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METODOLOGIA DI INDAGINE
Si è analizzata la sottocultura carceraria attraverso una metodologia che, riprendendo i modelli della Scuola di Chicago[1], dell'etnografia , dell'interazionismo simbolico - soprattutto nella versione della Grounded Theory , di Glaser e Strauss - e della scuola tedesca , consentisse la descrizione dell'ambiente sociale detentivo, nella sua costruzione, nelle sue dinamiche relazionali, nella sua simbologia, nei suoi attori. Si è optato per questa tecnica in quanto ci si è proposti di studiare la cultura di un gruppo, che è un elemento profondo ed ovvio per gli attori che ne sono portatori, inaccessibile nelle sue dimensioni dagli stessi, ove stimolati attraverso uno schema predefinito di domande: si è ritenuto il metodo etnografico, il quale considera gli attori come informanti, e non come rispondenti , essere il più adatto per questo lavoro.
Si è cercato di mantenere, per quanto possibile, un certo distacco emozionale dall'argomento, per non inquinare l'obiettività della ricerca con ideologismi ed irrazionalità: tuttavia è stata necessaria una certa dose di empatia per comprendere appieno il vissuto degli attori e per evitare di essere condizionati dal pregiudizio. Ci si è accostati al problema nel modo più neutrale possibile, annoverando tra le fonti alcune tra le parti chiamate in causa.
Per la prima fase, quella della ricerca di sfondo, si è analizzato il materiale disponibile sull'argomento: film e filmati, inchieste e documentari, canzoni e proverbi, poesie e lettere, articoli di giornali, storie di vita, oltre alle testimonianze raccolte da altri soggetti. Questo al fine di inquadrare l'oggetto di studio nelle sue dimensioni e costruire un'iniziale griglia, sulla scorta della quale successivamente ipotizzare connessioni: si sono quindi annotati i temi ricorrenti, le cosiddette ossessioni, ovvero le questioni rilevanti e le risposte culturali che quel determinato gruppo sociale ha fornito ad esse[7].
Durante la seconda fase, integrativa della seconda, si è fatto un lavoro di sintesi del materiale fin qui raccolto al fine di costruire, in base alle aree tematiche emerse, le interviste destrutturate e semi-strutturate da proporre ad alcuni degli attori sociali del fenomeno: reclusi, detenuti in misura alternativa, volontari, operatori, familiari dei ristretti. Si è optato dunque più per una prospettiva costruttivista di ricerca qualitativa-interazionista, che non positivista[8], in quanto il primo approccio garantisce la descrizione personale ed unica dei mondi di senso, e permette l'emergere di importanti tematiche eventualmente all'inizio non considerate. Fondamentale per la scoperta di connessioni e significati si è rivelata infatti anche la conversazione spontanea: utili spunti sono derivati dall'analisi di questa e dei colloqui informali con e tra gli attori, annotati su di un block notes, in quanto preziosa occasione di osservazione diretta e naturalistica. Per la raccolta delle testimonianze si è invece ricorso ad un registratore.
Successivamente, nell'ambito della terza fase, si è esaminato il materiale raccolto, centrando l'attenzione sul linguaggio e sul modo di relazionarsi degli internati, oltre che sui loro processi di significazione[9]: l'idea di fondo è stata infatti che l'oggetto di indagine, la sottocultura carceraria, sia il prodotto delle percezioni dei detenuti, e dei loro processi di attribuzione di significato alla realtà oggettiva che vivono, quale è quella carceraria. Fondamentale importanza assumeva, dunque, l'analisi di tutte quelle azioni e interazioni - apparentemente prive di senso - e di quegli elementi espressivi - usati dai detenuti spesso inconsapevolmente - rivelatori in realtà di un mondo sommerso .
Si è infine cercato, nell'ambito della quarta fase, di analizzare singolarmente alcuni elementi e di ipotizzare legami tra le varie tematiche, anche alla luce di alcune teorie sociologiche e psico-sociologiche: le connessioni sono state via via corrette e ridefinite alla luce dei nuovi casi che le disconfermavano.
In quanto, come già osservato nel secondo capitolo, questa ha privilegiato lo studio di piccole comunità, anche con l'intento di trovare soluzioni pratiche ad alcuni fenomeni sociali connessi all'urbanizzazione ed all'immigrazione. La metodologia che le era propria era prevalentemente quella di andare oltre i documenti ufficiali ed andare ad indagare direttamente su campo, mediante strumenti quali l'osservazione partecipante, l'intervista aperta, l'analisi di documenti e di articoli di giornali.
Così come intesa da C. PICCARDO, A. BENOZZO, op. cit., 1996. A causa del particolare ambiente oggetto di indagine, non è stato possibile procedere all'osservazione partecipante. Si sono però analizzati filmati di vita vissuta, con gli ovvi limiti che tale scelta comporta.
In ragione degli assunti postulati da questa scuola: che il mondo reale sia costruito dagli individui in base ai significati da essi attribuiti alle cose - i quali scaturiscono dall'interazione sociale - ed in seguito manipolati attraverso un processo interpretativo.
Tale versione dell'interazionismo simbolico utilizza una metodologia di ricerca che parte dalla raccolta sistematica dei dati per approdare alla formulazione di teorie. Nell'analisi dei fenomeni sociali, inverte dunque la direzione del metodo utilizzato dalla maggior parte della sociologia tradizionale, che consiste nella formulazione di ipotesi da verificare attraverso l'analisi dei dati raccolti, previa analisi delle ricerche condotte sullo stesso argomento: la Grounded Theory si propone invece di scoprire ipotesi e concetti, in base alle osservazioni raccolte su campo, i quali non necessitano di verifica in quanto sono ammessi solo quelle che emergono dai dati.
Con riferimento ai contributi di Georg Simmel, di Ervin Goffman e dell'etnometodologia, nel suggerimento di prestare attenzione a quegli elementi della vita quotidiana in apparenza banali, per chi li vive e per chi li osserva, ed all'interazione faccia-a-faccia.
Per informante si intende l'attore sociale che fornisce inconsapevolmente dati sulla propria cultura di appartenenza attraverso i propri comportamenti quotidiani. Il rispondente, invece, li fornisce attraverso le risposte alle domande del ricercatore. C. PICCARDO, A. BENOZZO, op. cit., 1996.
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