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La vittimologia




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La vittimologia


Le scienze criminologiche, in passato, hanno focalizzato la loro attenzione soprattutto sull'autore del reato relegando ai margini la vittima, nei confronti della quale, solo recentemente, sono state aperte le porte del sapere e della conoscenza.

La vittima oltre ad aver bisogno di sentirsi protetta "dovrebbe poter  rompere il cerchio di silenzio cui la costringe la struttura del processo" , necessita, cioè, dell'attivazione di processi in grado di farle riacquistare sicurezza, sistema infranto con il reato subito, di poter gestire le proprie emozioni e di influire attivamente sulle modalità secondo cui ricevere la riparazione.

Essa può rappresentare una feconda prospettiva per individuare sia la reale responsabilità e la pericolosità di chi delinque, sia i mezzi di prevenzione della vittimizzazione e della recidiva vittimale.

La problematica può essere suddivisa e analizzata per punti [2]:


1 L'interazione tra vittima e reo


E' necessario tener presente che il reato si gioca nell'interazione del rapporto tra vittima e reo. La dicotomia fra criminale e vittima tende a confondere la sua  valenza di fronte a certe tipologie di delinquenza, arrivando a creare effettive equivalenze o alternative fra soggetto attivo e soggetto passivo al punto da lasciare, a volte indebitamente, al caso la decisione sul ruolo del soggetto che oscilla tra l'autore e la vittima. Con l'espressione criminal-vittima si intende, infatti, la predisposizione di un soggetto ad assumere entrambe le connotazioni a seconda delle circostanze.

Ne sono un palese esempio i reati di autogiustizia tra consociati, fra i quali sussistono rapporti illeciti ("rendimento dei conti"), fra gli appartenenti ad una subcultura regolamentata dall'imposizione di determinate azioni criminose (onore tradito, onta subita,..) o, ancora, tra coloro che accettano la violenza tipica dei duellanti.

Dalle vittime reali è, altresì, necessario distinguere le false vittime, simulatrici o immaginarie (per isteria, paranoia, età infantile).


2 Le predisposizioni vittimogene


Il soggetto può diventare vittima o per circostanze del tutto occasionali o fortuite, in quanto non ha avuto alcuna incidenza nella sua scelta come soggetto passivo,  oppure per le c.d. predisposizioni vittimogene, che incidono, più o meno consciamente, sulla sua scelta di giocare il ruolo di vittima, determinando o rafforzando il proposito criminoso o facilitando il passaggio all'atto o l'esecuzione criminosa.

Notevolmente discusse sono state le teorie psicoanalitiche che hanno chiamato in causa le c.d. vittime nate (collezionisti di ingiustizie) caratterizzate da una predisposizione inconscia a soffrire, manifestazione di una latente inclinazione autopunitiva e autodistruttiva. Tendenza, questa, riscontrabile nei masochisti, splenici, affetti da sindrome di Abele (sentimento di colpa derivante dalla consapevolezza di essere stato più favorito dalla sorte). L'importanza degli studi criminologici, in questo campo, attestano l'esistenza di fattori capaci di predisporre determinati soggetti alla vittimizzazione rispetto a certi reati.

Tali predisposizioni possono consistere:

in fattori di natura fisica che possono indebolire il soggetto, come l'età giovanile o senile, il sesso femminile o di natura psichica, che portano il soggetto a provocare o subire aggressioni, come certe deficienze intellettive o volitive, taluni aspetti del carattere (collerico, remissivo, negligente, imprudente), le psicopatie tra cui quelle sessuali (specie masochistiche), le psicosi maniaco-depressive, schizofreniche e tossiche;

in fattori socio-ambientali predisponenti l'individuo al ruolo di vittima, come ad esempio chi viola le leggi della subcultura di appartenenza o si trova in posizione di estraneità;

in posizioni personali di natura, per esempio, professionale (poliziotti, prostitute, portavalori,..) o economica (banche, persone ricche,..);

in preesistenti rapporti leciti o illeciti intercorrenti fra autore e vittima;

in una condotta di vita antisociale ;

in una condotta antecedente della vittima, che può incidere sulla determinazione al delitto, quali il consenso, la sollecitazione, l'agevolazione  inconscia, l'agevolazione colposa,..;


3 Le vittime fungibili e le vittime infungibili


Circa i meccanismi d'incontro fra reo e vittima, fondamentale è la distinzione fra vittime fungibili e vittime infungibili. Le prime assumono il ruolo di vittime al di fuori di una qualsiasi relazione con l'agente e si discostano dall'aver favorito, in qualche modo, l'azione criminale e sono, perciò, "vittime accidentali". Le vittime diventano, invece, infungibili per una precisa relazione intercorrente con l'agente o per il determinante influsso esercitato dalla loro qualità o dal loro agire sul medesimo. E sono, pertanto, "vittime partecipanti", quali le vittime per imprudenza (per esempio nella circolazione stradale), volontarie (per esempio nell'omicidio consensuale), alternative (per esempio nei reati reciproci del duello, nella rissa), provocatrici.

La provocazione si configura come comportamento giuridicamente o eticamente ingiusto posto in essere dalla vittima nei confronti dell'autore del reato  e che ha determinato, come reazione, l'azione delittuosa.


4 I postulati della vittimologia


La prima legge della vittimologia enuncia la proporzionalità diretta tra la possibilità di vittimizzazione di un soggetto e la sua infungibilità; da qui il proposito di ampliare l'opera di prevenzione, da sempre concentrata sull'autore di reato, anche alla vittima.

La seconda legge pone in rapporto di diretta proporzionalità la pericolosità del reo con la fungibilità della vittima: cresce col decrescere dell'importanza della personalità individuale della vittima nella determinazione del crimine.

Nei reati a vittima personalizzata la pericolosità si esaurisce nel circoscritto ambito del rapporto intersubiettivo con altra specifica persona. Ne sono un esempio i casi in cui l'autore sia determinato al delitto per istigazione o consenso della vittima (per esempio nell'eutanasia) o da una sua provocazione (per esempio nell'omicidio per causa honoris) o dalle preesistenti relazioni tra autore e vittima (maltrattamenti, uxoricidio per gelosia infondata).

Nei reati a vittima impersonale, la pericolosità assume una dimensione inglobante non un soggetto determinato ma un soggetto concepito come strumento e designato come potenziale vittima per ciò che rappresenta. Il fine utilitaristico caratterizza la più pericolosa delinquenza contro la libertà sessuale e contro il patrimonio e la violenza a scopo di lucro che spesso considera il soggetto passivo, specie se ricco, l'oggetto di una piccola guerra privata.

Il più alto grado di pericolosità è raggiunto dalla c.d. delinquenza politica a vittima  indiscriminata o più comunemente chiamata terrorismo. La qualità vittimologica non ha alcun rilievo per l'autore che, pertanto, la rimette al caso. Conseguentemente, le vittime sono estranee al circuito eversivo nel quale sono state coinvolte.

La vittimologia dovrebbe considerare, oltre all'adempienza degli artt. 133/2 e 203 c.p. per l'accertamento della capacità a delinquere e della pericolosità sociale, il ruolo della vittima nelle motivazioni che stanno alla base della commissione di un illecito penale.


5 L'induzione criminale


Nella determinazione della rilevanza criminologica del soggetto passivo viene indicata la induzione criminale, la istigazione, cioè, ai delitti di reazione.

Il principio di azione-reazione newtoniano si estende anche in ambito penale: la vittima, i familiari, gli appartenenti al gruppo, possono essere portati alla commissione di ulteriori delitti in reazione a quelli subiti (esempi, per antonomasia, sono le vendette e le faide).

Il pericolo dei delitti di reazione è inversamente proporzionale all'efficienza statale nel fermo dei colpevoli e nella repressione del crimine, come insegna la eloquente storia dell'autogiustizia e del linciaggio. 





MANNOZZI, La giustizia senza ., cit. pag.55.

MANTOVANI, Diritto penale,..pag. 243 ss.

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