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Per una moderna politica di lotta alla mafia
Nel primo capitolo di questo lavoro abbiamo definito il termine mafia come un termine polisemico: il fenomeno mafioso ha in effetti una miriade di sfaccettature e può essere studiato sotto più punti di vista; un elemento tuttavia pacifico e caratterizzante è la sua potenza economica in continua e costante crescita, nonostante la crisi economica in cui sono coinvolti i mercati globalizzati . Proprio questa grande forza in continua e costante crescita consente alle mafie di tenere sotto scacco i territori e le amministrazioni pubbliche, di allacciare rapporti sempre più stretti con il mondo politico e imprenditoriale, rendendo estremamente difficile l individuazione del fenomeno.
La strategia stragista Corleonese può essere definita come una parentesi nella storia della mafia: da allora la mafia si è trasformata, scegliendo itinerari più tradizionali, abbandonando la strategia della eversiva contrapposizione militare e abbracciando quella della sommersione, dando l'illusione di essere scomparsa. La strategia della sommersione, dell'invisibilit , dà luogo e spazio alla mafia finanziaria, facendo al contempo registrare un cambiamento classista ai vertici dell'organizzazione: agli esponenti dello stragismo, corrispondenti al cliché del mafioso, subentra la mafia dei colletti bianchi, manifesto del nuovo sistema di clandestinità in cui le organizzazioni criminali si trovano ad operare. E meglio sarebbe dire che la mafia è entrata in una fase di mimetizzazione, per farsi dimenticare dall'opinione pubblica nazionale, ma soprattutto per mimetizzarsi nei meandri del fenomeno della globalizzazione, per mischiare meglio flussi del denaro sporco e profitti della economia lecita, perciò sperimentando nuovi settori e
nuovi flussi di investimento
Ovvio come in tal contesto una politica di lotta alla mafia che vuole essere veramente efficace deve mirare a colpire gli aspetti economici e finanziari delle organizzazioni; da queste poche righe si evince l'importanza del percorso che inizia dalla confisca dei beni alle organizzazioni criminali, e che termina con il loro riutilizzo a fini sociali, percorso che cercheremo di descrivere nei capitoli successivi alla luce delle recenti innovazioni apportate dal c.d. Codice Antimafia" del 2011 e successivi interventi correttivi.
Riportare nelle mani della cittadinanza, attraverso una modalità di gestione condivisa, le ricchezze acquisite dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso, da un lato produce un rafforzamento forte del ruolo e della immagine dello Stato, soprattutto in territori dove la generale condizione di degrado e la corruzione dilagante ha creato un sentimento di generale sfiducia nei confronti delle istituzioni, dall'altro fornisce l'occasione di intraprendere un percorso di lotta e contrasto alla criminalità organizzata che parte dal basso, dalla consapevolezza della non invincibilità del fenomeno mafioso; in questo modo centri di recupero, cooperative sociali, associazioni, diventano il fulcro di una nuova vita cittadina antitetica al sentimento di generale omertà che caratterizza tradizionalmente le zone in cui la presenza mafiosa è divenuto carattere endemico; esse rappresentano segno tangibile della rivincita della intera comunità 0 uno straordinario strumento di educazione alla legalità.
2. La fase giudiziaria, amministrativa, sociale
Per esigenze di chiarezza espositiva distingueremo il percorso che ci accingiamo a descrivere in tre fasi: una fase giudiziaria , una fase "amministrativa", una fase sociale .
La fase giudiziaria è quella compresa fra il provvedimento di sequestro e quello della confisca definitiva; vedremo successivamente come il "codice antimafia" abbia inciso profondamente su di essa, cercando di superare il doppio binario che distingue il procedimento di prevenzione ai sensi della L. 31 Maggio 1965, n.575 con le modifiche apportate in particolare dalla L. 13 Settembre 1982, n.646 e il procedimento penale ai sensi dell'art 12 sexies della L. 7 Agosto 199 , n.356. Per ora basti dire che la fase giudiziaria, è a sua volta distinguibile in due sotto fasi, caratterizzate dal diverso atteggiarsi del ruolo assunto dall'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati.
La prima sotto fase inizia con l'intervento del decreto di sequestro, e termina, con la confisca di primo grado nel procedimento di prevenzione ovvero con la conclusione dell'udienza preliminare in seno al procedimento penale. Questa fase è caratterizzata da problematiche notevoli; si inserisce in questa fase infatti l'istituto del sequestro, disciplinato dall'art. 21 del codice Antimafia che presuppone la messa in essere di tutta una serie di attività funzionali a garantire l'effettività della misura di prevenzione patrimoniale, come l'immissione in possesso, l'apprensione materiale dei beni e successiva consegna all'amministrazione giudiziaria (entrambe le attività di competenza dell'ufficiale giudiziario assistito obbligatoriamente dalla polizia giudiziaria , e nel caso in cui si tratti di beni immobili, lo sgombero forzato degli occupanti (laddove i presupposti ricorrano). La immissione in possesso si pone in essere anche se il bene oggetto di sequestro è gravato da diritti reali o personali di godimento: infatti un ulteriore complessità propria di questa prima sotto fase deriva dalla necessità spesso sussistente di integrare il contradditorio nei confronti degli interessati, i quali possono così dimostrare la legittimità dei diritti vantati sui beni. E' inoltre da collocarsi all'interno di questa fase l'inizio dello studio di un progetto di destinazione del bene. Il ruolo di protagonista è in tal seno proprio del giudice delegato dal tribunale, o del giudice penale disponente il sequestro, che affida il materiale esplicamento dei compiti su indicati all'amministratore giudiziario, con una Agenzia nazionale che svolge funzioni di ausilio e supporto.
La seconda sotto fase consiste nell'eventuale giudizio dinanzi alla Corte di Appello e alla Corte di Cassazione, avente ad oggetto la misura di prevenzione se siamo nell'ambito di un procedimento di prevenzione, viceversa, nel procedimento penale, la seconda sotto fase consisterà nell'udienza dibattimentale e terminerà con il provvedimento di confisca. Questa sotto- fase presenta meno complessità rispetto alla precedente, essendo già intervenuto un provvedimento del tribunale misure di prevenzione o del giudice dibattimentale, pronunciato nel pieno contradditorio fra le parti. L'Agenzia assume qui un ruolo di protagonismo, infatti dopo la chiusura dell'udienza preliminare in seno ad un processo penale essa assume l'amministrazione diretta del bene oggetto di misura ablativa; stessa cosa in seno al procedimento di prevenzione in seguito all'intervento del provvedimento di confisca definitiva
La fase amministrativa è quella che inizia una volta intervenuto il provvedimento di Confisca definitiva e che vede coinvolta essenzialmente la Agenzia nazionale per la amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la quale accompagna il bene fino al suo riutilizzo. Anche qui si riscontra una notevole incidenza del nuovo intervento normativo, che come vedremo approfonditamente anticipa temporalmente l'intervento dell'Agenzia.
Vedremo anche come questa fase sia caratterizzata da problematiche e criticità notevoli: progettare il riutilizzo sociale del bene necessita di competenze e professionalità, richiede la cooperazione tra mondo finanziario e società civile, deve essere sostenuto dalla rete di associazioni che operano sul territorio e dalla cittadinanza attiva; questo processo incontra diversi ostacoli come quello della condizione economica delle aziende e esigenza di salvaguardare la forza lavoro in essa operante, le ipoteche e l'accesso al credito.
La fase sociale è quella che coinvolge la destinazione del bene, e che si apre con il decreto di destinazione che chiude la fase amministrativa di gestione; da questo momento in poi si apre, ricorrendone i presupposti, la fase delicatissima del vero e proprio riutilizzo sociale del bene oggetto di confisca.
Terminato il brevissimo riassunto della distinzione in fasi del procedimento, le quali saranno oggetto di trattazione analitica nei capitoli che seguono, passiamo a fornire un quadro di quelli che sono stati i principali interventi legislativi che hanno inciso sulla nostra materia, soffermandoci in particolare sull'ultimo, il "codice antimafia" del 2011.
3. Ricognizione dei principali interventi normativi in materia di contrasto alle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Dalla legge 31 Maggio 1965 n.575 alla legge costitutiva dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati
Il nostro ordinamento giuridico a partire dal secondo dopo guerra, ha visto susseguirsi una serie di provvedimenti legislativi volti a contrastare il fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso; abbiamo già detto nelle righe precedenti come una svolta nella lotta alle organizzazioni criminali di stampo mafioso è avvenuta quando, grazie ad una geniale intuizione di politica criminale del deputato Pio La Torre,
si scelse di colpire la mafia nel suo nucleo più profondo e determinante, il patrimonio economico e finanziario.
Il primo significativo intervento è costituito dalla legge 31 Maggio 1965, n.575 recante "disposizioni contro la mafia" la quale in ragione della pericolosità sociale dei soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, estese la applicabilità delle misure di prevenzioni personali, in particolare della sorveglianza speciale e del soggiorno obbligato.
Furono però evidenti i limiti di una legislazione antimafia che perseguiva il fenomeno mafioso in quanto associazione a delinquere, e che non prevedeva la aggressione al patrimonio economico e finanziario; la vera e propria rivoluzione copernicana in tema di lotta alle organizzazioni mafiose è rappresentata dalla c.d. legge Rognoni - La Torre" del 1982, che introduce il reato di associazione di tipo mafioso all'art 416 bis c.p.; L'intuizione come detto è legata al cambiamento di direzione del fenomeno mafioso che grazie alle ingenti risorse economiche accumulate, rendeva inefficiente una politica di repressione militaristica"; l'imprenditoria mafiosa attraverso il controllo economico del territorio avrebbe soffocato il nascere di quella imprenditoria sana che basa sul rispetto delle regole la propria attività; a ciò si aggiunga la crescente infiltrazione nell'economia legale attraverso operazioni di riciclaggio di denaro sporco sempre crescenti . Per questi motivi la Legge citata, introduce per la prima volta la confisca dei beni dei quali non risulta la legittima provenienza, rinvenuti nelle proprietà dirette o indirette dell'indiziato del reato di cui all'art 416 bis; confisca che può essere preceduta da sequestro nel caso in cui vi sia il pericolo che tali beni possono essere dispersi o venduti.
Un altro passo importante è stato fatto nel 1989 con il D L n.230 recante modifiche alla L. n.575 del 1965 in materia di gestione e destinazione dei ben confiscati. Si è previsto la figura dell'Amministratore del bene, nominato dal Tribunale e incaricato di provvedere con diligenza alla custodia, amministrazione e conservazione dello stesso. Con tale decreto si dispone che i beni oggetto di confisca entrino a far parte del demanio statale ed eventuali somme di denaro sequestrate, versate dallo stesso amministratore all'ufficio del Registro, salvo che esse non debbano essere utilizzate per provvedere alla gestione e manutenzione di beni già confiscati; se il bene oggetto di confisca è un azienda, il decreto dispone che sia l intendente di finanza a stabilire l'esatto valore e comunicarlo al Prefetto, il quale sentito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza, formula una proposta di destinazione al ministero competente che emanerà un proprio decreto.
Passiamo poi alla legge 19 Marzo 1990, n.55 con la quale il legislatore amplia il perimetro soggettivo all'interno del quale applicare le misure di prevenzione patrimoniale, includendovi soggetti considerati ad elevata pericolosità sociale, come quelli indiziati di appartenere ad associazioni dedite al traffico di sostanze stupefacenti e quelli che si ritengono vivere abitualmente con i proventi derivanti da delitti di estorsione, usura, riciclaggio, contrabbando.
Con il decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa , convertito in Legge 7 Agosto 1992, n.356, il legislatore introduce, all'art. 1 sexies, una nuova tipologia di confisca che affianca quella penale e quella di prevenzione. Si prevede, infatti, che nei casi di condanna o di applicazione della pena su proposta delle parti (c.d patteggiamento ) ex art. 444 c.p.p. per determinati reati, tra cui l associazione di tipo mafioso, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza, e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica. Lo stesso articolo (comma 4 bis) prevede che anche a questi casi di confisca, si applichino le disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati previste dalla legge 31 maggio 1965 n. 575 e successive modificazioni.
Gli anni successivi sono quelli dello stragismo; Le novità introdotte dalla legge Rognoni- La Torre trovarono importante applicazione nel c.d. maxi processo" di Palermo del 1986, istruito dal c.d. Pool antimafia, che si chiuse nel Dicembre del 19 7 con la richiesta di diciannove ergastoli, oltre duemilaseicento anni di carcere e più di trecento condanne minori. La risposta di Cosa Nostra è tristemente nota.
Sull'onda emotiva cagionata dal terrore del periodo dello stragismo in Sicilia, incomincia a nascere e consolidarsi la consapevolezza che non fosse più possibile delegare alla sola magistratura e alle forze dell'ordine la lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso; nascono così movimenti di ribellione culturali e sociali, che riunendo persone, associazioni, enti di vario orientamento politico e religioso cominciano un operazione di sensibilizzazione della cittadinanza ai principi e valori Costituzionali della legalità e solidarietà sociale ; in questo contesto si inserisce la petizione di Libera- Associazioni, nomi e numeri contro le mafie" che nel 1995 raccolse più di un milione di firme propedeutiche alla approvazione della legge 7 Marzo 1996, n.1 9.
Con questo provvedimento sono state apportate varie innovazioni, tra cui la previsione di un riutilizzo a fini sociali dei beni oggetto di confisca; la gestione diventa una sorta di moderno contrappasso per contrastare le attività della criminalità organizzata e diffondere quella cultura della legalità che si pone come il principale anticorpo alle mafie . Con lo stesso intervento legislativo si pose in essere inoltre una riduzione dei passaggi amministrativi che caratterizzavano il procedimento di gestione e assegnazione, da quattro a tre:
Comunicazione definitiva della confisca: erano in questo passaggio coinvolti la Cancelleria dell'ufficio giudiziario che emetteva il provvedimento, l'ufficio del territorio del Ministro delle Finanze con sede nella provincia in cui si trovavano i beni oggetto di confisca, Prefetto, Dipartimento di Pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno.
. Acquisizione del parere del Direttore centrale del Demanio, del dirigente del competente ufficio del territorio, del Prefetto e del sindaco del Comune interessato.
. Proposta di destinazione , formulata la quale il direttore centrale del demanio nei successivi 30 gg rendeva definitiva la destinazione (quasi sempre confermando la proposta) con proprio Decreto.
La legge n. 109 incontrò da subito difficoltà applicative apparentemente insormontabili dovute essenzialmente all'altissimo numero di soggetti coinvolti nel procedimento e alla mancanza di una figura centrale di riferimento, in grado di gestire e coordinarne i rapporti. Questi ed altri ostacoli sono alla base dell'altro decisivo intervento in materia di beni sequestrati e confiscati, il D L 4 Febbraio 2010, n. , convertito in Legge
31 Marzo 2010, n.50 che istituisce la Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati da ora ANBSC), soggetto dotato di personalità giuridica e di autonomia organizzativa e contabile con sede principale a Reggio Calabria e sedi secondarie a Roma, Palermo, Milano e Napoli;
Scopo principale dell Agenzia è quello di provvedere all amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, a seguito di confisca definitiva, nonché coadiuvare l amministratore giudiziario sotto la direzione dell Autorità Giudiziaria in fase di sequestro fino alla confisca di primo grado, dopo la quale assume la gestione diretta degli stessi beni. La creazione dell Agenzia ha come elemento innovativo il tentativo di introdurre un amministrazione dinamica dei patrimoni confiscati che snellisca e velocizzi la fase di destinazione degli stessi, superando le carenze e le inefficienze della precedente metodologia di gestione.
Attraverso una stretta collaborazione con l'Autorità giudiziaria, l Agenzia fornisce un valido supporto alla programmazione della destinazione del bene, già durante la fase giudiziaria, acquisendo informazioni e nel contempo indicando quelle attività necessarie al superamento delle criticità che spesso ostacolano o rallentano la restituzione alla collettività dei patrimoni mafiosi e quindi il riutilizzo sociale degli stessi
3.1. Il D.lgs. 6 Settembre 2011 n.159 (c.d. Codice antimafia) e i successivi interventi correttivi
Concludendo il nostro breve excursus storico normativo, accenniamo al D Lgs. 6 Settembre 2 11, n.159, il c.d. Codice antimafia e alle modifiche ad esso apportate dal D Lgs. 218 del 2 12 e dalla L. 228 del
Legge di stabilità 2013 .
Si pensa di poter affermare che, in linea generale, l'attività di codificazione può essere guidata da due ordini di ragioni: da un lato l'esigenza di costruire un corpus normativo omogeneo, razionale e armonioso, intorno a principi ermeneutici consolidati, che regoli in modo organico un determinato settore a fronte di interventi spesso frammentari, e parziali del legislatore; dall'altro la codificazione è stata nel corso della storia, anche una operazione eminentemente politica, con l'intento di conseguire attraverso l'unificazione delle disposizioni, fini di egemonia politica, economica e commerciale 45. Il fenomeno di proliferazione di Codici cui abbiamo assistito in anni recenti, , differentemente dalla tradizione giustinianea o napoleonica non il frutto di una scelta politica del legislatore, ma l'effetto di una prassi che fa conseguire alla stabilizzazione della cornice ermeneutica nelle aule di giustizia, l'emanazione di un testo normativo avente la morfologia e i tratti formali di un codice.
La genesi del Codice antimafia è atipica; dopo quasi cinquant'anni dalla introduzione con la Legge 31 Maggio 1965, n.575, delle misure di prevenzione personale antimafia, dopo circa trent anni dall'inserimento dell'art 416 bis nel Codice Penale con la Legge Rognoni La Torre, e a seguito di numerose riforme legislative che sotto vari aspetti innovano le misure e gli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso, era divenuto essenziale un'operazione di manutenzione del sistema delle fonti
Diciamo subito che il risultato consegnato a seguito dell'esercizio delle deleghe conferite al Governo con Legge 13 Agosto 2010, n. 136 è stato da molti operatori del diritto considerato insoddisfacente e parziale : da un lato infatti si riscontra la carenza della Legge delega sopracitata, che detta un quadro confuso e incompleto di principi direttivi in base ai quali esercitare l'attività delegata, dall'altro non si può non riscontrare un'operazione di autolimitazione del Governo che incomprensibilmente lascia fuori dal dettato normativo disposizioni di primaria importanza nella lotta al fenomeno mafioso . Per cercare di colmare le problematiche applicative del Codice e le lacune che esso presentava, da subito si è prospettato all'interno della comunità giuridica l'esigenza di una correzione: in questa chiave devono essere lette le modifiche apportate al D Lgs. 6 Settembre 2011, n.159 da parte del D Lgs n.218 del 2012 e della Legge 4 Dicembre 2012, n.228.
Cerchiamo di dire qualcosa di più sulla Legge delega del 2010 e sull'incidenza degli interventi correttivi appena accennati sull'impianto complessivo del Codice.
Il D Lgs 6 settembre 2011, n.159 Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della Legge 13
Agosto 2010, n. 13 , è emesso in attuazione di due distinte deleghe contenute nella Legge n. 136: la prima, prevista dall'art. 1, ha ad oggetto l'emanazione di un Codice Antimafia e delle misure di prevenzione, stabilendo solo per quest'ultime criteri direttivi e principi guida numerosi e specifici), e nuove disposizioni in materia di contrasto alla criminalità organizzata ( in cui si consente al Governo solo una operazione di ricognizione, armonizzazione e coordinamento ; la seconda, contenuta nell'art. 2 prevede l'aggiornamento e la semplificazione della normativa in materia di documentazione antimafia, sulla base di una serie di criteri specifici.
Per quanto riguarda gli interventi correttivi, la prima osservazione che viene da fare è che, mentre il primo D.lgs. n.2 2 del 2012 avente ad oggetto le comunicazioni ed informazioni antimafia è in linea con le facoltà correttive previste dalla Legge Delega del 2010 (ne rispetta pertanto i principi e criteri direttivi), il secondo avente ad oggetto l'intervento sulla prevenzione antimafia e la ANBSC è invece una Legge formale, che in quanto tale poteva disattendere ed ha disatteso i principi della delega del 2010.
L art 1, comma 1, della Legge delega prevedeva che il Governo fosse delegato ad adottare entro il 7 Settembre 2011 un D Lgs. recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione . Il 2° comma invece disponeva che il D Lgs. di cui al comma 1, doveva essere emanato realizzando:
. Una ricognizione completa della normativa penale, processuale e amministrativa vigente in materia di contrasto alla criminalità organizzata, ivi compresa quella già contenuta nei Codici penale e di procedura penale;
. L armonizzazione della normativa di cui alla lettera a
. Il coordinamento della normativa di cui alla lettera a) con le ulteriori disposizioni di cui alla presente legge e con la normativa di cui al comma
. L'adeguamento della normativa italiana alle disposizioni adottate dall'Unione Europea
Il dato che appare evidente è la mancanza di principi e criteri direttivi che l'art 76 della Costituzione erge a fondamento della legislazione delegata, con la conseguenza che Il D Lgs per essere Costituzionalmente legittimo avrebbe dovuto limitarsi esclusivamente alla ricognizione delle disposizioni esistenti, senza possibilità di innovazione alcuna. Insomma dei compiti affidati dal comma 1, la sola attività di ricognizione è apparsa suscettibile di un pieno e legittimo esercizio da parte del Governo, poiché scarso o nessuno spazio di compatibilità Costituzionale poteva avere il terzo punto di adeguamento della normativa italiana alle disposizioni adottate dall'Unione Europea, materia di competenza della c.d. Legge Comunitaria che annualmente è chiamata a fissare principi e criteri di recepimento nella normativa italiana delle disposizioni adottate dall'UE
Emblematica la vicenda del Libro I del Codice, che nei programmi doveva avere ad oggetto la completa ricognizione della normativa penale, processuale e amministrativa vigente in materia di contrasto alla criminalità organizzata, ivi compresa quella già contenuta nei Codici penale e di procedura penale; tuttavia in ultima istanza si è deciso di non ottemperare alla delega, mettendo da parte la materia ed affidandola ad un successivo intervento normativo. Questo costituisce un difetto grave della normativa, poiché tralasciando la parte di delega che impone un riordino delle disposizioni di diritto sostanziale e processuale che governano la materia del contrasto alla criminalità organizzata viene meno il perimetro normativo essenziale all'interno del quale il Codice deve operare.
Il Titolo II del Codice è dedicato alle misure di prevenzione; all'interno di esso si rinviene una suddivisione in titoli, il primo dedicato alle misure di prevenzione personali, il secondo alle misure di prevenzione patrimoniali, il terzo alla amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, che traccia il percorso che il bene è destinato a seguire, dalla nomina dell'amministratore giudiziario alla destinazione ; il titolo IV è destinato alla disciplina della tutela dei terzi e ai rapporti con le procedure concorsuali, infine il Titolo V è intitolato effetti, sanzioni e disposizioni finali .
Il Libro II è intitolato "nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia" e si occupa della nuova disciplina delle comunicazioni e informazioni antimafia.
Il Libro III è intitolato Le attività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. L'Agenzia nazionale per l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata" ed è stato profondamente rivisitato dalla Legge n.228 del
2012 la quale ha invertito il percorso meramente ricognitivo intrapreso dal D Lgs 6 Settembre 2011, attuando una profonda riscrittura delle funzioni e della struttura della Agenzia, ma che tuttavia non è stato in grado di fornire agli interpreti un testo legislativo che si presenti completo e totalmente comprensibile.
Il nostro interesse è rivolto al Libro I, titolo II, disciplina delle misure di prevenzione di tipo patrimoniale" e titolo III, amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati" e al Libro II, Titolo II "L'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati ; per ragioni di chiarezza espositiva l'ordine di trattazione sarà tuttavia diverso: ad una analisi delle misure di prevenzione di tipo patrimoniale, seguirà la trattazione della struttura della Agenzia; dopo di che ci occuperemo della analisi del Libro I, Titolo III , in armonia con la distinzione in fasi del procedimento postulata nelle righe precedenti.
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