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IL CARCERE FEMMINILE IN ITALIA - LA REALTA' PENITENZIARIA CONTEMPORANEA
Le donne detenute in Italia sono suddivise in sei istituti e svariate sezioni femminili all'interno di istituti misti; i posti disponibili in queste strutture sono 2886 e la capienza massima tollerabile è stata considerata di 3202 posti. Come vedremo, negli anni presi in considerazione, il numero delle detenute non ha mai superato la soglia della normale capienza dei suddetti istituti per cui, a differenza di quanto avviene nelle carceri maschili, non si riscontrano solitamente problemi di sovrappopolazione; questo tuttavia non significa che gli istituti o le sezioni femminili siano esenti da disagi "strutturali" ma che la convivenza tra le detenute dovrebbe essere meno carica di tensioni per lo meno per ciò che concerne la mancanza di spazi vitali.
Considerando il quinquennio che va dal 1995 al 1999 possiamo vedere (Tab.1) che il numero delle detenute, dopo essere calato progressivamente fino al 1998, ha subito un incremento considerevole nel 1999 e, secondo quanto segnalato dall'Associazione Antigone53 nel Pre-Rapporto 2001, il loro numero è ulteriormente aumentato.
Tabella - Detenute presenti al 31 dicembre negli istituti di prevenzione e pena ( percentuali sul totale dei detenuti ed evidenziazione straniere).
ANNO |
TOTALE |
di cui STRANIERE |
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F |
%F/M |
F |
% stra. sul tot F |
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( Fonte Istat: statistiche giudiziarie penali)
Quello che maggiormente colpisce è la crescita continua del numero delle straniere che, nel 1995 erano il 18% circa del totale delle detenute mentre nel maggio del 2001 la loro percentuale era salita al 39%, ventuno punti percentuali in più in un arco di soli sei anni. Non solo, dalla fine del 1999 al maggio 2001 il numero delle donne in carcere è cresciuto di 235 unità e, se guardiamo i dati relativi al numero delle straniere notiamo che, nello stesso periodo, queste sono cresciute di 208 unità : la quasi totalità dell'aumento delle presenze negli istituti di pena femminili è dato dall'ingresso di detenute straniere.
Tabella - Detenute presenti al 31 dicembre tossicodipendenti o alcooldipendenti, distinzione secondo la cittadinanza.
ANNO |
TOSSICODIPENDENTI |
di cui STRANIERE |
ALCOOLDIP. |
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F |
% tossicod. sul tot. F |
F |
% stra. tossicod. sul tot. F tossicod. |
F |
% alc. sul tot F alc. |
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( Fonte Istat: statistiche giudiziarie penali)
Se passiamo a considerare le detenute con problemi tossicomanici, dalla tabella 2 notiamo che la percentuale sul totale è andata diminuendo; come abbiamo constatato nel primo capitolo, i reati connessi all'uso di sostanze stupefacenti sono molti e molte sono anche le condannate di sesso femminile in relazione a questo tipo di reati. Il calo percentuale che notiamo negli anni considerati può quindi essere determinato da una maggiore applicazione delle misure alternative alla detenzione concesse dal Tribunale di Sorveglianza quali l'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari (ex art. 94 D.P.R. 309/90) o la sospensione dell'esecuzione della pena (ex art. 90 D.P.R. 309/90).
Per quanto riguarda le detenute straniere la percentuale di esse con problemi di tossicodipendenza risulta variabile nel corso degli anni, tuttavia si registra un chiaro aumento dal 1997 al 1999.
La Tabella 3 mostra la posizione giuridica delle detenute al momento della rilevazione statistica; come possiamo vedere in tutti gli anni presi in considerazione poco meno delle metà del totale delle carcerate era "a disposizione dell'autorità" e le restanti, per la maggior parte, stavano scontando una pena inferiore ai cinque anni di detenzione.
Tabella - Presenti al 31 dicembre secondo la posizione giuridica, percentuali sul totale delle detenute.
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ANNO |
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Motivo della detenzione |
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A disposizione dell'autorità |
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Condannate all'arresto |
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n.r. |
Condannate alla reclusione |
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fino a 6 mesi |
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6 - 12 mesi |
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1 - 2 anni |
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2 - 5 anni |
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5 - 10 anni |
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10 - 15 anni |
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oltre 15 anni |
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Condannate all'ergastolo |
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Sottoposte a misure di sicurezza |
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( Fonte Istat : statistiche giudiziarie penali)
Un' altra informazione che possiamo trarre dalle statistiche a nostra disposizione riguarda l'organizzazione di corsi scolastici negli Istituti penitenziari ( Tabella 4); i corsi maggiormente istituiti sono sempre stati quelli di scuola elementare, tuttavia, quelli che hanno visto un maggior potenziamento nel corso degli anni sono stati quelli di scuola media superiore che sono duplicati (si passa infatti dai 21 organizzati nell'anno scolastico 1994/95 ai 44 del 1998/99).
Possiamo notare una differenza tra maschi e femmine nelle iscrizioni; mentre le iscrizioni maschili ai corsi di scuola elementare e media si mantengono pressoché equivalenti ( anzi, si conta qualche iscritto in più ai corsi di scuola media), per le donne è diverso, prevalgono sempre le iscrizioni alla scuola elementare (le iscritte a questi corsi sono sempre più del 50% del totale).
Tabella - Corsi scolastici negli Istituti di prevenzione e pena.
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ELEMENTARE |
MEDIA |
MEDIA SUPERIORE |
TOTALE |
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ANNO |
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iscritti |
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iscritti |
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iscritti |
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iscritti |
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n. corsi |
m |
f |
n. corsi |
m |
f |
n. corsi |
m |
f |
n. corsi |
m |
f |
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(Fonte Istat : statistiche giudiziarie penali)
Nella tabella 5 abbiamo riassunto la situazione delle detenute al 31 dicembre 1999 utilizzando alcuni dati. Per quanto riguarda l'età di queste donne possiamo notare che nei nostri Istituti di pena si trovano soprattutto donne giovani e giovanissime; la fascia d'età compresa tra i 18 ed i 29 anni rappresenta da sola il 50, 91% del totale delle detenute, mentre la fascia che va dai 30 ai 39 anni rappresenta il 35,71%. E' da notare, in particolar modo, che le donne più giovani sono straniere poiché costituiscono il 65,94% della fascia delle detenute dai 18 ai 20 anni. Le percentuali sono invertite, invece, per quanto riguarda le carcerate dai 25 ai 34 anni infatti, in questo caso, le italiane rappresentano il 64,84%; così pure, dai 35 anni in poi la percentuale di italiane risulta sempre maggiore.
Passando ad osservare le altre caratteristiche individuate nella tabella 5 notiamo che il 51,28% delle detenute risulta nubile e solo il 26,66% è sposata, dati che appaiono comprensibili alla luce dell'elevata presenza di
Tabella - Presenti al 31 dicembre 1999 per classe d'età, stato civile e grado d'istruzione.
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CLASSI DI ETA' |
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70 e oltre |
non rilevato |
totale |
Italiane |
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Straniere |
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STATO CIVILE |
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nubili |
coniugate |
vedove |
separate |
divorziate |
non rilevato |
tot. |
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GRADO DI ISTRUZIONE |
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Analfab. |
Sa leggere e scrivere |
Licenza elementare |
Licenza media inferiore |
Diploma scuola profes. |
Diploma media superiore |
Laurea |
Non rilevato |
tot. |
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( Fonte : Ministero della Giustizia55)
donne giovani. Se consideriamo invece il grado d'istruzione raggiunto da queste donne restiamo stupiti nel vedere che il 15,16% di esse non ha raggiunto la licenza elementare e, in particolare, il 4,2% è analfabeta.
Continuando a considerare solo i dati relativi alla fine del 1999, da una relazione56dell'Associazione Antigone emerge che il 51,5% delle detenute stava scontando una pena definitiva, le restanti erano imputate e tendenzialmente la popolazione femminile è condannata a pene inferiori rispetto alla popolazione totale detenuta.
Il numero di disoccupate o in cerca di occupazione è molto alto e tocca valori vicini al 70% in Campania, al 64,7% in Lombardia ed al 61,6% in Toscana; solo il 10,8% risulta essere occupata, il 9,5% si dichiara casalinga con punte del 34% in Sicilia e del 15% in Campania e Puglia. Bisogna inoltre sottolineare che, per quanto concerne le detenute occupate prima della reclusione, viene riscontrato questo dato: per il 70% l'attività precedente all'incarcerazione era il lavoro operaio.
In Sicilia, Sardegna e Campania le donne sottoposte a regime detentivo sono per quattro quinti autoctone, in Puglia il livello scende a due terzi mentre nelle altre regioni la provenienza è varia.
Il 50% di queste donne è anche madre, mediamente l'80% di esse ha fino a tre figli; nelle regioni meridionali aumenta il numero percentuale di coloro che hanno più di quattro figli, in Campania e Sicilia questo valore raggiunge il 20% del totale delle recluse. I bambini ospitati nei 14 asili nido funzionanti all'interno degli istituti penitenziari sono 42, il loro numero è andato diminuendo col passare degli anni; tale fatto indica la tendenza a disincentivare la presenza di madri in carcere e, di conseguenza, quella dei bambini.
Il 33,7% dei reati da loro commessi è legato a violazioni della disciplina degli stupefacenti, il 22,24% da reati contro il patrimonio ed il 12,82% da reati contro la persona; 33 sono le donne detenute per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso.
La vita in carcere
Ora che abbiamo tracciato una panoramica sulle caratteristiche delle donne che popolano le carceri italiane, dobbiamo affrontare la questione di come vivono e di come viene gestito il carcere italiano, dobbiamo, in poche parole, capire come si sconta e a cosa serve la pena inflitta.
Secondo il primo articolo del nostro ordinamento penitenziario57 , il trattamento penitenziario "deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona", in particolare "nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti". Andiamo quindi ad esaminare come si cerca di attuare tale linea direttiva nei confronti delle donne attraverso l'applicazione degli altri articoli dell'ordinamento stesso e, naturalmente, attraverso l'utilizzo delle misure alternative alla detenzione.
Le strutture ed i servizi58
Il fatto che le detenute siano poche e siano distribuite tra svariate sezioni ed istituti comporta che la maggior parte di loro si trovi a far parte di comunità piccole ( meno di 50 unità). Si potrebbe inizialmente pensare che l'esiguità numerica sia elemento agevolante la gestione poiché lavorare sui piccoli numeri è più facile ma, come già è stato fatto notare in precedenza, la scarsità numerica per le donne detenute è sempre stato elemento penalizzante, ha reso la realtà femminile in carcere meno visibile e più trascurata, le strutture ed i servizi a disposizione sono stati più scarsi, maggiori le difficoltà a trovare lavoro oppure possibilità di lavoro più dequalificato di quello maschile.
Secondo una ricerca sulla detenzione femminile svolta nel 199059 la maggior parte delle carceri e delle sezioni femminili non dispone di spazi verdi dove trascorrere le ore d'aria, a volte la struttura non dispone nemmeno di un cortile comune cosicché la ore d'aria devono essere trascorse in cella o in sezione ed in questi casi, in realtà, le detenute rinunciano di fatto alle ore d'aria stesse.
Quasi tutti gli istituti sono forniti di biblioteca, le differenze tra carcere e sezione non sono rilevanti se non per il fatto che nelle sezioni i locali per attività comuni sono di meno.
Nel marzo del 1992 una delegazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti (CPT)60 ha effettuato una visita in alcune strutture giudiziarie italiane (Istituti penitenziari, Questure, Stazioni dei carabinieri) a seguito della quale ha steso un rapporto. Riguardo alla sezione femminile di Rebibbia il rapporto segnala:
Condizioni materiali di detenzione
Al momento della visita al carcere, il numero delle detenute presenti era leggermente superiore a quello della capacità ufficiale. Le detenute in attesa di giudizio erano raggruppate nell'edificio chiamato "camerotti". La cella-tipo era di circa 16 m² e disponeva di un annesso sanitario; la maggioranza delle celle accoglieva al massimo tre detenute. Tuttavia alcune celle ne ospitavano quattro; per le loro dimensioni, queste celle non erano molto adatte a un tale livello di occupazione. Le condannate erano alloggiate nell'edificio chiamato "cellulare". Queste celle singole erano di dimensioni ragionevoli (circa 9 m²) e attrezzate in maniera idonea.
In conclusione, le condizioni materiali di detenzione potevano essere definite complessivamente soddisfacenti.
Unità di massima sicurezza
(.) Al momento della visita della delegazione.ospitava 14 detenute, in maggioranza condannate a lunghe pene per fatti di terrorismo.
In una prima zona erano alloggiate le detenute che avevano rinunciato alla lotta armata (le "dissociate"). Erano 8, distribuite in 5 celle. Queste celle erano di dimensioni soddisfacenti ( circa 12² ) e dotate di attrezzature del tutto corrette. Ogni cella aveva un annesso sanitario (doccia, acqua calda e fredda, lavandino, w.c., ecc.).
Le detenute godevano di una piena libertà di movimento nella loro zona di detenzione tra le 8 e le 20 e potevano accedere a un locale associativo ben attrezzato (biblioteca, televisore, computer). (.)
Erano riservati esclusivamente a loro una piccola palestra situata entro il recinto dell'edificio, un giardino (che le detenute potevano coltivare come volevano) e uno spazio di passeggiata.
Tutto considerato, le condizioni di detenzione erano tali da controbilanciare, nei limiti del possibile, gli eventuali effetti negativi dei provvedimenti di sicurezza rinforzata.
Una seconda zona, del tutto distinta dalla prima, era costituita da tre celle, ognuna delle quali poteva ospitare tre detenute. Vi si trovavano quattro terroriste "irriducibili" e altre due detenute in attesa di giudizio. Queste celle erano dotate di attrezzature identiche a quelle delle altre celle. Tuttavia il regime imposto alle detenute era molto più ristretto: le detenute non beneficiavano di un regime di "porte aperte", e le attività fuori dalla cella erano limitate a cinque ore al giorno al massimo, per la passeggiata e per le attività associative. A questo proposito, il CPT desidererebbe ricevere dalle autorità italiane informazioni particolareggiate sulle ragioni con cui viene giustificata una tale differenza di regime tra detenute alloggiate in una stessa unità di massima sicurezza.
Il trattamento
La rieducazione dei detenuti è affidata alle attività di trattamento che, secondo l'ordinamento, deve essere individualizzato, "deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto"(art. 13). Per favorire questo approccio trattamentale è stabilito che:
Un esperto dell'osservazione e trattamento effettua un colloquio con il detenuto o internato all'atto del suo ingresso in istituto, per verificare se, ed eventualmente con quali cautele, possa affrontare adeguatamente lo stato di restrizione. Il risultato di tali accertamenti è comunicato agli operatori incaricati per gli interventi opportuni e al gruppo degli operatori dell'osservazione e trattamento di cui all'articolo 29. Gli eventuali aspetti di rischio sono anche segnalati agli organi giudiziari indicati nel comma 2. Se la persona ha problemi di tossicodipendenza, è segnalata anche al Servizio tossicodipendenze operante all'interno dell'istituto" .
La legge di riforma del 1975 ha introdotto, per lo svolgimento delle attività in carcere nuove figure di operatori penitenziari come gli educatori, gli assistenti sociali e gli psicologi. La presenza e disponibilità di queste figure ( insieme alla disponibilità del personale di custodia e amministrativo) è essenziale per l'effettivo svolgimento del suddetto trattamento che passa soprattutto attraverso il lavoro, l'istruzione, la formazione professionale, attività culturali, ricreative, religiose, sportive e i rapporti col mondo esterno e con la famiglia (art. 15 O.P.).
Come è facile immaginare, l'attuazione di queste linee programmatiche si scontra con barriere economiche, burocratiche, strutturali e sociali.
Parlando di carcerazione femminile bisogna innanzi tutto ricordare quanto emerso dai paragrafi precedenti, cioè che le detenute hanno in media condanne brevi, spesso hanno problemi di tossicodipendenza e le straniere sono in aumento; tutte queste situazioni complicano l'attività trattamentale.
Il lavoro
Le difficoltà ad essere impiegate in qualche lavoro che non sia semplicemente lo svolgimento di mansioni all'interno dell'istituto (pulizia, cucina ) sono molte, deve ancora svilupparsi quel ponte tra risorse lavorative del territorio e carcere auspicato dall'art. 4762 del nuovo regolamento di esecuzione. In particolare mancano spazi all'interno delle strutture ( spesso mancano per la sezione maschile, figuriamoci per quella femminile che risulta essere un' appendice della prima) dove poter predisporre dei laboratori per organizzare il lavoro.
A proposito dell'attività lavorativa, una ricerca svolta nel 199563 riguardo alla popolazione femminile reclusa negli Istituti penitenziari della Toscana ha evidenziato che le occasioni di lavoro sono notevolmente ristrette sia in termini di numero di posti che di orario lavorativo. A causa di questo la rotazione mensile, a volte settimanale, dell'occupazione è diventata una regola, soprattutto per ciò che concerne le attività di pulizia degli spazi comuni che comportano di norma una o due ore di lavoro giornaliero e una retribuzione oraria molto bassa. Vi sono, comunque, delle attività più consistenti quali quella della scrivana, spesina, lavandaia, cuoca, aiuto-cuoca e portavitto che comportano orari giornalieri superiori e retribuzioni più elevate. A causa della maggiore influenza di queste mansioni rispetto all'organizzazione penitenziaria, queste vengono solitamente affidate a detenute che devono scontare pene più elevate e tendenzialmente definitive proprio per evitare frequenti cambi e addestramenti.
Siamo quindi di fronte a due situazioni, da un lato abbiamo un ristretto numero di detenute che assorbe la maggioranza delle ore di lavoro, dall'altro troviamo un numero più consistente di donne che si dividono una quantità di ore molto esigua.
L'istruzione, le attività culturali e ricreative
Come ha mostrato la Tabella 4, vengono annualmente organizzati corsi d'istruzione a vari livelli ai quali si aggiungono corsi di alfabetizzazione per stranieri64.
Dalla ricerca eseguita nel 199065 emerge un rapporto positivo tra accesso al lavoro e frequentazione dei corsi, questo significa che non si pongono in alternativa ma, al contrario, si coniugano al lavoro stesso. La situazione appare chiara dal momento che, come abbiamo constatato, le ore lavorative non sono molte perciò lasciano tempo da impiegare in altre attività. La situazione istituzionale che appare favorevole alla frequentazione dei corsi è in gran parte simile a quella rilevata rispetto all'accesso al lavoro: i tassi di frequentazione si alzano all'aumentare del periodo di detenzione e della durata della permanenza nello stesso carcere ( lo spostamento da un carcere all'altro comporta l'interruzione di qualsiasi attività e percorso rieducativo iniziato per "ricominciare" da un'altra parte). Sono inoltre molto più alti per le detenute definitive che per quelle ancora in attesa di giudizio.
Tabella - Corsi professionali istituiti negli Istituti di prevenzione e pena per adulti terminati nell'anno indicato.
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Detenuti iscritti |
Detenuti promossi |
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Anno |
n. corsi |
m |
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m |
f |
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( Fonte Istat, statistiche giudiziarie penali)
Del campione di detenute intervistato nel 1990 e che aveva frequentato dei corsi, solo il 40% aveva conseguito poi un diploma; tale rilevazione fa emergere una frequentazione "disinteressata" o, per essere più corretti, indirizzata soprattutto a riempire il tempo di detenzione, per socializzare, per avere contatti con l'esterno. Paradossalmente dalle interviste era emerso che ben quattro diplomate e tre laureate avevano seguito corsi di scuola elementare e due diplomate di scuola media superiore avevano seguito corsi di scuola media inferiore.
La ricerca effettuata nelle carceri toscane66 invece ha considerato un arco temporale di tre anni ( dal 1992 al 1994 ); nel carcere di Solliccianino a Firenze, in questi tre anni, sono passate 390 donne e di queste 213 sono risultate iscritte ad uno o più dei corsi istituiti. Tuttavia si parla soltanto dell'atto formale di iscrizione indipendentemente dal tempo effettivo di frequenza. Il livello di età non sembra aver influito sull'evento dell'iscrizione così pure il tipo di imputazione e nemmeno la situazione di tossicodipendenza.
Tabella - Solliccianino, iscrizione ai corsi e indice di utilizzo.
Corso |
Durata del corso |
Iscritte |
Frequenza media (gg.) |
Indice di utilizzo (durata corso/frequenza media) |
Aerobica 1992/93 |
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Aerobica 1993/94 |
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Aerobica 1994 |
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Mural 1991/92 |
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Mural 1992/93 |
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Mural 1993/94 |
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Mural 1994 |
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Pittura 1993/94 |
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Pittura 1994 |
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Recitazione 1994 |
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Sartoria 1991/92 |
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Sartoria 1992/93 |
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Sartoria 1994 |
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Scuola elementare 1991/92 |
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Scuola elementare 1992/93 |
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Scuola elementare 1993/94 |
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Scuola elementare 1994/95 |
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Scuola media 1991/92 |
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Scuola media 1994/95 |
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RIEPILOGO |
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Scolastici |
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Professionali |
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Creativi |
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Dalla tabella 7 possiamo vedere i tipi di corsi effettuati, la loro durata ed i relativi giorni di frequenza da parte delle detenute.
A parte i corsi scolastici che si ripetono ogni anno per un consistente numero di giorni, gli altri hanno durata molto variabile; i corsi creativi paiono costituire delle opportunità limitate nel tempo, vengono frequentati da un numero ristretto di persone che, di solito, iniziano e li seguono sino alla fine. I più frequentati quindi sono stati i corsi di mural, aerobica, pittura e recitazione mentre i corsi scolastici risultano meno seguiti. Manuela Villimburgo, la ricercatrice che si è occupata delle suddette rilevazioni statistiche, a proposito della minor frequentazione dei corsi scolastici scrive:
"ciò, tuttavia, non significa necessariamente che siano stati meno graditi degli altri; è molto più probabile che i due gruppi costituiscano risorse e opportunità molto diverse tra loro. (.) i corsi ai primi posti ( più seguiti) presentano una durata molto più bassa degli altri, dando luogo a piccoli gruppi di lavoro con una meta molto vicina e ponendosi oggettivamente come una proposta molto meno impegnativa nel tempo. Viceversa, i corsi scolastici si pongono come occasione permanente, come luogo più che come attività; uno spazio da occupare quando se ne sente il bisogno e, per certi versi, a rotazione (ricordiamo che il 50% delle detenute considerate, dall'ingresso in carcere, aveva una permanenza di tempo di circa tre mesi)".
In generale quindi la tipologia dei corsi è piuttosto varia e contingente, relativa a ciò che si rende disponibile nell'ambiente circostante, spesso riguarda le tradizionali attività femminili di ricamo, cucito, maglieria tuttavia si sono organizzati anche corsi per parrucchiera ed estetista, ultimamente si fanno strada iniziative che riguardano l'utilizzo del computer, un mezzo indispensabile per qualsiasi lavoro una persona si appresti a svolgere.
Quello che l'amministrazione penitenziaria dovrebbe sempre aver presente è proprio il fatto che una gran parte di donne rimane in carcere per breve tempo e l'offerta di iniziative culturali, ricreative o altro dovrebbe tenerne conto sia rispetto ai contenuti, sia rispetto ai tempi della frequenza.
Dentro e fuori : colloqui, telefonate e permessi.
I contatti con il mondo esterno sono inclusi dall'art. 15 dell'ordinamento penitenziario tra gli elementi del trattamento e, il medesimo ordinamento, si riferisce in particolar modo ai contatti con persone della famiglia; questa specificazione, pur corretta, rende difficile avere contatti con chi non sia familiare. Tali colloqui infatti possono tenersi anche con persone diverse dai familiari ma "I colloqui con persone diverse dai congiunti e dai conviventi sono autorizzati quando ricorrono ragionevoli motivi" (art.37 D.P.R. 230/2000). A complicare la situazione, subentrano poi problemi burocratici come apprendiamo dall'articolo di una detenuta pubblicato sulla rivista "Magazine 2"67 ( il giornale di S. Vittore):
"A proposito di 'domandine': nel mese di marzo ho compilato la domandina 421, per ottenere il permesso di avere un colloquio con una amica. Dopo qualche tempo sono stata chiamata in matricola per controfirmare l'autorizzazione che aveva ottenuto il sì del direttore. Settimanalmente la mia amica si è presentata al cancello d'ingresso; ogni volta veniva rimandata a casa perché il foglio, che io firmavo ogni settimana, veniva regolarmente smarrito".
Abbiamo indirizzato inizialmente la nostra attenzione sulla situazione riguardante i colloqui perché paiono essere, per coloro che entrano in carcere, le prime possibilità di contatto con l'ambiente esterno e perché, se rammentiamo l'incremento delle detenute straniere, possiamo capire a che tipo di isolamento vadano incontro una volta imprigionate.
Per le imputate, inoltre, i colloqui sono il principale mezzo di contatto con le persone care infatti non possono usufruire dei permessi che vengono concessi solo a chi sia in esecuzione di pena.
Accanto ai colloqui e, spesso, in sostituzione di essi, è previsto l'uso del telefono; le detenute definitive devono avere l'autorizzazione dell'amministrazione, le non definitive dell'autorità giudiziaria e, per le telefonate in lingua straniera, vi è la necessità della presenza di un interprete ( che non sempre, vista la varietà delle nazionalità e degli idiomi delle detenute, è reperibile in tempi ragionevoli).
Purtroppo le detenute straniere vivono una situazione per la quale hanno pochi colloqui e poche telefonate.
Nei grandi istituti maschili all'interno dei quali è stata ricavata una sezione femminile subentrano problemi strutturali e organizzativi proprio come quelli che lamenta una detenuta di S.Vittore:
"Ma mentre prima erano due i giorni (per poter telefonare), adesso il giorno è solo uno. Perché? Perché la linea telefonica sia per il maschile che per il femminile è una. Ma è normale che per 1800 persone vi sia una sola linea telefonica che passa dal maschile? Che cosa possiamo dire?"
Per quanto riguarda la possibilità di ottenere dei permessi premio ( la cui esperienza, secondo l'art. 30-ter dell'ordinamento penitenziario, "è parte integrante del programma di trattamento"), questa è concessa per coltivare "interessi affettivi, culturali o di lavoro", con la necessaria premessa di una regolare condotta all'interno dell'istituto di pena ed il prognostico giudizio dell'assenza di pericolosità sociale. I permessi premio non rappresentano delle misure sostitutive dei colloqui ma si accompagnano ad essi per la perpetrazione di costruttivi contatti con l'esterno del carcere.
Dalla ricerca sulla detenzione femminile svoltasi nel 199068 apprendiamo che il tasso di godimento dei permessi si alza con l'allungarsi del periodo di detenzione, questo - è di facile intuizione- è connesso alla maggior possibilità di trovarsi nelle condizioni istituzionali idonee per usufruire di tale beneficio. Parallelamente la ricerca rilevava anche delle difficoltà ad ottenere i permessi per detenute che stavano scontando la pena da almeno tre anni; i ricercatori individuavano la causa di tali difficoltà nel fatto che, oltre ai requisiti istituzionali, nella concessione del permesso premio, siano all'opera anche altri fattori quali la stabilità, la maggiore dimestichezza con le regole del carcere e la maggior frequentazione degli operatori.
In ultima analisi, la "precedente" condizione di tossicodipendenza sembra essere decisiva nella concessione dei permessi; a parità di condizioni69, la tossicodipendenza porta il tasso di rifiuti all'11%, di fronte al 2% subito dalle detenute non tossicodipendenti.
Le misure alternative alla detenzione
L'accesso alle misure alternative alla detenzione, secondo una ricerca condotta presso il tribunale di Sorveglianza di Venezia70 nel 1987/88, sarebbe condizionato, oltre che dal possesso dei requisiti di legge, anche da altri requisiti come la capacità di adeguarsi a modelli femminili predeterminati; il ruolo femminile richiesto è quello di figlia o di moglie/madre. Misure come l' affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 ord. pen.) o la semilibertà (art. 48 ord. pen.) verrebbero concesse una volta avuta la sicurezza che esiste una famiglia pronta ad accogliere la detenuta ed a sostituire il tribunale, il centro di servizio sociale o i carabinieri nelle rispettive funzioni di controllo. Dalla casistica esaminata emerge che a nessuna donna capo-famiglia (senza patner legale) era stato concesso l'affidamento in prova, mentre il tribunale aveva concesso tale beneficio soprattutto a coloro che rivestivano il ruolo di figlia e di moglie.
Anche non tenendo conto di tale possibile lettura dell'applicazione delle suddette misure nei confronti delle donne, queste vanno incontro ad altre difficoltà; se consideriamo la citata semilibertà, notiamo che può essere concessa per "partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale". Tolte le generiche attività utili al reinserimento (tra cui viene ricompresso lo svolgimento del "mestiere" di madre, art.50 O.P.) e le altrettanto imprecisate attività istruttive, vediamo che la condizione principale per ottenere la semilibertà è proprio la possibilità di lavorare fuori dalle mura carcerarie. Considerando l'attuale composizione carceraria femminile ( grande presenza di straniere e tossicodipendenti) e, considerando parallelamente la scarsezza delle opportunità lavorative, ci appare chiaro quanto sia difficile poter ottenere la semilibertà.
Per le detenute tossicodipendenti ( o alcooldipendenti) c'è la possibilità di ottenere l'affidamento terapeutico (affidamento in prova in casi particolari, art. 94 D.P.R. 309/199071) che, tuttavia, non può essere concesso per più di due volte. Tenendo presente che, se esiste un campo in cui la possibilità di ricaduta è molto frequente, questo è proprio individuabile nell'ambito delle dipendenze è facile che queste ragazze "brucino" velocemente la possibilità di usufruire di questa misura. Non solo, talvolta purtroppo la situazione si complica a causa di problemi burocratici e/o amministrativi come l'attesa a volte molto lunga per avere colloquio con un operatore del Ser.T.
Per avere qualche esempio ci avvaliamo di un inchiesta svolta nell' Istituto di Pena Femminile della Giudecca (Venezia) e diffusa tramite l'Ufficio Stampa del Centro di Documentazione Due Palazzi di Padova72.
Nel 1999 su 85 detenute due erano ammesse al lavoro all'esterno secondo l'art. 21 dell'ordinamento penitenziario e tre stavano usufruendo del regime di semilibertà.
Dall'inchiesta è inoltre emerso che il tempo di attesa necessario per la chiusura della cosiddetta sintesi va da tre a nove mesi, per poter parlare con un operatore del Ser.T. (richiesta tramite domandina) si parte da un minimo di quattro settimane e l'attesa per la fissazione dell'udienza per la liberazione anticipata va dai tre mesi ai tre anni.
L'unica "categoria" di detenute esplicitamente citata nell'ordinamento è quella delle detenute madri o incinte che, come vedremo nel capitolo dedicato a questa particolare situazione, possono accedere in maniera preferenziale alla misura della detenzione domiciliare (art. 47-ter; quinquies e sexies O.P. ); come scrive Policek ".ogni qualvolta il diritto penale sembra pensare alla donna, di fatto è del figlio o della famiglia che parla, dimenticando la stessa".
Il carcere di Verziano a Brescia
Per parlare di Verziano vogliamo inizialmente utilizzare un articolo pubblicato sul Periodico interno della Sezione Femminile tramite il quale Mara, una detenuta, descrive la struttura ed i mezzi di cui è dotata:
"(.) mi sono chiesta se alla gente esterna poteva interessare come si vive e come è fatto un carcere, non enorme come tanti altri, ma che tra uomini e donne può contenere circa 120-130 persone, anche se di fatto ne ospita qualcuno in più, oltre al personale che opera all'interno. Ho comunque deciso di farvelo "visitare". Verziano è situato in mezzo alla campagna, ha edifici di massimo due piani più il piano terra. L'entrata non è scioccante come in altri istituti; dopo il cancello della portineria, che forse è il più triste, ci si trova in un giardinetto che in primavera ed in estate è pieno di rose, un vialetto e tante aiuole e poi ancora cancelli sino al femminile.(.) Nel corridoio che conduce alle sezioni si trovano: l'ufficio "Matricola", le sale per i colloqui, sia quella coi familiari che quella con gli avvocati, la biblioteca, la palestra, la chiesa e l'infermeria. La sala per i colloqui con i familiari è stata resa molto bella, di recente, con murales dipinti da un pittore nostro compagno. In infermeria lavorano i medici, la suora (Marisa) e un'infermiera. Devo dire che la "suorina", come la chiamiamo noi, è molto attiva ed energica, ma l'infermiera è proprio il nostro parafulmine: riceve tutte le nostre lamentele, alcune volte molto vivaci e cerca di mediare con i dottori e con il dirigente sanitario per noi. Ora vi presento la sezione femminile, il primo piano(.) Ci sono quindici celle quasi tutte singole che, naturalmente, nei momenti di sovraffollamento dell'hotel, possono diventare doppie. Ci sono inoltre due salette, una dove si trova il computer, le macchine da cucire, due armadi, uno che contiene una piccola biblioteca, l'altro dove vi riponiamo cose varie e due tavolini, è praticamente la saletta riunioni - corsi, e l'altra con dei tavoli molto più ampi è dove alcune di noi mangiano essendo questo carcere "aperto" ossia possiamo stare fuori dalle celle dalle 8,30 alle 19,30. In questa seconda saletta c'è un frigorifero ed un televisore. Esiste anche un locale per la lavanderia con annessa stireria dove possiamo anche usare il phon, e c'è una stanza adibita a guardaroba dove mettiamo abiti e indumenti vari donatici da persone tramite le suore (Mirella e Marisa), le volontarie e don Carlo che servono alle nuove giunte ossia le nostre compagne di sventura appena arrestate che non hanno di che cambiarsi.
Le celle, che preferisco chiamare camere sono "arredate" con un lettino, due armadietti, un tavolino, uno sgabello ed un piccolo televisore. Una porta ci introduce in un piccolo bagno fornito di sola acqua fredda (mantiene la pelle fresca) perché le docce corredate di acqua calda sono in sezione, ad uso comune, come la piccola cucina dove possiamo lavare le stoviglie e usare l'acqua calda.
Non so che idea vi siete fatta del nostro hotel, di sicuro non è il paese di Bengodi ma in confronto ad altri penitenziari è per lo meno vivibile.".
Come emerge dall'articolo, la struttura di Verziano è abbastanza agevole, infatti, come ci spiega la vicedirettrice Francesca Lucrezi, è stata costruita nel 1986 seguendo criteri arcitettonici diversi rispetto ai vecchi penitenziari e nel rispetto del dettato dell'ordinamento penitenziario ; è stata privilegiata la costruzione di celle singole con annesso bagno che, comunque, è separato da una porta. Ci soffermiamo sulla descrizione della struttura proprio perché abbiamo notizia di altri Istituti, atti a contenere un maggior numero di detenute, in cui la situazione è ben diversa; alcune detenute a S.Vittore scrivono :
" La cella ha una dimensione di 4x2 mq in cui vivono dalle 4 alle 5 detenute, anche se in alcuni casi, per carenza di posti letto si determina una condizione di sovraffollamento nella quale si è costrette a condividere lo stesso spazio anche in sette persone.(.)
.consideriamo la situazione in cui ci sono detenute che per forza maggiore non hanno un letto e sono obbligate a dormire con un materasso per terra, ostacolando il ristrettissimo spazio che porta ai servizi igienici situati in un locale annesso alla stanza adibita anche alla funzione di dispensa e cucina. Questo locale ha una dimensione di circa 1,5x4 m(.)".
Tornando a Verziano, per quanto riguarda il lavoro, oltre alle solite mansioni da svolgere in sezione, grazie alla cooperativa sociale "Il solco", le detenute hanno la possibilità di svolgere un'attività lavorativa (assemblaggio) per tre ore al mattino.
Il resto della giornata può essere impegnato nelle attività organizzate all'interno dell'istituto grazie anche alla collaborazione dei volontari; quest'anno sono attivi il corso di aerobica, quello di yoga, il corso di taglio e cucito e due corsi di formazione professionale: estetica e acconciatura. Nel 2001, grazie all'associazione Carcere e Territorio e all' Amministrazione Provinciale, la sezione femminile ha ricevuto due personal computer grazie ai quali è iniziata, per alcune, una certa alfabetizzazione informatica; non solo, sempre nel 2001, è iniziata anche la pubblicazione del citato periodico "Zona 508" che viene stampato ma che è possibile consultare anche in versione informatica.
Un'altra interessante iniziativa intrapresa a Verziano è stata la creazione di una "alternativa" alle battiture; circa due anni fa le detenute parteciparono ad una protesta nazionale in merito alla difficile situazione carceraria e, per far sentire la loro voce, utilizzarono il metodo della battitura delle sbarre unita al rifiuto dell'ora d'aria ed allo sciopero delle lavoranti in sezione. Questa protesta , che non ottenne risultati, indusse a cercare una via alternativa per mostrare al mondo "fuori" che nel carcere ci sono delle persone con una propria umanità e capaci di fare qualcosa di costruttivo; per prima cosa, quindi, le "ragazze di Verziano" fecero una donazione alla "Lega italiana per la lotta contro i tumori" e, dal 2001, destinano il ricavato della raccolta della carta (grazie alla disponibilità dell'Azienda dei Servizi Municipalizzati) al CEPIM (Centro Bresciano Dawn).
Dal nostro incontro con la vicedirettrice abbiamo individuato alcuni aspetti della gestione della vita carceraria che in precedenza non erano stati evidenziati.
Per quanto riguarda la composizione della popolazione detenuta è confermato il quadro illustrato nei paragrafi precedenti; molte detenute sono tossicodipendenti e, per coloro che si trovano in tale situazione, il legislatore ha ideato la possibilità dell'affidamento terapeutico. Talvolta, ci racconta Francesca Lucrezi, quando è il momento di attestare lo stato di tossicodipendenza, tale accertamento risulta più difficile del previsto; infatti, dal momento dell'incarcerazione al momento delle analisi passa un congruo lasso di tempo per cui anche dagli esami del capello è difficile affermare lo stato di tossicodipendenza e questo può influire negativamente sulla possibilità di accesso all'affidamento terapeutico.
Per quanto riguarda le detenute straniere, molte appartengono ad una etnia zingara e spesso si presentano all'Istituto con dei bambini piccoli proprio per poter accedere alle misure individuate per tale particolare condizione e, a questo punto, subentra il problema di provarne la reale maternità (condizioni del seno che dimostrino il recente allattamento, ecc.).
Chiediamo alla vicedirettrice se è vero che le detenute richiedono l'uso di molti medicinali e ci conferma che la richiesta, soprattutto di psicofarmaci, è alta. Vivere la tensione della segregazione porta a ricorrere all'utilizzo di farmaci per ridurre il cumulo di ansia ma non solo, la richiesta di farmaci sorge anche da altre necessità; le detenute tossicodipendenti non hanno più la possibilità di soddisfare la loro dipendenza, così, per loro, qualsiasi farmaco diventa un palliativo al desiderio dell'assunzione di sostanze psicotrope.
L'ultima delucidazione riguarda la presenza di donne con problemi di salute mentale; Lucrezi racconta che ha riscontrato più volte tale situazione, le detenute con problemi psichici possono essere mandate in osservazione per trenta giorni al vicino Ospedale Psichiatrico Giudiziario e, al termine di questo periodo, ritornano al precedente regime detentivo. Purtroppo la storia di queste persone è connotata da simili continui ricoveri, tra l'altro, queste situazioni sono aumentate dalla chiusura delle strutture manicomiali e, la vicedirettrice conveniva con noi, il carcere non è il luogo dove devono essere portate queste donne la cui infrazione alle norme dello Stato nasce da una pregressa patologia.
LA GRANDE RISORSA PER IL CARCERE: IL VOLONTARIATO
Non si può parlare di carcere ( maschile o femminile che sia) senza parlare di volontariato poiché, senza di esso, molte delle attività definite dall'ordinamento penitenziario come "elementi del trattamento" non potrebbero essere poste in essere. In assenza di volontari non solo aumenterebbero le improduttive ore di ozio all'interno dei penitenziari ma verrebbero a mancare stimoli positivi, opportunità lavorative ed azioni di sostegno psicologico ai detenuti e alle loro famiglie.
Non è possibile, in questa sede, esaminare le svariate iniziative esistenti a livello nazionale ma, per comprendere che tipo di lavoro e che attività organizza il volontariato carcerario, ci basterà illustrare le realtà presenti nel territorio bresciano che, secondo un indagine nazionale sulle organizzazioni di volontariato operanti nell'ambito della giustizia, "rappresenta una punta di eccellenza nella elaborazione da parte della società civile organizzata di una cultura di intervento nel carcere e fuori dal carcere"75.
In particolare, le associazioni che si occupano della condizione detentiva sono tre : l'Associazione Volontariato Carcere (VOLCA), l'Associazione Carcere e Territorio (ACT) e l'Unione Italiana Sport Per Tutti (UISP).
Associazione Volontariato Carcere (VOLCA)
Il Volca si era formato inizialmente come gruppo all'interno della Caritas Diocesana nel 1987 e, nel 1995, si è costituito in Associazione iscritta all'Albo Regionale della Lombardia. Le finalità del Volca, in sintonia con la Pastorale Carceraria della Chiesa Locale, sono espresse nell'art.2 dello statuto e riguardano:
aiuto alle persone che vivono l'esperienza carceraria di detenzione o di misure alternative, per un loro reinserimento nella società;
assistenza ed appoggio alle famiglie dei detenuti;
solidarietà e sostegno alle persone che hanno subito l'azione criminale;
collaborazione alla direzione del Carcere, alla Magistratura di Sorveglianza, al CSSA, alle strutture pubbliche e private perché si sentano sempre più coinvolte nell'individuazione di strategie operative idonee.
Nel 2001 i soci attivi del Volca erano 27 di cui 20 muniti dell'art. 78 O.P.76 ossia autorizzati ad entrare negli istituti penitenziari cittadini per partecipare ed organizzare attività interne di educazione e ricreative. Non solo, per realizzare le proprie finalità e quanto stabilito dalla legge in materia di esecuzione della pena, il Volca gestisce due appartamenti atti a dare accoglienza alle persone detenute che, in possesso dei requisiti per godere di alcuni benefici di legge, non potrebbero usufruirne poiché privi di un reale e verificabile luogo di residenza. Un appartamento è utilizzabile per un numero limitato di mesi per coloro che, una volta scontata la pena, non hanno un punto di riferimento e devono riorganizzare la loro vita; infine è in previsione la fruibilità di un quarto appartamento solo per donne che, parimenti, si trovano nelle situazioni appena illustrate.
Associazione Carcere e Territorio (ACT)
Questa associazione è nata nel 1997, nell'ambito di un piano regionale che prevede la costituzione di tali strutture in ogni capoluogo della Lombardia, è di natura aconfessionale ed è iscritta al registro Regionale come il Volca.
L' azione dell'ACT si svolge su due livelli: con i detenuti, agendo sui bisogni legati alle condizioni difficili di detenzione aiutandoli a sviluppare capacità di gestione della propria vita; con il territorio, cercando di avvicinare lo stesso alla nuova cultura della pena detentiva e anche delle misure alternative che sono possibili solo se accettate dalla collettività che è chiamata a fornire gli interventi e gli strumenti necessari.
Questi intenti risultano chiari nell'art. 279 dello Statuto dell'associazione e dalle parole del presidente dell'ACT Giancarlo Zappa :
"Non vi è contrasto quindi tra sicurezza e trattamento, inteso questo non come "perdonismo", ma come offerta di opportunità tese alla reintegrazione sociale (.) E' ormai chiaro che l'esecuzione penale, per avere un futuro, richiede a tutti assunzione di responsabilità e solidarietà. Non si può parlare di un possibile processo di risocializzazione senza il consenso, la partecipazione della comunità. Da sola l'amministrazione penitenziaria sotto tale profilo non può fare nulla, limitandosi a "custodire" i detenuti"81.
L'ACT quindi agisce sul territorio rivolgendosi direttamente alle imprese (la provincia di Brescia è la terza in Italia per presenza d'industrie) coinvolgendole in un piano d'azione volto a creare posti di lavoro per soggetti malvisti dalla comunità e si propone come polo di riferimento per il metodo e la progettazione degli interventi.
Unione Italiana Sport Per Tutti (UISP)
L'UISP è l'associazione costituitasi da più tempo, infatti è sorta a livello provinciale nel 1971 ed è attiva con il "Progetto carcere" dal 1984; nel 1993 ha siglato un Protocollo d'intesa con il Ministero di Grazia e Giustizia ( Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria) per lo svolgimento di un "intervento motorio-sportivo articolato e rivolto ai cittadini detenuti e finalizzato agli obiettivi educativi, ricreativi e di reinserimento".
Il servizio offerto al carcere è stata proprio la proposizione di corsi sportivi e di musica (yoga, pallavolo, ginnastica, scacchi), tornei sportivi non solo limitati all'interno delle mura carcerarie, bensì con la presenza di squadre esterne ed infine, iniziative culturali e ricreative.
Da questo breve excursus sulle realtà di volontariato carcerario a Brescia risulta già chiaro quale fondamentale ruolo ricopra questa risorsa nella gestione delle difficili condizioni degli istituti penitenziari e nel collegamento che crea tra il "dentro" ed il "fuori" le mura degli istituti stessi.
L'Associazione Antigone, alla quale aderiscono operatori della giustizia, studiosi, parlamentari e semplici cittadini impegnati nella riforma del sistema penale, per la sua umanizzazione e minimizzazione, è nata nel 1990 e, a partire dal 1999, costituisce il primo Osservatorio Nazionale sulle condizioni di detenzione.
Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Servizio per l'Informatica e la Statistica, Area monitoraggio e statistiche, www.giustizia.it.
Associazione Antigone "Il carcere trasparente. Primo Rapporto Nazionale sulle condizioni di detenzione" ed. Castelvecchi, 2000.
L.26 luglio 1975 n. 354 "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà".
Art. 5 ord. pen. Caratteristiche degli edifici penitenziari.
"Gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo tale da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati.
Gli edifici penitenziari devono essere dotati, oltre che di locali per le esigenze di vita individuale, anche di locali per lo svolgimento di attività in comune".
Enzo Campelli, Franca Faccioli, Valeria Giordano, Tamar Pitch "Donne in carcere. Ricerca sulla detenzione femminile in Italia" Feltrinelli, 1992.
A differenza della Commissione e della Corte, il CPT non è un organo giurisdizionale ma, soprattutto, un organo di prevenzione dei maltrattamenti pur essendo abilitato, in alcuni casi specifici, ad intervenire anche dopo che i fatti abbiano avuto luogo. Innanzi tutto il CPT esamina la situazione di fatto prevalente negli stati che visita ed in particolare : a) esamina le condizioni generali degli stabilimenti visitati; b) osserva l'atteggiamento di coloro che sono responsabili dell'applicazione delle leggi e degli altri dipendenti nei confronti delle persone private della libertà; c) effettua colloqui coi detenuti; d) esamina il quadro legislativo e amministrativo su cui è basata la privazione della libertà. Infine, il CPT invia allo Stato interessato un rapporto in cui enuncia il suo giudizio e le sue osservazioni sulle informazioni raccolte.
Dal volume "Rapporto degli ispettori europei sullo stato delle carceri in Italia" Sellerio editore, 1995.
Art. 23 comma terzo del D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 "Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà".
Art. 47 D.P.R. 230/2000 Organizzazione del lavoro
"1. Le lavorazioni penitenziarie, sia all'interno sia all'esterno dell'istituto, possono essere organizzate e gestite dalle direzioni degli istituti secondo le linee programmatiche determinate dai provveditorati. Allo stesso modo possono essere organizzate e gestite da imprese pubbliche e private e, in particolare, da imprese cooperative sociali, in locali concessi in comodato dalle direzioni. I rapporti fra la direzione e le imprese sono definiti con convenzioni che regolano anche l'eventuale utilizzazione, eventualmente in comodato, dei locali e delle attrezzature già esistenti negli istituti, nonché le modalità di addebito all'impresa delle spese sostenute per lo svolgimento della attività produttiva. I detenuti e internati che prestano la propria opera in tali lavorazioni dipendono, quanto al rapporto di lavoro, direttamente dalle imprese che le gestiscono. I datori di lavoro sono tenuti a versare alla direzione dell'istituto la retribuzione dovuta al lavoratore, al netto delle ritenute previste dalla legge, e l'importo degli eventuali assegni per il nucleo familiare sulla base della documentazione inviata dalla direzione. I datori di lavoro devono dimostrare alla direzione l'adempimento degli obblighi relativi alla tutela assicurativa e previdenziale.
. Le lavorazioni interne dell'istituto sono organizzate, in quanto possibile, in locali esterni alle sezioni detentive, attrezzati con spazi per la consumazione dei pasti durante l'orario di lavoro.
. Le convenzioni di cui al comma 1, particolarmente con cooperative sociali, possono anche avere ad oggetto servizi interni, come quello di somministrazione del vitto, di pulizia e di manutenzione dei fabbricati.
. L'Amministrazione penitenziaria deve, di regola, utilizzare le lavorazioni penitenziarie per le forniture di vestiario e corredo, nonché per le forniture di arredi e quant'altro necessario negli istituti. Gli ordinativi di lavoro fra gli istituti non implicano alcun rapporto economico fra gli stessi, dovendosi solo accertare da parte del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria o del provveditorato regionale, secondo la rispettiva competenza, la fondatezza della richiesta e la possibilità di produzione dei beni necessari presso l'istituto al quale l'ordinativo viene indirizzato. Il ricorso per le forniture suindicate a imprese esterne si giustifica soltanto quando vi sia una significativa convenienza economica, per la valutazione della quale si deve tenere conto anche della funzione essenziale di attuazione del trattamento penitenziario alla quale devono assolvere le lavorazioni penitenziarie.(.)"
A cura di Corrado Marcetti e Nico Solimano "Carcere di tante carceri", Quaderni della Fondazione Giovanni Michelucci, Angelo Pontecorboli editore.
Per l'anno 1998/99 l'Istat rileva 19 corsi di alfabetizzazione con 393 iscritti e, al 31 dicembre del 1999, gli stranieri presenti erano 14.050.
Nicoletta Policek "Donne detenute e "legge Gozzini". Una ricerca nell'area veneta" in Dei Delitti e delle Pene 1/92, ed Gruppo Abele.
L'affidamento in prova in casi particolari può essere chiesto in ogni momento: quando la pena detentiva inflitta o ancora da scontare non superi i quattro anni, purché i richiedenti abbiano in corso o intendano intraprendere un programma riabilitativo e la cui sussistenza ed idoneità deve essere accertata e certificata dal servizio pubblico per le tossicodipendenze.
www.ristretti.it , "Le carceri del Veneto: come sono, come ci si vive. Prima carta d'identità dell'Istituto di Pena Femminile della Giudecca".
"Zona 508", Periodico interno della Sezione Femminile, dicembre 2001; versione informatica: https://free2.kyberlandia.it/Piazzetta
Art. 6 O. P. "I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente(.)dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale(.)".
A cura di Renato Frisanco "Non solo carcere. Indagine nazionale sulle organizzazioni di volontariato nell'ambito della giustizia", ed. Fivol 2000.
Art. 78 O.P. Assistenti volontari
L'amministrazione penitenziaria può, su proposta del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee all'assistenza e all'educazione a frequenta re gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare all'opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale.
Gli assistenti volontari possono cooperare nelle attività culturali e ricreative dell'istituto sotto la giuda del direttore, il quale ne coordina l'azione con quella di tutto il personale addetto al trattamento. (.)
Art. 2. "L'associazione ha lo scopo di :
1. Promuovere, sostenere e gestire attività di sensibilizzazione dell'opinione pubblica rispetto alle tematiche della giustizia penale e delle pene, della vita interna del carcere e del suo rapporto col territorio in conformità ai principi costituzionali ed alle leggi;
2. Promuovere e coordinare intese interistituzionali, accordi e collaborazioni sulle problematiche carcerarie tra l'amministrazione penitenziaria, la magistratura, le amministrazioni regionali provinciali e comunali, le forze politiche le organizzazioni del privato sociale e del volontariato;
3. Promuovere e realizzare iniziative che favoriscano:
a. l'assistenza socio-sanitaria e la cura della salute fisica e psichica, in particolar modo dei detenuti tossicodipendenti, alcooldipendenti, ammalati e, in considerazione anche delle specifiche esigenze psicologiche e di comunicazione, per i detenuti extracomunitari;
b. l'organizzazione di attività sportive, ricreative, formative, culturali, scolastiche e lavorative all'interno del carcere;
c. l'organizzazione di percorsi di formazione professionale e di progetti sperimentali finalizzati all'inserimento lavorativo dei detenuti;
d. la diffusione e il potenziamento delle misure alternative alla detenzione;
e. il reinserimento sociale del detenuto al termine della pena;
f .la piena attuazione della legge di riforma della polizia penitenziaria;
g .la formazione e l'aggiornamento degli operatori volontari.
4. L'associazione aderisce al coordinamento carcere e territorio che ha sede a Milano;
5. L'associazione si ispira ai principi del volontariato, sanciti nelle leggi nazionali e regionali".
Dal sito dell'ACT: https://digilander.iol.it/carcere/
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