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Oltre alla pena ed alle misure di sicurezza, dal reato derivano di regola conseguenze di indole civile.
Alcune di queste si desumono da particolari disposizioni del codice civile, come ad esempio, le azioni di indegnità a succedere (art. 463), di revocazione della donazione (art. 801), di annullamento della transazione per falsità di documenti (art. 1973),.
Le conseguenza civili di carattere generale sono disciplinate nel Titolo VII del Libro I del c.p..
Nel c.p. sono contemplati i due gruppi di obbligazioni civili nascenti da reato, e cioè le obbligazioni verso le vittime e le obbligazioni verso lo Stato.
Verso lo Stato l'autore di reato è tenuto al rimborso delle spese per il suo mantenimento negli stabilimenti di pena. Tuttavia l'art. 56 O.P. prevede la remissione di tale debito (e anche quello delle spese per il procedimento) "nei confronti dei condannati e degli internati che versino in disagiate condizioni economiche e si siano distinti per regolare condotta".
E' necessario richiamare brevemente l'art. 198 del nostro codice, per il quale l'estinzione del reato o della pena non comporta l'estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato, data, per l'appunto, la loro natura civile.
Tali obbligazioni, pertanto, continuano a sussistere malgrado l'avvenuta estinzione della punibilità, restando regolata, per quanto concerne la loro cessazione, dalla norma del diritto privato.
A tale regola si sottraggono, ovviamente, le obbligazioni civili per le pene pecuniarie, le quali, avendo carattere sussidiario, non possono permanere una volta che sia caduta l'obbligazione principale.
Nei riguardi delle vittime del reato le obbligazioni di cui si occupa il codice penale sono due: le restituzioni ed il risarcimento del danno.
1 Le obbligazioni verso la vittima del reato
Le obbligazioni a favore della vittima sono le restituzioni ed il risarcimento del danno.
Sulla natura e funzione, privatistica e pubblicistica, del risarcimento del danno, si manifestò tra Scuola Classica e Scuola Positiva una diversità di visioni che dagli albori del diritto romano si è proiettata fino ai giorni nostri.
La Scuola Classica ha fondato la sua corrente di pensiero nella decisa separazione tra reato-pena e danno-risarcimento. Se da un lato il reato è un'offesa agli interessi del collettivo vivere civile, il danno risarcibile è la perdita patrimoniale o la sofferenza subita. Se da un lato la pena è il malum passionis ob malum actionis che retribuisce il reo attraverso la privazione di beni essenziali (vita, libertà, tempo, dignità,.), il risarcimento del danno mira a ripagare il danno subito dalla vittima.
Diversamente dall'azione penale, che è azione pubblica esercitabile solo dallo Stato, l'azione per il risarcimento è meramente privata.
Pena e risarcimento non possono essere correlati in quanto la mera attività risarcitoria non può porsi in sostituzione alla sanzione penale.
Anche nell'ambito del pensiero classico era prevista una "riparazione sussidiaria" del danno, mediante la costituzione di una pubblica cassa formata dai proventi delle pene pecuniarie e destinata ad indennizzare le vittime dei delitti commessi da soggetti insolventi.
Il movimento positivista, dall'altro lato, elaborò la teoria del "risarcimento quale funzione pubblica". La riparazione civile del danno si gioca non solo nell'interesse della parte lesa, ma anche nell'interesse pubblico della difesa sociale preventiva e repressiva contro il delitto delineandosi come strumento per ridurre l'allarme sociale e soddisfare il desiderio di giustizia da parte delle vittime. La riparazione viene intesa, così, come autentica sanzione punitiva, complementare o addirittura, in certi casi, sostitutiva del provvedimento penale.
"Necessaria al pari della sanzione penale, la riparazione deve essere realizzata nell'ambito della sanzione penale e d'ufficio e deve essere assicurata anche in caso di reale o simulata insolvenza mediante la coercizione al lavoro del condannato insolvibile; nonché subordinando la concessione della condanna e della liberazione condizionale e della riabilitazione all'avvenuto adempimento dell'obbligo risarcitorio. Tale teoria improntò il progetto Ferri (art. 90 ss.) e lasciò tracce nel codice processuale penale del 1931, che prescriveva al giudice di condannare l'imputato al risarcimento del danno a favore del danneggiato, pur se non costituito parte civile". [1]
La Scuola Positiva non mancò di prospettare una riparazione pubblica del danno da reato da parte dello Stato.
In certi Stati il risarcimento della vittima è stimolato da misure premiali essendo richiesto per la concessione delle misure condizionali o considerato come attenuante.
I codici del '30 si sono mantenuti ancorati al regime classico della separazione, conservando il carattere pubblicistico della funzione riparatoria.
Il risarcimento, d'altro canto, ha un'indubbia efficacia deterrente e pedagogica.
Relativamente la restituzione, l'art. 185, co 1 c.p. stabilisce che "ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili".
La restituzione è la reintegrazione dello stato di cose preesistenti alla commissione del reato.
Si propone non solo la riconsegna reale o simbolica delle cose mobili sottratte o delle cose immobili di cui si è venuti in possesso, ma, più in generale, il ripristino della situazione ante delictum.
Relativamente il risarcimento del danno, l'art. 185, co 2 c.p. stabilisce che "ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui".
Il risarcimento del danno consiste nella corresponsione di una somma di denaro, equivalente al danno arrecato ad altri o compensatorio di esso e viene messo in atto nei casi in cui la restituzione non sia possibile o non basti a riparare il danno commesso.
L'attuale codice ha esteso l'obbligo del risarcimento nascente da reato anche ai danni non patrimoniali, ampliando così l'area della risarcibilità dei danni provocati con la commissione del reato.
Il danno patrimoniale consiste nella privazione o diminuzione del patrimonio, abbracciando sia il c.d. danno emergente che il c.d. lucro cessante.
Il danno non patrimoniale comprende:
- il c.d. danno morale, che consiste nella sofferenza fisica (sensazione dolorosa) o psichica (afflizione, rammarico, angoscia, ansia, preoccupazione,.) o nel pregiudizio sociale patiti dalla vittima. Esso può essere risarcito con un compenso pecuniario che mira alla soddisfazione che compensi il male sofferto (pretium doloris)
- il c.d. danno alla salute
Quale altra forma di riparazione del danno morale, il codice prevede la pubblicazione della sentenza di condanna. L'art. 186 statuisce, infatti, che "ogni reato obbliga il colpevole alla pubblicazione, a sue spese, della sentenza di condanna, qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato" (per esempio nei casi di calunnia e di diffamazione).
Tale istituto si differenzia dalla pubblicazione di cui all'art. 19 c.p., che rientra nella classe delle pene accessorie, che ha luogo solo nei casi indicati dall'art. 36 c.p. (diversamente l'art. 186 può essere ordinato per qualsiasi reato purché sia derivato un danno morale in tal modo riparabile).
Affine, ma non coincidente al risarcimento del danno non patrimoniale è la riparazione pecuniaria prevista dall'art. 12 della L. 8 febbraio 1948 n. 47, richiesta dalla persona offesa dalla diffamazione oltre al risarcimento del danno, materiale e morale a mezzo stampa.
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