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La riforma Gentile




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La riforma Gentile


La riforma Gentile Il Ministro della Pubblica Istruzione del primo governo
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La riforma Gentile


Il Ministro della Pubblica Istruzione del primo governo Mussolini è il filosofo Giovanni Gentile. Eppure il riformatore della scuola italiana non arrivò al Ministero per meriti fascisti; Quando Mussolini ottenne l'incarico di governo dal re volle subito dimostrare che il fascismo non era avido di "posti" ed era disponibile ad accettare la collaborazione di tutti gli uomini di valore. Di Gentile, Mussolini non conosceva nemmeno il nome. Glielo propose per la pubblica istruzione il sindacalista Lanzillo, e il futuro dittatore dovette restare piuttosto stupito quando, all'offerta dell'incarico ministeriale, Gentile rispose ponendo due condizioni: che fossero ristabilite le pubbliche libertà e introdotto l'esame di Stato nelle scuole secondarie.

Mussolini promise e Gentile accettò.


Il nuovo governo Mussolini doveva dimostrare al paese che non solo era tornato l'ordine, per il quale sarebbe stato sufficiente un governo militare, ma che si poneva anche mano ai grandi problemi del paese. E il filosofo fiorentino, assertore della "moralità della storia", ebbe l'incarico di dare una nuova e coerente forma alla scuola italiana.


La riforma, varata con la legge del 31 dicembre 1923 n. 3126, presentata come sistematica e costruttiva risposta alla crisi che aveva investito globalmente l'istituzione scolastica, fu salutata da Mussolini come "la più fascista delle riforme".

Questo preteso carattere fascista della riforma fu, tuttavia, più apparente che reale.

Infatti, la riforma di Giovanni Gentile non creò una scuola fascista: creò una scuola gentiliana, nella quale l'istruzione classica era considerata il punto centrale e la sintesi della preparazione culturale del giovane.

Per descrivere la riforma di Gentile si usa l'espressione "sistema scolastico a canne d'organo", scuole parallele tra loro con indirizzi separati, di lunghezza diversa, non comunicanti tra loro, con una tendenziale corrispondenza tra indirizzo di scuola e un certo ceto sociale.

Dal punto di vista strutturale Gentile individua l'organizzazione della scuola secondo un ordinamento gerarchico e centralistico. Una scuola di tipo aristocratico, cioè pensata e dedicata "ai migliori" e non a tutti e rigidamente suddivisa a livello secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale per il popolo. Le materie scientifiche furono quindi messe in secondo piano, avevano la loro importanza solo a livello professionale.




La "Riforma Gentile interessa tutti i gradi di scuola e prevede:

  1. 5 anni di scuola elementare (dai 6 ai 10 anni) uguali per tutti
  2. l'estensione dell'obbligo scolastico fino a quattordici anni
  3. la suddivisione della scuola superiore in scuole tecniche e in licei;
  4. la riforma della scuola normale che diviene Istituto Magistrale della durata di sette anni;
  5. la messa al bando dello studio della didattica, della psicologia e di ogni attività di tirocinio
  6. la creazione di un liceo femminile che dovrebbe formare giovani della piccola-media borghesia desiderose di acquisire un diploma superiore (a differenza di quello maschile, questo liceo non prepara al lavoro ed alla vita ufficiale, bensì garantisce alla donna un'educazione adeguata al ruolo di moglie e di madre);
  7. l' insegnamento obbligatorio della religione cattolica e l'introduzione dell' istruzione estetica;
  8. l'istituzione di scuole speciali per handicappati;

(il duce con Gentile)

La scuola elementare, obbligatoria e gratuita, era suddivisa in due corsi: inferiore (fino alla 3° classe) e superiore (4° e 5° classe). Per l'ammissione al corso superiore bisognava superare un apposito esame di Stato. Dopo la scuola elementare, che si concludeva con l'esame per conseguire il "certificato di compimento", lo studente che desiderava proseguire la carriera scolastica fino ai più alti gradi doveva sostenere un altro esame: quello di ammissione al Ginnasio. Anche il Ginnasio era suddiviso in due corsi, e il passaggio dal corso inferiore a quello superiore comportava un esame, che si sosteneva alla fine della terza Ginnasio. Alla fine del quinto anno di Ginnasio lo studente doveva ancora sostenere degli esami, quelli conclusivi della scuola ginnasiale, e che avevano il nome di "esami di ammissione al liceo". Il superamento di questi esami permetteva l'iscrizione al Liceo Classico, triennale. Infine, il conseguimento del diploma di maturità classica permetteva l'accesso a tutte le facoltà universitarie. Il giovane che arrivava all'Università aveva quindi superato un numero di sbarramenti non indifferente: sei esami nei primi tredici anni di studi. Le materie di insegnamento del ginnasio erano italiano, latino, greco, storia, geografia, matematica, lingua straniera (dalla 2° alla 5° ginnasio), religione ed educazione fisica.


UNA SCELTA PER IL FUTURO Il Liceo Scientifico, di durata quadriennale e al quale si accedeva con gli stessi titoli di ammissione per il Liceo Classico, prevedeva un approfondimento degli studi scientifici e il proseguimento dello studio della lingua


straniera, oltre all'insegnamento del disegno. La mancanza dell'insegnamento del greco e il numero minore di ore dedicate alle altre materie letterarie limitavano, per i maturati al Liceo Scientifico, l'accesso agli studi universitari, escludendo la possibilità di iscrizione alle facoltà di lettere, filosofia e giurisprudenza.
             Lo schema gentiliano della scuola poneva quindi già dalla quinta elementare una scelta per il futuro del giovane perché l'istruzione classica restava la scuola per eccellenza, aprendo la strada ad ogni possibilità di studi universitari, mentre le alternative al ginnasio andavano dalla scuola secondaria di avviamento professionale (il più basso gradino, che serviva in sostanza ad avviare i giovani al lavoro dopo il 14° anno d'età), all'istituto tecnico e all'istituto magistrale, che erano pure scuole di avviamento al lavoro, ma prevedevano anche un accesso limitato agli studi universitari (la facoltà di agraria o di economia per il primo, la facoltà di magistero per il secondo). Il liceo artistico infine dava la possibilità di proseguire gli studi solo all'Accademia di belle arti o alla facoltà di architettura.

La rigidità del sistema si esprimeva anche attraverso le differenti spese che doveva affrontare la famiglia per l'istruzione dei figli. Qui di seguito forniamo i costi, riferiti al 1935, di un corso di studi completo (ossia fino al conseguimento del diploma finale) nei diversi settori dell'istruzione secondaria:
- ginnasio e liceo classico: Lit. 3.700
- ginnasio e liceo scientifico: Lit. 4.120
- scuola di avviamento al lavoro: Lit. 50
- istituto magistrale: da Lit. 1.610 a Lit. 2.400

Diplomarsi geometri o ragionieri costava Lit. 2.136, mentre chi terminava gli studi al grado inferiore degli istituto tecnici pagava in tutto Lit. 1.038.


BEATI I FIGLI DEL DANARO La scelta era quindi determinata anche dalle possibilità economiche e il forte divario tra i costi per il conseguimento della maturità, classica o scientifica, e quelli degli altri indirizzi di studio, oltre ai numerosi sbarramenti di esami che vedevamo sopra, portavano ad un sistema che premiava selettivamente i migliori, ma comunque determinava anche una selezione a priori basata sul reddito. Lo studio restava comunque,sia concettualmente che praticamente, un fatto di èlite ma era comunque uno studio libero in una scuola libera.











Il fascismo fece della cultura classica, soprattutto di quella latina, un uso strumentale, atto a legittimare, sul piano storico e culturale, la ripresa di una politica imperialista e civilizzatrice.

Tuttavia per il fascismo non fu facile assimilare una teoria organica sull'educazione dell'adulescens e quindi dello iuvenis romanus al fine di attualizzarla - allo stesso modo con cui il regime aveva assimilato e cercato di attualizzare la storia imperiale romana - e ciò per due motivi:

La mancanza di un'opera organica sull'educazione nella letteratura latina;

La funzione che la cultura latina affidava alla cultura.


Di questa funzione ci informa Quintiliano, che disegna nei primi due libri della sua Institutio oratoria il percorso che deve compiere il giovane romano per diventare un "buon oratore"



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