembra rappresentare meglio l'onestà, la modestia, un'indole mite, un radicato senso del dovere e una grande umanità? Che c'è, Saturio? La pensi diversamente, tu che pure esprimi opinioni contrarie all'imputato? Perché non pensi che ogniqualvolta, nel corso della causa, ti è capitato di pronunciare il suo nome, lo hai costantemente definito una brava persona e lo hai trattato con particolare riguardo? Eppure, nessuno di solito fa altrettanto, a meno che non si tratti di un uomo davvero superiore o di un amico sincero. >19> Comportandoti così, ti sei fatto ridere dietro e mi sei sembrato un po' indeciso, tu che gli hai rivolto parole d'offesa e poi lo hai sommerso di complimenti, definendolo al tempo stesso uomo dabbene e pezzo da galera. Come potevi rivolgerti a lui con tanto rispetto e chiamarlo primo fra tutti i cittadini, accusandolo contemporaneamente di avere imbrogliato il socio in affari? Credo piuttosto che le lodi che gli hai tessuto trovino una giustificazione nel semplice rispetto della verità, mentre puntando il dito contro di lui cercavi soltanto un po' di pubblicità; a proposito dell'imputato avresti, quindi, semplicemente espresso il tuo parere, ma saresti stato costretto dal volere di Cherea a perorare la sua causa. >VII> Roscio colpevole di frode! Suona come una cosa inconcepibile agli orecchi e agli animi di tutti. E se fosse incappato in un uomo ricco sì, ma pauroso, debole, un po' svanito e incapace di chiedere l'aiuto della legge? Beh, la vicenda avrebbe ancora dell'incredibile. >20> Cerchiamo comunque di capire chi Roscio avrebbe ingannato. Cosa? Caio Fannio Cherea? Mi rivolgo a voi che li conoscete bene e vi prego con tutta l'anima di mettere a confronto la vita dell'uno e dell'altro; chi invece non li ha mai visti li guardi dritto in faccia. Non sembra forse anche a voi che quelle sopracciglia completamente rase tradiscano la sua malizia e rivelino quanto è scaltro? Se è vero che guardando l'aspetto fisico di una persona ci si può già fare un'idea del carattere, senza bisogno di parole, costui non vi dà l'impressione di essere tutto, dalla testa ai piedi, un essere ingannevole, bugiardo, estremamente furbo? Va sempre in giro con capo e sopracciglia tagliate a zero, perché non si possa dire che ha anche un solo pelo in comune con chi è onesto; e di un personaggio del genere Roscio ha sempre offerto una magistrale interpretazione sulla scena, mentre ora non sembra proprio che gli si stia ricambiando il favore con altrettanta cortesia. Quando, infatti, riveste i panni di Ballione, gran delinquente e bugiardo d'un ruffiano, fa il verso a Cherea; quella maschera abietta, odiosa e corrotta è la copia perfetta dell'indole, dei costumi, del modo di vivere dell'uomo qui presente. Non riesco quasi a spiegarmi per quale motivo costui abbia potuto stimare Roscio simile a sé in astuzia e in inganno: l'unica spiegazione plausibile è che si sia reso conto della sua estrema abilità nell'imitarlo a teatro sotto le spoglie di un lenone. >21> Quindi, Caio Pisone, valuta con attenzione da chi e contro chi è stata rivolta l'accusa di avere frodato il compagno. Roscio che ha ingannato Fannio! Ma che storia è questa? Come può chi è onesto, costumato, leale, privo di esperienza e generoso, nuocere in qualche modo a un disonesto, a uno senza vergogna, a uno spergiuro, a un furbastro, a un tirchio? È inaudito. Se si affermasse che è stato Fannio a truffare Roscio, considerando la loro personalità, la cosa sembrerebbe verosimile per entrambe le parti: Fannio, cioè, avrebbe agito spinto dalla sua malvagità, mentre Roscio si sarebbe lasciato ingannare per inesperienza; analogamente, quando si lancia contro Roscio l'accusa di avere turlupinato Fannio, ci si rende conto che ciò non può essere vero in tutti e due i casi: né che Roscio abbia messo le mani sul denaro per avidità, né che Fannio lo abbia perso perché troppo buono d'animo.
>VIII> E questo è solo l'inizio; occupiamoci ora del resto. >22> Quinto Roscio avrebbe frodato Fannio della somma di cinquantamila sesterzi. Il motivo? Saturio, che si crede una vecchia volpe, ride sotto i baffi; per lui sono proprio questi benedetti cinquantamila sesterzi la causa. Capisco; ciononostante domando perché avrebbe dovuto desiderare tanto ardentemente tutto questo denaro; sono infatti certo che per uomini come te, Marco Perpenna, o te, Caio Pisone, i soldi non avrebbero mai assunto un'importanza tale da indurvi ad ingannare il socio. Esigo, quindi, conoscere il motivo per cui Roscio avrebbe dato alla somma un valore tanto grande. Seri problemi economici? No, anzi, era ricco sfondato. Qualche debito, allora? Al contrario, se la passava bene con i suoi soldi. Forse era avaro! Niente affatto: anche prima di diventare ricco, si distinse sempre per la sua estrema generosità. >23> Mi siano testimoni gli dèi e gli uomini! Un uomo che ha rifiutato affari da centocinquantamila sesterzi - e ne avrebbe tranquillamente avuto la possibilità, direi quasi il dovere, se Dionisia ne riesce a guadagnare duecentomila -, può aver desiderato tanto quei cinquantamila sesterzi al punto da ordire un inganno, frutto della sua malizia e della sua perfidia? Nel primo caso, poi, si trattava di una cifra da capogiro: questa, al confronto, fa ridere; là erano soldi puliti, soldi che gli garantivano benessere e che erano sicuramente suoi: qua invece si parla di denaro sporco, una preoccupazione, legato com'è alle sorti del processo. In questi ultimi dieci anni avrebbe potuto guadagnare onestamente sei milioni di sesterzi; ma non ha voluto. Ha faticato come si fatica quando si vogliono guadagnare tutti quei soldi, ma ha rifiutato il compenso di tanto sforzo; fino ad oggi non ha smesso un solo attimo di servire il popolo romano, ma già da lungo tempo non lo fa più con se stesso. >24> E tu, Fannio, faresti mai una cosa del genere? Se ti si offrisse la possibilità di intascare tanto denaro, non metteresti in gioco le tue capacità di attore e, al tempo stesso, persino la tua vita? Prova a dire ora che sei stato imbrogliato per cinquantamila sesterzi da Roscio, che ha sempre rifiutato guadagni altissimi, incommensurabili, non perché gli mancasse la voglia di lavorare, ma per puro disinteresse! Per quale motivo dovrei ora aggiungere ciò che vi sta venendo in mente, ne sono certo? Roscio ti truffava mentre eravate in società! Esistono leggi, esistono formule stabilite caso per caso per evitare che ci si possa sbagliare nel definire l'ingiustizia subita o nello scegliere il tipo di procedura. Il pretore, infatti, considerando la triste condizione di chi soffre un danno, il suo disagio, la sfortuna che lo colpisce per il torto patito, ha redatto alcune regole, rese pubbliche, a cui si conforma la controversia tra privati. >IX 25> E allora, visto che le cose stanno così, ti domando perché mai tu non abbia citato Quinto Roscio davanti all'arbitro per discutere della vostra società. Ignoravi l'esistenza della formula? Eppure era arcinota. Non volevi affrontare una causa dai risvolti delicati e dalle conseguenze tanto gravi? Come mai? In nome dell'antica amicizia? Ma dunque perché lo offendi? Perché ti irrita un uomo tanto disinteressato? E ancora, perché lo accusi? Perché ne ha combinata una davvero grossa? È sul serio così? Com'è che vuoi condannarlo tramite l'intervento di un giudice che non ha alcun potere discrezionale al proposito, quando non ci riuscivi neanche con un arbitro, che non può possedere un vero e proprio metro di giudizio sul fatto in questione? Piuttosto, muovi questa accusa dove ti è consentito farlo, e non insistere nel luogo meno opportuno. Anzi, è proprio questo tuo comportamento a testimoniare che non esiste capo d'imputazione. Infatti, nel momento stesso in cui ti sei rifiutato di servirti della formula specifica, hai scagionato Roscio dall'accusa di averti frodato mentre eravate soci. Avanti, parla: li hai questi registri o no? Se non li hai, come puoi chiamarlo contratto? Ma in caso contrario, perché non li nomini? >26> Prova un po' a dire ora che Roscio ti ha chiesto di scegliere come arbitro un suo amico! No, non lo ha fatto. Di', allora, che per essere prosciolto ha stretto con te un patto! No, non ha stipulato un bel niente. Sai perché lo hanno assolto? Perché era un uomo onestissimo e disinteressato. Cosa è successo in realtà? Ti sei recato spontaneamente a casa di Roscio e gli hai fatto le tue scuse; quindi lo hai pregato di perdonarti per avere agito in maniera sconsiderata, denunciandolo alla presenza del giudice; hai detto che non ti saresti presentato e che avresti addirittura gridato che, secondo gli accordi presi in società, non ti doveva nulla. Roscio ha riferito la cosa al giudice e ne è uscito assolto. Tu, però, osi ancora parlare di frode e di furto? Quanto a sfacciataggine sei veramente un campione. «Certo», aggiunge, «era sceso a patti con me». Evidentemente per non essere condannato. E quale era il motivo che lo avrebbe spinto a temere ciò? «La situazione era palese, si trattava chiaramente di furto».
>27> Sì, ma che cosa era stato rubato? Dopo averci tenuto con il fiato sospeso in trepida attesa, con arte consumata da vecchio istrione, inizia a parlarci della società. >X> «Panurgo», esordisce, «apparteneva a Fannio, che a un certo punto se lo spartì con Roscio». Il fatto ha suscitato gravi lamentele da parte del qui presente Saturio, il quale rimarcava che Roscio ne era diventato comproprietario senza versare un soldo, mentre Fannio se lo era comprato a caro prezzo. Sicuramente Fannio, rispettando la sua natura generosa, altruista, tutta bontà ha voluto fare un regalo a Roscio. Io ne sono convinto. >28> Visto che a questo punto il mio avversario si è preso un attimo di pausa, anche per me diventa necessario fare altrettanto. Tu, Saturio, insisti nel dire che Panurgo era di Fannio. Io, invece, ti rispondo che apparteneva tutto a Roscio. Che parte di lui, infatti, poteva definirsi proprietà di Fannio? Il corpo. E a Roscio cosa toccava? La formazione artistica. Ma qui non era importante l'aspetto fisico, bensì la sua arte nel recitare, e questa, che costituiva patrimonio di Roscio, valeva più di centocinquantamila sesterzi, mentre la parte che spettava a Fannio non ammontava nemmeno a mille sesterzi; nessuno, infatti, lo considerava per la prestanza fisica, ma lo si stimava per le sue spiccate capacità drammatiche; se fosse stato per il suo corpo, non avrebbe potuto guadagnare più di dodici assi, ma grazie agli insegnamenti impartitigli dal mio cliente trovava lavoro a non meno di centocinquantamila sesterzi. >29> Che genere di società indegna e fraudolenta, dove c'è chi apporta mille e chi centocinquantamila nella cassa comune! A meno che, per questo motivo, non ti procuri un certo fastidio aver dovuto sborsare dalla saccoccia mille sesterzi, mentre Roscio ne guadagnava ben centocinquantamila grazie alla sua scuola e alla professione di quello. Che attesa, che curiosità, quale desiderio e quanta simpatia portò con sé in scena Panurgo, solo per avere avuto Roscio come guida! Chi amava il maestro guardava al suo discepolo con benevolenza, chi ammirava l'uno apprezzava l'altro, chi, infine, aveva anche solo sentito nominare il nome di Roscio, reputava Panurgo un giovane estremamente preparato. Così è il volgo: di rado fonda il suo giudizio sull'osservazione del dato reale, basandosi piuttosto sull'opinione comune. >30> Erano davvero pochi quelli che sapevano distinguere le sue reali conoscenze, tutti, però, si preoccupavano di conoscere il nome della scuola a cui aveva appreso; non ammettevano, infatti, che da uno bravo come Roscio potesse venir fuori un attore scarso e di infime capacità. Se fosse uscito dalla scuola di Statilio e se anche si fosse rivelato più bravo dello stesso Roscio, non avrebbe avuto alcun successo di pubblico; nessuno, infatti, penserebbe mai che da un pessimo istrione possa derivare un buon professionista, così come da un padre degenere non può proprio nascere un figlio onesto. E per il fatto che era allievo di Roscio, dava l'impressione di conoscere ancora più cose di quelle che in realtà sapeva. >XI> Una situazione del genere si è verificata qualche tempo fa con il comico Erote; scacciato dalla scena a suon di fischi e di pesanti offese, cercò rifugio, quasi fosse un altare, nella casa di Roscio, appellandosi al suo insegnamento, alla sua protezione, al suo nome: e così, in men che non si dica, chi nemmeno era degno di stare con istrioni da strapazzo, fu annoverato tra gli attori più celebri e importanti. >31> Che cosa provocò questo improvviso cambiamento? Una semplice parola di raccomandazione da parte di Roscio; e così, alla fin fine, non solo si prese in casa il nostro Panurgo perché si dicesse che era stato un suo allievo, ma anche gli insegnò un mestiere che gli costò un impegno non indifferente, sia fisico che mentale. Infatti, quanto più qualcuno è brillante e pieno di talento, tanto più si spazientisce di niente e fa una gran fatica nell'insegnare, perché lo irrita e lo tormenta vedere che il suo allievo è lento nell'apprendere quanto lui stesso aveva capito in un batter d'occhio. Ho tirato un po' più per le lunghe il mio discorso proprio perché poteste avere ben chiara la natura di questa società.
>32> E dopo cos'è successo? «Panurgo, lo schiavo che avevamo in comune, è stato ucciso da uno, un tal Quinto Flavio di Tarquinia. Nella causa che ne è seguita», continua, «mi hai scelto come tuo rappresentante. Ma una volta avviato il processo e stabilita la sanzione di risarcimento al danno, te la sei vista con Flavio, senza più interpellarmi». Ma mi sono accordato per la mia metà o per il valore intero della cosa? Voglio essere ancora più esplicito: ho agito nell'interesse comune o esclusivamente nel mio? Nel mio e basta, ma mi sono basato sull'esempio di molti; è una procedura lecita; una quantità di persone l'ha già fatto e ha avuto la ragione dalla sua parte; comportandomi così, non ti ho fatto alcun torto. Reclama pure la tua parte, esigi il dovuto e portatelo via; è giusto che ciascuno rivendichi il suo e faccia il possibile per ottenerlo. «Non per nulla te li sei gestiti bene i tuoi affari». E tu prova a fare altrettanto. «Per quella tua metà hai stabilito un accordo economicamente molto vantaggioso». Avanza anche tu una pari richiesta. «Ne hai portati via, di sesterzi, a Quinto». E va bene: portagliene via anche tu. >XII 33> Comunque, per quanto adesso sembri da questo discorso e dall'opinione comune che la transazione operata da Roscio sia qualcosa di eccezionale, vi renderete presto conto che nella realtà dei fatti è stata ben poca cosa. Gli toccò, infatti, un podere in pieno periodo di inflazione, quando cioè il prezzo dei beni immobili era sceso notevolmente; quella tenuta, poi, non comprendeva neppure una abitazione: anzi, non era neanche coltivata; oggi vale molto di più di quel che valeva allora. Ma non c'è da meravigliarsi. In quel periodo, infatti, a causa della crisi politica, i possedimenti di ciascuno erano in forse, mentre adesso - e ringraziamo la benevolenza degli dèi immortali - possiamo star tranquilli circa le ricchezze di noi tutti; su quel terreno non cresceva neanche un filo d'erba, non c'era nemmeno una cascina, ora è curato come un giardino e c'è una fattoria che è uno splendore. >34> Tuttavia, visto che sei tanto cattivo d'animo, non potrò certo liberarti da questo pensiero fisso che ti fa star male. D'accordo, Roscio ha fatto un affarone e ne ha ricavato un appezzamento che è una vera miniera d'oro; ma a te che importa? Cerca di concordare la metà che ti spetta nel modo che più ti aggrada. No, lui preferisce spostare il problema, nel tentativo di inventare ciò che non può dimostrare. «Ti sei fatto risarcire per l'intero valore della cosa», dice Fannio tra i denti.
Ecco a cosa si riduce l'intera causa: stabilire se Roscio ha preso accordi con Flavio solo per la sua parte o per tutta quanta la società. >35> Io riconosco che se Roscio è entrato in possesso di qualcosa in nome appunto della società, deve restituirlo alla società stessa. Si dice che, accettando quel terreno da Flavio, ha messo fine ad una lite non sua propria, ma comune a due persone. Perché allora non ha dato garanzia che nessuno avrebbe più richiesto un solo asse? Chi, infatti, scende a patti solo per la propria parte, lascia agli altri il pieno diritto di perseguire giuridicamente l'imputato; ma se uno transige a nome dei suoi soci, si fa garante che nessuno di loro vada in seguito a reclamare. Come mai, allora, non è venuto in mente a Flavio di farsi dare cauzione? Evidentemente non sapeva che Panurgo era spartito in società tra due persone. Invece lo sapeva. Allora era all'oscuro del fatto che Fannio fosse socio di Roscio. - No, ne era al corrente perché era stato proprio Fannio a intentare una lite contro di lui. >36> Perché, dunque, stringe un accordo e non stipula che non ci saranno rivendicazioni di sorta da parte dei soci di Roscio? Perché rinuncia al suo podere senza preoccuparsi di uscire assolto dalla lite in corso? Perché compie l'errore madornale di non vincolare Roscio con un contratto e di non liberarsi della presenza di Fannio con il processo in questione? >37> Ecco la mia prima prova, la più certa e la più autorevole, se si considera la natura della controversia e la procedura giuridica che sottende una cauzione; e vi spenderei volentieri più di due parole se non avessi altri argomenti ancora più convincenti e di maggiore effetto per vincere la causa.
>XIII> E perché tu non dica in giro che ho promesso a vanvera, farò alzare te, sì proprio te, Fannio, dal tuo sgabelletto e ti indurrò a testimoniare contro te stesso. Quale è la tua accusa? Che Roscio si è accordato con Flavio per conto della società. Quando? Quindici anni fa. La mia difesa che cosa dice? Che Roscio ha concluso la transazione con Flavio solo per la sua parte. Sono già tre anni che hai fatto a Roscio una promessa. Quale? Ripetine bene il contenuto a voce alta. Stai attento, Pisone, te ne prego; sto per costringere a deporre contro se stesso un Fannio recalcitrante, che cerca scappatoie in tutti i sensi. Allora, che cosa dice questo patto? «Prometto solennemente di pagare a Roscio la metà di ciò che otterrò da Flavio». Sono parole tue, Fannio. >38> Ma che puoi pretendere da Flavio, se Flavio non ti deve nulla? Come è possibile che Roscio si faccia promettere ora ciò che sempre lui ha già ottenuto qualche tempo fa? Perché mai, poi, Flavio ti dovrebbe dei soldi, visto che ha già saldato il suo debito con Roscio? Per quale motivo salta fuori questo nuovo accordo quando si ha a che fare con una storia tanto vecchia, con un problema ormai risolto, con una società che si è sciolta? Chi ha stilato questo patto reciproco e se ne è fatto testimone e arbitro? Tu, Pisone; sei stato proprio tu a pregare Quinto Roscio che per tutto l'impegno e la fatica compiuta da Fannio, che si era fatto garante ed era comparso in giudizio, gli desse centomila sesterzi, ma a una condizione: se mai avesse ottenuto qualcosa da Flavio, ne avrebbe dovuto lasciare a Roscio l'esatta metà. Non ti sembra parlar chiaro questa stipulazione e confermare che Roscio era sì sceso a patti, ma solo per sé? >39> Può darsi che ti torni alla memoria un piccolo particolare e cioè che Fannio si era legato a Roscio con la promessa di fare a metà della somma ricavata da Flavio: peccato, però, che non gli avanzò nessuna richiesta. E con questo? Ti devi preoccupare della promessa in sé, non dell'eventuale risultato positivo della riscossione. Se anche avesse deciso di non insistere a inseguire quei soldi - e avrebbe potuto farlo, perché dipendeva solo da lui -, non avrebbe però negato che Roscio aveva risolto un problema suo e non della società. Che cosa si potrà aggiungere se ora finalmente vi dimostro che, dopo il vecchio accordo di Roscio e questo più recente di Fannio, il nostro amico si è intascato centomila sesterzi da Quinto Flavio, adducendo come scusa Panurgo? Tu credi, Quinto Roscio, che, nonostante tutto, Fannio avrà il coraggio di continuare a prendersi gioco della reputazione di un uomo perbene? >XIV 40> Poco fa mi sono posto una domanda molto pertinente all'intera vicenda: mi sono chiesto, cioè, perché mai Flavio, pur risolvendo la controversia con un accordo, non ha preteso da Roscio una cauzione né ha cercato l'assoluzione da parte di Fannio nel corso del processo; ciò che intendo ora sapere riguarda un aspetto di questa storia che ha dell'assurdo, dell'incredibile: come si spiega che Flavio avrebbe versato a Fannio in via del tutto privata centomila sesterzi, pur essendo sceso a patti con Roscio per l'intera faccenda? A questo proposito vorrei proprio sapere che cosa ti prepari a rispondere, Saturio: forse che non è vero che Fannio ha ricevuto da Flavio centomila sesterzi o che magari lo ha fatto, ma per un motivo diverso da questo, addirittura chissà in nome di cosa. >41> Se la causa è un'altra, che genere di rapporto ti aveva mai legato a lui? Nessuno. Forse Flavio ti era stato consegnato per via del suo delitto? No. E allora è inutile, sto perdendo il mio tempo. «Ma Fannio non ha mai ricevuto centomila sesterzi da Flavio, né a nome di Panurgo né di chiunque altro», risponde Saturio. Se ora io riesco a dimostrare che dopo questo ultimo accordo di Roscio tu hai intascato quei centomila sesterzi da Flavio, sussisterà ancora qualche motivo per cui tu non debba uscirtene da questo tribunale coperto di vergogna? >42> Di quale testimonianza mi servirò per raggiungere il mio scopo? La faccenda era già finita in tribunale, almeno credo. Sì, ne sono certo. Chi era l'attore? Fannio. E l'imputato? Flavio. Chi faceva da giudice? Cluvio. Fra questi ce n'è uno soltanto che sono obbligato a chiamare in aiuto, perché è l'unico che può testimoniare che la somma è stata pagata. Chi sarà il mio uomo decisivo? Senza dubbio quello investito all'unanimità del potere di giudice. Tu chi ti aspetti che sia tra questi tre il mio testimone? L'attore? Ma si tratta di Fannio; non deporrà mai contro se stesso. Allora l'accusato! Peccato che Flavio sia morto già da un pezzo; altrimenti, se fosse vivo, ne ascoltereste le parole. Il giudice? Sì, Cluvio. Cosa dice? Conferma che Flavio ha versato a Fannio centomila sesterzi in nome di Panurgo. Ora, se tu vuoi giudicare Cluvio in base al censo, sappi che è un cavaliere romano; se lo vuoi fare fondandoti sulla sua condotta di vita, essa è del tutto trasparente e il credito di cui gode ha fatto sì che tu lo scegliessi come giudice; la sincerità, poi, è il suo forte perché ha detto tutto quello che poteva e doveva sapere. >43> Coraggio, prova un po' ora a sostenere che non bisogna prestar fede a quell'onesto cavaliere romano che ti ha fatto da giudice! Si guarda nervosamente intorno, è agitato, annaspa nel dire che non possiamo produrre la testimonianza di Cluvio. Invece noi lo faremo. Ti sbagli di grosso; ti stai crogiolando in una vuota e debole speranza. Su, leggi le parole di Tito Manilio e di Caio Luscio Ocrea, due senatori tra i più stimati, che hanno ascoltato con le loro orecchie quanto Cluvio avesse da dire. [#Testimonianza di Tito Manilio e Caio Luscio Ocrea#.] Tu sostieni che non si deve credere a Luscio e a Manilio, né tantomeno a Cluvio? Per dirtela in modo più esplicito e diretto: >XV> secondo te, a proposito dei centomila sesterzi, Luscio e Manilio non avrebbero udito una sola parola dalla bocca di Cluvio, o Cluvio li avrebbe ingannati dichiarando il falso? A questo punto mi sento tranquillo, non ho il minimo dubbio, e non mi preoccupo più di tanto dove vada a parare la tua risposta; la causa di Roscio, infatti, è resa ancor più solida da testimonianze attendibilissime e puntuali di uomini moralmente integerrimi. >44> Se hai già deciso a quali persone togliere il credito che comporta un giuramento, rispondi. Pensi davvero che non si debba credere a Manilio e a Luscio? Parla, abbi un po' di coraggio; dà voce alla tua alterigia, alla tua arroganza e a tutto il tuo modo di vivere. Perché aspettare quando, tra pochissimo, farò notare che Luscio e Manilio appartengono all'ordine senatorio, hanno da tempo raggiunta l'età matura, sono scrupolosi ed onesti di carattere, provengono da famiglie benestanti e sanno amministrare le loro fortune? Non lo farò; non mi abbasserò a tanto, concedendo loro il frutto più che meritato di una vita trascorsa con rigore e serietà. È la mia giovinezza che ha bisogno della loro stima, molto più di quanto la loro austera vecchiaia senta la mancanza delle mie parole d'encomio. >45> Piuttosto, s'impone che tu, Pisone, rifletta a lungo e con ponderazione se prestar fede a Cherea, che non ha voluto vincolarsi ad un giuramento benché avesse intentato lui la lite, o a Manilio e a Luscio, che invece hanno giurato pur trattandosi di una causa altrui. Ci manca solo che si metta a sostenere che Cluvio abbia dichiarato il falso a Luscio e a Manilio. Ma se lo fa, tocca veramente il fondo della sua spudoratezza: come potrà non prestar fede a quel testimone che, in altra occasione, ha ben gradito come giudice? Avrà il coraggio di negare che gli si deve credere? Ma se lui stesso gli ha creduto un tempo!? E poi, davanti al giudice, metterà in dubbio la fede delle sue parole? Ma se è proprio grazie alla fiducia e alla scrupolosità che lo contraddistinsero a capo del tribunale che Fannio gli presentò i suoi testimoni! Avrà, quindi, il coraggio di non accettare se adesso io produco come teste chi, nei panni di giudice, non potrebbe rifiutare?
>XVI 46> E ancora Fannio controbatte: «D'accordo, ma quando si confidò con Luscio e con Manilio non era sotto il vincolo del giuramento». Perché, se lo fosse stato gli crederesti? Che differenza c'è tra uno spergiuro e un bugiardo? Chi di solito ha la bugia facile, non si fa problemi a dichiarare il falso. Un uomo che posso indurre a mentire, non ci metterò molto a convincerlo a fare altrettanto, anche se sotto giuramento. Basta scostarsi una sola volta dalla verità e poi diventa un'abitudine lasciarsi persuadere allo spergiuro, senza neanche provare uno scrupolo maggiore che a raccontare una bugia. C'è qualcuno che si preoccupa della maledizione divina invocata contro se stesso e non della lealtà della propria coscienza? È per questo motivo che gli dèi immortali hanno stabilito la medesima punizione sia per lo spergiuro, sia per il bugiardo; non è, infatti, di solito il carattere legale che permea il giuramento ad accendere d'ira i numi celesti, ma la perfidia e la malizia con cui si tenta di ingannare gli altri, tendendo loro insidie. >47> Io, invece, vedo le cose da un punto di vista opposto e sostengo che l'autorevolezza delle parole di Cluvio potrebbe eventualmente essere messa in discussione più se Cluvio avesse deposto sotto giuramento, di quanto non accada ora che parla libero da ogni vincolo. In un caso del genere, infatti, a certa gente malpensante potrebbe sembrare un po' troppo desideroso di fare da testimone a una causa di cui era già stato giudice; ora, invece, non può che esser ritenuto uomo assai leale e coerente da parte di tutte le persone perbene, anche se semplicemente confida agli amici più cari ciò che sa.
>48> Su, parla: se puoi, se le circostanze e la causa te lo consentono, dillo, adesso, che Cluvio ha mentito! Cluvio, quindi, avrebbe mentito? Ah, deve essere proprio la verità in persona che mi ha tenuto per un braccio, costringendomi per un attimo a prender fiato e a darmi una calmata! Come si spiegherebbe, dunque, questa bugia? Quale sarebbe la sua origine? Dovremmo supporre che Roscio sia un tipo astuto, sempre pronto a tirarsi fuori dai guai. All'inizio di tutta questa storia si sarebbe fatto un piano ben preciso in testa: «Visto che Fannio esige da me cinquantamila sesterzi, chiederò a Caio Cluvio, cavaliere romano di tutto rispetto, di non essere sincero nel corso del processo intentatomi e di raccontare che si è stretto un accordo, quando un accordo non c'è mai stato, e che Flavio ha dato a Fannio centomila sesterzi, anche se le cose non sono andate per questo verso». Ma così può ragionare uno che ha l'animo perverso, un povero di spirito, senza un minimo di cervello. >49> E poi, cosa sarebbe successo? Dopo essersi ben ben convinto del suo proposito, si sarebbe recato da Cluvio. Che tipo di uomo era Cluvio? Leggero? Al contrario, molto serio. Uno volubile? No, uno fermo nei suoi propositi. Un amico? Anzi, un perfetto estraneo. Dopo aver scambiato i soliti convenevoli, avrebbe iniziato ad avanzare richieste con voce suadente e flautata, più o meno così: «Racconta una bugia a mio favore: di' a tutta la gente rispettabile, ai tuoi amici, a quelli, insomma, che saranno presenti, che Flavio, anche se non è vero, è sceso a un accordo con Fannio a proposito di Panurgo; insisti sul fatto che a dare centomila sesterzi è stato proprio chi, in realtà, non ha versato un soldo». E lui che cosa avrebbe risposto? «Certo che mentirò per farti un piacere e lo farò anche volentieri, direi quasi con entusiasmo; e se un giorno vorrai che io giuri il falso perché tu possa guadagnarci qualcosa, sappi che sarò pronto a farlo; ma non era il caso che te la prendessi tanto a cuore e venissi di persona fin da me; potevi tranquillamente risolvere una cosa così stupida mandandomi un tuo messo». >XVII 50> Mi siano testimoni gli dèi e gli uomini! Avrebbe mai potuto Roscio chiedere a Cluvio un favore del genere, anche se in ballo ci fosse stata una cifra mille volte superiore a questa? E Cluvio avrebbe mai dato ascolto alle richieste di Roscio, se anche gli fosse stato concesso di spartire l'intero bottino? Per Giove! Tu, Fannio, non ce l'avresti il coraggio di domandare questo neanche a un Ballione o ad uno della sua risma, anzi non ne potresti cavare nulla. Logicamente parlando, quindi, ciò che tu sostieni non è credibile, proprio come risulta falso se si guarda in faccia la realtà; voglio, quindi, dimenticare che Roscio e Cluvio siano uomini di tutto rispetto e fingere che, per l'occasione, abbiano animo malvagio. >51> Va bene, Roscio ha corrotto Cluvio, il suo testimone! Perché, però, così tardi? Come mai lo ha fatto quando c'era da pagare la seconda rata, e non al momento del saldo della prima? Infatti, aveva già versato cinquantamila sesterzi. E poi, dato che Cluvio si era ormai convinto a mentire, perché, invece di parlare di centomila sesterzi, non ha tirato fuori la storia che i soldi pagati da Flavio a Fannio sono - che so? - trecentomila? Tanto più che, secondo i patti, a Roscio ne sarebbe toccata la metà esatta. Ormai, Caio Pisone, hai sicuramente già capito che Roscio non ha avanzato alcuna richiesta per la società, ma solo per se stesso. E se ne è reso conto anche Saturio: consapevole che la cosa non ha più segreti, non se la sente di continuare a contrastare la verità dei fatti, ma, anche se si è messo sulla buona strada, sta inventando un'altra scappatoia per mettere a segno il suo piano fondato sulla frode e sull'inganno.
>52> Sentiamo cosa ha da dire: «Ammetto che Roscio ha chiesto a Flavio solo la sua parte e sono anche disposto ad aggiungere che non ha allungato le mani su quella di Fannio, ma l'ha lasciata intatta; sono, però, più che convinto che quanto pretese ed ottenne, diventò automaticamente patrimonio comune alla società». Rispetto ad un'affermazione del genere non si può essere più pignoli o semplicemente più disonesti. È per questo che mi domando se Roscio ebbe o meno la facoltà di reclamare la sua parte in base agli accordi presi con la società. Poniamo l'ipotesi che questa facoltà non ce l'avesse: come avrebbe fatto, allora, a portarsi via quei soldi? In caso contrario, invece, come avrebbe potuto non riscuotere per sé? Se, infatti, uno avanza una richiesta di denaro nel suo interesse, non lo fa certo per conto di un altro. >53> Ma forse le cose non stanno proprio così: se avesse preteso una cifra ad appannaggio dell'intera società, tutti i soci si sarebbero spartiti il ricavato in maniera equa ed equilibrata; ma, visto che ha chiesto unicamente ciò che spettava a lui, avrebbe forse non dovuto tenere soltanto per sé la somma che gli è stata pagata? >XVIII> Che differenza passa tra chi ha in ballo una causa per difendere i propri interessi e chi, invece, è stato designato rappresentante? Chi intenta un processo a nome suo, ha il diritto di avanzare richieste esclusivamente a proprio interesse, cosa che nessuno può fare per un altro, a meno che non ne sia stato eletto difensore. Ma è davvero così? E se invece fosse stato il tuo rappresentante e avesse riportato una splendida vittoria in tribunale, tu ne godresti i frutti; ma, visto che ha agito esclusivamente a suo nome, ha riscosso quel che è riuscito ad ottenere anche per te, e non per sé solo? >54> Se invece si potessero tutelare gli interessi di un altro anche senza esserne ufficialmente rappresentante, allora ti domando come mai, quando fu ucciso Panurgo e il processo intentato con Flavio era di quelli per danni, tu, per l'occasione, sia stato eletto rappresentante di Roscio: tanto più che, stando alle tue parole, tutto quello che tu avessi chiesto per te, lo avresti fatto anche nel suo interesse; allo stesso modo, qualunque fosse stata la riscossione, si sarebbe versata nella cassa comune della società. Ma considerando che a Roscio non sarebbe entrato in tasca niente di quanto Flavio ti avesse pagato, se non ti avesse scelto come suo rappresentante nel processo, ora non ti spetta neanche un soldo della somma versata a Roscio per soddisfare la sua parte: e sai perché? Perché nessuno lo ha nominato tuo rappresentante. >55> Che cosa puoi controbattere, Fannio, alla mia argomentazione? Dato che Roscio è giunto a una transazione con Flavio solo per la parte che gli spettava, non ti ha forse lasciato piena libertà d'azione? Dici di no? Come hai potuto, allora, riscuotere da lui qualche tempo dopo la bellezza di centomila sesterzi? Ma se mi rispondi di sì, che quella libertà te l'ha lasciata, perché ti ostini a chiedere a lui ciò che per te solo hai il dovere di esigere e di farti pagare? La società è in tutto e per tutto simile all'eredità, potrei dirle gemelle; come, infatti, in una società ogni socio ha la sua parte, così in un'eredità ad ogni erede spetta il suo. Se un erede, poi, intenta un'azione giudiziaria, lo fa esclusivamente per sé e non a nome di quelli che spartiscono con lui le ricchezze; è ovvio che anche un socio, in un caso del genere, si comporta allo stesso modo. Socio o erede che sia, se reclama giustizia in tribunale per avere soddisfazione della sua parte, vuole essere saldato solo per la sua parte: se è un erede, per quel che gli spetta in base alla volontà del defunto, se è un socio, secondo i patti stretti in società. >56> Roscio avrebbe potuto condonare a Flavio per suo conto la parte di debito che gli era dovuta, per evitare così che tu avanzassi delle pretese; allo stesso modo, visto che ha trattato solo per la sua parte e ha lasciato intatta la tua, non ha proprio niente da spartire con te, a meno che tu non riesca a dimostrare, con chissà quale assurdo ragionamento, di potergli tranquillamente estorcere il denaro che non sei riuscito ad ottenere da altri. Saturio, intanto, rimane sulla sua posizione: qualunque sia la richiesta avanzata dal socio, è sempre a nome della società. Se le cose stanno così, Roscio fu davvero tanto stupido, maledizione, da stipulare puntualmente con Fannio - ed erano presenti autorevolissimi giureconsulti - che gli venisse versata l'esatta metà di quanto avesse riscosso da Flavio? Ma non si è appena detto che Fannio, senza bisogno di garanzie o promesse, sarebbe stato comunque debitore nei confronti della società, vale a dire di Roscio?
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