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L'ORGANIZZAZIONE CARCERE E' ANCORA FUNZIONALE AL NOSTRO TEMPO?
1.1 CHE COS'E' LA PENA.
In diritto, la pena è la conseguenza giuridica della violazione di un precetto penale. La pena criminale può essere definita come la sofferenza comminata dalla legge penale ed irrogata dall'autorità giudiziaria mediante processo a colui che viola un comando o un divieto della legge medesima. Caratteristica essenziale è l'afflittività; consiste, infatti, nella privazione o diminuzione di un bene individuale (libertà, vita, patrimonio). La pena può svolgere varie funzioni: una funzione meramente retributiva, una funzione di prevenzione generale e una funzione di prevenzione speciale. Secondo la teoria retributiva, la sanzione penale deve servire a compensare il male provocato dall'azione illecita. Secondo la teoria della prevenzione generale, la pena consiste in una minaccia che serve a distogliere la generalità dei consociati dal compiere fatti socialmente dannosi. Secondo la teoria della prevenzione speciale, la pena svolge un compito intimidatorio volto alla dissuasione del condannato dal commettere nuovi reati. Esiste la possibilità che la pena non si verifichi, estinzione, le cause sono principalmente quattro.
Queste quattro cause di estinzione della pena non dipendono direttamente dall'imputato. Tranne una, la prescrizione. Per far sì che un reato cada in prescrizione, deve trascorrere il tempo massimo della pena applicabile, senza che sia stata pronunciata una condanna definitiva. Nel 1996 i processi conclusi con sentenza di non luogo a procedere per prescrizione dei termini si contavano in 56.486, nel 2003 gli stessi sono saliti a 206.000, quadruplicando .
Dunque, la pena, si propone di infliggere una punizione a chi trasgredisce la legge; ma da dove nasce l'esigenza di una pena, di un carcere e soprattutto di una legge? Se queste ultime, fossero solamente limitazioni artificiose della libertà umana, per trovarne traccia dovremmo aspettare la nascita della sociologia; mentre invece, le carceri, le pene e le leggi esistono da tempi molto antichi, questo dimostra che sono state create per un bisogno organizzativo umano. A queste domande ha già cercato di rispondere un filosofo del XVII secolo, Thomas Hobbes. La sua operò principale fu Il leviatano. Nel quale si occupò di uno studio approfondito della società e dello Stato. Il punto centrale della sua tesi è una scissione tra lo stato di natura (jus naturalismo) e uno stato di diritto (jus positivismo). A partire da questa distinzione, Hobbes, esaminò come l'uomo passi, necessariamente, da una condizione all'altra. Il suo pensiero verrà estrapolato direttamente dai suoi testi. Il punto di partenza è la definizione hobbesiana per cui l'uomo è incapace di vivere per natura in società organizzate. L'individuo che in uno stato di natura si trova in una guerra di tutti contro tutti, è costretto a limitare le proprie libertà per costruire una società; ma alcuni individui cercheranno di ostacolare ciò prevalendo sugli altri:"[.] qui per presenza dei malvagi anche i buoni se non vogliono essere uccisi debbono ricorrere alle virtù della violenza e dell'inganno.[.]" Hobbes aggiunge: "Dunque per natura non siamo spinti a cercare amici, ma a poter ottenere per mezzo di essi onore e vantaggi[.]." Gli uomini, accecati dal desiderio di gloria sono incapaci di costruire una società; infatti quando la gloria è data a tutti non è data a nessuno. Hobbes approfondendo il concetto di stato di natura si sofferma sulla differenza tra diritto e legge. Il diritto naturale coincide con la libertà di usufruire del proprio potere per conservare il proprio stato di natura. "[.]il diritto consiste nella libertà di fare o di astenersi dal fare, mentre la legge stabilisce e impone una delle due cose[.]." Perciò la libertà altrui va rispettata, se si vuole che venga rispettata la propria. Hobbes pensa, dunque, che l'uomo ha la necessità di trasferire i propri diritti, attraverso un contratto, nelle mani di un sovrano. Questo contratto, in cui si adempie il trasferimento dei diritti, non può essere redatto solo in forma orale ma ha bisogno di un supporto che lo renda chiaro; ed ecco la nascita della Legge. "[.]i vincoli delle parole sono troppo deboli per poter tenere a freno l'ambizione, l'avarizia, l'ira e le altre passioni, quando non c'è il timore di un potere coercitivo al di sopra di loro[.]." "[.]l'uomo deve adempiere i patti che ha assunto; senza di che i patti sarebbero inutili, e nient'altro che vuote parole e, rimanendo il diritto di tutti su tutte le cose, saremmo ancora nello stato di guerra." Hobbes afferma, inoltre che, quando è stato stipulato un patto il romperlo è ingiusto e la definizione di ingiustizia è il mancato adempimento del patto. E tutto ciò che non è ingiusto è giusto. "[.]Di conseguenza i nomi di giusto e ingiusto non possono avere un senso prima che sia costituito un potere coercitivo per costringere tutti gli uomini all'adempimento dei loro impegni col terrore di pene più grandi del beneficio che essi pensano di poter ricavare dalla rottura del patto stesso; [.] E colui che, avendo sufficienti garanzie che gli altri osserveranno verso di lui le stesse leggi, non le osserva da parte sua, cerca non la pace, ma la guerra e per conseguenza la distruzione della sua natura con la violenza.[.]" L'uomo dunque ha bisogno di un potere che lo diriga, lo indirizzi verso il bene comune e lo distolga, con il terrore, dall'idea di infrangere le leggi. Per questi motivi gli uomini si accordano fra loro di sottomettersi ad una persona o ad un'assemblea di persone, volontariamente, dando così vita allo stato per istituzione.
1.2 I VARI TIPI DI PENA.
Le pene si distinguono in:
La reclusione è la limitazione della libertà personale (prevista dalla Costituzione Italiana all'art. 13) che viene eseguita in due casi:
L'articolo 23 del Codice Penale recita: La pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno. Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all'aperto.
ERGASTOLO
L'ergastolo, chiamato comunemente 'carcere a vita', è la massima pena prevista nell'ordinamento giuridico italiano. Nell'ordinamento italiano l'ergastolo è previsto per alcuni delitti contro la personalità dello Stato, contro l'incolumità pubblica e contro la vita cui si aggiungono i reati per cui è ancora prevista la pena di morte (che sostituisce l'ergastolo ex D. lgs. lgt 10/08/44 n.224). L'ergastolo è altresì previsto quando concorrono più delitti per ciascuno dei quali è prevista la pena non inferiore a 24 anni (art. 73 co. 2 c.p.). La perpetuità di tale pena è mitigata dalla possibilità concessa al condannato di essere ammesso alla libertà condizionale dopo avere scontato 26 anni, qualora ne venga ritenuto attendibilmente provato il ravvedimento. Tale limite è ulteriormente eroso dalle riduzioni previste per la buona condotta del reo, grazie alle quali vengono eliminati 45 giorni ogni sei mesi di reclusione subiti. La riforma penitenziaria del 1986 ha consentito infatti che il condannato all'ergastolo possa essere ammesso,dopo l'espiazione di almeno 10 anni di pena ai permessi premio, nonché, dopo 20 anni, alla semilibertà.
LA PENA DI MORTE
Nel 1764 la pubblicazione del pamphlet: Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria stimolò la riflessione sul sistema penale vigente. Nel trattato Beccaria si esprimeva contro la pena di morte: «Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio.»
Tuttavia, la condanna di Beccaria verso la pena di morte, pur nella sua portata storicamente innovativa, non era espressa in termini assoluti:
« La morte di un cittadino divien necessaria quando la nazione recupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell'anarchia, quando i disordini stessi tengon luogo di leggi.»
Essere in esilio significa stare lontano dalla propria patria, città, stato o nazione a causa dell'esplicito rifiuto del permesso di farvi ritorno, o sotto la minaccia di essere imprigionato o giustiziato in caso di ritorno. Si usa comunemente distinguere tra esilio interno (o confino), ovvero il reinsediamento forzato all'interno della propria nazione di residenza, e l'esilio esterno, ovvero la deportazione al di fuori della nazione di residenza. Uno dei più famosi esiliati di fine '800 fu il capitano Dreyfus, condannato per alto tradimento e mandato in esilio. Ma grazie all'interesse dell'opinione pubblica, che dimostra il vero motivo dell'esilio, ovvero le origini semite del capitano, Dreyfus fu liberato e riaruolato. Questo anche grazie alla lettera aperta, intitolata j'accuse, che Emile Zola invia al presidente della repubblica francese.
L'affaire Dreyfus e la conclusione di J'accuse verranno riassunti in francese.
Issu d'une famille israélite, Dreyfus est capitaine dans l'armée. En 1894, il est accusé de haute trahison et condamné à la deportation. Mais l'affaire d'espionnage se transforme bientôt en affaire politique. Le 13 janvier 1898, Zola écrit dans le journal L'Aurore, une lettre ouverte au Président de la République intitulée j'accuse. Il accuse le conseil de guerre d'avoir condamné un innocent et d'avoir acquitté un coupable par antisémitisme et pour couvrir l'Etat-major. La France est coupée en deux, d'un coté les dreyfusard (la gauche, la bourgeoisie radical, la Ligue des droits de l'homme), da l'autre les anti-dreyfusard (l'extrême droite, qui s'affirme à cette époque, les antisémites. Les haines se déchaient. Le procès est réouvert et on découvre que certains officiers chargés de l'enquête avaient commis de faux. Dreyfus ne sera réhabilité qu'en 1905
Voici la conclusion de la lettre ouverte de Emile Zola: J'accuse
Mais cette lette est longue, monsieur le Président, et il est temps de conclure. J'accuse le lieutenant-colonel du Paty de Clam d'avoir été l'ouvrier diabolique de l'erreur judiciaire, en inconscient, je veux le croire, et d'avoir ensuite défendu son ouvre néfaste, depuis trois ans, par la machination les plus saugrenues et les plus coupables.
J'accuse le général Mercier de s'être rendu complice, tout au moins par faiblesse d'esprit, d'une de plus grandes iniquités du siècle.
J'accuse le général Billot d'avoir eu entre les mains les preuves certains de l'innocence de Dreyfus et de les avoir étouffées, de s'être rendu coupable de ce crime de lèse-humanité et lèse-justice, dans un but politique et pour sauver l'état-major compromis. J'accuse le général de Boisdeffre et le général Gonse de s'être rendus complices du même crime, l'un sans doute par passion cléricale, l'autre peut-être par cet esprit de corps qui fait des bureaux de la guerre l'arche sainte, inattaquable. J'accuse le général de Pellieux et le commandant Ravary d'avoir fait une enquête scélérate, j'entends par-là une enquête de la plus montreuse partialité, dont nous avons, dans le rapport du second, un impérissable monument de naïve audace. J'accuse les trois experts en écritures, les sieurs Belhomme, Varinard et Couard, d'avoir fait des rapports mensongers et frauduleux, à moins qu'un examen médical ne le déclare atteints d'une maladie de la vue et du jugement. J'accuse enfin le premier conseil de guerre d'avoir violé le droit, en condamnant un accusé sur une pièce restée secrète, et j'accuse le seconde conseil de guerre d'avoir couvert cette illégalité, par ordre, en commettant à son tour le crime juridique d'acquitter sciemment un coupable. Quant aux gens que j'accuse, je ne les connais pas, je ne les ai jamais vus, je n'ai contre eux ni rancune ni haine. Ils ne sont pour moi que d'entités, d'esprits de malfaisance sociale. Et l'acte que j'accomplis ici n'est qu'un moyen révolutionnaire pour hater l'explosion de la vérité et de la justice. Je n'ai qu'une passion, celle de la lumière, au nom de l'humanité qui a tant souffert et qui a droit au bonheur. Ma protestation enflammée n'est que le cri de mon aime. Qu'on ose donc me traduire en cour d'assises et que l'enquête ait lieu au grand jour !
J'attends.
Veuillez agrée, monsieur le Président, l'assurance de mon profond respect.
1.3 LAVORO FORZATO
Bagni penali
Prevista in quasi tutti gli Stati preunitari, la pena ai lavori forzati - a
tempo e a vita - espiata nei Bagni penali fu introdotta anche nell'ordinamento
penale del Regno d'Italia che continuò ad applicare, fino al 1860, gli antichi
bandi e regolamenti dei Bagni penali del Regno Sardo, emanati il 26 febbraio
1826.
La pena
dei Bagni penali, pur facendo pensare ad un rapporto diretto tra le modalità
d'esecuzione della pena e le vecchie galere d'ascendenza romana, conservava
ormai solo nella denominazione il riferimento all'antica condanna al remo,
prevista dal diritto romano come damnatio in opus publicum e introdotta, in
epoca moderna, secondo alcune fonti, da papa Paolo II che, nel luglio 1471, ordinava
al Senato romano di consegnare ai genovesi i rei di delitti capitali per essere
impiegati sulle galere. Secondo altre fonti, invece, pare che sia stato Carlo V
ad applicare la pena delle galere nei Paesi Bassi.
La condanna al remo era riservata sia ai condannati a vita che ai condannati a
tempo, a seconda delle legislazioni dei vari Stati. Ai galeotti era consentito
di scendere a terra, periodicamente, purché incatenati a coppia.
Bagni penali venivano denominati sia i bagni marittimi che quelli di terraferma,
stabilimenti dove si scontava la pena ai lavori forzati. Secondo il Codice
penale Sardo del 1859 con la denominazione di Bagni penali si indicavano gli
stabilimenti riservati all'espiazione dei lavori forzati, mentre le case di
pena erano destinate ai condannati alla pena della reclusione, della
relegazione, del carcere.
L'utilità dei Bagni, sia sotto il profilo dell'emenda del condannato che
dell'utilità del lavoro prodotto dai forzati, era stata già da tempo messa in
discussione da illustri giuristi e penitenziaristi.
Con Regolamento del 29 novembre 1866, fu
stabilito il passaggio dei Bagni dal ministero della Marina a quello
dell'Interno. A partire da quell'anno i custodi dei Bagni furono sostituiti
dalle guardie carcerarie, secondo le modalità di arruolamento stabilite per gli
stabilimenti di pena ordinari, dipendenti dal ministero dell'Interno. Il ruolo
organico del personale addetto ai Bagni penali confluì poi, con il Regolamento
del 1873, nel ruolo unico delle guardie carcerarie. Intanto il Governo,
guardando agli esperimenti di altri Paesi, cominciò gradualmente a utilizzare
il lavoro dei detenuti dei Bagni penali nei lavori di bonifica di zone incolte,
malariche, aride. Gradualmente i Bagni penali furono chiusi per essere
definitivamente soppressi dal Regolamento carcerario del 1891 che introdusse le
colonie penali agricole, stabilimenti che davano migliori risultati sotto il
profilo dell'utilizzo dei condannati in lavori di dissodamento di terreni e di
coltivazione.
Laogai
Il termine laogai (abbreviazione di laodong gaizao, in cinese 'riforma attraverso il lavoro') si riferisce, propriamente, a una particolare forma di lavoro forzato della Repubblica Popolare Cinese. Il termine viene anche usato in modo generalizzato per indicare le diverse forme di lavoro forzato previste dal sistema giuridico e carcerario cinese. Lo stesso termine laogai, in senso viceversa restrittivo, viene talvolta usato per indicare un campo da lavoro.
1.4 ACCENNI DI STORIA DELLA PENA
In Inghilterra prima del 1775 i delitti più gravi erano puniti con la deportazione, la fustigazione, l'impiccagione e la gogna piuttosto che con il carcere. La detenzione era tuttavia usata dai giudici di pace locali per punire quei delitti minori che essi stessi avevano facoltà di giudicare senza rinviare il trasgressore alle superiori corte d'assise o ai tribunali trimestrali. I poteri di giustizia sommaria di cui godevano i giudici di pace crebbero a tal punto durante il XVIII secolo che William Blackstone espresse la preoccupazione che alla lunga tale sistema potesse sostituire del tutto i processi con giuria. Nel corso del XVIII secolo il numero di trasgressioni passibili di detenzione venne esteso. Oltre a dare ai magistrati il potere di far fustigare o imprigionare mendicanti, attori girovaghi o giocatori d'azzardo,zingari, venditori ambulanti, e -tutti coloro che rifiutavano di lavorare per i salari usuali e comuni-, erano autorizzati a incarcerare i pazzi vagabondi e -tutte le persone che giravano qua e là e alloggiavano in birrerie, granai o all'aria aperta, senza poterne rendere conto. I magistrati, in base allo Statuto degli Apprendisti del 1604, potevano far fustigare o imprigionare qualunque servitore o apprendista che avesse abbandonato il proprio impiego prima della scadenza del contratto, che non avesse dato un preavviso di un trimestre, che avesse picchiato o che gli avesse disobbedito in qualsiasi maniera. Per poter applicare questi provvedimenti, vennero costruite diverse celle singole, per rinchiudervi apprendisti fuggiaschi o turbolenti la cui giovane età richiedeva che fossero isolati dai delinquenti incalliti. La tendenza a sottoporre a procedimento sommario il bracconaggio implicò un maggior ricorso alla detenzione e alla fustigazione, dato che i giudici non erano in questo caso autorizzati a comminare condanne a morte o alla deportazione. Restavano tuttavia oscuri i motivi che inducevano i magistrati a scegliere fra la fustigazione e il carcere. Le premesse a certi statuti sulla caccia rivelano esplicitamente l'intenzione di regolare l'occupazione: -Dato che grave danno deriva dal fatto che piccoli mercanti, apprendisti e altre persone dissolute trascurano i propri affari e professioni per dedicarsi alla caccia, alla pesca e ad altri divertimenti a detrimento di se stessi e dei propri vicini, se qualcuna delle tali persone oserà cacciare, a cavallo o con falchi, pescare o uccellare ( ameno che sia accompagnato dal padrone nel caso si tratti di apprendisti) sarà.soggetto alle altre pene.(cioè a periodi varianti in casa di correzione.)- nell'aumento di leggi contro la malversazione, soggetta a procedimenti sommari, si può scorgere lo stesso tentativo di -criminalizzare- le usanze dei poveri in nome della regolamentazione del lavoro. Con il passar del tempo aumentò anche la severità di queste leggi. Nel 1759 la comminata per malversazione consisteva in quattordici giorni in casa di correzione; nel 1777 il periodo era salito a tre mesi. A sostegno della propria offensiva, i datori di lavoro si riunirono in associazioni per perseguire penalmente le malversazioni, al pari di quanto aveva fatto la gentri di campagna per far rispettare la leggi sulla caccia e la lotta ai bracconieri. Queste associazioni finanziavano le cause e stipendiavano ispettori che perquisivano le case dei lavoratori alla ricerca di materiale nascosto. Dietro a tale offensiva stava l'arma finale dei datori di lavoro, l'imprigionamento in casa di correzione. Esaminando questi statuti sulla caccia, il vagabondaggio e la malversazione, si ha una conferma dell'impressione di Blackstone che il potere dei magistrati di fare giustizia sommaria fosse cresciuto durante questo periodo. Ma in quale circostanze un padrone poteva decidere di punire personalmente i propri dipendenti e in quali di trascinarli davanti a un giudice? Era più probabile che i grandi imprenditori richiedessero l'appoggio delle autorità con maggior frequenza dei padroni che impiegavano meno manodopera oppure accadeva l'inverso? E quando i servitori disobbedienti erano condotti davanti ai giudici, quali erano condannati alla fustigazione e quali al carcere? Trovando una risposta a queste domande potremmo comprendere meglio il ruolo che ebbe la legge nello sviluppare una regolamentazione del lavoro in questo periodo. Sfortunatamente lo studio della giustizia sommaria non ci fornisce la base per conclusioni definitive, tuttavia testimonianze sparse suggeriscono che prima del 1775 l'applicazione di questi statuti fosse assai selettiva. Dalla sua esperienza di magistrato a Bow street, il romanziere Henry Fielding deduceva nel 1751 che gli -affari- di un giudice di pace erano cresciuti più rapidamente dei suoi poteri di applicare la legge. Questi non era in grado di sopprimere il vagabondaggio a Londra poiché guardie e mazzieri parrocchiali, corrotti e inefficienti, avevano scarso incentivo a trascinare gli straccioni davanti al tribunale. Su richieste di Fielding il parlamento autorizzò nel 1752 i magistrati a ricompensare le guardie per l'arresto di vagabondi. In realtà pare, fosse pratica più comune, almeno tra il 1772 e il 1775, far frustare i vagabondi e rinviarli al loro luogo di origine piuttosto che imprigionarli a spese della contea. Per quanto riguarda altri delitti minori, soggetti a procedimento sommario, vi sono testimonianze, ancora una volta frammentarie, che indicano come la strategia della giustizia inglese consistesse nell'ignorare le trasgressioni minori e nel concentrarsi invece sulla punizione di criminali più importanti, giustiziati con grande risalto. Le critiche affermavano che: evitando di reprimere i delitti minori, si consentiva ai piccoli criminali di giungere senza ostacoli a commettere delitti più gravi. Il censimento carcerario che John Howard effettuò nel 1776 elencava solo 653 criminali minori imprigionati in Inghilterra e nel Galles e, anche se questo dato non comprende ovviamente le persone fustigate, multate o liberate, pare confermare l'opinione di Fielding secondo il quale i giudici di pace mancavano dell'appoggio di una polizia necessaria a far applicare i loro nuovi poteri di giustizia sommaria. Il ruolo ridotto del carcere quale luogo di punizione e la generale inefficienza nel perseguire i delitti minori legati al mondo del lavoro fanno pensare che lo Stato, e i magistrati in particolare, svolgessero una parte di secondo piano nel regolamentare il mercato del lavoro nel XVIII secolo , più di quanto non avvenisse prima del 1640 e dopo il 1815. Si può inoltre fare l'ipotesi, benché molto ardita, che le dimensioni ridotte e il carattere familiare di molte imprese e fattorie rendessero parecchi padroni più inclini ad applicare essi stessi la disciplina piuttosto che ricorrere alla magistratura perché facesse valere o legittimasse le loro sanzioni. I datori di lavoro inoltre erano forse restii a ricorrere alla legge contro i propri dipendenti a causa della cattiva reputazione di cui godevano molte case di correzione. Locali e dalla diffusa convinzione che un servitore sarebbe uscito solo più malvagio da un periodo trascorso in carcere. Senza dubbio lo scarso prestigio delle prigioni contribuì a incrementare le punizioni private rispetto a quelle ufficiali. Inoltre se si analizza il periodo storico che stava attraversando l'Inghilterra del XVIII secolo, si ritrova un secolo attraversato da guerre, principalmente coloniali, che contribuirono alla rivoluzione industriale, ovvero all'esplosione del lavoro nelle industrie, che consentì un rapido lo sviluppo economico degli stati europei. I nuovi mercati coloniali non costituirono solo una fonte di materie prime, ma anche di manodopera da utilizzare nelle industrie inglesi. La manodopera straniera si prestava ad essere sfruttata, e trattata in modo del tutto estraneo dalla giustizia; questa potrebbe essere un'ulteriore causa dell'aumento della giustizia privata. In contrasto con le punizioni del XVIII secolo si scaglia il movimento illuminista che condanna l'uso della tortura "quale può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i propri simili?" (Beccaria). Gli illuministi cercano di abolire l'uso della tortura come pena e l'idea che il boia sia lo strumento nelle mani di Dio, e lo Stato il vincolo attraverso il quale si garantisce il rispetto della giustizia divina.
1) ALLEGORIA DELLA GIUSTIZIA, 1764, incisione da Antonio Silla. Il diritto di punire, risposta al trattato De' delitti e delle pene, del signor marchese di Beccaria 2) Rielaborazione svedese dell'allegoria della giustizia secondo Beccaria.
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