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Indicatori di qualità della relazione educativa




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Indicatori di qualità della relazione educativa










1 La "qualità" della relazione educativa


Più volte ci siamo soffermati nel sottolineare quanto sia fondamentale - ai fini del più autentico esercizio delle funzioni educative - che l'adultità si faccia competenza autobiografica, ovvero coscienza riflessiva (Margiotta, 2013; vedi anche Margiotta e Zambianchi, 2011), ciò solo consentendo l'eventuale qualificazione della relazione nei termini di "educativa". Ma l'adultità è anche "traguardo mai raggiungibile .in quanto. processo evolutivo che si organizza e si struttura in relazione alle diverse esperienze e con livelli di risposta aperti alla varie fasi della maturità personale e relazionale

. Il traguardo della responsabilità educativa va perciò strutturandosi come tipico percorso di formazione e di autoformazione, nel quale ciascun membro della famiglia impara a farsi «maestro» del processo" (Chionna, 2006, pag. 52).


In questo senso la genitorialità, per potersi esprimere al meglio, deve attraversare lo spessore della persona/adulto - ovvero quella fase di sviluppo psicosociale definita da Erikson come della "generatività-stagnazione" - solo così potendo assurgere, in ogni proprio atto educativo, a modello e punto di riferimento filiare. Se dunque la genitorialità è la qualità dinamica, in costante evoluzione, dei molteplici momenti di dialogo educativo col figlio, possiamo allora ritenere che funzione genitoriale e relazione educativa siano le due dimensioni fondanti il rapporto adulto/bambino; tale rapporto si realizza in una reciprocità dove però solo la consapevolezza e la capacità di autoriflessione del primo diviene "il metro di misura" dell'evoluzione del secondo. Dunque la funzione genitoriale connota il diritto/dovere di attuare proposte educative con uno specifico individuo-bambino (Bastianoni e Fruggeri, 2005).


A questo proposito ci siamo posti un interrogativo, riguardante la possibilità di individuare alcuni elementi, indicatori, fattori connotanti che consentano di individuare il "livello qualitativo" una relazione educativa. Abbiamo perciò pensato di ricavare dalle considerazioni degli esperti intervistati un inventario di basilari

"indicatori di qualità" ritenuti fondanti la relazione educativa.




2 Punti di vista esperti




In prima istanza, se per indicatori intendiamo "fattori di misurazione e volendo rimanere nel campo dei fini dell'educazione, individuarli rispetto alla qualità della relazione educativa - soprattutto genitoriale - appare azione del tutto impraticabile. Tuttavia, un risultato di qualità nella relazione educativa è dato quando gli educatori, ad esempio i genitori, riescono a creare le condizioni affinché gli educandi, nello specifico i figli, possano crescere come persone autonome, mature, responsabili, capaci di scelta e di decisione, attraverso il superamento dei conflitti. I genitori devono indicare la strada, dare la luce, assumersi la responsabilità di indicare il cammino, pur nella consapevolezza che i figli possono prendere anche una strada diversa (Iori).

Se poi conveniamo che la relazione educativa è in primis una "relazione di autorità", in virtù della quale l'educatore esercita un "potere gestionale" nei riguardi dell'educando, allora ne deriva che uno dei principale indicatori da cui si può desumere il livello di qualità della relazione educativa è di natura assiologia, coincidendo esso con la parità valoriale tra educatore ed educando, unica via che consente il mantenimento dell'equilibrio relazionale. La parità valoriale garantisce dal pericolo delle numerose possibili degenerazioni nell'ambito della relazione educativa - e quindi della relazione di autorità - che sono sostanzialmente dovute al tradimento del criterio valoriale. Evenienza questa che si verifica quando l'educando - solitamente un minore - viene percepito non più come soggetto che

vale di per sé ma come oggetto di cui l'educatore può disporre a proprio piacimento. Dalla "parità valoriale", indicatore di qualità della relazione educativa, derivano: il riconoscimento dell'altro, l'ascolto, l'empatia, la reciprocità, intesi tutti come "feedback riflessivo" (Pati).

Da un altro punto di vista, del tutto complementare al precedente, se ciò che

connota l'educatività di una relazione giace nella responsabilità che l'educatore si prende di condurre l'altro verso l'autonomia, allora può dirsi di qualità quella relazione nella quale chi ha compiti educativi si assume la libertà - intesa come presa in carico di responsabilità - di porre l'educando nella condizione di fare scelte proprie e di darne responsabilmente ragione, quindi di essere autonomo. Nell'ambito di una relazione educativa la libertà si dà perché chi già ce l'ha - l'educatore - ha imparato a gestirla. Ovviamente la gestione della libertà non è automatica né tanto meno naturale bensì va appresa. È questa la ragione per cui diventa necessario imparare ad esercitare la libertà, grazie a qualcuno che lo insegni. La libertà intesa come responsabile e autonoma esplicitazione di se stessi viene dunque acquisita ed il suo uso viene potenziato entro una relazione intersoggettiva che è, appunto, educativa, ovvero fondata su una funzione di "contenimento" e sull'esercizio dell'autorità (intesa come principio di rispetto della norma che contribuisce a salvaguardare responsabilmente i rapporti tra le persone) da parte di chi ha posizione "up" verso chi ha posizione "down", necessariamente fondato sulla reciproca fiducia (Ajello).

Ulteriori indicatori della qualità della relazione educativa sono ravvisabili nella

possibilità di valutare quanto questa si basi su uno stile troppo autoritario o, viceversa, troppo permissivo; oppure su quanto l'approccio dialogico con il bambino sia discorsivo ed argomentativo per abituarlo alla discussione ad avviarlo, man mano, alla presa di consapevolezze. Riferendosi al contesto parentale, Loretta Fabbri assume la famiglia alla stregua di una "comunità di costruzione della conoscenza", affermando che una famiglia è inserita in una traiettoria di conoscenza quando:

(a) si interroga sulla bontà di quello che fa e si chiede se quello che ha messo in atto è l'unico modo di agire (riflessività, pensiero critico, trasformatività);

(b) si apre ad altre comunità e al confronto, dentro e fuori la coppia coniugale, in vista di un reciproco apprendimento e della ricerca di soluzioni condivise (cooperazione, co-costruzione);

(c) è disponibile ad accogliere le conoscenze e le esperienze dell'altro (del coniuge, di altri genitori, ecc.) come occasioni da cui apprendere nuove pratiche (apertura, accoglienza, integrazione),

ciò rappresentando alcuni dei principali indicatori della "qualità della relazione

educativa" in ambito genitoriale (Fabbri). Inoltre, intendendo la famiglia alla stregua di "comunità di pratica", suggerisce che anche i sette principi di base enunciati da Wenger et coll. (2007) per "coltivare" dette comunità possono essere assunti a "criteri di qualità" della relazione educativa. Si tratta delle capacità di:

(1) progettare per l'evoluzione;

(2) creare un dialogo tra prospettive interne ed esterne; (3) promuovere diversi livelli di partecipazione;

(4) sviluppare spazi sia pubblici che privati;

(5) porre l'attenzione sul valore aggiunto; (6) combinare familiarità ed eccitamento; (7) creare un ritmo.

Alcuni altri indicatori di qualità della relazione educativa - soprattutto genitoriale - sono ravvisabili in alcune categorie pedagogiche fondamentali traibili dalle riflessioni di Diega Orlando Cian (2001; cfr. nota 112 in allegato B) quali la generatività intenzionale e responsabile, la cura nel presente tesa alla consapevolezza e all'autonomia tra passato e futuro, l'appartenenza tra protezione e autorevolezza, l'apertura dentro/fuori, la programmazione intenzionale in vista di un fine d'Amore (Milani).

La relazione educativa appare dunque coincidere con l'instaurazione di un rapporto (un processo) che è intenzionalmente strutturato (Pati).


Anche Formenti individua quale indicatore primario per la qualità della relazione educativa l'intenzionalità. Essa afferma che, dal punto di vista del dominio definitorio può essere indicata come educativa quella relazione qualificata dall'intenzionalità, ovvero da una precisa direzione verso cui l'azione dell'educatore e il sotteso suo pensiero si dirigono. Il termine "educativo" viene utilizzato per designare taluni tipi di relazioni in virtù di un obiettivo, che è appunto intenzionale; ma non è solo l'effetto ad essere "educativo" - effetto che può avere anche connotazioni casuali - bensì anche l'intenzionalità da cui la relazione medesima prende avvio. Dove c'è un'intenzionalità educativa, lì giace l'educatività della relazione. In altre parole, ogni relazione, se è autentica, almeno nei suoi effetti è sempre educativa. La relazione educativa viene perciò intesa come un processo intenzionalmente avviato su iniziativa della persona investita di responsabilità educativa anche dal punto di vista della dimensione sociale, basato sulla capacità della persona stessa di entrare in relazione con e finalizzato a far sì che gli individui affidatigli raggiungano determinati traguardi di crescita. L'intenzionalità costituisce dunque la premessa necessaria per acquisire consapevolezza, ovvero piena conoscenza del fatto che ciascuno è immerso in una relazione dove le persone si attribuiscono reciprocamente l'OK su di un piano di mutuo riconoscimento, che connota il terzo fondamentale indicatore di qualità della relazione educativa. Va tra l'altro sottolineato che anche nella relazione più asimmetrica - compresa quella educativa - l'interazione tra i soggetti, pur non essendo paritaria dal punto di vista del ruolo assunto (insegnante-alunno, genitore-figlio, educatore-educando) è invece reciproca dal punto di vista relazionale. Un indicatore aggiuntivo è individuato nella res, ovvero nel fatto che la relazione educativa non è fine a se stessa ma che esiste un "terzo" cioè un "oggetto" che motiva la condizione relazionale: tale res può essere una domanda, un contenuto, un obiettivo, avente funzione di "collante" tra i poli della relazione e giustificante il loro stare assieme; nel caso della relazione educativa, si tratta sempre di una motivazione - cioè di un obiettivo - di apprendimento (Formenti).

Da parte sua, Margiotta ritiene che le metodiche per rendere la relazione educativa

funzionale ai processi di crescita e di autonomia affettiva ed intellettuale - che intendiamo alla stregua di indicatori di qualità - non rappresentino né un paradigma, né uno scopo né un mezzo. Stritolata all'interno di una modularità tecnica dei saperi e organizzata intorno all'efficacia e all'efficienza del prodotto, la relazione educativa riflettuta e curata è oggi sprofondata nell'alveo del rimosso producendo, come tale, preoccupanti sintomi. Le relazioni, al plurale, private dell'attenzione di cura teorico-pratica, mostrano poi gli aspetti malsani della disaffezione al compito, della svalutazione dei contesti pubblici in cui avvengono, della recriminazione e delle accuse reciproche, fra i soggetti in gioco. Ciò che tematizza il tempo della relazione, del rapporto educativo è dunque il prestare attenzione. Mancare di attenzione è effetto e causa dell'in-curia. La cura, incursione verso l'altro e rientro in sé, ha un rapporto stretto con l'intelligenza: l'attenzione è dunque il cursore del pensiero intelligente, è possibilità di concentrare i sensi, la percezione sul mondo, individuando parti, confini e sfumature, figure e sfondi e, come dice Varela, è la possibilità di lasciare che ciò che definiamo oggetto venga avanti e ci incontri. E quando il processo di apprendimento non è semplice istruzione/addestramento ma assimilazione e accomodamento, in un movimento che pur convergendo sui saperi consolidati, scarta, diverge, allora la relazione educativa diventa strumento del cambiamento (Margiotta).

Cusinato identifica nell'Amore il fattore principe indicatore di qualità della relazione educativa, la cui traduzione pragmatica, verificabile, misurabile può essere identificata nei due processi della negoziazione e dell'intimità. Tali fattori, in quanto processi e non semplici atti, hanno bisogno di una consapevolezza tanto personale quanto relazionale - ed è questo un principio educativo - del senso del valore proprio e altrui, del vivere nel rispetto proprio ed altrui, del riconoscimento di sè e dell'altro. La disponibilità dell'adulto nei riguardi della vita dell'educando si esprime in quanto "presenza", intesa come capacità di esserci non per sostituirsi al percorso di vita dell'altro ma per condividere gioie, dolori, paure, occasioni. La presenza - ovverosia l'esserci per l'altro - si identifica con il fattore dell'intimità, che è una capacità che può essere appresa. La qualità della relazione educativa è naturalmente direttamente proporzionale alla misura in cui l'educatore considera l'educando importante tanto quanto se stesso: "non fare agli altri quello che mai faresti a te stesso". Il modo in cui l'educatore - genitore o insegnante che sia - esprime tale importanza, rappresenta la misura della qualità educativa.

Infine, una visione più ampia quale quella socio-relazionale di Donati, individua come elementi che consentono lo sviluppo della relazione educativa nel riconoscimento personale (affermare la verità dell'altro, confermare la sua identità, essergli riconoscenti) e nel riconoscimento relazionale (fare dell'altro un soggetto e non un oggetto della relazione), da cui ricava che gli indicatori di qualità della relazione educativa giacciono nei requisiti di una configurazione relazionale adeguata al suo scopo, che è quello di generare un bene relazionale virtuoso fra coloro che si trovano in quella relazione (cosiddetta relazione AGIL). La qualità della relazione educativa è di fatto proporzionale a come vengono praticati ed intrecciati fra loro: (L) il valore del dono (dare per primi, ovvero essere debitori anziché creditori verso

l'altro),


(I) la norma della reciprocità (il dono è fatto nell'aspettativa che l'altro lo accetti e contraccambi a suo modo con un equivalente - o quasi equivalente - simbolico),

(G) le deliberazioni su che cosa fare ovvero come comportarsi (i corsi di azione,

modus vivendi, ecc.),

(A) i mezzi necessari per l'agire di chi è destinatario attivo e partecipativo di un programma educativo o anche di una singola azione educativa.




3 Una proposta di indicatori di qualità della relazione educativa




Nella tabella 1 viene riportata una proposta di indicatori di qualità della relazione educativa così come abbiamo potuto desumere dalle interviste degli esperti; tali indicatori sono stati accorpati in funzione di alcune dimensioni ontologiche e delle prospettive di analisi che abbiamo privilegiato per approfondire il tema della relazione educativa (cfr. §2.2).

Tale proposta classificatoria per quanto approssimativa, ci induce a distinguere

almeno cinque dimensioni interpretative:


a) la dimensione assiologica, connotante la struttura valoriale e qualitativa entro cui si dispiega l'atto educativo;


b) la dimensione metodologica, specificante i metodi, le tecniche e gli strumenti su cui fondare l'azione educativa;


c) la dimensione pedagogica, indicante il senso e i fini dell'atto educativo che si giustificano, in ultima analisi, nell'apertura al futuro e nella funzione trasformativa dell'educazione;


d) la dimensione fenomenologica, inerente le caratteristiche essenziali, in termini processuali, contestuali ed ambientali, che stabiliscono l'educatività della relazione;


e) la dimensione antropologica, contemplante il riferimento al più ampio significato di cosa significhi essere Uomo in sé e in relazione agli altri, ciascuna delle quali individua un referente ontologico di ordine superiore, comprensivo e generale, da cui derivare articolazioni di ordine inferiore, più specifiche e meno generali, quelli che abbiamo appunto indicato come "indicatori di qualità" della relazione educativa.





Tabella 1 - Proposta di indicatori di qualità della relazione educativa ricavati dagli autori intervistati, accorpati in funzione delle prospettive di analisi di riferimento e di alcune dimensioni ontologiche.


Prospettive

Concettuali

Personologica



Psicologia culturale

Sistemica

Fenomenolo- gica

Integrale Antro- pologico

Sociorelazionale

Psicorelazionale

Autori



Dimensioni categoriali e indicatori di qualità della relazione educativa

Pati

Ajello

Fabbri

Milani

Formenti

Iori

Margiotta

Donati

Cusinato


di natura as- siologica

Riconoscimento dell'altro, Reciprocità,

Parità valoriale


x



x



x



x


x


x

Responsabilità propria e altrui


x


x


x

x



Generatività intenzionale, Generatività

etica




x


x







di natura metodologica

Autorità/Autorevolezza

x

x

x







Negoziazione







x


x

Accoglienza, Apertura, Integrazione, Intimità




x


x






x

Capacità di scelta e di decisione,

Deliberazione







x



x



di natura pedagogica

Intenzionalità, Res come obiettivo di

apprendimento





x


x



x



Autonomia


x




x

x



Agire progettuale a scopi evolutivi



x




x

x


Cooperazione, Collaborazione, Co-

costruzione della conoscenza




x



x




x


x


di natura fenomenologica

Riflessività, Pensiero critico,

Trasformatività


x



x





x



Dialogo, Ascolto, Empatia

x

x

x







Generatività come enattività






x

x



Cura, Dono, Presenza come esserci

all'altro





x




x


x


x


di natura


ica

Presenza come essere a se stessi,

Consapevolezza di sé e delle proprie azioni






x



x



x

Appartenenza



x


x


x


x


3.1 Alcune note critiche




Tornando alla classificazione in ipotesi di indicatori di qualità della relazione educativa, dobbiamo osservare come, ad un primo livello - ed è il più universale e permanente che si estende dal quasi-biologico (la crescita del "cucciolo d'uomo") al politico (la legge medesima cura ed educa), al comunicativo (nel conversare, nel leggere, anche nello scrivere c'è un'intentio educativa, performativa) - la relazione educativa si manifesta come prender-cura. È un prendere-in-cura: farsi carico, orientare, guidare. È la cura educativa, tipica della famiglia tradizionale e delle società anch'esse tradizionali, che guarda al conformare e al trasmettere: all'inculturazione. Essa ha al centro l'atto-del-dirigere: fissare fini, indicare mezzi, fissare percorsi e pratiche. La sua ottica è convergente coi desiderata (e bisogni) della società. Essa riproduce di generazione in generazione le condizioni di possibilità di una cultura, di una civiltà, di uno sviluppo sociale e culturale. È l'atto fondamentale della continuità storica, anzi della storia stessa, anche se tale principio vige già nelle società arcaiche che sono organizzate come "società educanti". Poi, nell'evoluzione storica, tale compito si articola, si specializza, si complica, per lo sviluppo stesso delle forme culturali, per il passaggio dall'oralità alla scrittura, per la nascita delle società complesse, per il costituirsi di luoghi specifici di apprendimento (teorico e pratico), come la scuola e la bottega (col suo stesso sviluppo in corporazioni di un'arte pratica specifica e col suo dar luogo a "scuole professionali": si pensi già alla Roma classica). La cura come educazione è stata, però, sottoposta ad un'analisi anche radicale proprio nel corso del Novecento, ponendone in luce tanto la logica ideale (ideologica, convergente, autoritaria) quanto la logica sociale (riproduttiva e classista). Essa promana, ancora, dalla famiglia allo stato (e alla sua scuola) e si lega al conformare e al trasmettere (come già detto). Essa lascia fuori il soggetto, la sua libertà/liberazione, la sua capacità critica e di dissenso: almeno come fine-in-vista. Soprattutto nella "rivoluzione culturale" del '68 tale aspetto di famiglia, scuola, stato, chiesa, etc. (fino agli attuali media) fu esaminato con acribia e de-legittimato come forma generale

dell'educare/formare, come modello di costruzione del sé e come sua regola. Di tale processo si enunciano i costi, le aporie, le dipendenze ideologiche, le acrisie, attraverso un'opera demistificatoria che coinvolse tutte le scienze umane e la stessa filosofia, che dette corpo a una filosofia critico-radicale dell'educazione e indebolì tale nozione, mostrandone la sua parzialità. Come ha ben ricordato Mariani nel suo volume del 2003.

Vi è tuttavia un secondo livello, dove il prendere-in-cura si esplicita e si evidenzia

come educere/educare. Esso permane sempre al centro di ogni vita sociale, di ogni cultura/società. Solo che va interpretato oggi come una forma della cura pedagogica e non come la sua forma esclusiva o primaria/totalizzante, riducendo la educazione a socializzazione. No, oggi non è più possibile. Dopo le analisi critiche del Novecento dell'educazione possediamo un'immagine più ambigua, più complicata, meno "naturale". Anzi: alla luce di queste analisi la stessa educazione si è fatta non solo una forma della cura, ma si è manifestata anche come problematica. Da correggere e da integrare con le altre forme della cura pedagogica. E da integrare in modo dialettico: tensionale, dinamico, de- e ri- costruttivo, sempre.

Vi è, poi, un terzo livello di qualità della relazione educativa, ed esso si configura come aver-cura o dell'incontro/dialogo. La cura in pedagogia si presenta anche come aver-cura-della-formazione, collocandosi a un livello più alto e complesso e sottile/ambiguo rispetto al fare educazione. La cura-come-formazione è cura di un soggetto, di quel soggetto, ponendosi dentro il suo processo di formazione, come sua formazione umana. È il processo fissato già da Socrate che ne è la guida. Processo di cura (del maestro) che si sviluppa come "risveglio", come "dialettica", come "ascesa" e come "maieutica", insieme, nei confronti dell'allievo. Di cui i dialoghi platonici sono un exemplum, soprattutto quelli che precedono La Repubblica e che hanno a protagonista il Socrate maestro: di vita e di autoformazione. Ancora oggi tale aver-cura si delinea come stare vicini (intimamente: ovvero interiormente) ed esser-pronti-a ., come presenza sostegno e come presenza-stimolo, orientata al promuovere verso . e a interpretare i segni (dell'autoformazione in corso), al porre traguardi e modelli, da rivivere sempre secondo libertà. Tale cura è sostegno e dono e dialogo. Trova nel sostegno (che orienta senza essere direttivo) il proprio imprinting. Si contrassegna attraverso il donare: un atto libero che può esser recepito o no nel suo messaggio dal ricevente;

un atto gratuito, ma dovuto e necessario per essere-nella-cura-come-formazione. Si sostanzia del dialogo, che è e deve essere aperto (e reciprocamente) tra i due "attori", così la cura-come-formazione produce pariteticità e uguaglianza, cancellando ogni aspetto di asimmetria e di direttività del prender-in-cura e ponendo la cura come aver-cura e aver-cura-insieme, in particolare.

L'aver-cura è un fascio di atti di sollecitazione, di stimolo e di orientamento, legati

all'intentio del formar-si che reclama un io attivo e un insieme di modelli, traguardi, etc. proposti e rivissuti (o no). La cura-come-formazione è posta a cavallo di maieutica e libertà, che ne sono i contrassegni dinamici, ed è rivolta a creare condizioni di autoformazione, di ricerca costante dell'identità del proprio sé, di struttura in equilibrio (pro tempore) di dare identità il cui stemma più profondo può permanere (e deve) come contrassegnato da inquietudine, apertura, ricerca di sé. Qui la cura non conforma, ma libera e accende un processo di ricerca aperto di cui l'ars majeutica è il fattore determinante: di avvio.

Sì, ma con l'autoformazione entra in gioco un altro modello di cura ed un ulteriore

livello di qualità della relazione educativa: la cura sui. Ed è questa autoanalisi e riflessione su di sé esercitata dal soggetto stesso. È il soggetto che guida e sostiene se stesso, ma lo fa reclamando tra io, sé e noi una serie di pratiche, che oggettivano questa presa-in-cura e la riattivano. Sono le tecnologie del sé e gli esercizi spirituali di cui ha parlato lo stesso Foucault in alcuni dei suoi ultimi testi: La cura di sé; Ermeneutica del soggetto; Tecnologie del sé. Tale tipo di cura esige la mediazione di una pratica di cui il soggetto stesso è l'artefice. E di una pratica di cura in quanto riflessiva, interpretativa, ri-orientativa, etc. Cura è qui esercizio di cura, sempre rinnovato, mai dato per risolto, poiché è ciò che valorizza il processo vitale che ci contrassegna come eredi dell'Homo sapiens sapiens. E su tale categoria la cultura contemporanea ha fatto ampia luce: sulla sua storia, sulla sua struttura, sulla sua funzione.

Quanto alla struttura, la cura sui è enattiva, ha cioè bisogno di pratiche e di scenari

in azione per consolidarsi e rendersi oggettiva e operativa ed efficace. Essa produce auto-formazione cercando di rendere il soggetto più consapevole e controllato. È dialogo-con-se-stessi: costante, aperto, sempre rinnovato e capace di farsi habitus del soggetto stesso. È controllo di sé: reiterato, reso programmatico, esercitato in modo costante. Ed è interiorizzazione di queste prassi che si fanno forma-del-sé e identitaria per l'io. Da qui anche la funzione: coltivare il soggetto mettendo al centro la sua propria (e risolta in modo specifico) umanità. Funzione che, ancora oggi, la riflessione filosofica indica come centrale, sempre più centrale. E si pensi alle tesi sviluppate negli USA da Martha Nussbaum.

Con la cura sui siamo dunque alla frontiera della relazione formativa che si distingue (per struttura ed intentio) dall'educazione (più direttiva e conformativa) e dalla formazione (più maieutica) e si caratterizza come educazione interiore autogestito (contrassegnata da impegno per sé e da esercizi spirituali, da pratiche vissute di cui il soggetto stesso è allievo e maestro). Siamo, così, davanti anche al modello più complesso, sfumato e sfuggente (al tempo stesso) della cura: più instabile, più incerto, ma il più alto poiché viene a gestire proprio l'interiorità dell'io.

Data l'articolazione della relazione educativa, posta proprio dalla sua identità

complessa e dalla sua dialettica interiore (fatta di tensione/convergenza o conflitto/integrazione, al tempo stesso, e quindi dialettica, aperta e sempre riaperta e che va dal basso all'alto e viceversa, ovvero dall'educere alla cura sui-et invicem) è necessario elaborare e rielaborare una teoria della cura. Anzi, una metateoria che ne evidenzi le forme, lo status e il ruolo nella ricerca pedagogica, dove la relazione assume un volto polimorfo e un'intenzionalità articolata oltre che una centralità epistemica e regolativa.

Lo ha fatto Luigina Mortari soprattutto col suo volume La pratica dell'aver cura, preceduto da Aver cura della mente, a cui si integra quello di Rossi (Aver cura del cuore) e si aggiungono il testo della Fadda (La cura, la forma, il rischio) o quello della Xodo (Capitani di se stessi, rivolto proprio alla cura sui) o anche quello curato dalla Boffo, che raccoglie una serie di studi riflessivi sull'aver-cura-pedagogica e si dispone proprio a una quota nettamente metateorica. Cosa emerge da questi diversi testi a livello di meta-teoria della relazione educativa? Che è categoria fondante del e sempre immanente al pedagogico, a livello tanto teorico quanto pratico. Che ha una fenomenologia complessa. Che è guidata dall'intenzionalità del coltivare e del curare. Che l'atto della relazione educativa di cura è atto di guida, di stimolo e proiezione, di auto-controllo, di sostegno e di autocoscienza e di dono al tempo stesso, contrassegnato da uno "spettro logico/eidetico" assai ampio ma convergente nella disposizione a stare vicino, dare sostegno, dedicarsi a in vista di varie finalità formative: ora conformative ora formative ora autoformative. Che l'esperienza formativa della relazione ha poi due "domini" classici a cui dedicarsi: la mente e il cuore, il pensiero e gli affetti e che devono esser curati insieme e separatamente e trattati con la medesima cura (= attenzione, dedizione, cautela, etc.). Che la relazione educativa diviene formativa quando si fa cura-di-sé, rendendo ogni soggetto "capitano di se stesso", in un processo affatto semplice che, metateoricamente, reclama la compresenza di un "approccio genealogico", di uno "fenomenologico-strutturale", di uno "empirico", per dar luogo alla "costruzione di identità personale" che di questi orientamenti metodologici si nutre, in quanto essi la illuminano nella sua articolazione/integrazione. Che la relazione educativa si esplicita nella sua trama generativa quando viene posseduta attraverso un'analisi organica, coerente e radicale, la quale va costantemente esercitata sia per rendere più criticamente accorta l'esperienza della relazione sia per curvarla nello spazio- tempo che viene, qui e ora o là e allora, a esercitarla.

Se alla relazione viene riconosciuta una originarietà ontologica (e così è nella specie Homo sapiens sapiens), è però necessario articolarne la fenomenologia tra saperi e visioni sociali, fissando le tipologie della relazione educativa, investendola però anche e sempre di una storia riflessiva epistemica e "trascendentale", attraverso la connessione intima che essa trattiene con l'ontologia regionale della pedagogia: in cui si fa categoria fondativa e regolativa ad un tempo.

Su questo piano è il paradigma ecologico ad imporsi come specifico e coordinante, al tempo stesso, tra i vari fronti della relazione educativo-formativa. Sì, dalle varie analisi della relazione educativa cura in pedagogia emerge anche il paradigma che deve, oggi e qui orientare sempre e sempre più la qualità stessa della relazione educativa: il curare, il prendere-incura, l'aver-cura, la cura-di-sé; e che, anch'esso, si fissa bene a livello di riflessione meta-teorica. Esso è, appunto, quel paradigma ecologico che da più parti si è imposto nella riflessione sul soggetto (penso all'"ecologia della mente" alla Bateson, all'"ecologia dei media" alla Postman, tanto per esemplificare) e anche sulla sua formazione: si comincia a parlare di "ecologia della formazione", che risulta così un paradigma emergente e ben capace di connaturare il progetto educativo/pedagogico contemporaneo.

Tale nuovo paradigma va compreso e coltivato. Va delineato nel suo spessore

teorico e nella sua forza pratica. E va ben illuminato proprio nel significato, qui, da dare a ecologia. Nella educazione/formazione/autoformazione ecologia significa sì equilibrio, ma mai statico, bensì dinamico, ma non entropico. Significa un equilibrio inquieto, ma che guarda sempre a costruire-equilibrio e dar corpo a più-equilibrio. Ecologia, però, significa anche pluralismo, differenze che si raffrontano, si raccordano, si integrano, ma sempre alla luce di un equilibrio instabile, precario, sub judice. Ecologia è il paradigma della vita e se la pedagogia è il sapere del gestire/costruire la vita dell'Homo sapiens sapiens l'ecologia non può che essere il neo-paradigma di questo esser-vita che "ontologicamente" (Heidegger) si incardina sulla cura e, di fatto, sulla cura al plurale, che è - appunto - gestita dalla pedagogia. Già lo Heidegger di Sein und Zeit legando cura e autenticità ci ha condotti verso questa frontiera: l'esistenza autentica è sì "angoscia" e "essere per la morte", ma sempre dentro quel continuo formarsi che è l'atto vitale proprio dell'uomo, chiamato a farsi sempre più "umano" in un processo finito e infinito al tempo stesso.




4 Considerazioni conclusive




Questa prima classificazione apre alla possibilità di rileggere una serie di interventi formativi o di progetti - anche internazionali - che interessino le tematiche intercettate dagli indicatori categorizzati in tabella 1, allo scopo di individuare alcuni strumenti o iniziative di monitoraggio dei trend di qualificazione della relazione educativa. Una prima prospettiva di ancoraggio per l'utilizzo di tali indicatori è data dal capability approach, dal momento che le posizioni espresse sia da Sen che dalla Nussbaum - artefici principali del paradigma dello sviluppo umano

- chiedono di ricostruire uno scenario di governance dei processi economici e sociali dell'umanità alla luce di un nuovo umanesimo .


Questa prospettiva costituisce il prosieguo dei lavori di ricerca a cui intendiamo impegnarci.


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