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I primi passi della radiofonia italiana giunsero molto in ritardo rispetto ai progressi scientifici che furono operati nel settore e, soprattutto nei primi anni, si mossero lentamente, dimostrando il divario esistente tra l'Italia e paesi più progrediti come l'America e l'Inghilterra.
Il problema di una legislazione in materia di comunicazioni senza filo era avvertito fin dalle scoperte di Marconi, ma l'arretratezza tecnologica e la situazione politica circoscrissero tale questione al solo campo militare e della ricerca scientifica.
Solo nel 1910 si ebbe una prima chiarificazione in ambito legislativo: la legge 30 giugno 1910 n. 395 stabilì il principio dell'interesse e del controllo pubblico in materia di radiofonia. Tale principio si inseriva nell'orientamento di intervento pubblico nei settori ritenuti essenziali alla comunità italiana, come la nazionalizzazione delle ferrovie o dell'energia elettrica.
Un secondo principio era comunque stabilito: quello della possibilità da parte del governo di "accordare a qualsiasi persona, ente, amministrazione pubblica o privata, a scopo scientifico, didattico, od anche di servizio pubblico o privato, l'autorizzazione di stabilire ed esercitare impianti di tale natura a terra e sulle navi da diporto o di commercio, previa regolare concessione" (art. 1, comma 2).
Si preventivava quindi l'ipotesi di una o più concessioni controllate dallo stato.
In ogni caso il ritardo nel procedere alla formulazione del regolamento per l'esecuzione della legge, entrato in vigore due anni dopo, conferma il lento avvio nelle comunicazioni radio in Italia.
Nonostante la guerra mondiale, che ovviamente produsse forti accelerazioni in alcuni settori dell'industria Italiana, lo sviluppo radiofonico, settore comunque strategico, rimase ai margini. Non mancavano all'Italia né un adeguato livello tecnologico né un considerevole supporto di energia elettrica, eppure solo nel dopoguerra, stranamente, crebbero le prime organiche iniziative di radiocomunicazioni.
La prima causa del ritardo si può rintracciare nella complessiva arretratezza economica della popolazione italiana: solo alcune categorie di imprenditori e alcuni ambienti dell'amministrazione statale utilizzavano lo strumento radiofonico come mezzo per le proprie attività.
Inoltre il dibattito politico era ancora racchiuso in una ristretta cerchia di persone che, appartenendo ai ceti più ricchi ed essendo alfabetizzate, utilizzavano i quotidiani per la circolazione e diffusione di idee politiche. Non era avvertita, quindi, la necessità di uno strumento che estendesse il dibattito politico ad una popolazione più ampia.
Negli anni tra il 1910 e il 1920 in Europa il Broadcasting radiofonico andava evolvendosi con una certa rapidità. Era già in Inghilterra nata la BBC e stavano nascendo sia in Germania che in Francia le radioaudizioni circolari che si installavano su un tessuto costituito dalle emittenti radiotelegrafiche e radiotelefoniche, fortemente sviluppato rispetto a quello italiano.
In Italia la produzione di apparecchi per la trasmissione e la ricezione di segnali radio era legata ad una convenzione governativa risalente al 1904, la quale obbligava ad adoperare brevetti marconiani e che aveva affidato alla Società Italiana Marconi un monopolio di fatto riguardo alle radiocomunicazioni a bordo delle navi commerciali.
Solo nel 1923 si ebbe qualche sostanziale mutamento della situazione italiana. In quell'anno si assistette ad una forte concorrenza nell'ambito della produzione di impianti e apparecchi per la radiotelegrafia: tre grandi gruppi, uno francese con "Radio Italia", uno tedesco con "Radio Elettrica" e uno italiano con la "SISERT" (Società Italiana Servizi Radiofonici e Radiotelegrafici) diretta emanazione della Società Italiana Marconi si batterono per assicurarsi una posizione preminente nei servizi radiotelegrafici e radiotelefonici che il governo Mussolini e l'attuale legislazione intendevano affidare in concessione al miglior offerente.
Lo scontro si risolse nella vittoria del gruppo tedesco e francese che, nonostante le proteste della "SISERT", la quale si faceva forte della sua appartenenza allo Stato italiano, unirono le proprie forze (in termini di capitale sociale) e dettero vita alla "Italo Radio" che cominciò la produzione di pezzi per apparati di trasmissione utilizzando brevetti francesi e tedeschi.
La concessione escludeva il Broadcasting, punto molto importante che apriva la strada da un'altra soluzione per la questione radiofonica.
Nel 1923 la situazione dell'offerta di programmi radiofonici era disastrosa: solo nel 1924 una modesta società "L'Araldo Telefonico", che da tempo aveva costituito un servizio di Broadcasting utilizzando la linea telefonica come canale di trasmissione, pese l'iniziativa di impiantare una stazione radio a Roma per trasmettere programmi destinati ad un pubblico esteso nel raggio di 100 Km, il nome di questo primo servizio radiofonico era "Radio Araldo".
In campo legislativo il 1923 portò un sostanziale mutamento. Il decreto 8 febbraio 1923 n 1067 introduceva situazione di maggiore rigidità rispetto ai principi enunciati nel 1910, comincia il passaggio da un generico controllo pubblico ad una stretta vigilanza politica, tra le innovazioni introdotte dal decreto troviamo addirittura la facoltà da parte del governo di imporre la non assunzione o il licenziamento da apparati radiofonici di personale che poteva rappresentare un pericolo pubblico per la sicurezza.
La strada verso uno stretto controllo di regime era stata imboccata.
Nel frattempo diverse piccole società cominciarono ad interessarsi al campo del Broadcasting radiofonico, ma con scarsi risultati.
Solamente nel 1924, grazie ad un'azione congiunta dalla SIRAC e la Soc. An. Radiofono, nacque una grande società: l'URI (Unione Radiofonica Italiana) in grado, grazie anche ad un preciso accordo di vertice dello stato, di emergere e di soppiantare ogni sua concorrente.
È opportuno osservare che l'URI annoverava fra gli azionisti alcune delle maggiori ditte italiane di apparecchiature telefoniche, radiotelegrafiche, radioelettriche e radiofoniche. L'URI rappresentava pertanto gli interessi degli industriali italiani.
L'URI nacque due settimane dopo l'emanazione del regolamento dei decreti sulle comunicazioni senza filo, pubblicato nell' agosto 1924; tale regolamento lasciava un discreto margine di libertà all'esecutivo, riservando infatti allo stesso talune precisazioni concrete all'atto stesso di concessione.
Vi era quindi la premessa per un'intesa tra il potere dell'esecutivo e un determinato gruppo disposto ad assecondare in partenza le direttiva governative, in cambio di buone prospettive di guadagno e di un'importante intervento nei mezzi di comunicazione.
Non si assistette ad una gara di forze produttive in un regime concorrenziale, ma ad un esplicito desiderio del governo di controllare lo sviluppo della radiofonia.
Il 14 dicembre 1924 veniva emanato il decreto di concessione, mentre l'URI trasmetteva regolarmente già da tre mesi.
I risvolti politici sono oltremodo interessanti: innanzitutto il primo articolo del decreto sanciva la "concessione esclusiva dei servizi privati di radioaudizioni circolari in Italia". Era così stabilito un regime di monopolio direttamente controllato dal potere politico.
Il regime monopolistico, in questo caso, non era inteso come necessità per svolgere una funzione di servizio pubblico, le motivazioni erano strettamente legate all'esigenza di avere uno strumento ad uso e consumo di una comunicazione politica controllata dallo stato, non a caso la programmazione riguardante le notizie doveva sostare alla "sorveglianza dello Stato".
Per quanto riguarda i dati di ascolto la situazione non era rosea: chiunque non avesse un redito di livello medio - alto era impossibilitato ad usufruire del servizio, in quanto ogni abbonato doveva pagare all'URI 90 lire annue di canone, più 50 lire per diritto di licenza, più una tassa di bollo di 20 lire per gli apparecchi di ricezione a cristallo o a una valvola, 60 per apparecchi a due valvole e proporzionalmente a salire per gli apparecchi con un numero superiore di valvole.
Si profilava quindi un'utenza perfettamente delineate secondo precise categorie socioeconomiche, non solo, in questa prima fase della radio sembra interessare soprattutto una fascia di appassionati, per i quali la tecnica rappresentava il fattore preminente rispetto alla programmazione.
I primi medi si attivitò dell'URI furono ovviamente caratterizzati da un'attività sperimentale. Prevalse, come ovvio, il genere musicale, ma accanto alla trasmissione di musica trovò ben presto spazio la trasmissione delle notizie che comportava conseguenze politiche ben precise.
La soluzione era piuttosto semplice, l'URI si rivolse ad un' agenzia di notizie facente parte di uno dei gruppi interessati all'UTI, la "Radio nazionale", peraltro già controllata dal governo.
Nonostante ciò, il Ministero delle comunicazioni, nella persona del suo capo Costanzo Ciano, ritenne che l'Agenzia Stefani dovesse essere l'unica agenzia autorizzata a fornire alla radio notizie senza il preventivo controllo politico.
L'agenzia Stefani era già stata posta sotto il controllo diretto del partito fascista attraverso l'inserimento, nelle vesti di direttore, di Manlio Morgagni amico fidato e collaboratore di Mussolini. Questa operazione fu compiuta sia ai fini di un maggiore e diretto controllo, sia per facilitare la routine lavorativa attraverso una censura preventiva.
Per circa due anni l'URI trasmise senza alcuna modifica i notiziari dell'agenzia Stefani. Soltanto nel 1926 la società radiofonica chiese l'autorizzazione ad estendere il proprio servizio notizie includendo nei propri notiziari informazioni tratte dai quotidiani.
Il governo non ebbe difficoltà ad accordare il permesso, poiché la stampa nel 1926 era già stata totalmente messa sotto controllo dal regime.
Questa evoluzione dimostra che ciò che comunque mancava al fascismo era la percezione dell'importanza della funzione propagandistica.
In altre parole la radio era un mezzo da controllare e non da utilizzare per una diretta gestione dell'opinione pubblica, del resto l'ascolto radiofonico era così scarso da non giustificare tale interesse.
La musica fu la più grande protagonista di questo periodo: classica, leggera, concertistica ecc., le trasmissioni musicali accentrano tutta l'attenzione dei tecnici, preoccupati del perfezionamento acustico e del potenziamento dell'emissione raggiungendo, per l'epoca, risultati importanti.
Diversa è la situazione sul versante della programmazione culturale, ovvero quei servizi che spaziavano dal varietà letterario alla conferenza erudita, dalla divulgazione medica al racconto di viaggi. Il condizionamento del regime e la limitatezza di orizzonti dei suoi dirigenti, preoccupati più di attrarre e divertire l'ascoltatore, impedirono un'agevole divulgazione di tematiche propriamente culturali.
Ogni intervento era finalizzato più alla censura che al tentativo di far circolare idee e cultura vicine all'ideologia fascista.
È degno di nota l'impiego che, negli stessi anni, venne dedicato alle trasmissioni per i bambini: pubblico di per se speciale. "Il Cantuccio dei bambini" era una trasmissione tra le più progredite: presentava, sfruttando molto bene le caratteristiche del mezzo, fiabe, indovinelli, canzoni e brani musicali. Inoltre questa trasmissione intraprese una fitta corrispondenza con i piccoli ascoltatori che dimostravano di gradire ampiamente tale programma.
Tali bambini appartenevano a famiglia di una certa levatura sociale, le quali erano le uniche a potersi permettere un apparecchio radiofonico.
Non dobbiamo stupirci quindi se le musiche trasmesse durante "Il Cantuccio dei bambini" erano brani di Mozart o Bach, o se largo spazio era destinato ad una sorta di educazione civica fortemente legata a valori patriottico borghesi.
Il "Cantuccio dei bambini" rispecchia dunque l'atteggiamento del fascismo verso il mezzo radiofonico, ovvero una scarsa propensione ad un azione diretta e una netta tendenza ad una censura preventiva di tutte quelle tematiche che potessero contrastare valori legati al nazionalismo, al patriottismo e alla cultura borghese, in perfetta sintonia con i sentimenti di un pubblico elitario e di estrazione sociale elevata.
Negli anni che videro la nascita dell'URI, ritroviamo, tutte le caratteristiche descritte nel primo stadio della curva E-P-S. L'Italia degli anni tra il 1920 e il 1930 aveva un tasso di analfabetismo superiore al 20% che saliva al 40% nel sud con punte del 58% fra gli addetti al settore agricolo. La lingua ufficiale, utilizzata dal mezzo radiofonico, anche se parlata e non scritta, non era facilmente comprensibile a tutti e la percezione di questa barriera era avvertita da parte della dirigenza dell'URI che si adoperarono, soprattutto durante i primi anni dell'EIAR, per accrescere il livello di coesione linguistica e utilizzando lo stesso mezzo radiofonico.
Il 25 gennaio 1928 l'assemblea generale straordinaria degli azionisti deliberò la trasformazione dell'URI nell' Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR), secondo le disposizioni del Decreto legge 17 novembre 1927 che prevedevano, tre le altre cose, un incremento del capitale sociale.
L'ampliamento della società ebbe una duplice conseguenza: da una parte accrebbe la forza dei gruppi produttori di materiale radiofonico od operanti nel settore elettrico, dall'altra introdusse una forte presenza del partito fascista nella proprietà dell'EIAR, sia tramite la società degli autori, che del sindacato della stampa, entrambi già strettamente controllati dall'organizzazione fascista.
Nonostante questo l'EIAR non fu, per tutta la fine degli anni venti, un terreno sfruttato dalla propaganda fascista. Contino solamente un rigido controllo, come in numerosi altri settori della vita del paese.
Tra la fine degli anni venti e l'inizio degli anni trenta il numero degli abbonati registra un incremento cospicuo, ma, rispetto alle stime sull'ampliamento dell' utenza di altri paesi europei, rimane comunque in una posizione di forte arretratezza. Modesti furono anche i nuovi impianti di trasmissione costruiti in quegli anni.
Nel 1930 assistiamo ad un momento importante del riordinamento dell'ente e della sua attività, con il trasferimento da Milano a Torino della direzione generale e la nascita del Radio corriere, rivista dedicata alla radiofonia. Nelle stesse pagine del primo numero del Radio corriere uscito nel gennaio 1930 Arnaldo Mussolini, fratello del Duce e dirigente dell' EIAR, indicò con precisione i compiti della radiofonia definendola una cattedra da cui diffondere i valori dell'ideologia nazionalista: tutta la parte più propriamente culturale della programmazione radiofonica venne sottoposta alla fascistizzazione attraverso il richiamo sfrenato ai valori del nazionalismo. Sulla stessa linea ideologica si colloca l'ampia disponibilità dei microfoni dell'EIAR ad accogliere tematiche religiose, venendo incontro ai desideri del pubblico italiano, ma anche al criterio di presentare l'Italia quale terra del cattolicesimo.
Per quanto riguarda il settore delle notizie, tra il '29 ed il '30 nacque il "Giornale Parlato" rinominato poi in "Giornale radio" che, in seguito, rappresenterà il momento più importante della diffusione di informazione propagandistica e politica del regime. Le notizie veicolate dal "Giornale Radio" sono ovviamente quelle che risultano essere più utili o al massimo non sgradite al potere politico. Spiccano, tra gli altri, i servizi dedicati ai discorsi di Mussolini, le cerimonie del regime, l'esaltazione dei progressi italiani, in qualsiasi campo, come presentazione di un paese ancora in ascesa.
Nel 1933 iniziò da Radio Roma un tipo di trasmissione politica destinata a durare molti anni e a rappresentare la punta di diamante della propaganda radiofonica fascista: le "Cronache del regime", chiamate poi "Cronache Fasciste".
Dopo il radiogiornale delle 20 un personaggio di primo piano e di completa fiducia del regime doveva illustrare e commentare agli ascoltatori uno o più avvenimenti legati alla grandiosità delle opere messe in atto dal regime.
Dal punto di vista della tecnica giornalistica e radiofonica, un servizio di commento politico poteva costituire un passo avanti nelle prestazioni che l'EIAR offriva ai suoi abbonati. Ma lo stile retorico e ossequioso, sovente magniloquente, ne faceva piuttosto un'involuzione del giornalismo radiofonico. L'esigenza di dover mettere in onda una trasmissione di commento per motivare le scelte politiche e le imprese del fascismo, era legata all'inizio del cancellierato di Hitler e quindi dell'ascesa dell'ideologia nazionalsocialista da una parte, e dello sviluppo dell'antifascismo all'estero.
Era quindi necessaria un'opera di codificazione e diffusione dell'ideologia fascista al di fuori degli stretti ambiti del mondo politico italiano e le "Cronache fasciste" furono chiamate ad assolvere questo compito.
Anche con l'aumento delle ore di programmazione e lo sviluppo delle strutture di trasmissione, per tutta la fine degli anni venti e l'inizio degli anni trenta, l'EIAR non riuscì a produrre un'autentica diffusione popolare della radio. Arretratezza culturale e povertà erano i fattori che impedivano la capillarizzazione del mezzo, soprattutto nelle zone fuori dai grandi conglomerati urbani e in particolar modo nel Mezzogiorno.
L'EIAR doveva affrontare, quindi, un grosso problema di penetrazione degli strati più popolari della popolazione Italiana.
Nel 1933 il presidente Marchesi, assecondando da un parte le istanze della ideologia fascista che esaltava la ruralità, dall'altra le esigenze degli azionisti, cercò di portare la radio nelle campagne, A tal fine venne istituito l'Ente Radio Rurale (ERR), nato con la legge del 15 giugno 1933 n. 791, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 14 luglio 1933, n. 162. L'ERR ha per scopo la diffusione della radio nelle campagne, sia mediante la diffusione di apparecchi a basso costo, sia mediante l'allestimento di speciali programmi che l'EIAR avrebbe poi messo in onda. In realtà ci furono ben pochi sforzi per adeguare la programmazione alle esigenze del nuovo pubblico ed i risultati, dal punto di vista del gradimento della programmazione, furono decisamente deludenti.
Nel frattempo, gli sviluppi del regime e la guerra d'Etiopia, spinsero il governo fascista a mantenere il pieno controllo dell'informazione per evitare il diffondersi di malumori interni allo stato italiano. Nel settembre del 1935 un nuovo decreto demandò la sorveglianza sui programmi radiofonici ad un nuovo ministero per la stampa e la propaganda. Tale difficoltà nella gestione dell'opinione pubblica si rifletteva sui contenuti delle programmazione radiofonica che si irrigidiva sempre di più su tematiche di esaltazione dell'esercito italiano. Con ulteriore decreto nel 1937 venne istituito un ispettorato, con compiti di vera e propria programmazione per la radiodiffusione e televisione presso il ministero della stampa e propaganda. Si raggiunse, in tal modo, il grado massimo del controllo nel processo di formalizzazione e istituzionalizzazione della gestione politica dell'EIAR. Si accentò la tendenza ad imprimere nelle trasmissioni un più netto carattere giornalistico: accanto al "Giornale Radio" aumentò la presenza (come numero di ore programmate) delle radiocronache e delle "Cronache del giorno", tutto in funzione di una massiccia opera di mobilitazione dell'opinione pubblica. Nel contenuto delle trasmissioni giornalistiche, al posto delle tematiche nazional-patriottiche, si ritrovano forti istanze di trionfalismo: sono rarissime le cronache di avvenimenti in qualche modo legati al fascismo. Ovviamente il pubblico radiofonico dell'epoca non aveva modo di rendersi conto di ciò che intanto stava accadendo nel mondo politico, la piccola borghesia, che costituiva la maggioranza del pubblico radiofonico, era soddisfatta; nonostante la guerra d'Etiopia, viveva la sua piccola epoca gloriosa, stretta in una programmazione di cronache di regime, canzonette ed eventi sportivi.
L'industria degli apparecchi registrò in quegli anni un vero e proprio boom. L'intento era quello di portare un apparecchio radiofonico in ogni casa e, dove ciò fosse stato possibile, di formare dei gruppi di ascolto collettivi in modo da familiarizzare all' ascolto radiofonico anche le frange più arretrate della società italiana.
Stessa sorte favorevole era riservata all'EIAR che, alla fine degli anni trenta, poteva vantare un livello tecnologico in grado di competere con le maggiori società europee: nel 1939 l'EIAR possedeva 28 trasmettitori ad onde medie in funzione, 7 ad onde corte, uno ad ultracorte e addirittura in trasmettitore televisivo. Inoltre era in grado di trasmettere programmi udibili chiaramente in quasi tutti i continenti.
Alla fine del 1930 l'EIAR ricorse ad un referendum, che fu approntato tramite un questionario piuttosto semplice e chiaro, ed inviato simultaneamente a tutti gli abbonati il 3 novembre 1939. Coloro i quali avessero risposto, compilando almeno in parte il questionario, avrebbero partecipato al sorteggio di ricchi premi. Addirittura il 75% degli abbonati rispose, per un totale di 901.386 risposte su 1.194.894 abbonati. I dati forniti dall'indagine sono illuminanti riguardo alla distribuzione regionale dei possessori di apparecchi e sulla loro professione.
Come era prevedibile vi era una differenza notevole, nonostante l'impegno dell'ERR, nella diffusione degli apparecchi di ricezione tra le regioni del centro nord, più sviluppate economicamente, e quelle del Mezzogiorno. Le stime rivelarono che il mezzo radiofonico era poco diffuso tra i ceti meno abbienti, la cui quota non superava la soglia del 15% degli abbonati.
Nelle risposte di gradimento dei programmi era evidente la richiesta di un giornalismo radiofonico che fosse più vicino alla quotidianità e trattasse le notizie, che riguardassero le imprese del regime fascista o meno, in maniera meno magniloquente. È necessario tenere conto di questo dato poiché evidenzia l'incapacità dell'impostazione giornalistica fascista ad adeguare il proprio linguaggio alle esigenze di un pubblico più ampio di quello borghese. Purtroppo l'entrata nella seconda guerra mondiale avrebbe accentuato questa tendenza e ridotto in un nulla tutte le indicazioni fornite dal pubblico attraverso le risposte ai questionari. Inoltre i risultati del referendum non rivelarono nulla riguardo ai mutamenti occorsi nell'opinione pubblica operati dalla massiccia opera propagandistica del regime.
L'EIAR si batté con caparbietà, durante gli anni trenta, per riuscire a coprire tutto il territorio italiano, ottenendo ottimi risultati. Risultati che non sarebbero mai stati raggiunti senza il sostegno del regime fascista.
Rispetto all'evoluzione del modello della curva E-P-S siamo di fronte al superamento della fase elitaria: cominciano a muoversi interessi industriali, soprattutto dei produttori di apparecchi di ricezione, il numero degli ascoltatori va via via aumentando, le ore di programmazione si moltiplicano e i contenuti si differenziano. Purtroppo le intenzioni propagandistiche e pedagogiche del regime fasciste frenano la naturale evoluzione del linguaggio e della programmazione radiofonica che, in questa fase di passaggio, si avrebbe potuto indirizzarsi verso una maggiore apertura ai gusti e alle esigenze del pubblico.
Dopo il giugno del 1940 l'EIAR mette in onda un nuovo genere radiofonico: la guerra.
La partecipazione dell'Italia alla seconda guerra mondiale bloccò il naturale sviluppo dell'EIAR che rimase comunque un'azienda attiva: la SIP, sua proprietaria, continuò l'espansione nel settore elettrico con assorbimento di società affini, anche il settore della produzione di apparecchi di ricezione rimase piuttosto florido.
La guerra, pur consentendo un rapido sviluppo della ricerca e dell'industria delle tecnologie di trasmissione radiofonica in quanto strategicamente necessarie, fece della comune programmazione radiofonica dell'EIAR, oramai indispensabile della vita del paese, un elemento dissonante con la situazione reale vissuta dagli ascoltatori.
Rispetto alle imprese nella guerra d'Etiopia, periodo in cui la radio aveva assolto il compito di raccogliere consenso intorno alle imprese dell'esercito italiano, durante la seconda grande guerra, in una fase decisamente decrescente del consenso al partito fascista, la radio venne vissuta come strumento fondamentale per la conoscenza dello sviluppo degli eventi bellici. Si assistette ad una maturazione del pubblico radiofonico che ha cominciava ad avere una capacità critica rispetto alla programmazione radiofonica.
Purtroppo le trasmissioni sono troppo legate alla demagogia fascista e solamente i programmi legati agli aspetti essenziali della vita quotidiana godono ancora di una certa credibilità.
Il numero di abbonati è comunque in continuo aumento: dai 1.194.849 del referendum del 1939, si giunse ai 1.674.546 nel 1941, e per alcune regioni e città italiane la percentuale dei radioascoltatori non è molto distante dalla media europea.
L'intero apparato di gestione della radiofonia venne rapidamente ristrutturato: nel maggio del 1940 l'ispettorato per la radiodiffusione fu riorganizzato in tre settori: per l'interno, per l'estero e per le intercettazioni.
Si istituì inoltre un Centro radio guerra che doveva servire a raccogliere e diffondere le notizie sulle operazioni militari, inoltre dal 23 giugno le trasmissioni furono unificate e i programmi si concentrarono su tre obbiettivi fondamentali: l'informazione, i commenti e l'intrattenimento.
In ogni caso la 'militarizzazione' della radio fu fortissima, ogni programma che apparisse "frivolo" o non necessario venne eliminato.
La quantità di programmazione giornalistica aumentò vistosamente e altrettanto vistosamente calò la qualità dei servizi trasmessi che assomigliavano sempre di più ad agenzie stampa piuttosto che a radiogiornali creati per un pubblico di massa. Inoltre una radio fatta di notizie fece spazio ad una radio in cui opinionisti in stretta linea con il regime fascista la facevano da padroni: Il programma "Commenti ai fatti del giorno" rappresentò la punta di diamante di tale tendenza, rappresentava il luogo dove venivano spiegati i motivi dell'intervento italiano nella guerra, e dove veniva espresso l'orientamento politico del regime che il pubblico doveva seguire con fiducia e disciplina. Inoltre i "Commenti ai fatti del giorno" era il luogo deputato allo sfogo dei complessi di inferiorità che da sempre affliggevano l'Italia nei confronti delle altre nazioni europee.
La politica propagandistica dei toni forti e sprezzanti del nemico ebbe una certa efficacia, specialmente riguardo alle tematiche dell'antisemitismo che non pochi italiani finirono per accettare, sia in quanto dato assodato dell'ideologia fascista, sia in quanto si riteneva che gli ebrei fossero parzialmente responsabili delle difficoltà in cui versava l'Italia prima del conflitto.
In ogni caso bastarono le prime sconfitte subite in Grecia e in Africa Settentrionale a far nascere quella che può essere definita come "una sconclusionata tecnica dell'informazione della sconfitta" che consisteva nel censurare, diluire nel tempo e, proprio quando non era possibile altrimenti, nel mitigare le notizie peggiori.
Mano a mano che il conflitto volgeva a sfavore dell'Italia e dei suoi alleati le trasmissioni dell'EIAR dimostrarono sempre meno presa sul pubblico: bugie malcelate e notizie false sempre meno sostenibili erano all'ordine del giorno. La credibilità dell'EIAR appariva compromessa, anche grazie all'enorme impatto che ebbero sul pubblico italiano le radio nemiche: nella fase più acuta del conflitto si assistette ad una vera e propria "guerra delle onde": tutti i paesi in guerra furono impegnati al potenziamento e alla riorganizzazione degli apparati di trasmissione e della programmazione radiofonica dedicata alla trasmissione di messaggi propagandistici al di fuori dei propri confini nazionali.
Per il pubblico italiano l'abitudine a sintonizzarsi sulle stazioni delle radio estere si intensificò soprattutto nell'inverno del 1941 quando, dopo le sconfitte subite in Grecia e in Libia, cominciò a manifestarsi una certa sfiducia nella politica bellica del regime. La popolarità di quelle che furono le prime "radio pirata" andava aumentando: l'offensiva ideologica e propagandistica di Radio Mosca, che operava in Italia nell'ambito delle attività radiofoniche dell'internazionale comunista, venne accolta con notevole favore, sia per l'analisi dettagliata che riusciva a fare della situazione italiana, sia per la grandissima potenza delle emittenti. Rinacque in quel periodo Radio Milano Libertà, che in un primo momento trasmetteva dallo stesso palazzo del Comintern ma che figurava come radio clandestina proveniente dal territorio italiano.
Nonostante il forte impegno del regime nel reprimere ogni forma di ascolto clandestino, l'interesse dei lavoratori, degli studenti e degli operai per queste trasmissioni si va ormai manifestando su tutta la penisola: vengono arrestati operai comunisti che avevano fatto opera di diffusione dell'ascolto di Radio Mosca, vengono confiscati apparecchi ed emesse multe: segno evidente del disagio che le radio estere causavano all'EIAR.
Dalla guerra combattuta nell'etere si cominciava a capire chi avrebbe vinto e chi avrebbe perso. Radio Londra, baluardo dell'informazione libera in tempo di guerra era ascoltata da molti italiani che volevano rendersi conto degli avvenimenti politici e militari dello scacchiere europeo.
Per il regime l'unica via per contrastare tale fenomeno fu l'inasprimento delle pene: Il 18 aprile 1941 venne promulgata una legge che prevedeva un periodo di reclusione fino ad un anno e sei mesi e la multa fino ad un massimo di trentamila lire per il reato di ascolto clandestino.
In ogni caso la 'voce di Londra' arrivava in ogni casa. All'inizio del conflitto le ore di trasmissione che l'Italian Service del Foreing Office di Radio Londra dedicava all'Italia non erano numerose, da ciò si deduce che l'Italia era considerata un nemico di second'ordine e che l'elevato numero di ascoltatori italiani fosse sottostimato. Il messaggio politico di queste trasmissioni, per quanto controllato e funzionale agli interessi del Foreing Office, era redatto da esuli Italiani come Piero e paolo Treves, Umberto Calosso, Ruggero Orlando, Aldo Cassuto (la voce del "Colonnello Stevens"). Erano gli uomini che mantenevano il contatto con la popolazione civile e, più tardi, con la resistenza.
Simile alla propaganda di Radio Londra, anche se diverse erano le ragioni politiche e spesso divergenti gli obbiettivi strategici, fu quella delle stazioni americane. L'intervento negli affari italiani divenne concreto solo dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti, sotto la pressione dell'intera comunità italo-americana.
Il 25 luglio 1942 dai microfoni della NBC cominciò a farsi sentire ogni domenica la voce del sindaco di New York Fiorello La Guardia, ovviamente anch'esso italo-americano.
I suoi interventi erano carichi di suggestione e ottimistici, e per questo molto apprezzati dal popolo Italiano, oramai arresosi all'idea che avrebbe pagato duramente lo scotto della sua alleanza col nazismo.
A partire dal dicembre del 1942 la situazione militare va rapidamente volgendo al peggio. L'Eiar è indotta a cambiare rotta nello stile di comunicazione: nei programmi di informazione si comincia a notare una decisa accentuazione dell'interesse per il fronte interno, i commenti politici sono sempre volti a sostenere il morale di una nazione oramai esausta, i tempi in cui gli speakers dell'Eiar potevano usare un tono sprezzante nei confronti del nemico sono oramai lontani e si preferisce assumere un atteggiamento di 'rassegnato stupore' riguardo alla superiorità delle forze nemiche
Inoltre l'abitudine all'ascolto delle stazioni radio alleate aveva giovato a togliere credito all'ufficialità delle notizie dell'EIAR.
Il suo impianto propagandistico, controllato da ben 25 organismi facenti capo a 9 ministeri, cominciò a fare acqua da tutte le parti: il servizio mondiale dell'agenzia Stefani si ridusse notevolmente e l'altra agenzia, Radio Urbe, creata apposta per la propaganda della guerra, venne addirittura soppressa.
Nel 1943 la situazione precipitò: il fronte interno aveva sostenuto difficoltà crescenti e i mezzi di comunicazione di massa non potevano più fornire un'immagine della situazione italiana che fosse distante dalla realtà e, dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia del 10 luglio, gli italiani ascoltarono dalla voce di Giovan Battista Arista l'annuncio della caduta del fascismo e dell'incarico dato a Pietro Badoglio di formare il nuovo governo.
L'EIAR si conformò subito alle direttive del nuovo governo e si stabilirono subito le nuove regole per l'informazione radiofonica.
Durante i 45 giorni di 'interregno' tra lo sbarco e l'armistizio le trasmissioni si inspirarono alla massima cautela, ma oramai Radio Londra e le stazioni del sud liberate, fornivano quotidianamente e con orari raddoppiati, le notizie di cui il paese era avido.
L'8 settembre 1943 gli italiani ascoltarono da Radio Londra la notizia della firma dell'armistizio: alle 19.45 la radio italiana trasmise l'annuncio dato personalmente da Badoglio. Raul Chiodelli, direttore generale dell'EIAR ordinò a tutte le sedi dell'EIAR di collaborare con gli alleati e di disattivare tutti gli impianti che fossero caduti in mano ai tedeschi. Intanto a Roma Mazzolini, capo di gabinetto del Ministero della Cultura Popolare, dette l'ordine di consegnare gli impianti ai tedeschi, e di collaborare con essi per il ripristino degli impianti eventualmente danneggiati.
Da quel momento, per due giorni interi la radio tace, è il momento più tragico della radio italiana, l'EIAR si avvia inevitabilmente verso la sua fine.
Il black-out dell'8 settembre dimostrò quanto il sistema radiofonico fosse vitale per una nazione in attesa di conoscere le sorti del proprio futuro.
Il 16 settembre Chiodelli si dimette dalla carica di direttore generale e lo smembramento dell'azienda appare inevitabile.
A Roma le stazioni I e II vennero disattivate dai tedeschi e una parte dei dipendenti si trasferì al nord per collaborare con la radio della Repubblica di Salò. Dopo l'avventurosa liberazione di Mussolini dalla prigione del Gran Sasso, e la formazione della Repubblica sociale Ialiana, la dipendenza dei fascisti dai tedeschi fu pressoché totale.
Il primo annuncio della formazione di un nuovo governo fascista era stato emesso il 9 settembre da un gruppo ristretto di ex gerarchi di cui facevano parte Roberto Farinacci, Alessandro Pavolini, e Vittorio Mussolini. Con loro vi era anche il futuro direttore generale dell'Eiar: Cesare Rivelli. In quell'occasione furono lanciati i primi appelli alla riscossa nel nome del nuovo governo repubblichino: il primo vero discorso radiotrasmesso di Mussolini vene pronunciato il 18 settembre dalla stazione di Monaco di Baviera.
Intanto Radio Londra faceva sentire la propria voce forte e chiaro, molto più che in tempo di guerra.
La disponibilità delle emittenti, in special modo di emittenti ad onde corte era di importanza fondamentale per la Repubblica di Salò, la questione riguardava il più generale aspetto della riorganizzazione dei servizi radiofonici che, come ogni altra attività, era soggetta al regime di occupazione della Wehrmacht.
Dopo l'armistizio l'Italia venne considerata territorio soggetto ad occupazione tedesca e tutti gli atti delle autorità germaniche nel nostro paese si inspirarono a questo tipo di regime: obbiettivo del Reich era di impossessarsi dell'Italia per fini legati a interessi esclusivamente tedeschi. Il 9 settembre 1943, cessata la resistenza dei reparti italiani e della popolazione civile, Roma fu occupata e costretta a subire un armistizio in virtù del quale le truppe tedesche dovevano sostare ai margini della 'città aperta'. Kesselring nell'autunno aveva dato ordine che la maggior pare delle attrezzature trasmittenti dell'EIAR venisse smontata e trasferita al nord. Durante il periodo della ritirata, un anno e mezzo dopo, le più
importanti installazioni erano in mano ai tedeschi e ciò spiega per quale motivo, dopo la liberazione, la rete nazionale fosse quasi completamente distrutta, soprattutto nell'Italia Settentrionale.
Sull'asservimento di Salò al Reich non vi era alcun dubbio. Come è stato giustamente detto, 'La Repubblica Sociale non doveva essere nulla di più di una facciata che consentisse ai tedeschi di attuare la politica di asservimento e sfruttamento dell'Italia sotto la copertura di autorità italiane.'
La radio, tuttavia fu il mezzo al quale il governo repubblicano rivolse le sue maggiori attenzioni.
Nel Novembre 1943 Mussolini, con una serie di decreti, provvide a riorganizzare tutto il settore della cultura popolare e della radiofonia: venne abolito l'Ispettorato per la radiodiffusione e create due direzioni generali, per la stampa e radio italiana e per la stampa e radio estera. Nel Dicembre Ezio Maria Gray e Cesare Rivelli vennero nominati rispettivamente commissario straordinario e direttore generale dell'EIAR. Infine, con un decreto interministeriale tutte le aziende, società ed enti di qualsiasi genere con sede a Roma, direttamente o indirettamente controllati dallo Stato, erano tenuti a trasferire la propria sede in una località dell'Italia Settentrionale entro un brevissimo lasso di tempo.
Il 1944 rappresentò l'anno cruciale della RSI dal punto di vista della riorganizzazione di tutte le attività amministrative e della creazione di un nuovo stato: nel campo della radiofonia le risorse tecniche a disposizione erano estremamente limitate. Le emittenti repubblicane disponevano, dopo le recenti riattivazioni, di una mezza dozzina di lunghezze medie e di un paio di onde corte, e non erano in grado di contrastare la contropropaganda della radio dei territori italiani liberati dagli Alleati.
Dal 23 settembre del 1943, dalla stazione di Bari, sotto controllo militare americano, ebbero inizio i programmi di Radio Italia Libera e qualche mese dopo Italia combatte, trasmissione diretta alle formazioni partigiane del Nord. Sul versante della RSI la maggior parte delle attrezzature di trasmissione e ricezione erano controllate da autorità militari germaniche e per qualsiasi iniziativa concernente l'organizzazione del materiale propagandistico era necessario rivolgersi direttamente alle autorità del Reich. Esistevano quindi, una serie di difficoltà che non consentirono che venisse organizzata una fluida trasmissione di notizie e materiale propagandistico e che lasciò alle radio libere del sud ampio margine di manovra.
Queste osservazioni confermarono la debolezza intrinseca dell'assetto della RSI, nata più per difendere la Germania dalla futura invasione degli alleati che come tentativo di ricostituire il regime fascista.
Dopo lo sbarco a Pantelleria e l'occupazione della Sicilia la propaganda anglo-americana concentrò tutti i suoi sforzi nell'attuare quella che fu definita la penetrazione psicologica dell'Italia.
La propaganda si sviluppò lungo due temi centrali: l'inevitabilità della sconfitta militare e l'invincibilità delle armate di liberazione. 'Nella nostra propaganda - si legge in un promemoria dell'AMG - dovremo incoraggiare la resistenza passiva e il sabotaggio dello sforzo bellico italiano; inoltre sarebbe auspicabile evitare di ridicolizzare le forze armate e il popolo italiano, oppure incitarlo ad una rivolta prematura".
L'Italia era il banco di prova di questi principi, proprio perché si trattava di individuare, data la scissione, presunta ma effettivamente esistente, tra dittatura e nazione, tra paese legale e paese reale. La propaganda era quella che coniugava i valori della libertà con quelli del benessere: molto convincenti, non c'è dubbio. Si può dire che in questo periodo, con la presenza degli americani nel Regno del Sud, nasce quell'ispirazione ai principi dell'americanismo, sapientemente propagandati attraverso i mezzi di comunicazione e soprattutto attraverso la Radio, sui quali si fonderà gran parte della cultura e dei comportamenti dell'Italia del dopoguerra.
L'impegno che gli americani profusero nello studio di campagne patriottiche fu il frutto di accurati studi condotti sulla comunicazione da parte degli americani: negli anni '40 si teorizzava, attraverso gli studi condotti da Paul Lazarsfeld durante la campagna per le elezioni presidenziali del 1940, l'importanza della figura dell' opinion leader e del two step flow (flusso di comunicazione a due livelli) fra i mass media e il loro pubblico, sul quale si fonderà la pubblicistica del capitalismo.
La superiorità nell'organizzazione della propaganda americana rispetto a quella fascista si manifestò nella rapidità e nell'efficacia con le quali vennero riorganizzate le stazioni del sud liberato o, per meglio dire, quel poco che restava di esse.
All'impegno profuso dagli americani in territorio italiano vanno aggiunte le fonti di informazione autonome e le notizie che dagli Stati Uniti venivano irradiate in tutta Europa attraverso le stazioni ripetitrici della BBC relative ai preparativi militari americani e, infine, l'azione esercitata personalmente da alcuni intermediari autorevoli come lo stesso presidente Roosvelt che si servivano costantemente della Radio per diffondere i loro appelli alle popolazioni civili, smascherando i regimi dittatoriali responsabili della guerra.
Questo imponente sforzo condotto dagli americani era solo una parte dell'azione di penetrazione ideologica condotta per mezzo dello Psychological Warfare Branch dato che l'Italia, dopo lo sbarco in Sicilia e la liberazione di Palermo (22 luglio 1943) l'Italia era considerata ancora un paese nemico, e il regime di occupazione vietava ogni attività politica e controllava tutti i mezzi di comunicazione, ma i primi segni della ripresa non tardarono a manifestarsi: a Palermo il 6 agosto cominciarono le prime trasmissioni radiofoniche dove vennero trasmesse notizie dal quartier generale alleato e alcuni testi scritti da antifascisti italiani concordati con il PWB.
Dopo l'appoggio che gli americani dettero agli esuli italiani, rifugiatisi in America sin dagli anni dalla guerra di Etiopia, subentrò nei loro confronti una vera e propria chiusura allorché si cominciò a discutere gli aspetti organizzativi di un governo militare alleato: gli americani contraddissero l'iniziale posizione di non ingerenza nella politica italiana e cominciarono a far pressione per una soluzione della crisi politica italiana di tipo moderato-autoritario. Il PWB vigilò costantemente affinché gli elementi italiani impegnati nella stampa e radiodiffusione fossero leali alla monarchia.
Naturalmente vi furono delle eccezioni, ma non certo tali a modificare l'atteggiamento decisamente moderato degli Alleati nei confronti del processo politico che si stava determinando in Italia nel passaggio dal fascismo alla democrazia. Tale atteggiamento raccoglieva diversi consensi in un'Italia turbata e profondamente bisognosa di beni materiali e stabilità politica, e in cui stavano prendendo piede differenti movimenti reazionari, mentre l'antifascismo italiano del fronte di liberazione nazionale non era ancora capace di risolvere, con gli strumenti a sua disposizione, il problema dell'egemonia degli americani nello sviluppo delle politiche italiane. Gli organi di formazione della pubblica opinione furono uno specchio fedele di tale situazione, dall'autunno del 1943 fino a tutto l'inverno del 1944 l'informazione e la propaganda radiofonica dell'Italia liberata lasciarono un segno indelebile nelle vicende storiche di quel periodo.
Il modello propagandistico americano che perseguiva queste direttive fu largamente accettato e condiviso dalla popolazione siciliana. Un'indagine citata dal PWB fornisce i seguenti dati: il 61% dei siciliani legge di media il giornale il giorno dopo; i decreti del governo alleato sono letti dalle popolazioni della Sicilia nel giro di due giorni e quelle rurali in cinque o sei. Il 55% delle popolazioni ha avuto notizia di tali decreti attraverso i giornali, il 50% per mezzo dei poster, il 44% per sentito dire e il 23% attraverso la Radio. Evidentemente esiste una sovrapposizione per cui alcune persone hanno una notizia attraverso due o tre canali diversi. L'impegno della propaganda americana dette i suoi frutti, ma i dati confermano che il pubblico italiano, dopo anni di propaganda fascista e di contropropaganda delle emittenti estere, aveva imparato a scegliere i propri percorsi rispetto all'offerta informativa proposta.
Dopo l'8 settembre, salvato dalle distruzioni tedesche il trasmettitore di via Putignani, gli antifascisti baresi riuscirono a realizzare le loro trasmissioni in modo autonomo, la sera dell'11 dicembre vennero trasmesse le prime parole del Re agli Italiani dopo la partenza da Roma, con le quali egli annunciava il suo trasferimento in una 'zona libera del territorio nazionale'.
Purtroppo, dopo solo una settimana di attività, si verificò il primo avvenimento che manifestava la volontà degli Alleati di utilizzare il legittimo governo sull'Italia liberata. Il 16 dicembre tutte le attività di informazione passarono sotto il controllo del PWB. La gestione del controllo sull'informazione radiofonica e molte delle iniziative prese dai funzionari dello stesso PWB giovarono alla causa dell'antifascismo più di quanto le direttive e il comportamento dei governi lasciassero sperare: l'informazione, dopo venti anni di propaganda fascista, venne indirizzata verso una maggiore apertura democratica, e ad essa vi parteciparono numerosi redattori appartenenti ai partiti antifascisti italiani, entusiasti di lavorare senza la pesante oppressione del regime.
Radio Bari rappresentò, seppur guidata dal PWB, il primo esempio di informazione democratica dell'Italia liberata.
Intanto la voce di Radio Londra rimaneva la fonte di informazione più accreditata e ascoltata e rappresentava il canale attraverso il quale gli inglesi cercavano di influenzare l'andamento della politica italiana. A conferma di ciò va aggiunto che la BBC ritrasmetteva, amplificandoli, i commenti di Radio Bari, la cui linea editoriale verteva unicamente a sottolineare il contributo italiano alla guerra di liberazione, solo quando questi erano in linea con l'impostazione del Foreing Office.
Inoltre vi era anche una diversificazione nel target: il linguaggio di Radio Bari parlava all'opinione pubblica meridionale e ai partigiani, mentre la radio inglese parlava agli organi governativi e alla classe dirigente.
Nell'autunno inoltrato i programmi di Radio Bari si arricchirono, aumentarono le ore di trasmissione, la tecnica si perfezionò, e vennero introdotte numerose ore di brani di musica leggera e jazz, fece la sua comparsa il boogie-woogie; insomma l'immagine dei liberatori era presente in ogni forma di comunicato, dai manifesti alla musica ai film.
Il Regno del Sud stava assumendo tutti i caratteri di un paese che voleva dimenticare l'austerità della guerra, e che desiderava adottare il modello economico degli alleati angloamericani.
Intanto al di fuori del Regno del Sud la guerra continuava; stava nascendo la resistenza ai tedeschi e alla dittatura fascista, si costituivano i primi Comitati di liberazione con le loro formazioni armate. A radio Bari, in accordo con i comandi alleati, il governo provvisorio, e gli stessi rappresentanti dei partiti antifascisti riuniti nel CLN (Comitato di liberazione nazionale) nato nell'ottobre del 1943, si decise di mettere in onda una trasmissione speciale per i volontari della libertà che agivano nell'Italia occupata: nacque così Italia Combatte, la trasmissione più prestigiosa di Radio Bari, poi di Radio Napoli e infine, dopo la liberazione della capitale, di Radio Roma. Si trattava di un servizio con obbiettivi esclusivamente militari e i cui redattori avevano tutti un nome di battaglia per non esporre alle eventuali rappresaglie dei nazifascisti i parenti presenti nell'Italia non liberata. Venivano trasmesse informazioni sulle vicende belliche dalla V e VIII armata e quelle politiche, economiche e sociali dai servizi del PWB, che le ricavava a sua volta dalle agenzie stampa internazionali e da radiotrasmissioni clandestine.
Ogni sera veniva radiotrasmesso il Bollettino della guerra partigiana in Italia che forniva i principali elementi informativi sulle azioni partigiane, conteneva inoltre molte notizie supplementari ed editoriali affidati a personalità rappresentative dell'amministrazione alleata; questi editoriali avevano il compito di fornire agli italiani un'immagine rassicurante degli anglo-americani. In ogni caso lo stile dei redattori, cresciuti professionalmente durante il fascismo, era decisamente enfatico e ridondante, ma in un momento in cui era necessaria la partecipazione attiva di tutta la popolazione non poteva non essere considerato utile strumento tutto ciò che potesse contribuire all'obbiettivo militare della lotta antidetesca, ovviamente nel quadro della direzione politica imposta dagli Alleati.
Ma la vera spina dorsale della programmazione di Italia combatte erano i Consigli generali che trasmetteva alle forze di liberazione antifasciste: istruzioni in rapporto alle esigenze tattiche, ai rifornimenti, al sabotaggio. Un'informazione volta alle necessità dell'organizzazione clandestina legata alla guerriglia partigiana e alleata.
Gli obbiettivi della comunicazione del PWB erano essenzialmente due: uno strettamente tecnico, legato alle esigenze militari e che diventerà, con il diffondersi della radiofonia clandestina, una delle caratteristiche della guerra partigiana, l'altro quello dello sviluppo di un'informazione democratica, necessaria per la maturazione di un paese che stava uscendo da venti anni di regime.
Ma a quale pubblico i redattori di Radio Bari si stavano rivolgendo?
Non c'era la possibilità di raccogliere dati a riguardo, ed inoltre vi era la consapevolezza che il segnale fosse disturbato e che l'ascolto, condotto in clandestinità, fosse particolarmente rischioso; ma mai come in quel momento l'Italia, sia quella liberata del sud che quella belligerante del Nord, aveva bisogno di un'informazione che la orientasse nella scelta del proprio futuro.
Nel Gennaio del 1944 il governatore della Sicilia Charles Poletti ripristinò le libertà politiche e consentì alcune forme di propaganda ai partiti, nel mese successivo i territori liberati dagli Alleati tornarono sotto l'amministrazione italiana. La confusa situazione politica divisa tra le istanze più marcatamente conservatrici degli inglesi, quelle più democratiche degli americani e il desiderio di maggiore potere dei partiti del CLN si riflettevano nei mezzi di informazione, in special modo alla radio.
Il 4 giugno seguente, liberata Roma, quello che restava degli impianti radiofonici della capitale dopo lo smontaggio effettuato dai tedeschi in ritirata, riprese lentamente a funzionare sotto il controllo del PWB.
Alla fine del precedente paragrafo è stato evidenziato come l'intero sviluppo della curva E.P.S. sembrasse compromesso dall'inizio del conflitto, in realtà, come sostenne Marshall McLuhan, ogni conflitto bellico tende ad essere il banco di prova di tecnologie sempre più complesse, compreso il settore delle comunicazioni: se quindi da un lato la guerra bloccò il naturale evolversi del linguaggio radiofonico italiano nella ricerca di una propria matrice espressiva, dall'altro accelerò la produzione e diffusione degli apparecchi di trasmissione e ricezione, sviluppò lo studio di linguaggi propagandistici, ma soprattutto la guerra riuscì ad esaltare le caratteristiche di estrema flessibilità e versatilità della radio.
Durante la seconda guerra mondiale le emittenti clandestine (le cosiddette 'radio pirata') giocarono un ruolo fondamentale nella formazione dell'opinione degli italiani durante il conflitto: tali emittenti non erano gestite da mastodontici apparati statali che necessitavano di ingenti forme di denaro, bensì da piccoli gruppi di persone formate perlopiù da esuli dissidenti del regime che, o appoggiandosi ad emittenti estere o trasmettendo da piccole stazioni, dimostrarono che anche la società civile avrebbe potuto servirsi della tecnologia radiofonica per trasmettere messaggi.
Il mezzo in se stesso comincia a scoprire la sua vocazione democratica e la predisposizione ad essere un mezzo 'povero' ovvero un mezzo che all'occorrenza poteva essere utilizzato anche da chi non possedeva ingenti finanziamenti.
Gabriele D'Annunzio (Pescara, 12 marzo 1863 - Gardone Riviera, 1 marzo 1938) è stato uno scrittore, drammaturgo e poeta italiano, simbolo del decadentismo ed eroe di guerra. Personaggio pubblico al di là del suo ruolo, eccentrico ed eclettico, come tuttora testimoniato dagli interni della sua residenza al Vittoriale, discusso, amato od odiato, oltre a quella letteraria ebbe anche una notevole carriera politica.
Gabriele d'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863. Il padre era
Francesco Paolo Rapagnetta, che era stato adottato dallo zio acquisito Antonio
D'Annunzio, un ricco commerciante e armatore. Tuttavia Francesco Paolo (che con
un decreto del tribunale civile dell'Aquila assunse il cognome dei D'Annunzio)
fu dedito a una vita dispendiosa e in pochi anni dissipò il patrimonio
familiare lasciando solo la casa di famiglia agli eredi, che riuscirono a
sopravvivere grazie all'eredità dello zio. Gabriele visse un'infanzia felice
tra numerosi fratelli e sorelle tra i quali spiccava per intelligenza e
vivacità.
Se vogliamo trovare un segno dell'ambiente familiare nelle vicende biografiche
del poeta, sicuramente questo aspetto esuberante ed edonistico del carattere
paterno non può passare inosservato.
D'altronde il giovane Gabriele non tardò a manifestare una personalità priva di
complessi e inibizioni, portata al confronto competitivo con la realtà. Per
comprendere meglio il senso di questa osservazione, è bene leggere la lettera
che il sedicenne Gabriele scrisse a Giosuè Carducci, mentre frequentava il
liceo al prestigioso istituto Cicognini di Prato, ricordando che allora
Carducci era il più rinomato poeta italiano. Proprio il padre sovvenzionò nel
1879 la pubblicazione della prima raccolta di poesie del giovane
studente,'Primo vere', attorno alla quale nacque immediatamente
quello che sarebbe diventato il 'fenomeno dannunziano'.
Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana «Fanfulla della Domenica», il
successo del libro venne gonfiato dallo
stesso D'Annunzio che fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo; notizia
che ebbe l'effetto, insieme alle successive smentite, di richiamare
l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un
personaggio da leggenda. E sulle ali di questa leggenda, D'Annunzio giunse a
Roma nel . Proprio a quella Roma in cui, senza portare a termine gli studi, conduce
una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a
diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e
orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il
giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana
romana.
I dieci anni trascorsi nella capitale ( ) furono decisivi per la formazione dello stile comunicativo di D'Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano della città si formò quello che possiamo definire il nucleo centrale della sua visione del mondo. L'accoglienza nella città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, giornalisti di origine abruzzese, che fece parlare in seguito di una 'Roma bizantina
La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore
appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante -
ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee -, una novità 'barbarica' eccitante e
trasgressiva; D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile
giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa
opposizione 'centro-periferia' 'natura-cultura' offriva
alle attese di lettori desiderosi di novità.
Attratto alla frequentazione della Roma 'bene' dal suo gusto per
l'esibizione della bellezza e del lusso, D'Annunzio si era dovuto adattare al
lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche; infatti nel aveva dovuto sposare, con un 'matrimonio di
riparazione' nella cappella di Palazzo
Altemps a Roma, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli (Mario,
Gabriellino e Veniero). Ma le esperienze per lui decisive furono quelle
trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici. In questo rito
di iniziazione letteraria egli mise rapidamente 'a fuoco' il proprio
mondo di riferimento culturale, nel quale si immedesimò fino a trasfondervi
tutte le sue energie creative ed emotive.
Si può quindi parlare, tanto nelle opere quanto nella vita di D'Annunzio, di una idealizzazione del mondo, che viene ad essere circoscritto nella dimensione del mito; la sua fantasia lottò prepotentemente per imporre sulla realtà del presente, vissuto con disprezzo, i valori 'alti' ed 'eterni' di un passato visto come modello assoluto di vita e di bellezza.
Il conflitto tra realtà presente e ideali è ben espresso in questa pagina de Le vergini delle rocce
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«Vivendo in Roma, io ero testimonio delle più ignominiose violazioni e dei più osceni connubii che mai abbiano disonorato un luogo sacro. Come nel chiuso di una foresta infame, i malfattori si adunavano entro la cerchia fatale della città divina dove pareva non potesse novellamente levarsi tra gli smisurati fantasmi d'imperio se non una qualche magnifica dominazione armata d'un pensiero più fulgido di tutte le memorie [] La cupola solitaria nella sua lontananza transtiberina, abitata da un'anima senile ma ferma nella consapevolezza dei suoi scopi, era pur sempre il massimo segno, contrapposta a un'altra dimora inutilmente eccelsa dove un re di stirpe guerriera dava esempio mirabile di pazienza adempiendo l'officio umile e stucchevole assegnatogli per decreto fatto dalla plebe.» |
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Le vergini delle rocce |
Uno dei risultati più impressionanti della sua apparizione nel mondo letterario, consolidatasi con la pubblicazione del primo romanzo Il Piacere nel , fu la creazione di un vero e proprio 'pubblico dannunziano', condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, un vero e proprio star system, che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da 'grande divo', con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di 'vivere un'altra vita', di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa. Tra il e il D'Annunzio visse a Napoli. Qui compose il suo secondo romanzo L'innocente, seguito dal Trionfo della morte e dalle liriche del Poema paradisiaco. Sempre di questo periodo è il suo primo approccio agli scritti di Nietzsche, che vennero parzialmente fraintesi, sebbene ebbero l'effetto di liberare la produzione letteraria di D'Annunzio da certi residui moralistici ed etici. Tra il e il D'Annunzio intraprese un'esistenza più movimentata che lo condusse dapprima nella sua terra d'origine e poi ad un lungo viaggio in Grecia
Nel volle provare l'esperienza politica, vivendo anch'essa, come tutto il resto, in un modo soggettivo e clamoroso: eletto deputato della destra, passò quasi subito, con la famosa e tutta dannunziana affermazione 'vado verso la vita', nelle file della sinistra. Sempre nel '97 conobbe la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la 'stagione' centrale della sua vita. Per vivere accanto alla sua nuova compagna, D'Annunzio si trasferì nei dintorni di Firenze, a Settignano, dove affittò la villa 'La Capponcina', trasformandola in un monumento del gusto estetico decadente
Alcune volte la fortuna di cui un autore gode è il frutto di scelte
consapevoli, di una capacità strategica di collocarsi nel centro di un sistema
culturale che possa garantirgli le migliori opportunità che il suo tempo ha da
offrirgli. D'Annunzio aveva cominciato a 'immaginarsi' poeta leggendo
Giosuè Carducci negli anni del liceo; ma la sua sensibilità per la
trasgressione e il successo dal lo portò ad abbandonare
un modello come quello carducciano, già provinciale e superato in confronto a
quanto si scriveva e si dibatteva in Francia, culla delle più avanzate correnti di avanguardia - Decadentismo e Simbolismo. Il suo giornale gli
assicurava l'arrivo di tutte le riviste letterarie parigine, e attraverso i
dibattiti e le recensioni in esse contenuti, D'Annunzio poté programmare le
proprie letture cogliendo i momenti culminanti dell'evoluzione letteraria del
tempo.
Fu così che conobbe non solo Théophile Gautier Guy de Maupassant Max Nordau e soprattutto Joris-Karl Huysmans, il cui romanzo 'À
rebours' costituì il manifesto europeo dell'estetismo decadente. In un senso
più generale, le scelte di D'Annunzio furono condizionate da un utilitarismo
che lo spinse non verso ciò che poteva rappresentare un modello di valore
'alto', ideale, assoluto, ma verso ciò che si prestava a un riuso
immediato e spregiudicato, alla luce di quelli che erano i suoi obiettivi di
successo economico e mondano.
D'Annunzio non esitava a 'saccheggiare' ciò che colpiva la sua
immaginazione e che conteneva quegli elementi utili a soddisfare il gusto
borghese ed elitario insieme del 'suo pubblico'. D'altronde, a
dimostrazione del carattere unitario del 'mondo dannunziano', è
significativo il fatto che egli usò nello stesso modo anche il pensiero filosofico
Gli autori contemporanei più letti in Europa negli Anni 1880 e furono senza dubbio Schopenhauer e Nietzsche; da essi lo scrittore
trasse non più che spunti e motivi per nutrire un universo di sentimenti e
valori che appartenevano già a lui da sempre, e che facevano parte
dell'atmosfera culturale che si respirava in un continente agitato da venti di crisi nazionalistiche, preannunzio della Grande guerra. La scelta di nuovi
modelli narrativi e soprattutto linguistici - elemento questo fondamentale nella
produzione dannunziana - comportò anche, e forse soprattutto, l'attenzione
verso nuove ideologie. Ciò favorì lo spostamento del significato educativo e
formativo che la cultura positivista aveva attribuito alla figura dello scienziato verso quella
dell'artista, diventato il vero 'uomo rappresentativo' di fine ottocento - primo novecento: 'è più l'artista
che fonde i termini che sembrano escludersi: sintetizzare il suo tempo, non
fermarsi alla formula, ma creare la vita'.
Spregiudicatezza e narcisismo, slanci sentimentali e calcolo
furono alla base anche dei rapporti di D'Annunzio con le numerose donne della
sua vita. Quella che sicuramente più di ogni altra rappresentò per lo scrittore
un nodo intricato di affetti, pulsioni e di artificiose opportunità fu Eleonora
Duse, l'attrice di fama internazionale con cui egli si legò dal al . Non c'è dubbio infatti
che a questo nuovo legame debba essere fatto risalire il suo nuovo interesse
verso il teatro e la produzione drammaturgica in prosa Sogno di un
mattino di primavera La città morta Sogno di un
tramonto d'autunno La Gioconda La gloria) e in versi Francesca da Rimini La figlia di Jorio La fiaccola
sotto il moggio La nave e Fedra). In quegli stessi anni, la terra toscana ispirò al poeta la vita del
'signore del Rinascimento fra cani, cavalli e belli arredi', e una
produzione letteraria che rappresenta il punto più alto raggiunto da D'Annunzio
nel repertorio poetico.
Nei cinque libri delle Laudi, che costituiscono l'opera poetica più nota e famosa di D'Annunzio, viene sviluppato il concetto di Superomismo. È un'eccezione l'Alcyone, in cui si riflettono i momenti più felici della sua panica immersione nel paesaggio fiorentino e versiliese e in cui apre la strada al periodo del Notturno, considerato dalla critica il più autentico di tutto il materiale D'Annunziano. Un'esistenza segnata, per altro verso, da quell'edonismo sperperatore di cui parlavamo a proposito dell'impronta ricevuta dal padre; incurante della realtà e dei sentimenti altrui, D'Annunzio oscillò tra Firenze e la Versilia curando le proprie pubblicazioni, che non erano comunque sufficienti a coprire le spese del suo esagerato tenore di vita, e intrecciando ripetuti rapporti sentimentali con diverse donne.
Ma quel periodo si chiuse bruscamente nel con una vera e propria fuga in Francia: D'Annunzio fugge dall'esercito di creditori che con la sua follia dissipatrice il poeta si era creato. L'arredamento della villa fu messo all'asta e D'Annunzio non poté più rientrare in Italia fino allo scoppio della guerra, nel . D'Annunzio quando arriva a Parigi è una celebrità (all'epoca era già stato tradotto in Francia da Georges Hérelle). Ciò gli permise sostanzialmente di mantere inalterato il suo stile di vita (continua a contrarre debiti, a dissipare danaro e a coltivare amicizie femminili), anche grazie ai prestiti che gli concessero alcuni giornali (il Corriere della Sera in specialmodo). Pur lontano dall'Italia, D'Annunzio collaborò al dibattito politico dell'Italia prebellica. Nel 1910 Enrico Corradini organizzò l'Associazione nazionalista italiana. D'Annunzio aderì a questo progetto, opponendosi all' 'Italietta meschina e pacifista' e auspicando una nazione dominata dalla volontà di potenza.
Dopo il periodo parigino, si ritirò ad Arcachon, sulla costa Atlantica, dove si diede soprattutto all'attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo (Mascagni, Debussy,).
Nei cinque anni che D'Annunzio trascorse in Francia, compose libretti d'opera ('Le martyre de Saint Sèbastien' per la musica di Claude Débussy), soggetti per film Cabiria' di Pastrone) e inviò al «Corriere della sera» prose d'invenzione e di ricordo (tra cui l'opera in versi per la celebrazione della guerra di Libia). In quelli che furono gli anni immediatamente precedenti il conflitto mondiale, in tutta Europa e soprattutto in Italia si diffusero nel gusto e nella mentalità collettiva quei contenuti politico-ideologici di carattere superomistico che avevano avuto origine nell'attività artistica delle avanguardie e sulle riviste letterarie. Fu un fenomeno di massa che lo stesso D'Annunzio aveva contribuito a creare; un processo che si avvalse, per la prima volta in modo sistematico, dei mezzi di comunicazione di massa, così adatti a diffondere contenuti emotivi e irrazionali per il prevalere della retorica che sottostà ai loro particolari codici comunicativi. Il 'mito di Roma' e nazionalistico in generale divenne un'arma politica sfrenata per una battaglia in cui le parole avevano il preciso scopo di offendere e colpire. Una retorica che D'Annunzio riuscì sempre a mantenere nel sistema dei mass media, dando ad essa tuttavia l'apparenza di un modello espressivo elitario. Un'intuizione, questa, che anticipò lo stile della propaganda fascista. L''uso' della parola nella produzione dannunziana seguì un'evoluzione estremamente particolare, la cui descrizione viene a coincidere perfettamente da un lato col carattere dell''uomo' D'Annunzio, dall'altro con gli aspetti più concreti del mondo che egli contribuì a edificare. Il piacere fisico e gestuale della parola ricercata, della sonorità quasi fine a sé stessa, della materialità del suono come aspetto della sensualità, aveva già caratterizzato la poetica delle 'Laudi'; ma con l'opera teatrale D'Annunzio aveva successivamente maturato uno stile retorico-linguistico il cui scopo era conquistare fisicamente il pubblico in un rapporto sempre più diretto e meno letterario. Questo cammino, che con la guerra sfociò nell'oratoria politica, testimonia di un atteggiamento carismatico e mistico che si fece quasi parossistico, in una vera e propria escalation narcisistica. L'abbandono della prosa letteraria e l'immersione nel rito collettivo della guerra fu un vero e proprio tentativo di conquistare la folla, sia per dominarla che per annullarsi in essa in quella comunione totale tra capo (Duce) e popolo che si manifestò nell'immaginario collettivo italiano, dagli anni della propaganda interventista a buona parte del ventennio fascista. Il poeta non si appagava più dell'usuale effetto d'una comunicazione elettrica stabilita tra il dicitore e l'uditorio' che caratterizza il proprio teatro; egli cercava 'l'incarnazione' della parola, 'l'incantesimo' che prende forza dal 'contatto' con un''umanità agglomerata e palpitante'.
Rifiutata la cattedra di letteratura italiana che era stata di Giovanni Pascoli, partecipò come volontario alla Prima guerra mondiale con alcune azioni dimostrative navali ed aeree e il volo su Vienna
Nel ritornò in Italia, conducendo da subito una intensa propaganda interventista. Il discorso celebrativo che D'Annuzio pronuncia a Quarto 4 maggio ) suscita entusiastiche manifestazioni interventiste. D'Annunzio si arruola volontario. Nel gennaio del , costretto a un atterraggio d'emergenza subì una lesione, all'altezza della tempia e dell'arcata sopracigliare, sbattendo contro la mitragliatrice del suo aereo. Non curò la ferità per un mese, perdendo un occhio. Visse così un periodo di convalescenza, in cui fu assistito dalla figlia Renata. Ma ben presto tornò in guerra. Contro i consigli dei medici, continuò a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra.
Nel organizzò un clamoroso colpo di mano para-militare, guidando una spedizione di 'legionari' all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale - 'immaginifico' e politico.
Al volgere della guerra, D'Annunzio si fa portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della 'vittoria mutilata' e chiedendo, in sintonia con una serie di voci della società e della politica italiana, il rinnovamento della classe dirigente in Italia. Questo vasto malcontento, trovò ben presto il suo portavoce e capo carismatico in un volto nuovo della politica italiana: Benito Mussolini. L'11 e 12 settembre 1919, la crisi di Fiume. La città, occupata dalle truppe alleate, aveva chiesto d'essere annessa all'Italia. D'Annunzio con una colonna di volontari occupa Fiume e vi instaura il comando del 'Quarnaro liberato'. Il 12 novembre viene stipulato il Trattato di Rapallo: Fiume diventa città libera, Zara passa all'Italia. Ma D'Annunzio non accettò l'accordo e il governo italiano fece sgomberare i legionari con la forza. Costretto a ritirarsi, D'Annunzio si 'esiliò', con un gesto altrettanto carico di significati retorici, in un'esistenza solitaria nella sua villa di Gardone Riviera - il Vittoriale degli Italiani. Qui lavorò e visse fino alla morte, avvenuta nel 1938, curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale. Dopo la scrittura e la voce, egli dunque scelse il silenzio del mistero per delimitare i confini del 'proprio mondo'; e mai un possessivo fu più adeguato per indicare una visione della vita così egocentrica e assoluta. Non avendo più strumenti comunicativi adatti alla realtà, D'Annunzio trovò in quel silenzio l'unica possibilità in grado di mantenere in vita il proprio personaggio.
In seguito alla pubblicazione di Primo Vere (1879), prima vera raccolta di poesie dannunziane sull'esempio carducciano, composte all'età di 16 anni, lo stesso poeta sparse la notizia della propria morte, raccogliendo così le condoglianze ed i pensieri dei grandi critici del suo tempo, affranti dalla morte di quello che consideravano in prospettiva uno dei nuovi grandi poeti. Fu la prima, grande trovata pubblicitaria del Vate.
Giovanni Pastrone è il vero regista di Cabiria , primo grande kolossal del cinema delle origini, e non Gabriele d'Annunzio come venne considerato per anni. Fu lo stesso Pastrone a pagare il poeta perché questo si prendesse il merito anche della regia, oltre che della sceneggiatura e delle cosiddette 'didascalie vergate' che costituivano il soggetto. L'opera cinematografica, che si ispira a Salammbô di Flaubert, si avvalse delle locandine di Leopoldo Metlicovitz, il più grande cartellonista vivente a quel tempo, e delle musiche del maestro Ildebrando Pizzetti, che diresse oltre settanta musicisti. La pellicola originale durava tre ore e vede la prima apparizione di Maciste, pura creazione superomistica dannunziana. Come dimostrato dallo scrittore e critico letterario Emanuele Podestà, si possono trovare diverse analogie tra Cabiria e Terra Vergine (1882), raccolta di racconti giovanili dannunziani.
Le Laudi dovevano essere composte da un totale di sette libri, come il numero delle pleiadi dalle quali ciascun libro prende il suo nome, ma D'Annunzio non completò l'opera, come non completò diversi cicli che aveva immaginato ma solo iniziato (l'unico completo è infatti il ciclo della Rosa, composto dai tre romanzi 'Il Piacere', 'L'Innocente', 'Trionfo della Morte'): il ciclo del giglio, che doveva comprendere altri due romanzi ed è invece rimasto fermo solo al primo, 'Le Vergini delle Rocce', e il ciclo del Melogramo, di cui è stato scritto solo 'Il Fuoco'.
Nel 1886, D'Annunzio pubblica 'Isaotta Guttadauro ed altre poesie'. Sul Corriere di Roma, Edoardo Scarfoglio (poeta, marito di Matilde Serao) ne fa una parodia, intitolata 'Risaotta al Pomodauro'. Ciò suscita le ire di D'Annunzio, che sfida a duello Scarfoglio. D'Annunzio ne esce con una ferita alla mano.
Grande pubblicitario e coniatore di neologismi, fu lui a privilegiare in Italia tra le tante varianti che allora si usavano la parola 'automobile', in origine di genere maschile.
Il nome La Rinascente, per gli omonimi grandi magazzini di Milano, fu scelto da Gabriele D'Annunzio in occasione della loro riapertura in seguito ad un periodo di inattività causato da un brutto incendio.
Fu sempre D'Annunzio a battezzare Liala la scrittrice Amalia Negretti Odescalchi: 'Ti chiamerò Liala perché ci sia sempre un'ala nel tuo nome'.
D'Annunzio, quando lavorava come giornalista a Roma, si firmava sotto lo pseudonimo di Duca Minimo.
Eia Eia Alalà, grido di esultanza creato da D'Annunzio, con riferimenti alla Grecia classica, nel in occasione del bombardamento di Pola, ha sostituito il Hip Hip Urrà nel ventennio fascista.
Me Ne Frego, il grido di D'Annunzio alla guida dei legionari alla conquista di Fiume, diventato poi il motto delle Squadre d'azione fasciste.
L'uso dell'olio di ricino come strumento di tortura, impiegato successivamente dal fascismo, fu ideato da D'Annunzio durante l'occupazione di Fiume.
Il mito dannunziano è stato oggetto sin dal dopoguerra (fino a oggi) di accese polemiche letterarie ed extraletterarie. In particolare, uno dei temi chiave è stato la scissione del personaggio di D'Annunzio in due diversi ambiti: D'Annunzio-letterato e D'Annunzio-politico. In proposito è interessante la rubrica tenuta da Pasolini su 'Vie Nuove', le cui puntate oggi si possono leggere su un volume pubblicato sotto il titolo di 'Dialoghi'.
La poetessa cilena Gabriela Mistral prese questo pseudonimo in onore dei suoi due poeti preferiti, Frédéric Mistral e Gabriele d'Annunzio, appunto.
D'Annunzio fu anche efficace e creativo coniatore di motti. Alcuni sono rimasti celebri perché legati a fatti storici e si possono grossolanamante riunire in tre categorie:
Memento Audēre Semper (ricorda di osare sempre)
La scritta Memento Audere Semper posta sull'edificio del Vittoriale che ospita il MAS 96 usato da Gabriele d'Annunzio durante la beffa di Buccari.
Forse il motto più famoso, nasce utilizzando le medesime iniziali della sigla M.A.S. (motoscafo armato silurante) con cui d'Annunzio fu protagonista della leggendaria Beffa di Buccari nella notte fra il 10 e l'11 febbraio 1918. Evidente, in questo motto, il concetto sempre caro al Vate dell'osare a ogni costo. L'illustrazione mostra una mano affiorante dalle onde e che, chiusa a pugno, stringe un serto di alloro.
Semper Adamas (sempre adamantino, duro come il diamante)
Questo motto, illustrato come moltissimi altri dall'illustratore Adolfo de Carolis, fu destinato alla Prima Squadriglia Navale. L'illustrazione mostra un braccio nudo che, levato orizzontalmente e con il dito puntato, si leva fra le fiamme. In calce la dicitura il Comandante.
Cominus et Eminus Ferit (da lontano e da vicino ferisce)
Anche questo motto fu illustrato da Adolfo de Carolis e fu ideato per decorare gli aerei della Squadra della Comina, squadriglia di aviatori dediti ad azioni particolarmente rischiose. Nell'illustrazione un'aquila ad ali spiegate e nella posizione di attacco scocca fulmini da sotto le ali.
Cosa fatta capo ha
Il motto, frase attribuita a Mosca dei Lamberti, fu adottato dopo che d'Annunzio prese, a capo di un gruppo di Arditi, la città di Fiume. Nell'illustrazione alcune mani stringono dei pugnali neri.
Immotus nec Iners (fermo ma non inerte)
La frase è di Orazio ed orna, come motto, lo stemma nobiliare di 'Principe di Monte Nevoso'; lo stemma fu dipinto da Guido Marussig; il titolo di principe fu concesso a d'Annunzio Mussolini il 15 marzo 1924, dopo la definitiva annessione di Fiume all'Italia. Sembra evidente come la scelta di questo motto avesse un intento dichiaratamente polemico con lo stesso Duce. Nella raffigurazione, si vede la cima di un monte coperta di neve e sovrastata dalla costellazione dell'Orsa Maggiore.
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