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Storia della detenzione femminile in italia




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STORIA DELLA DETENZIONE FEMMINILE IN ITALIA













"La povertà è la madre dei reati"

Proverbio cinese

PREMESSE


Il ruolo sociale assunto dalle donne nei vari periodi storici e come veniva da esse vissuto s'intreccia inevitabilmente con la storia della delinquenza femminile.

Come per anni si è negata una sua propria soggettività alla donna nella vita sociale "normale" così se né è rifiutata la sua esistenza nella "devianza"[8], o si è considerata poco interessante e di scarsa rilevanza sociale data la sua bassa consistenza quantitativa e perciò categoria "residua" .

La storia della detenzione femminile rispecchia dunque la visione maschile di come doveva essere trattata la donna deviante per riportarla a seguire le leggi dello Stato. Parliamo di visione maschile perché i governi e i regimi sono stato storicamente composti prevalente da uomini con le  conseguenza che le leggi da essi emanate sono state l'espressione della visione maschile del mondo Faccioli[11], a tal proposito, definendo donne e minori come di "soggetti deboli" afferma: " La debolezza dei minori è nel non essere adulti. La debolezza delle donne è nell'essere di un sesso diverso. Il soggetto « forte », intorno al quale minori e donne vengono definiti, è il maschio adulto (possibilmente proprietario). E' questo il soggetto imputabile (responsabile e capace anche di responsabilità civile, cioè patrimoniale), delineato dalla legislazione penale; giovani e donne che trasgrediscono sono considerati « eccezioni »".

Solo in tempi recenti si è potuta notare all'interno della scena politica una minima rappresentanza femminile.






IL TRATTAMENTO DELLE DONNE E DELLA POVERTA' PERICOLOSA NEL XVI SECOLO IN ITALIA


Oggi il penitenziario è l'edificio destinato a contenere sia i condannati ad una pena detentiva che gli accusati sottoposti a custodia cautelare, ma non è sempre stata questa la sua funzione. Nel periodo precedente l'Unità d'Italia il penitenziario era l'edificio in cui venivano nascosti, indifferentemente, le persone in attesa di giudizio, i condannati e coloro che la società considerava, per i più svariati motivi, 'diversi', 'scomodi' e 'pericolosi'[12]

Tra Seicento e Settecento, per affrontare i problemi della cosiddetta povertà "pericolosa", fanno la loro comparsa un po' ovunque in Europa strutture di internamento quali "alberghi dei poveri" e "case di correzione". E' sempre esistita quindi, all'interno dei vari stati in cui era divisa la penisola italiana, nel periodo in cui l'ideologia penitenziaria stava ancora sviluppandosi[13] una distanza "teorica" tra internamento "correttivo" ed internamento carcerario. Assistiamo però, ad una commistione/confusione tra internamento "assistenziale" ed internamento carcerario.

La povertà "pericolosa" a partire dal secolo XVI diviene sempre più oggetto di interventi di polizia quasi sempre basati sull'internamento in ospedali, "alberghi", case di lavoro. Con tali misure i ceti dominanti fronteggiano quello che considerano una fonte permanente di turbamento della tranquillità e della quiete pubblica; anche a Milano, Torino, Roma, Modena sorgono asili, "scuole dei poveri", ospizi apostolici ed istituzioni simili.

Nel secolo XVI le donne "problematiche" erano una sotto-categoria dei bisognosi di aiuto e/o correzione, una fascia di deboli tra i deboli, accomunate agli anziani ed ai ragazzi indipendentemente dalla loro età. La loro marginalità era enfatizzata se non avevano un marito; il tal caso  esse dovevano "redimersi" e stare sotto la tutela di qualcuno. Venivano quindi prese sotto l'ala protettiva dell'autorità che si adoperava per metterle in condizione di potersi sposare. Queste donne potevano così passare direttamente dalla reclusione alla supervisione di un nuovo tutore cioè il marito.


L'OTTOCENTO E LA NASCITA DELLE PRIME CARCERI FEMMINILI


La storia del carcere femminile è contrassegnata dalle crociate morali tese a risocializzare queste donne. Nella fase di affermazione storica del carcere[14] le donne vengono quindi incarcerate soprattutto per atti lesivi di valori morali e per comportamenti considerati "troppo liberi".Le detenute accusate di reati considerati gravi dalla coscienza collettiva sono una piccola parte, e ciò fa si che, alla fine dell'800, i riformatori e le case penali ospitino per lo più donne scappate di casa, vagabonde, donne considerate troppo libere e prostitute.

La gestione del controllo delle detenute è una gestione tutta femminile, per molto tempo inoltre è stata concessa a personale religioso; in altri contesti sono state donne dell'alta borghesia a promuovere campagne di purezza sociale ed a gestire gli istituti penitenziari. Così le donne - come i minori e i pazzi - non sono punite, ma messe sotto tutela, in linea di principio accudite, rieducate: tra i primi esperimenti carcerari ispirati a quest'idea ci sono proprio gli istituti femminili, dove si confondono e si gestiscono insieme donne che commettono reati e donne la cui deviazione da norme sociali relative a ciò che conviene alla 'donna per bene' (trasgressioni sessuali, fughe da casa, abbandono dei figli ecc.) viene interpretata come sintomo di disagio, di disadattamento, di patologia.[15]

Il controllo e la rieducazione delle detenute vengono così affidati a donne che, da una parte appaiono come investite da una missione sociale col fine di salvare altre donne, dall'altra sono rappresentanti di un modello di realizzazione connotato da un'alta adesione ai valori morali.

Lo stesso discorso vale naturalmente anche per le ragazze; i motivi della reclusione sono legati alla decisione parentale di procedere alla correzione e all'impedimento del vagabondaggio. Nei riformatori femminili non sono previsti, a differenza di quelli maschili, alcun tipo di istruzione né l'apprendimento di un lavoro, infatti la "rieducazione" consiste esclusivamente nei lavori domestici ed in lavori di cucito.

Faccioli[16] denomina questo tipo di gestione "modello familiare" proprio perché si basa sulla riproduzione in carcere di un ambiente che simula il gruppo familiare, dominato da una disciplina basata sul paternalismo e garantita da figure prevalentemente femminili.

Il primo regolamento penitenziario della fase post unitaria (Regolamento generale per gli stabilimenti carcerari e per i riformatori governativi del Regno, 1891) prevede la possibilità di concedere la gestione delle carceri femminili ad "istituti di carità muliebri" e che la custodia delle detenute sia comunque affidata a personale femminile, meglio se appartenente ad un ordine religioso.


1.4 IL NOVECENTO

Il modello di gestione familiare attuato attraverso la vigilanza di suore rimase pressoché inalterato fino alla riforma del 1975. Tuttavia ci furono importanti cambiamenti durante gli anni '70 che mutarono di conseguenza anche la popolazione carceraria.

Alle rivolte che in numerose carceri italiane precedettero la riforma del '75 non parteciparono le detenute, che erano poche e sparse in diversi istituti e quindi impossibilitate ad organizzarsi.  L'unica rivolta che in quegli anni coinvolse un carcere femminile si ebbe nel 1976 al San Vittore di Milano. Fu seguita da un documento che conteneva richieste di cambiamento di vita interna che le detenute comuni, insieme alle detenute politiche, inoltrarono all'attenzione delle parlamentari dei partiti socialista e comunista italiani dell'epoca.

La risposta alle rivolte è durissima con i trasferimenti de/delle detenuti/e  nei carceri punitivi ed in manicomi giudiziari. L'altra risposta è quella legislativa del 1975 con la Riforma numero 354, che cancella l'ordinamento fascista. In un'accezione generica, il termine 'trattamento' era stato utilizzato anche nella legislazione precedente al 1975 ma l'Ordinamento penitenziario ha provveduto ad una formale esplicazione di tale termine. Con l'espressione trattamento penitenziario viene considerata una serie articolata di interventi tesi a contrastare gli effetti negativi della detenzione e dell'internamento . La riforma manifesta la mancanza di coraggio civile a rompere pienamente gli ordinamenti fascisti ed inoltre non realizza il coinvolgimento del tessuto sociale verso le questioni carcerarie. Il carcere continua a restare 'cosa separata dal mondo' e chi trasgredisce dovrà ancora essere punito. La riforma contiene anche l'articolo 90 che azzera la legge stessa concedendo al Governo di sospendere le regole trattamentali: sospensione di corrispondenza epistolare interna, censura per la corrispondenza esterna, sospensione di tutte le attività culturali, sportive e ricreative, delle comunicazioni telefoniche con i famigliari, dei pacchi di vestiario e cibo, dei colloqui con i propri cari. L'articolo 90, ampiamente utilizzato nelle carceri speciali, sarà abolito nel 1986. Nel '75, in contemporanea con la Riforma penitenziaria, è varata la Legge Reale, che concede alle forze di polizia di trattenere i fermati per accertamenti, di operare perquisizioni domiciliari senza autorizzazione del magistrato, di lasciare impuniti gli agenti che compiono reati inerenti al servizio; la legge viola l'articolo 13 della Costituzione italiana che afferma 'la libertà personale è inviolabile'. Siamo in un momento storico caratterizzato da un forte conflitto sociale, a cui si risponde con gli arresti di persone solo sospettate di appartenere a gruppi armati.

Nel 1977 il sistema carcerario italiano si connota di un doppio circuito: uno normale per la massa di detenuti/e ed uno speciale per i/le politici/e e i/le comuni più combattivi/e. Vengono riaperte carceri che si ritrovano nelle isolette del Mediterraneo e nuove carceri verranno costruite tra il '77 e l'81: in tutto 13 (10 maschili e 3 femminili). Negli "speciali" si sperimentano tecniche di deprivazione sensoriale al fine di disgregare la personalità del/la prigioniero/a, isolamento individuale o in piccoli gruppi da trascorrere per 22 in cella e due ore in un cubo di cemento da cui si può vedere solo il cielo. Interposizioni di vetri e citofoni che alterano il timbro della voce ai colloqui con i familiari.

La legislazione emergenziale si arricchì di altri provvedimenti nel corso degli anni '70: decreto ministeriale del '72 che istituzionalizzava i 'braccetti di massimo isolamento' dove venivano rinchiusi i/le prigionieri/e politici ritenuti pericolosi a cui erano sospesi elementari diritti dei detenuti/e: non possibilità di acquistare generi alimentari e di conforto, sospensione dei pacchi esterni, non partecipazione alla gestione delle biblioteche e delle attività ricreative e sportive, permanenza all'aria di sei ore settimanali non continue, impossibilità di svolgere attività all'interno del carcere, sospensione dei colloqui telefonici e della visione della tv, non possibilità di ricevere o acquistare giornali e riviste, e l'ascolto di radio con modulazione di frequenza, un solo colloquio al mese con i familiari.

Come scrive Faccioli[18] "non vi può essere spazio per il discorso rieducativo finalizzato alla riproduzione del ruolo femminile tradizionale nei confronti di donne che hanno rifiutato questo ruolo nelle loro scelte di vita" . Le detenute politiche, quindi, propongono un'immagine della trasgressione che investe anche l'ordine sociale e non semplicemente la sfera domestica:

"queste donne non sono rassegnate; spesso il loro delitto nasce da rabbia e insoddisfazione per condizioni do oppressione di cui vengono accusati i rapporti di potere. La loro storia non è quasi mai fatta di miseria e sottomissione e comunque, non viene chiamata in causa per giustificare la loro scelta di trasgredire. Le loro voci inoltre, escono fuori dal carcere per denunciare i meccanismi di potere che regolano la vita carceraria e per descrivere la violenza spesso latente e poco visibile, che scandisce la giornata delle detenute"

Nel 1986 è varata la legge 663 detta Gozzini[20] che doveva essere la 'riforma delle riforme', ovvero doveva cercare di correggere le incompetenze della Riforma del '75. La Gozzini verrà svuotata di senso nel dibattito parlamentare così che risultava non più la legge che avrebbe permesso un graduale reinserimento sociale dei/delle detenuti/e attraverso un'attività lavorativa esterna e le riprese dei legami parentali ed amicali, ma una legge che 'prevedeva', cioè concedeva, la possibilità di accedere all'esterno grazie ad uno 'scambio', ossia i/le detenuti/e dovevano accettare il sistema carcerario così com'è per poterne uscire. Tuttora, il /la detenuto/a deve fingere l'accettazione e preoccuparsi individualmente di tessere relazioni con le associazioni di volontariato che operano nelle strutture carcerarie.

L'ultima legge parlamentare è del 1998, detta Simeone. Questa legge si è posta contro la campagna forcaiola condotta sui mass media in merito alle scarcerazioni facili[21] ma è rimasta ancorata alla logica premiale e quindi all'operato dei Magistrati di sorveglianza che, nel concedere i benefici, si avvalgono dei verbali di polizia e non di quelli dei servizi sociali.

Si va via via introducendo una maggiore apertura del carcere all'esterno fino al D.P.R. del 30 giugno 2000, n.230[22], "Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà". Con questo regolamento è stato comunque relegato ad un ruolo secondario il potenziamento degli strumenti con cui attuare il trattamento penitenziario. Sono state riconosciute gratificazioni di carriera agli operatori penitenziari ma ancora una volta non è stato affrontato il problema dell'insufficienza di organico che affligge l'area trattamentale .

Nel quadro delle riforme all'ordinamento penitenziario, un ruolo fondamentale spetta alla legge 40/2001 Finocchiaro) che aggiunge un altro tassello al processo di decarcerzzazione riguardante determinate categorie di persone, le cui condizioni personali risultano obiettivamente incompatibili con la sottoposizione al regime detentivo in carcere, e in particolare le detenute madri - a cui vengono equiparati i padri in determinati casi - al fine evidente di assicurare una più adeguata tutela del rapporto con la prole ed impedire, nel preminente interesse del minore, le conseguenze negative che la vita in carcere inevitabilmente porta con sé[24].

Nel frattempo, la comunità carceraria femminile viene nuovamente modificata dalla presenza sempre più numerosa di donne detenute per reati connessi alla droga e di straniere. Sono prevalentemente donne giovani, di diversa composizione sociale e di diverso livello culturale, anche se le classi più disagiate rimangono maggiormente rappresentate.



Franca Faccioli "Devianza e criminalità femminile in Italia", in Il privato come politica a cura di G.Satera, Lerici, Cosenza 1977

G. De Leo "L'interazione deviante" Giuffrè 1981

R.Villa "La violenza interpretata" il Mulino 1977

Franca Faccioli "I soggetti deboli. I giovani e le donne nel sistema penale", Franco Angeli

Focault, "Sorvegliare e punire",  Einaudi

Romano Canosa, Isabella Colonnello "Storia del carcere in Italia - dalla fine del '500 all'Unità" Edizioni Sapere 2000, 1984.

L'avvento dello Stato di diritto apre la strada al concetto di internamento istituzionalizzato. Nel 1891 fu approvato il 'Regolamento generale degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi', primo fondamentale documento delle istituzioni penitenziarie dell'Italia post-unitaria. Questo documento, seguito al codice Zanardelli entrato in vigore l'anno prima ed incentrato sui principi dello Stato di diritto, operava una prima innovativa distinzione tra 'stabilimenti carcerari' e 'stabilimenti riformatori', attuando un'embrionale differenziazione del trattamento dei reclusi, in virtù della loro età e della rispettiva condizione giuridica.

Buttafuoco A., Le mariuccine. Storia di un'istituzione laica, Angeli, Milano 1985.

Franca Faccioli "I soggetti deboli. I giovani e le donne nel sistema penale", op. cit

F. Lupone, "Il trattamento penitenziario e la sua attuazione processuale," Napoli, Ed. Novene, 1984

Franca Faccioli "I soggetti deboli. I giovani e le donne nel sistema penale", op. cit

Le donne presenti nelle carceri italiane, per i crimini da loro commessi e per il tipo di gestione attuata, durante il secolo precedente erano viste soprattutto sotto il profilo della loro "amoralità" piuttosto che dal punto di vista dell'illegalità.Durante gli anni '70 assistiamo ad una radicalizzazione della conflittualità sociale; le donne hanno una nuova concezione del proprio peso sociale e lottano per una reale situazione di pari opportunità tra uomo e donna. I cambiamenti sociali e le lotte di quegl'anni incidono profondamente sull'immagine  della popolazione detenuta e sulla sua composizione. Tra le donne aumentano le giovani ed in generale il quadro della trasgressione appare più complesso. Aumentano infatti i reati contro il patrimonio, quelli contro lo Stato, l'amministrazione della giustizia e l'ordine pubblico, mentre diminuiscono quelli contro la famiglia e contro la morale.

In seguito all'entrata in vigore della legge n. 663 del 1986, meglio conosciuta come 'Legge Gozzini' ed alla legge n. 165 del 1998, cosiddetta 'Legge Simeone' che, nel rispetto del principio di uguaglianza, in sede di esecuzione della condanna ha concepito la possibilità di concedere a tutti i detenuti la sospensione della pena facilitando in tale modo ai condannati stranieri l'accesso alle misure alternative, sorsero diverse polemiche sul concetto di flessibilità della pena.

L'ossessionante richiesta di sicurezza da parte della società ha indotto ad un inasprimento dell'applicazione delle norme penitenziarie ed i contraccolpi di tale tensione non hanno tardato a manifestarsi in un aumento delle segnalazioni di maltrattamenti e violenze perpetrati negli istituti penitenziari. Ad es. si ricordino i pestaggi nel carcere di Sassari, nel 1999.

Il nuovo regolamento di esecuzione del 2000 è nato con l'obbiettivo di delineare un nuovo assetto del trattamento, maggiormente conforme alle finalità che si era proposto l'Ordinamento penitenziario del 1975. A tal fine è prioritario l'obbiettivo di riuscire ad 'aprire il carcere', restituendo a questo luogo l'identità di 'parte della società' e nel rispetto di tale identità, restituirlo alla società stessa. Occorre mantenere, spesso intensificare e migliorare, i rapporti tra il carcere e la società esterna rendendo meno traumatico il ritorno nella società per quei soggetti coattivamente allontanati da questa.

Ass. ANTIGONE, Il carcere trasparente, primo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione, Roma, ed. Castelvecchi, agosto 2000

www.ristretti.it

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