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Carcere: "pena" e rieducazione - Il caso particolare di San Vittore




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Carcere: "pena" e rieducazione - Il caso particolare di San Vittore


"Il problema dell'uomo allontanato dalla società è un problema che è sempre esistito, no? Io penso che quando fu commesso il primo delitto, la prima violazione di un certo ordine sociale, penso che quando Caino ha ucciso Abele, a un certo momento è stato messo in un angolino, è stato isolato da quella piccola società. Questa istanza sociale è sempre esistita; in altri termini, il carcere inteso come allontanamento dalla società è coevo alle origini dell'umanità. La prima società è nata con una condanna."[1]


Il concetto centrale di questo stralcio di intervista è che " il carcere inteso come allontanamento dalla società è coevo alle origini dell'umanità ". Infatti, secondo l'opinione corrente il carcere, inteso come istituzione internante in cui i "delinquenti" vengono relegati per scontare le pene, sarebbe sempre esistito (e quindi sempre esisterà) perché la società non ne potrebbe fare a meno.[2]

Questo dipende dal fatto che la sua validità e la sua esistenza sono generalmente intese astoricamente "è sempre stato così"; ne consegue un parallelismo tra l'astoricità delle norme e l'astoricità dell'istituzione.[3]

Invece il carcere, come tutte le istituzioni sociali, ha una sua storia, quindi, un suo passato, un suo presente e un suo futuro. il cui racconto rappresenta uno degli obiettivi del presente capitolo.

La questione importante da chiarire, posto che il carcere sia quell'angolino in cui vengono nascosti i "figli illegittimi dell'umanità", è a quale fine si reclude, qual è lo scopo della pena detentiva.

Oggi si dice che compito del carcere è fornire ai detenuti, attraverso un percorso rieducativo, gli strumenti pratici e morali ai quali attingere nel momento del reinserimento in società; ma per non cadere nella trappola della astoricità è bene dire che non è sempre stato così.

Al concetto rieducativo della pena si è giunti per gradi, attraverso un percorso difficile e cosparso di vittime di un sistema "giudiziario" disumano, che di giudiziario aveva solo la pretesa.

Ancora oggi molto spesso la pena detentiva è oggettivamente contraria al senso di umanità, poiché si svolge in luoghi e condizioni incivili (prima fra tutte il sovraffollamento) però è già importante che si stiano facendo dei passi in avanti verso una concezione che tenga conto del potenziale umano e sociale del detenuto.

L'ultima cosa che voglio è aprire una polemica contro il sistema carcerario poiché ritengo che le polemiche siano chiacchiere utili solo ad intrattenere, preferisco dare luce, per quanto mi sia possibile, agli sforzi che si stanno facendo per favorire il processo di recupero dei detenuti anche attraverso l'intensificazione dei loro contatti con la società esterna.


E' in questo spirito che io adotto idealmente l'articolo 27 della Costituzione[4]: voglio credere in "lui" e in tutti coloro (e sono tanti) che si muovono in punta di piedi fra gli spiragli che la legge lascia aperti, a volte per aver affermato altre per non aver negato, con il solo obiettivo di rendere il carcere un luogo dove poter imparare ad essere anzitutto persone e poi cittadini.

In questo capitolo ho intenzione, anzitutto, di tratteggiare l'evoluzione, avvenuta nel corso dei secoli, della concezione di pena, considerata dal punto di vista della sua finalità, e di quella ad essa connessa di carcere.

In secondo luogo analizzerò brevemente due precetti che costituiscono l'articolo 27 della Costituzione italiana i quali sanciscono la rieducazione del detenuto come fine ultimo della pena, soffermandomi sul significato che questo concretamente assume per le attività promosse in carcere. Nel farlo mi riferirò all'esperienza della Casa Circondariale milanese di S. Vittore della quale descriverò il progetto pedagogico dell'anno in corso. Esso, oltre a prevedere le consuete attività formative, fa riferimento anche ad alcuni progetti che, avvalendosi delle tecnologie della comunicazione, sono finalizzati, nello specifico, all'ampliamento del contatto fra i detenuti e la società esterna, contatto che costituisce la base del loro recupero[5].


1.1 L'evoluzione del concetto di pena: dalla punizione alla rieducazione

Alla voce "pena" l'enciclopedia multimediale Encarta, cita: "Pena in diritto penale è la sanzione inflitta a chi è ritenuto colpevole di un reato. Secondo i criminologi la pena deve dissuadere dal compiere reati ed evitare che il colpevole in futuro ne commetta di nuovi."

Da questa definizione si deduce che la finalità della pena, (dove per finalità si intende l'efficacia di essa, ossia l'insieme degli effetti che produce e in vista dei quali è adottata dallo Stato[6]) è duplice; cioè deve fungere da deterrente, ossia dissuadere dal comportamento criminale, sia l'intera società (General-preventiva) sia il condannato stesso (Special-preventiva) . Quindi per essere efficace la pena deve essere capace di perseguire gli obiettivi di prevenzione e di controllo delle condotte umane.

Si noterà che fino a questo punto non si è trovato niente nella definizione di pena che ne disponga le modalità, cioè che stabilisca come ci si deve comportare nei confronti del reo. Ebbene, a questo proposito interviene la Legge. Ad esempio, l'articolo 27 della nostra Costituzione dispone che "le pene non possono consistere in trattamenti disumani e devono tendere alla rieducazione del condannato in vista del reinserimento in società", ma questi principi si sono concretizzati solo con la riforma dell'ordinamento penitenziario del 1975. E prima? La pena ha sempre mirato alla rieducazione del condannato?

Purtroppo no, e per poter valutare come il concetto di pena sia stato modificato nel corso del tempo, si pensi a come la letteratura medievale sia ricca di narrazioni riguardanti pene capitali crudeli e violente, sale di tortura, lugubri prigioni con celle buie e segrete.e poi si pensi ad oggi, così, nonostante l'evidenza dei problemi che indubbiamente il sistema carcerario deve ancora affrontare, forse, si potrà tirare un sospiro di sollievo nel notare che le cose sono notevolmente cambiate.

Di seguito verranno presentate le varie concezioni di pena susseguitesi nel corso degli anni a partire dalla tortura medievale fino a giungere alla moderna rieducazione.

L'obiettivo che mi pongo è quello di dare maggiore dignità al concetto di pena a scopo rieducativo, facendo emergere quanto tale concetto abbia faticato ad imporsi nello scenario sociale e politico d'Europa, e sottolineando le brutalità che sono state inflitte ai detenuti per la mancanza di un ordinamento penitenziario dal volto "umano", che avesse cioè il coraggio di considerare il detenuto come un uomo da recuperare e non solo un pericolo da isolare per salvaguardarsi.

Così, adesso, che finalmente il recupero del detenuto è lo scopo della detenzione, bisogna fare il possibile perché tale scopo non resti solo un bel principio dimenticato su un pezzo di carta, impegnandosi affinché si esplichi concretamente nel trattamento dei carcerati.

Nella trattazione che segue si noterà che il modo in cui la società, nel corso dei secoli, ha considerato i soggetti che si sono scostati dalla norma stabilita, ha influito sul concetto di finalità della pena e quindi anche sulla realtà del carcere e sul trattamento dei detenuti.


1.1.1 L'istituzione carceraria pre-capitalistica

Nella società feudale il carcere inteso come pena, nella forma della privazione della libertà, non esiste. La detenzione era solo un passaggio temporaneo nell'attesa dell'applicazione della pena reale, cioè la privazione nei riguardi del colpevole di quei beni riconosciuti universalmente come valori sociali: la vita, l'integrità fisica, il denaro.

Nel Medioevo, quindi, il carcere doveva "presiedere alla custodia non alla punizione", dunque per ragioni di sicurezza si trovava spesso in luoghi sotterranei.

La pena medievale, punitiva, si fonda sulla categoria etico-giuridica del "taglione", a cui si associa il concetto di "espiatio", forma di vendetta basata sul criterio di pareggiare i danni derivanti dal reato.

Il suddito doveva il proprio rispetto alle regole imposte dal feudatario che era l'unico soggetto deputato ad emanare gli ordini e a giudicare il reo. La presenza di leggi e codici passava in secondo piano poiché la definizione delle pene aveva come fonti primarie la consuetudine e la discrezionalità del signore che giudicava a seconda del soggetto imputato. La crudeltà e la spettacolarità accompagnavano le procedure di espiazione con una funzione prettamente deterrente nei confronti di coloro che intendevano trasgredire le regole imposte dal signore.

Poiché la pena più diffusa per i reati comuni erano i lavori forzati, si può dire che nella società feudale il confine tra pena e schiavitù fosse piuttosto labile.


1.1.2 La nascita dell'istituzione carceraria moderna

Col l'avvento del capitalismo e del lavoro salariato, quando, cioè, tutte le forme della ricchezza verranno ridotte alla forma più semplice e astratta del lavoro umano misurato nel tempo, si può dire che al concetto di libertà individuale cominciò a fare da contrappeso quello di privazione della libertà come pena (oggi esclusiva forma di punizione). Si assiste quindi ad una evoluzione di questo concetto, che interessa principalmente quegli individui appartenenti alla classe dei "non occupati" nei confronti dei quali la borghesia arrogante si porrà il problema del controllo sociale. Essi vengono visti come dei colpevoli, poiché la povertà è considerata una punizione divina.

All'inizio del XVI secolo verso questi soggetti (masse di vagabondi sradicati dalle campagne costretti a mendicare) si era sviluppata una legislazione fortemente repressiva, caratterizzata da durissime pene corporali. Solo dopo trent'anni in Inghilterra, il cui esempio sarà adottato anche in altre parti d'Europa, nasceranno a "favore" dei poveri delle case di correzione. Queste "strutture assistenziali" assumono come valore l'educazione al lavoro capitalistico, e si pongono l'obiettivo di rieducare, attraverso la disciplina e il lavoro, persone disadattate (prostitute, ladri, vagabondi, orfani) con un sistema caratterizzato dall'organizzazione rigida del tempo, che era strutturato in gesti sempre uguali e ripetitivi.

Il tutto nasceva dalla necessità crescente di forza-lavoro che la nuova struttura sociale, ormai avviata al processo di accumulazione capitalistica, richiedeva; così, tali istituti sostituiscono quasi completamente il carcere comune, ormai riservato solo ai colpevoli di reati pesanti.

Si può dire che l'obiettivo che sta alla base delle workhouses introduce un nuovo elemento che va ad arricchire il concetto di pena: la rieducazione, che anticipa il nucleo dell'ideologia penale illuminista.

Siamo però ancora lontani dal concetto di rieducazione sostenuto dall'articolo 27 della nostra Costituzione. Infatti le workhouses si trasformano ben presto in luoghi di lavoro forzato, dove la rieducazione è volta soltanto a migliorare la "macchina" presente in ogni uomo e non certo ad arricchirne la personalità.

Comunque, già all'inizio del XVIII secolo il carcere abbandona la logica del lavoro e della disciplina come strumento di rieducazione e si concentra nuovamente su attività di carattere afflittivo e di controllo.

Questo avviene a causa dell'avvento delle macchine (passaggio dal sistema manifatturiero al vero e proprio "sistema di fabbrica") che ha come conseguenza la riduzione del fabbisogno di forza-lavoro. In tal modo una moltitudine di persone rimaste senza lavoro si sparpaglia per l'Europa provocando il dilatarsi dei fenomeni del pauperismo e della criminalità, dando spazio all'identificazione tra il povero e l'individuo socialmente pericoloso, che va controllato.

In questo clima vengono accettate con favore le teorie di alcuni riformatori inglesi, tra cui spicca Jeremy Bentham[11], che assegna al carcere, prioritariamente, un carattere intimidatorio e di totale controllo. Si deve, infatti, a lui il progetto architettonico Panopticon basato sul principio ispettivo secondo il quale i pochi carcerieri possono controllare i molti detenuti, e il controllo possa essere esercitato su tutti gli atti del carcerato nell'arco delle 24 ore giornaliere.

Questo è il risvolto carcerario della pretesa della ricca borghesia in ascesa di riuscire a controllare totalmente le classi subordinate.

La fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo rappresentano per l'Europa un momento di profondo cambiamento culturale, sociale, politico ed economico: è il periodo in cui si diffonde il pensiero dell'illuminismo[13], che influenzerà notevolmente il dibattito sulle modalità di intervento nei confronti di comportamenti contrari alle leggi.

Come è noto l'illuminismo è un movimento filosofico che mira a conseguire l'emancipazione dell'umanità grazie ai "lumi" della ragione, segna infatti il trionfo della razionalità umana sui vincoli della tradizione, della superstizione e della tirannide.

Un aspetto condiviso da tutti i pensatori illuministi (l'illuminismo si distingue per essere un movimento profondamente cosmopolita, che accomuna, cioè, pensatori di nazionalità diversa intorno ad una profonda unità di intenti) è il forte atteggiamento antitradizionalista, nutrito dalla convinzione che il passato, in particolare il Medioevo, coincidesse con l'età dell'ingiustizia, del sopruso, della superstizione e dell'ignoranza.

L'uomo, con l'illuminismo, viene finalmente considerato un essere razionale, detentore dei propri diritti e, soprattutto, responsabile delle proprie azioni.

In questa prospettiva, quindi, l'essere umano "diventa" capace di scegliere deliberatamente l'osservanza o la trasgressione delle leggi, ecco perché Il crimine secondo gli illuministi è il prodotto di una scelta libera.

Queste innovative riflessioni non riguardavano solo la concezione dell'uomo ma vollero dare anche alla pena un nuovo significato. Quindi, aboliti i comportamenti vendicativi ("legge del taglione"), l'amministrazione della giustizia nell'ideale illuminista si realizzava nel perseguimento di due finalità: una retributiva, attraverso il risarcimento alla società del danno compiuto, e l'altra deterrente, disincentivando sia il reo sia il resto della società dal commettere ulteriori reati.

In totale accordo con queste concezioni illuministe e convinto della dignità e dell'uguaglianza di tutti gli uomini, il filosofo ed economista italiano Cesare Beccaria sostenne la necessità dello sviluppo in senso umanistico del sistema penale, poiché riteneva che quello in vigore fosse crudele e arbitrario.

Nel saggio Dei delitti e delle pene pubblicato a Livorno nel 1763, infatti, Beccaria denuncia la durezza e gli eccessi del sistema penale, in particolare della pena di morte e della tortura, invocando la necessità di proporzionare la pena al delitto. Tale opera ebbe un'importante funzione di stimolo e guida per la riforma dei codici penali di molti paesi europei e degli Stati Uniti d'America[14].

A prescindere dall'attuazione più o meno immediata dei principi illuministi, non possiamo che notare come questa nuova concezione della pena vada a rimuovere alcuni concetti antichi come l'afflittività e l'arbitrarietà introducendo elementi innovativi come la commisurazione della pena al reato commesso.

Verso la metà del XIX secolo si fa strada il positivismo, una linea di pensiero che applica la scienza ai problemi della vita quotidiana, analizzando scientificamente il comportamento umano grazie allo studio delle condizioni biologiche, psicologiche e socio-ambientali che lo influenzano.

Uno dei massimi esponenti della scuola positiva italiana è Cesare Lombroso, medico e professore di medicina legale dell'università di Torino, che sarà il fondatore di una disciplina scientifica, l'antropologia criminale, che ebbe un grande influsso sugli sviluppi della criminologia.

Nella sua principale opera, L'uomo delinquente, pubblicata nel 1875, Lombroso diede un'identificazione clinica dei diversi tipi di criminale, tra i quali si interessò maggiormente a quello da lui definito "delinquente nato", caratterizzato, a suo vedere, da stimmate anatomiche, fisiologiche e psicologiche che lo rendono tale.

Le sue opere, notevolmente influenzate da Charles Darwin, lo portarono a conclusioni radicali come la spiegazione della personalità del delinquente attraverso un insieme di caratteristiche determinate a livello ereditario, considerando, di conseguenza, il comportamento criminale come un male trasmesso dagli antenati.[15]

Ponendo l'accento sul carattere biologico dei comportamenti devianti, il positivismo viene a negare all'uomo la possibilità di essere libero, come invece supponeva l'illuminismo, per renderlo condizionato a fattori non controllabili.

Non stupirà se a questo punto l'enfasi che l'illuminismo aveva posto sul concetto di pena si sposta nuovamente su quello di misura di sicurezza, del carcere come contenitore di isolamento, lasciando trasparire, così, una tendenza pessimistica nell'intervento contro la criminalità.


L'istituzione carceraria contemporanea

Per quanto riguarda la trattazione dell'istituzione carceraria contemporanea, mi riferirò in particolare agli avvenimenti che hanno interessato l'Italia; questa scelta è sostenuta dalla volontà di dare una chiara contestualizzazione storica agli argomenti che tratterò nei paragrafi successivi. Essi riguarderanno, infatti, la riforma carceraria in Italia, con la quale motiverò la trattazione di alcuni progetti promossi in particolare dal carcere milanese di S. Vittore.


Le forti mobilitazioni sociali successive alla prima guerra mondiale che, oltre alla classe operaia urbana avevano coinvolto anche le campagne e il proletariato contadino, crearono un forte stato di allarme fra le classi dominanti che vedevano minacciati i propri privilegi dalla classe popolare. Questo stato d'animo spianò la strada al fascismo.

In Italia sarà infatti il regime fascista a porsi come via di uscita dall'impasse provocato dal dualismo tra responsabilità individuale (illuminismo) e pericolosità sociale (positivismo), facendo propria la lezione della scuola positiva del diritto penale che, come ho già accennato, sostituì alla categoria della responsabilità quella della pericolosità del singolo.

Gli accordi del fascismo con la Chiesa cattolica (Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929) rivestirono la pena di caratteristiche moralizzatrici, considerando il reo come "peccatore che deve compiere un percorso di espiazione e rimorso"[17].

Nel 1930 viene approvato il codice Rocco e nel 1931 il Regolamento carcerario che si fonda sostanzialmente su questo assunto: "Lo Stato incarna il bene comune, lo Stato è al centro della vita del cittadino, il delinquente è un nemico del popolo, quindi dello Stato, poiché offende la dignità dello Stato e si contrappone ai sentimenti popolari e alle pubbliche virtù. La pena dunque deve avere una funzione afflittivo-punitiva e deve essere esemplare. Il carcere di conseguenza sarà inflessibile e distruttivo nei confronti degli incorreggibili, flessibile e attenuato per gli altri."[18]

Lo stesso Mussolini intervenendo nel dibattito parlamentare sulla presentazione del nuovo ordinamento penitenziario ci tenne a dire la sua mettendo in guardia coloro che studiano le carceri dal "vedere questa umanità sotto un aspetto forse eccessivamente simpatico.Credo che sia prematuro abolire la parola pena e credo non sia nelle intenzioni di alcuno convertire le carceri in collegi ricreativi piacevoli, dove non sarebbe tanto ingrato il soggiorno"[19].

E' questa l'essenza della ideologia fascista della punizione espressa dal duce del fascismo.

Come è possibile leggere in un contributo di Guido Neppi Modona: "E' evidente che in materia penitenziaria lo Stato autoritario fascista non ha introdotto, con il regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena del 1931, alcuna sostanziale innovazione, ma si è limitato a perfezionare gli strumenti di emarginazione e di oppressione che già caratterizzavano l'ordinamento del 1891, dimostrando almeno in questo settore, una significativa continuità tra Stato liberale e regime fascista."[20]

Questa continuità dipende dal fatto che le strutture carcerarie costituiscono un ineliminabile strumento di dominio di classe, che trova la sua ragion d'essere in relazione a determinati assetti sociali, e quindi può riproporsi immutato malgrado i cambiamenti istituzionali o di regime politico.[21]

Un carcere non più afflittivo ma tendente alla valorizzazione del condannato come uomo e cittadino, non sarebbe congeniale al sistema penale in vigore, anzi svuoterebbe di significato le ragioni politiche e sociali che fanno di alcuni reati, specialmente quelli contro la proprietà e l'ordine pubblico, la struttura portante del codice penale ed inducono a privilegiare la sanzione detentiva come efficace ed insostituibile strumento di soggezione e di intimidazione di classe[22].

Nel 1945 viene emanato un decreto per rendere più rigido e severo il controllo nelle carceri, frustrando le aspettative di chi sperava che con la "liberazione dal fascismo" si sarebbe respirato un clima nuovo e più libero anche nelle galere. L'Italia, così, ancora succube della mentalità fascista vive una situazione di disumanizzazione e criminalità istituzionale caratterizzata dall'ossessione punitiva, situazione che continuerà fino alla riforma carceraria del 1975. Si delineerà un triste scenario nel quale una società diventata essa stessa un enorme carcere, ha bisogno delle galere come valvola di sfogo delle proprie frustrazioni e perversioni.

Come è possibile leggere in un contributo del collettivo "Il mondo capovolto" apparso su Internet: "Nel carcere il borghese medio ritrova, per odiare, la rappresentazione del suo nemico, il randagio addomesticato, rivede il ribelle incatenato, il viaggio che avrebbe voluto fare ma che ha sempre avuto il terrore di iniziare.cosa resta a lui se non.il bisogno ansioso di ordine, ordine.ordine.totalizzante e rassicurante?"[23].

Forse è proprio questa situazione di degrado umano ormai giunta al limite dell'accettabilità che ha dato lo spunto per l'avvio della riforma penitenziaria, che finalmente vedrà nella rieducazione e nella risocializzazione del detenuto gli obiettivi della pena detentiva.


1.2 Il perché della riforma penitenziaria

Come è possibile leggere in un contributo di Cesare Terranova: "Nel quadro del rinnovamento delle strutture decrepite non funzionali dello Stato moderno si inserisce il problema della riforma del sistema penitenziario; riforma del sistema penitenziario è un'espressione molto ampia, che investe molteplici aspetti delicati e importanti di quello che costituisce uno dei modi di essere dello Stato e un modo di essere affatto secondario, tant'è vero che ad esso si ricollega il giudizio più o meno positivo sul grado di evoluzione e di civiltà raggiunto da una comunità nazionale"[24].

La riforma si impone per rendere operanti i precetti della Costituzione contenuti nell'articolo 27, e cioè che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità" e "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato".


1.2.1 Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità

Secondo il nuovo ordinamento penitenziario, promulgato con la legge 354[25] del 26 luglio 1975, la pena non deve offendere né mortificare la dignità dell'uomo, dignità che permane e va rispettata anche in chi si è macchiato delle colpe più mostruose.

Bisogna tenere presente che l'incarcerazione, che priva l'uomo della propria libertà individuale, è già una violenza e una coercizione che non va aggravata oltre il minimo strettamente indispensabile per realizzare l'esigenza di ordine e di sicurezza per la collettività.

Qualsiasi delinquente conserva quella condizione di umanità e civiltà che impone di trattarlo come un uomo in considerazione del fatto che per ogni crimine esistono spiegazioni, rapportate a situazioni ambientali, sociali, personali, per cui forse ogni crimine andrebbe studiato non in base ad un criterio oggettivo, ma in relazione a colui che lo commette.

A questa necessità risponde l'ultimo comma dell'articolo 1 della legge 354/75[26], nel quale si trova una specificazione del concetto rieducativo della pena che pone al centro il trattamento individualizzato del detenuto, inteso come offerta di opportunità e attività nel rispetto della specificità del soggetto.

Questo primo aspetto dell'ordinamento penitenziario, quindi, restituisce dignità a quella "scintilla di umanità"[27] insopprimibile persino nel peggior delinquente, che impone di non rinunciare a sperare che questa, se coltivata nelle giuste condizioni, possa avere il sopravvento sulle distorsioni e sugli istinti che spingono gli uomini ad infrangere le regole della società.

E' su questo presupposto che si fonda il secondo precetto costituzionale.


1.2.2 Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato

Come sostiene Cesare Terranova: "Non si può sostenere che la pena detentiva in sé abbia un contenuto rieducativo per il solo fatto di comprimere gravemente la libertà individuale, ma ad essa la società è costretta a ricorrere per ripristinare un equilibrio violato, e per assicurare alla vittima la doverosa riparazione"[28].

Però, una volta applicata, deve tendere alla rieducazione, dove per rieducazione si intende ravvedimento cosciente, ma si intende soprattutto la possibilità di reinserimento nella società, possibilità concreta di recuperare l'individuo che con le sue azioni si è messo fuori e contro la collettività.

Fino all'emanazione della riforma carceraria la pena ha avuto semmai l'effetto di educare al delitto, e ancora oggi, in molti casi, autori di reati minori e sostanzialmente vittime di circostanze ambientali sfavorevoli, perciò recuperabili con facilità, vivono con la detenzione una condizione di definitivo traviamento, per cui da delinquenti occasionali diventano professionisti del delitto[29].

Oggi questo non è ammissibile soprattutto se si vuole una società migliore di quella in cui si vive, quindi, la riforma penitenziaria si impone in ogni aspetto della vita carceraria: dalle strutture, all'organizzazione fino al personale di vigilanza e custodia.

In questa prospettiva nella riforma del '75 c'è una lacuna, sottolineata da Ubaldo Fazio[30], e cioè quella di non contemplare il problema dell'edilizia carceraria, che è a suo avviso un problema molto grave poiché sostiene che l'afflittività della pena detentiva è data non solo dal sistema legislativo repressivo, ma anche dalle condizioni ambientali nelle quali il detenuto è costretto a vivere (vetusti edifici che non consentono l'applicazione degli avanzatissimi principi in materia di disciplina carceraria), condizioni che lo riducono in breve tempo in uno stato di abbruttimento fisico e morale dal quale faticherà a riprendersi una volta ottenuta la liberazione.

Soltanto in stabilimenti moderni e funzionali possono essere realizzati a favore dei detenuti i concetti fondamentali che sono il presupposto della rieducazione sociale, e cioè: isolamento notturno (per dare la possibilità di avere una vita privata sottratta alla promiscuità), vita comune diurna (per inserirlo in un contesto sociale e dargli l'opportunità di riconoscersi come uomo con altri uomini e non come un animale in gabbia), lavoro (che non deve essere fatica senza scopo, ma che deve dare al detenuto la sensazione dell'utilità personale e sociale, assecondando le sue attitudini e rispettandone i diritti), istruzione (impartita nei vari gradi), addestramento professionale (per chi da libero svolgeva una attività specializzata, in modo da poter riprendere il lavoro una volta scontata la pena), ricreazione (vanno garantite le attività di svago, dalla lettura alle attività sportive), contatti col mondo esterno (vanno completamente riveduti i criteri che regolano i rapporti "dentro-fuori")[31].

Quest'ultimo aspetto, e cioè il contatto fra il detenuto e la società esterna, è di fondamentale importanza nel progetto della risocializzazione, progetto che considero lo stadio finale del processo rieducativo, nel senso che il percorso che il detenuto compie in carcere, tra una attività formativa e una ricreativa, deve avere come obiettivo finale il suo reinserimento costruttivo in società.

Per far si che si realizzi un costruttivo rapporto tra i due attori della risocializzazione e cioè il risocializzando e la società, bisogna che queste due realtà mantengano i contatti col duplice scopo di favorire la conoscenza della realtà carcere da parte della società, e di far tenere al detenuto i contatti con la realtà nella quale deve essere reinserito.

Anche in questo caso è l'ultimo comma dell'articolo 1 dell'ordinamento penitenziario a venire in aiuto. Infatti tale comma sostiene la necessità dei contatti di condannati e internati con l'ambiente esterno per favorire il loro percorso di riabilitazione sociale. Tale dettame nella realtà dei fatti trova compimento con l'inserimento in carcere sia di ruoli e procedure operative nuove (centri di servizio sociale, sezioni di sorveglianza, magistrati di sorveglianza, educatori, assistenti sociali) sia con il coinvolgimento di enti pubblici territoriali (Regioni, comuni, ASL) e di enti privati (associazioni e volontari), al fine di promuovere diverse iniziative formative ad opera di operatori che non fanno parte dello staff penitenziario. Sono gli art. 17[32] e 78 dell'ordinamento (legge 354/75) che regolano la "partecipazione" di questi collaboratori esterni; siano essi professionisti o volontari, l'unica qualifica che gli viene richiesta è un provato interesse per l'opera di "rieducazione" e la capacità di muoversi in modo utile a questo fine.

Gli "esterni", nel proporre progetti di intervento, si muovono nell'apertura lasciata dall'ordinamento che non presenta un elenco tassativo delle attività ammesse, ma considera idonee tutte quelle che non ne contrastino le finalità.

E' in nome dello scopo rieducativo della pena che vengono promosse in carcere diverse attività culturali e ricreative perché è proprio l'insieme di esse a rappresentare l'ambito entro il quale si realizza maggiormente la preparazione del detenuto al contatto con l'esterno.


Per rendere più chiaro il modo in cui funziona un carcere, dal punto di vista formativo, in adempimento della riforma 354/75, ho intenzione di proporre il piano pedagogico della Casa Circondariale di S. Vittore.

Prima, però, mi soffermerò sulla descrizione della "storia" di tale carcere per sottolineare i cambiamenti attraverso cui è passato prima di diventare il S. Vittore che oggi conosciamo.

La mia scelta è ricaduta sulla Casa Circondariale milanese sia perché è una realtà a me vicina, sia perché è una struttura che promuove moltissime attività formative grazie alla disponibilità del suo Direttore che ha compreso l'importanza che tali iniziative hanno non solo per i detenuti ma per l'intera società.


1.3 La Casa Circondariale di S. Vittore

Per chiarezza è bene spiegare che esiste una differenza fra le denominazioni "carcere"e "Casa Circondariale". Infatti mentre nel primo si trovano solo detenuti definitivi (condannati), nella seconda oltre a questi si trovano gli internati (persone in attesa di giudizio). Di seguito, nonostante S. Vittore sia una Casa Circondariale, utilizzerò indistintamente i due termini per evitare ripetizioni che appesantirebbero la descrizione.


La Casa Circondariale di S. Vittore si trova in una zona molto centrale della città di Milano (Piazza Filangeri n° 2, MM S. Agostino), in un edificio il cui progetto originario risale al 1867 e la cui costruzione fu ultimata nel 1879, anno in cui fu inaugurato da Umberto I.

Fu l'ingegner Francesco Lucca che per incarico della Commissione governativa, composta dal sindaco, dal regio procuratore, dall'assessore municipale e dal preposto parroco, ne studiò il progetto. Il modello architettonico preso come riferimento fu una struttura esistente a Filadelfia fin dal 1790, una struttura a raggiera cosiddetta "panottica".

Nel 1869 il Municipio di Milano si assunse direttamente l'onere della spesa della costruzione, e dopo dieci anni, nel 1879, il carcere, che prevedeva una capienza di 800 persone, venne finalmente attivato. Il sovraffollamento fu immediato.

Il complesso, che si presenta oggi come allora, ha una struttura esterna che delimita un pentagono su di un'area di quasi 50 mila metri quadrati e una struttura interna costituita da tre edifici. Il primo era riservato al corpo di guardia e al resto del personale, il secondo alle donne e ai transitanti, mentre il terzo, che presentava una forma stellare a sei braccia, ospitava i detenuti comuni.

Oggi i detenuti si trovano solo in questo terzo edificio, che presenta sempre la stessa forma, consiste infatti in un nucleo centrale (detto "la rotonda") da cui partono sei corridoi detti "reparti" o "raggi".

Nel primo "raggio" è situata la sezione penale e lo "speciale" (in cui sono reclusi i detenuti soggetti ad un regime carcerario di alta sicurezza); il secondo raggio detto "Coc" (Centro Osservazione Criminologica) ospita i detenuti con problemi di tossicodipendenza; il terzo ospita "La Nave", il nuovo reparto di recupero a trattamento avanzato gestito dall'ASL di Milano, dove si trovano persone tossicodipendenti con forte motivazione alla cura. Il resto dell'edificio, insieme al quarto e quinto raggio, ospita i detenuti "comuni"; il sesto è adibito a differenti usi (infermeria, reparto di isolamento, celle dei detenuti protetti, celle dei detenuti lavoranti).

A S. Vittore ci sono seicento celle che misurano 4,30 m per 2,20 m con altezza di 3,40 m, sono attraversate da un muro divisorio che le separa dal bagno (4 m per 1,10 m).

Per dare un'idea di come è strutturata internamente una cella propongo l'immagine della riproduzione di una di esse, è un modellino di 15 x 15 cm costruito con materiale di recupero rimediato in carcere da un ex detenuto di S. Vittore, Sisto R..



Il governo che salutò la nascita di S. Vittore fu quello della Sinistra storica guidato dal primo ministro Depretis. A quell'epoca il carcere milanese ospitava tutti i generi di detenuti: ragazzi e adulti, colpevoli di reati gravi e colpevoli di reati minori legati alla necessità di sopravvivenza. Bisognerà aspettare la fine della seconda guerra mondiale e la Liberazione perché a S. Vittore si passi ad un sistema di maggiore vivibilità e ad un frazionamento per categorie (è di questo periodo la costruzione del carcere minorile Beccaria).

La strada per un carcere realmente vivibile, comunque, è ancora lunga e cosparsa di eventi drammatici, caratterizzati dalle rivolte dei detenuti che soffrivano un regime penitenziario durissimo, con colloqui rari e attività lavorative non retribuite.

Come afferma Barbara Campagna: "Questa situazione prosegue fino alla già citata riforma del 1975, anno in cui arriva la prima risposta seria del legislatore. Le carceri sono un luogo di recupero oltre che di pena? Se la risposta è sì, il quesito viene posto in sede parlamentare, il senatore Gozzini indica un modo per verificare l'effettiva disponibilità del detenuto al reinserimento sociale: un percorso graduale fatto di piccole gratificazioni, uscite più o meno brevi dal penitenziario, dopo un periodo di massimo nove mesi in cui il soggetto viene sottoposto a un esame individualizzato di personalità. Insomma premi al buon comportamento, premi a chi collabora ad un programma di recupero. "[35]

Ecco che arrivano i primi educatori a S. Vittore dove si comincia a respirare un'aria nuova fatta di nuove ipotesi di trattamento e collaborazione con la magistratura di sorveglianza.

E' attraverso queste fasi che si è giunti al S. Vittore di oggi, "grande scommessa sociale del mondo carcerario: una realtà quanto mai aperta all'esterno, impegnata a trovare collegamenti col mondo del lavoro. La società milanese collabora con l'istituto attraverso cooperative e corsi professionali, gli enti si spartiscono aree di intervento specialistico. E i detenuti gradualmente diventano attori dello stesso processo di reintegro sociale."[36]

Certo non bisogna pensare che S. Vittore sia un'oasi felice priva di problemi, rimangono da risolvere alcune difficoltà dovute al sovraffollamento e alcune questioni morali come le mamme detenute insieme ai propri bambini.

La collaborazione del volontariato è massiccia e preziosa soprattutto per quanto riguarda il momento dell'inserimento degli extracomunitari.

Tutto sembrerebbe orientato verso un sano e graduale coinvolgimento sociale e un pieno recupero delle finalità della riforma carceraria. Ma ci sono venti contrari, come le campagne di sicurezza totale, che pretenderebbero una blindatura e un'emarginazione drastica del carcere. Appartiene a questa concezione anche la proposta di abbattere il carcere di S. Vittore, che verrebbe trasferito in un'area periferica della città.

"Forse bisognerebbe rispettare di più S. Vittore come un monumento che appartiene alla storia di Milano e riscattandolo in nome della dignità delle persone e delle risorse umane che vi si possono scoprire": con questo auspicio si conclude l'intervento di Barbara Campagna in chiusura del libro "Libertà dietro le sbarre" di Candido Cannavò.


1.3.1 Carcere e progetto pedagogico

Il progetto pedagogico di un carcere deve nascere sulla base dei principi guida definiti sulla circolare emanata dal Ministero della Giustizia relativa "all'osservazione e trattamento intramurale".

Questa circolare non viene emanata ogni anno ma solo quando si verificano dei sostanziali cambiamenti nel settore carcere, cambiamenti che possono interessare sia l'aspetto giuridico che gli aspetti che caratterizzano la popolazione-detenuta (numero, tipologia, esigenze.), al fine di fornire delle indicazioni al passo con i tempi.

A fine 2003 ne è stata emanata una nuova, la precedente era del Maggio 2001, ed è sulla base di questa che è stato studiato il progetto pedagogico della Casa Circondariale di S. Vittore.

Riporto, di seguito, quali sono le considerazioni che fanno da sfondo alle linee guida dettate dalla nuova circolare, per far meglio comprendere come si devono orientare nel trattamento dei detenuti gli istituti penitenziari, in ottemperanza della riforma carceraria del '75.


La circolare ministeriale[37]

Partendo da considerazioni generali circa le diverse realtà-carcere di Italia si cercano di individuare i nodi critici per proporre modalità di soluzione.

Si riscontra una popolazione detenuta in aumento che si presenta sempre più multietnica, e un grave deficit di personale addetto all'area educativa. Si evidenzia, inoltre, la forte partecipazione di operatori esterni: volontari privati, cooperative, associazioni che collaborano attivamente con il personale penitenziario.

Le obiettive difficoltà degli Istituti da un lato e le risorse esterne dall'altro, sono i due riferimenti di cui prendere atto con realismo nel progetto di rilancio del trattamento penitenziario.

La circolare ammonisce che tutte le risorse devono operare in modo sinergico e con unità di intenti all'interno di un progetto sul trattamento che sia organico e gestito dall'Istituto.

Spesso, invece, si riscontrano in molte carceri attività slegate tra loro, caratterizzate da estemporaneità, connesse solo alla disponibilità di investimento dei singoli operatori; questo crea un parallelismo tra l'attività svolta dalla comunità esterna e quella istituzionale dell'area educativa, parallelismo che ha spesso assunto solo il senso di una supplenza alla povertà di risorse e di organico delle aree suddette.

Un'altra considerazione presente nella circolare riguarda il significato di trattamento, nel convincimento che smorzatasi l'attenzione per il principio dell'individualizzazione dell'azione rieducativa, molte volte si fa piuttosto riferimento ad attività trattamentali rivolte alla popolazione detenuta nel suo insieme, attività che spesso assumono il senso di "intrattenimento".

Il trattamento del singolo detenuto, invece, è proprio il cardine della riforma penitenziaria del '75, e prevede la definizione, previa osservazione, di una ipotesi individualizzata il cui presupposto non può che essere l'adesione consapevole e responsabile del condannato.

L'obiettivo della rieducazione non può prescindere infatti dall'acquisizione da parte del singolo condannato di una volontà di cambiamento, nonché di una coscienza critica sulle condotte antigiuridiche poste in essere, e sulle conseguenze che il reato ha prodotto, e tra queste il danno provocato alla persona offesa.

Parlare di rilancio del trattamento significa quindi, in linea con la legge, restituire ad ogni singolo detenuto una soggettività all'interno degli istituti penitenziari e più in generale della esecuzione della pena. Bisogna "offrire" loro degli interventi trattamentali rispetto ai quali essi possano trovare: capacità di adesione, volontà di sottoscrivere un patto trattamentale non implicito ma dichiarato e disponibilità a ricostruire il patto di cittadinanza rotto con la commissione del reato.

Al termine di queste considerazioni preliminari, che possono essere considerate un bilancio ancorché esaustivo dell'attività delle aree educative attuali, la circolare fornisce alcune indicazioni metodologiche circa l'organizzazione e il funzionamento delle aree suddette.

Le indicazioni fanno riferimento a tre livelli, cioè:

livello della pianificazione (rivolto alla direzione);

livello dell'organizzazione, gestione e coordinamento operativo (rivolto all'area educativa);

livello operativo del trattamento individualizzato (rivolto al singolo educatore).

Il progetto pedagogico dovrà contenere:

Indicazione delle risorse umane e materiali dell'Istituto;

Indicazione delle progettualità che si intendono sviluppare relativamente ad ogni elemento del trattamento, e tra questi in particolare:

lavoro;

attività culturali ricreative e sportive;

rapporti con la famiglia.

Indicazioni metodologiche e definizione dei tempi previsti per il raggiungimento degli obiettivi previsti;

Budget necessario per le varie attività;

Tempi e modi di valutazione dei risultati dei progetti.


1.3.2 Il progetto pedagogico di S. Vittore

Prima di passare alla descrizione del progetto pedagogico di S. Vittore, è bene conoscere qualche dato numerico relativo alla Casa Circondariale milanese per meglio comprendere quali siano le risorse umane (staff penitenziario, volontari) e strutturali (aule, strumenti) a disposizione per la promozione di attività formative, rispetto alla "dimensione" della popolazione detenuta.

Dati al 22/12/03:

POPOLAZIONE:

Popolazione detenuta maschile:

1388 unità di cui il 46% italiani e il 54% stranieri.

359 definitivi di cui 240 con pena tra 1 e 3 anni, i restanti 119 con pena superiore ai tre anni.

286 tossicodipendenti

Popolazione detenuta femminile:

152 unità di cui 40 % italiane e 60 % straniere.

45 giudicabili, 24 appellanti, 4 ricorrenti, 56 definitive

23 tossicodipendenti.


Presenza minori:

6 bambini inferiori ai 3 anni


RISORSE UMANE E STRUTTURALI (finalizzate alla rieducazione):

Risorse umane

Staff penitenziario:

5 educatori

3 agenti pol. Pen. Addetti ufficio segreteria

4 agenti pol. Pen. Addetti UCC (Ufficio Coordinamento Corsi)

9 esperti per il servizio nuovi giunti

7 esperti per il servizio osservazione.


Volontari:

Art. 78 o.p. 34 uomini e 47 donne, totale 87

Art. 17 o.p. 184 uomini e 220 donne, totale 404


associazioni di volontari che collaborano con gli educatori

"Amico Charly", "IL DUE", Bambini senza sbarre, City Angels, Culturale, "Cortina", Ekotonos, Il Bivacco, Incontro e Presenza, M. Caminetti, Nazionale Terza Età Attiva, Sesta Opera, Telefono Azzurro.


Cooperative/ consorzi che collaborano con l'area pedagogica del carcere:

A&I, Out&sider, Nova Spes, Estia, Ecolab, Ali, Alice.



Risorse strutturali

Aule:

12 aule adibite ad attività scolastiche e formative, divise nei sei reparti;

sale computer divise nei sei reparti;

5 biblioteche (divise nei sei reparti);

1 sala pittura (quarto piano reparto penale);

1 sala redazione giornale (quarto piano reparto penale);

1 laboratorio vetro (quarto piano reparto penale);

1 laboratorio candele (quarto piano reparto penale);

1 laboratorio sartoria (seminterrato terzo reparto);

9 celle adibite ad ufficio (primo e terzo reparto), destinate a differenti usi (segreteria, ufficio psicologi, ufficio nuovi giunti, ufficio progetto accoglienza).


Attrezzature:

1 fax,

4 telefoni abilitati al contatto con l'esterno;

9 computer con stampanti;

6 fotocopiatrici.


Adesso, dopo aver presentato qualche dato numerico relativo al carcere di S. Vittore, passerò alla descrizione del suo progetto pedagogico dell'anno in corso.

La premessa di tale progetto, cita: "nella elaborazione della ipotesi progettuale ci si è avvalsi, preliminarmente, dei riferimenti normativi e delle linee programmatiche indicate dal Dirigente, di un esame di alcune variabili relative alla popolazione detenuta e di una ricognizione delle risorse umane e materiali".

Le linee programmatiche indicate dal Dirigente sono:

  • Attività di sostegno per detenuti definiti a rischio suicidario (DARS) grave e quelli segnalati per autolesionismo grave;
  • Organizzazione e coordinamento di tutte le attività collettive preferendo, di regola, quelle che coinvolgono il maggior numero di detenuti, quelle che intensificano il rapporto con il mondo esterno, quelle lavorative;
  • Osservazione a richiesta del detenuto, con una pena superiore ad 1 anno e definitivamente condannato.

Nell'elaborare il progetto educativo sono stati identificati alcuni criteri qualificanti, e cioè:

Valorizzazione delle risorse dell'area pedagogica esistente

Offerte trattamentali che coinvolgano il maggior numero di detenuti possibile

Flessibilità dell'offerta nel rispetto delle diverse caratteristiche della popolazione detenuta

Coinvolgimento del volontariato

Progettazioni congiunte fra le varie risorse.  


Nella progettazione sono state identificate sei aree di riferimento all'interno delle quali si sono sviluppati progetti e/o interventi:


1) AREA DEL SOSTEGNO:

NUOVI GIUNTI

Questa è un'area a cui S. Vittore presta particolare attenzione poiché, essendo una Casa Circondariale, è caratterizzata da forte turn-over di detenuti.

Come mi ha spiegato la Dottoressa Giovanna Longo, coordinatrice dell'area pedagogica, questo progetto mira a favorire le condizioni dei detenuti al momento del loro ingresso in carcere attraverso il supporto pratico e morale di personale esperto.

E' stato costituito un presidio assistenziale fisso, un luogo di accoglienza con l'obiettivo di rispondere alle mille emergenze di cui sono portatori i nuovi giunti, specialmente se stranieri.

Questo servizio deve la sua esistenza al personale volontario.


PROGETTO DARS

E' stato istituito, in uno spazio facilmente identificabile da personale e detenuti, un centro di ascolto e di sostegno giornaliero gestito da personale esperto nel supportare persone detenute a rischio suicidale.

L'ambito di intervento si struttura in due momenti: colloqui clinici, nei quali si attua una ricognizione dei bisogni, e gruppi di apprendimento, incontri nei quali si utilizza lo strumento dell'arte-terapia attivando ad esempio laboratori di manipolazione.


PROGETTO MEDIATORI LINGUISTICO-CULTURALI

E' un servizio di mediazione culturale promosso dall'associazione City-angels, che fornisce interventi mirati per i detenuti stranieri presenti presso l'istituto, per sostenerli nell'impatto iniziale.

Tale intervento è mirato a facilitare la comunicazione del personale con i detenuti stranieri, attraverso la traduzione della lingua e l'interpretazione dei comportamenti legati a culture diverse.


PROGETTO DIGNITA'

L'associazione "Incontro e Presenza" da diversi anni si occupa della distribuzione del vestiario ai detenuti più indigenti.


2) AREA DELLA FORMAZIONE

Nell'offerta formativa si cerca di proporre un piano di attività il più vario possibile per coinvolgere le varie tipologie di detenuti.

Vengono infatti proposti corsi di: alfabetizzazione, istruzione superiore (ragioneria, turismo, liceo classico), formazione professionale (informatica di base, pagine web, mobiliere intartasiatore, maglieria, comunicazione, operatore ambientale, fotografia digitale, montaggio cinetv, inglese-competenze-informatiche, addetto alla ristorazione, legatoria, progetto work, photoshop, operatore di cultura fisica, modellazione della ceramica, operatore del suono competenze montaggio-audio, editor digitale).

Lo svolgimento di tali diversificate attività non sarebbe possibile senza l'intervento di personale volontario qualificato.

Inoltre, previo accordi con alcuni atenei, si consente ai detenuti anche di poter intraprendere gli studi universitari.


3) AREA DEI RAPPORTI CON LA FAMIGLIA

E' molto forte l'attenzione nei confronti delle relazioni familiari e in particolar modo dei nuclei in cui emergono problematiche che interessano i minori.

I progetti che vengono attivati all'interno di quest'area sono volti ad accompagnare e ad assistere i minori prima e dopo i colloqui con i propri parenti reclusi, a favorire un rapporto costruttivo tra detenuti e figli, sostenere i bambini che sono stati un certo periodo di tempo in carcere con le mamme nel momento del loro rientro nel nucleo familiare.


4) AREA DEL LAVORO

L'Istituto S. Vittore non annovera lavorazioni interne gestite direttamente dall'Amministrazione, ma bensì sono attivi, con stipula di convenzioni, sette accordi di intesa con cooperative sociali che gestiscono lavorazioni. Vediamoli brevemente uno per uno.

Cooperativa aut&sider gestisce, presso la Casa Circondariale di S. Vittore, un laboratorio la cui attività è destinata alla gestione elettronica documentale degli abbonamenti RAI TV (12 detenuti).

Sempre presso gli stessi locali è in corso il progetto denominato "Info 412", che vede attivo un "call center", dal lunedì al venerdì, dalle ore 7.45 alle ore 20.10 (21 detenuti).

Consorzio Nova Spes gestisce un laboratorio in cui l'attività produttiva consiste nella registrazione dei dati relativi all'archiviazione di ricette farmaceutiche (4 detenute).

Cooperativa Alice propone alle detenute donne una attività di sartoria

(6 detenute).

Cooperativa "Ecolab" produzione di svariati oggetti in materiali ecologici, quali borse, zaini, portafogli ecc (4 detenuti).

Cooperativa Ali propone la produzione di materiali in vetro e cera

(4 detenuti).

Cooperativa Estia propone l'attività di riparazione di memorie informatiche (5 detenuti).

Come si noterà il numero di detenuti coinvolti nelle attività lavorative è molto esiguo, comunque sono previsti in tutti questi settori degli ampliamenti di organico.

L'aspetto che rende ancora più interessante l'attività lavorativa, è che tutte queste cooperative/consorzi prima di dare il via alle attività propongono ai detenuti corsi di formazione in merito, questo li porterà ad imparare un mestiere che potrà venir loro utile al momento del reinserimento in società.


5) AREA DELLE ATTIVITA' CULTURALI

Le attività proposte sono:

GIORNALE E REDAZIONE, che implica:

Corso di tecniche di approccio al giornalismo che si svolge nell'arco dell'anno presso il reparto penale con incontri bisettimanali, il docente è un giornalista professionista. Tale progetto coinvolge 15 detenuti.

Attività redazionale e culturale "ildue.it", coordinata dalla giornalista professionista Emilia Patruno che nell'ambito di incontri plurisettimanali sviluppa iniziative editoriali come pubblicazioni di volumi e cd su temi riguardanti carcere e giustizia. Si svolge presso il reparto penale e coinvolge una ventina di detenuti.


BIBLIOTECA: costituisce il patrimonio culturale della popolazione carceraria, è di supporto alle attività di istruzione, formazione e aggiornamento.


GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE: dal Settembre '97, nella sezione penale del carcere, è attivo un gruppo di lavoro costituito da circa 15 detenuti che si riunisce due volte alla settimana insieme allo psicologo della sezione, il Dottor Angelo Aparo, per riflettere sul tema della trasgressione. E' un gruppo di discussione aperto al mondo esterno e che nel corso degli anni ha aperto un confronto con studenti di psicologia, realizzando diversi incontri aperti al pubblico. L'obiettivo è stimolare la società esterna a rivolgere la propria attenzione al carcere, per cercare, dentro al mondo dei detenuti e dell'istituzione, parte di sé e delle proprie contraddizioni. Per favorire il contatto del gruppo con l'esterno hanno creato un loro sito www.trasgressione.it nel quale sono documentate le loro attività.


GRUPPO LAVORO in costante contatto con le figure istituzionali, tale gruppo formato da detenuti (15/20), ha come obiettivi:

Sviluppare una comunicazione con la società civile;

Fare in modo che tutti i detenuti siano informati circa le opportunità formative/lavorative provenienti dall'esterno mirate ad un migliore reinserimento nella società civile;

Promuovere incontri per portare all'attenzione di una qualche istituzione le problematiche della popolazione detenuta.


Come obiettivo specifico, tale gruppo ha programmato incontri con esponenti dell'imprenditoria lombarda, per sollecitare aperture di posti di lavoro e creazione di attività produttive sia all'interno che all'esterno del carcere.

PROGETTO CASINA a cura di un gruppo di volontari presso la sezione femminile.

Si tratta di una attività strutturata come "laboratorio d'arte" che si sviluppa su incontri settimanali tesi a favorire complessivamente il benessere psico-fisico dei soggetti detenuti.


PROGETTO EKOTONOS opera nell'area dei tossicodipendenti promovendo interventi di tipo informativo e gruppi di auto-aiuto.


LABORATORI ESPRESSIVI, ne sono attivi diversi, quali:

Laboratorio teatrale rivolto alle donne tossicodipendenti, si ripropone di sviluppare le capacità relazionali ed espressive, creative e di autoriflessione, affinché la persona possa acquisire gli elementi facilitatori di un approccio costruttivo alla propria realtà esistenziale.

Laboratorio di pittura su tessuto e ricamo basato sul presupposto che creare oggetti artistici gratifica chi li esegue migliorandone l'autostima, conferisce maggiore sicurezza di sé e contribuisce al benessere psicofisico, alleviando la condizione detentiva.

Laboratorio di Ago e Cucito rivolto all'utenza con problemi di identità sessuale.

Laboratorio di acquarello tenuto da una pittrice dell'associazione "Antea" di Milano, al momento coinvolge sei persone del reparto penale. Laboratorio di pittura tenuto da una volontaria/architetto presso la sezione penale dell'istituto, coinvolge sei persone nello studio delle tecniche pittoriche.



6) AREA DELLE ATTIVITA' SPORTIVE E RICREATIVE

Le attività proposte sono:

Progetto "polisportiva": è partito da una valutazione dello sport anche quale elemento dell'attività trattamentale all'interno dell'Istituto.

Il "gruppo polisportiva" è formato da un educatore preposto all'attività, da personale di polizia penitenziaria, da volontari e da detenuti selezionati tra quelli più impegnati sul versante della collaborazione e più competenti in materia di attività sportive. Ha come obiettivi:

  • La programmazione di interventi a termine con Società Sportive e Privato Sociale, consentendo anche di ricevere finanziamenti per l'acquisto di materiale sportivo per la gestione delle attività;
  • La creazione di spazi all'interno dell'Istituto da adibire ad attività sportive;
  • L'interazione di alcuni detenuti interessati alle diverse discipline sportive con la società.

Le attività che si svolgono attualmente sono:

Torneo di pallavolo

Torneo di calcio a cinque

Attività di ginnastica


Manifestazioni ogni anno sono organizzate manifestazioni che ormai fanno parte della storia di S. Vittore, cioè:

  • Festa dei bambini si svolge una/due volte all'anno ed è rivolta ai detenuti e ai loro figli (bambini fino a 14 anni);
  • Giornata Telethon si svolge a Dicembre in carcere una raccolta fondi a favore di Telethon;
  • Concerto alla rotonda, si tratta di un evento musicale che vede la presenza di cantanti che a titolo volontario si esibiscono per tutti i detenuti ogni anno nel periodo natalizio;
  • Festa dello sport, si tratta di manifestazioni sia interne che esterne all'Istituto penitenziario che vedono la partecipazione di squadre come la Nazionale cantanti, la Nazionale attori ecc.

Analizzando il piano pedagogico di S. Vittore si può notare quanta attenzione viene posta nel proporre attività che si adattino alla maggior parte dei detenuti, al fine di favorire la partecipazione dei più al percorso formativo.

Si rende subito evidente la massiccia partecipazione dell'esterno che in accordo con la direzione propone, progetta ed esplica i più svariati interventi.

Dopo aver letto il piano pedagogico di S. Vittore mi era sorta la curiosità di sapere se tale piano fosse il medesimo in tutte le carceri dal momento che tutte devono riferirsi alle linee guida della circolare ministeriale. Ho sottoposto questa mia curiosità alla Dottoressa Giovanna Longo, coordinatrice dell'area educativa della Casa Circondariale milanese, la quale mi ha chiarito che nonostante le linee guida a cui riferirsi nella progettazione del piano pedagogico siano le medesime per ogni carcere, il numero e le modalità di erogazione delle proposte educative sono subordinate alla discrezionalità del Direttore dell'istituto. In altre parole la circolare ministeriale prevede che vengano svolte alcune attività, ma, un istituto con un direttore che non fosse interessato al recupero dei detenuti può proporne un numero molto esiguo, trincerandosi dietro l'impossibilità di proporne di più a causa della mancanza di risorse.

Dopo questo chiarimento risulta evidente che S. Vittore ha la fortuna di essere guidato da un Direttore, il Dottor Pagano, che crede fortemente nelle potenzialità dei detenuti e nella loro possibilità di essere recuperati alla socialità, e lo dimostra la moltitudine di progetti formativi che nel carcere milanese sono attivati, e non senza problemi.

Infatti anche S. Vittore deve fare i conti con oggettive difficoltà, le peggiori delle quali, ad opinione della Dottoressa Longo, sono la mancanza di spazi (S. Vittore è un edificio vecchio, creato con struttura panottica in risposta alle esigenze di controllo che si imponevano all'epoca della sua costruzione, quindi non prevede spazi per attività di tipo formativo che nel 1876 non erano neanche lontanamente contemplate) e la carenza di personale (21 addetti alle attività educative per una popolazione di circa 1500 unità).

Eppure la Casa Circondariale milanese, utilizzando al massimo delle possibilità le risorse a disposizione e il massiccio fenomeno del volontariato, riesce a promuovere moltissime attività formative, risultando, così, un carcere all'avanguardia e l'incarnazione della dimostrazione che molto spesso con la buona volontà le difficoltà strutturali possono essere superate. Tale concetto è stato espresso dalla Dottoressa Longo con questa frase: "tante volte è una questione di spazi e risorse mentali, più che fisici, e a S. Vittore la volontà di fare, supera le difficoltà", frase che io condivido pienamente.


1.4 Considerazioni conclusive

In conclusione riporterò per intero la testimonianza di un assistente sociale che, negli anni immediatamente precedenti alla riforma carceraria del '75, si occupava del reinserimento in società dei detenuti una volta scontata la pena. Considero le sue parole fondamentali per la comprensione dei danni che una pena fine a se stessa, che frustri la dimensione umana e relazionale del detenuto, possa provocare:

"Il problema che io avverto come assistente sociale è che quando uno è stato per un certo periodo di tempo all'interno, una volta fuori non è più abituato ad affrontare il mondo della realtà, il mondo della libertà.ha paura.perché per due, per tre, per quattro, per cinque anni, per quello che sono, gli altri, in qualche modo hanno pensato per lui. Non so se mi sono spiegato: non ha dovuto procurarsi un lavoro, affrontare problemi con la famiglia, con la donna, con i compagni.non può esprimere una sua iniziativa, fare una proposta, esprimere qualcosa della sua personalità. Se deve scegliere un libro è difficile che possa.deve chiedere un permesso.un'autorizzazione, c'è una censura.questo è mortificante, avvilente. Si crea un mondo artificiale che non è quello reale, una barriera tra internato e mondo esterno, una barriera da tutti i punti di vista di una personalità umana.

Non parliamo poi della reazione davanti al traffico, del fatto di dover andare in ufficio a sbrigare una pratica.hanno paura di queste cose.a volte chiedono a me di fare queste cose perché hanno paura. Di fronte al traffico, per uno che è uscito dopo dieci anni, è come sbarcare sulla luna.

L'idea di realtà che conservavano e che hanno deformato fantasticamente.una cosa terribile il modo di ragionare: è proprio assolutamente deformato.,come se parlassero da soli, come se ci fosse una frattura, una rottura, una incomunicazione ormai radicata.paura di affrontare la realtà"[39].


In queste poche righe si legge di. "paura della realtà e della libertà". "di mondo artificiale che non è quello reale"."di barriera fra internato e mondo esterno"."di realtà deformata.", e ancora di "incomunicazione radicata".

In altre parole si leggono i danni a cui deve porre rimedio la pena a scopo rieducativo in vista del recupero proficuo del detenuto; recupero che lo deve rendere un uomo, un padre, un marito, un lavoratore, un cittadino.

Il carcere, in quest'ottica, deve essere metaforicamente la palestra nella quale esercitarsi al contatto con la società, al rispetto delle sue regole e dei suoi "abitanti".

Fondamentali a questo proposito sono le attività che mirano ad aprire il dialogo con l'esterno, poiché il detenuto, attraverso di esse, può mettersi alla prova come cittadino ma ha la possibilità di farlo gradualmente e da "un ambiente protetto".

L'attenzione posta all'apertura del dialogo tra i detenuti e l'esterno è una conseguenza dell'avvento, nel XX secolo, di quella che il professor Pier Cesare Rivoltella, definisce la "Società della comunicazione"[40], che contrappone la logica del dialogo a quella della sopraffazione tipica dell'"era della tecnica". Era nella quale, come si è potuto notare nell'excursus storico del concetto di pena, l'umanità era divisa nelle due grandi categorie degli oppressi e degli oppressori, dei poveri/carcerati e dei ricchi/carcerieri.

Oggi la Società della comunicazione che interpreta l'uomo come un essere puramente sociale, cioè un essere che si risolve completamente nelle relazioni che intrattiene con i suoi simili, deve investire anche il carcere, perché, come sostiene Rivoltella: "La società della comunicazione si edifica nel rifiuto della esclusione."[41]

E' in quest'ottica che si collocano alcuni progetti che tra il 2003 e il 2004 sono stati intrapresi da un gruppo di detenuti di S. Vittore, e che, per economia di risorse, non sono stati gestiti dall'Istituto penitenziario ma da alcuni volontari.

In particolare, le iniziative a cui mi riferisco, sono state gestite dall'associazione "Ildue" diretta da una giornalista del settimanale Famiglia Cristiana, la Dottoressa Emilia Patruno.

Tali attività, sono:


"www.ildue.it"

Sito del Net Magazine di S. Vittore.

"Il lupo racconta"

Audiolibro di fiabe autobiografiche scritte e interpretate dai detenuti.

"Kriminal Mouse"

(in fase di lavorazione

Originale gioco dall'oca attraverso il quale viene descritta la vita del detenuto in carcere.



Tutti questi progetti, da degni figli della società della comunicazione, sono caratterizzati dalla volontà di aprire il carcere alla società esterna, per favorire i contatti tra detenuti e uomini liberi, ma non prima di aver rieducato l'aspetto umano e culturale del detenuto.

Sintetizzano, per questo motivo, lo spirito rieducativo e risocializzante che deve giustificare la detenzione come pena.

La descrizione di tali attività, (escluso Kriminal mouse perché ancora in fase di lavorazione), sarà l'oggetto dei prossimi capitoli.



Dall'intervista a Marcello Buonamano, ispettore generale istituti prevenzione e pena, presidente dell'associazione dei funzionari direttivi dell'amministrazione penitenziaria, in Aldo Ricci e Giulio Salierno, Il carcere in Italia, inchiesta sui carcerati, i carcerieri e l'ideologia carceraria, Einaudi, Torino 1971, p. 17.

Ibidem.

Ibidem.

"La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra."


Costituzione della Repubblica Italiana in "Gazzetta Ufficiale" del 7.12.1947

Recupero inteso come processo che presuppone l'integrarsi del percorso di rieducazione e di quello di risocializzazione.

Con rieducazione si intende il percorso attraverso il quale il detenuto acquisisce le competenze pratiche e morali per affrontare il suo ritorno in società. Tale ritorno se caratterizzato da una reale reintegrazione dell'ex detenuto nel tessuto civile consiste nel processo di risocializzazione.

Carlo Alberto Romano, Pena, rieducazione e lavoro: il punto della situazione, in Internet, URL: https://www.act-brescia.com/imprsoc.htm.

Ibidem.

Ibidem.

Per la trattazione di questo paragrafo si veda l'intervento dal titolo, Memoria e Libertà, sul sito internet Tactical Media Crew, URL: https://www.tmcrew.org/detenuti/homecarc.htm.

Ibidem.

Argomento tratto dall'Enciclopedia multimediale Microsoft Encarta Plus, edizione 2002, alla voce: "Jeremy Bentham".

Nasce qui la struttura architettonica del carcere moderno (carcere Benthamiano), fatta di "bracci" (o "raggi") e "rotonde", costruito cioè in modo che i carcerieri stando fermi nel posto di guardia, posto sulla rotonda, possano avere la visuale piena su un intero braccio di celle.

Argomento tratto dall'Enciclopedia multimediale Microsoft Encarta Plus, edizione 2002, alla voce: "Illuminismo".

Ibi, alla voce: "Cesare Beccaria".

Ibi, alla voce: "Cesare Lombroso".

Per la trattazione di questo paragrafo si veda AA.VV., Memoria e Libertà, sul sito internet Tactical Media Crew, URL: https://www.tmcrew.org/detenuti/homecarc.htm.

Contributo del collettivo Il Mondo Capovolto dal titolo, Il carcere come paradigma del modello di sviluppo occidentale. In Internet URL: https://digilander.libero.it/anok4u/htmfile/StoriaCarcere.htm.

Ibidem.

Ibidem.

Guido Neppi Modona, Vecchio e nuovo nell'ordinamento penitenziario, in AA.VV., Giustizia penale e riforma carceraria in Italia, Editori Riuniti, Roma 1974, p.13.

Ibidem.

Ibi., pp.12- 13.

Contributo del collettivo "Il Mondo Capovolto" dal titolo, Il carcere come paradigma del modello di sviluppo occidentale. In Internet, URL: https://digilander.libero.it/anok4u/htmfile/StoriaCarcere.htm.

Intervento di Cesare Terranova, in AA.VV., Giustizia penale e riforma carceraria in Italia, op. cit., pp. 137-138.

Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, in

Gazzetta Ufficiale n°212 del 9.8.1975

"Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento é attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti."

Intervento di Cesare Terranova, in AA.VV., Giustizia penale e riforma carceraria in Italia, op. cit., p. 139.

Ibidem.

Ibi., pp.139-140.

Intervento di Ubaldo Fazio, in AA.VV., Giustizia penale e riforma carceraria in Italia, op. cit., p. 133.

Intervento di Cesare Terranova, in AA.VV., Giustizia penale e riforma carceraria in Italia, op. cit., pp. 140- 141.

Partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa (art. 17)
"La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all'azione rieducativa.
Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l'autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che avendo concreto interesse per l'opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera.
Le persone indicate nel comma precedente operano sotto il controllo dei direttore
."

Assistenti volontari (art. 78 )
"L'amministrazione penitenziaria può, su proposta del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee all'assistenza e all'educazione a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare all'opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale.
Gli assistenti volontari possono cooperare nelle attività culturali e ricreative dello istituto sotto la guida del direttore, il quale ne coordina l'azione con quella di tutto il personale addetto al trattamento.
L'attività prevista nei commi precedenti non può essere retribuita.
Gli assistenti volontari possono collaborare coi centri di servizio sociale per l'affidamento in prova, per il regime di semilibertà e per l'assistenza ai dimessi e alle loro famiglie."

Per la trattazione di questo paragrafo, Barbara Campagna, S. Vittore, un frammento di storia, in Candido Cannavò, Libertà dietro le sbarre, Rizzoli, Milano 2004, pp. 273-278.

Ibidem p. 277.

Ibi., p. 278.

Circolare n. 3593, del 09.10.2003, relativa all' "Osservazione e trattamento intramurale", emanata dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.

Progetto pedagogico della Casa Circondariale di Milano -anno 2004- approvato dal Ministero della Giustizia

Aldo Ricci e Giulio Salierno, Il carcere in Italia, op. cit., pp. 286-287.

Pier Cesare Rivoltella, Teoria della comunicazione, La Scuola, Brescia 1998, p. 44.

Ibi., p. 45.

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