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Al 31 dicembre 2003 erano detenute nelle carceri italiane 54.237 persone.
Per quanto riguarda la posizione giuridica della popolazione detenuta:
i condannati definitivi, ovvero quei soggetti nei confronti dei quali è intervenuta la sentenza di condanna definitiva costituivano il 61% della popolazione detenuta;
gli internati, ovvero i soggetti sottoposti a misura di sicurezza, costituivano il 2%;
il restante 37% era costituito da imputati, soggetti privati della libertà e non ancora raggiunti da sentenza definitiva di condanna, in attesa quindi di giudizio. Nel dettaglio, gli imputati erano così suddivisi:
i giudicabili, ovvero quei soggetti sottoposti a custodia cautelare dal momento dell'arresto alla sentenza di primo grado, ricorrevano nella misura del 57.2%;
i ricorrenti in cassazione, ovvero quei soggetti nei cui confronti è stata emesso una sentenza di condanna in grado di appello gravata di ricorso per cassazione, erano il 13.3%;
gli appellanti, ovvero quei soggetti nei confronti dei quali è stata emessa una sentenza di condanna di 1° grado, rappresentavano il 29.5% della popolazione carceraria.
Relativamente alla tipologia dei reati[2] ascritti alla popolazione detenuta, la rilevazione prende in esame i singoli reati e non i soggetti che li hanno commessi. Quindi, nel caso in cui l'individuo abbia commesso più di un reato, egli viene conteggiato più volte. Il totale riportato sarà perciò il numero dei reati ascritti alla popolazione detenuta e non il numero dei detenuti presenti alla data del rilevamento.
La principale ragione di detenzione risulta essere le violazione delle norme contro il patrimonio, incidente nella misura del 30.7%; seguono le violazioni della legge sulle armi e delle norme del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti[3]. I reati contro la persona rappresentano la quarta causa di detenzione con un 14.7%, mentre i reati contro la fede pubblica, contro la P.A. e contro l'amministrazione della giustizia raccolgono il 10.5% delle infrazioni. Infine il reato di associazione di stampo mafioso rappresenta il 2.6% del totale dei reati commessi.
Gli ingressi dalla libertà nell'anno 2003 sono stati 81.790, di cui il 39% circa è costituito da stranieri. È da specificare che l'unità di rilevazione è costituita dal singolo ingresso e non dal soggetto: nel caso in cui, quindi, un individuo entrerà ripetutamente nel circuito penitenziario, verrà contato per il numero dei suoi ingressi.
Per quanto concerne la durata della pena inflitta, si considerano solo le pene inflitte con condanna definitiva: i detenuti che devono scontare dai tre ai sei anni sono la maggioranza, insieme ai soggetti che devono scontare pene inferiori ai tre anni[4]; seguono poi le pene da sei a dieci anni, nella misura del 17%; ergastolani e condannati a pene superiori ai venti anni ricorrono nella misura del 10%.
In conclusione, dopo aver analizzato le variabili giuridiche dei detenuti italiani, si può concludere che la caratteristica tipica del sistema penale italiano è la grande incidenza della detenzione in attesa del processo. Si può dire inoltre che tali caratteristiche riflettono abbastanza fedelmente alcune caratteristiche proprie del nostro sistema di giustizia penale, quali ad esempio la lunghezza dei suoi procedimenti - dalla enorme incidenza dei detenuti in attesa di giudizio sul complesso della popolazione detenuta - e l'ancora scarso affidamento delle alternative alla detenzione, testimoniato da quella maggioranza di potenziali beneficiari che riempiono le carceri italiane.
Operatori ed osservatori ricorrono alla definizione di discarica sociale, in riferimento alla composizione della popolazione detenuta nel carcere italiano[5]; ciò andando oltre le classificazioni note e visibili - quali tossicodipendenza ed immigrazione - e muovendo invece dall'osservazione dell'estrazione sociale, dei percorsi formativi, delle esperienze professionali: analizzando, insomma, il grado di inserimento sociale predetentivo.
Sul fronte dell'istruzione il 7.7% dei detenuti era analfabeta o non in possesso di titolo; il 27.8% risulta in possesso di licenza elementare, la maggioranza[6] possiede il solo diploma di licenza media inferiore, il 3.6% di qualifica professionale, mentre diplomati e laureati incidono nella misura del 5%.
Sul versante lavorativo i detenuti occupati prima dell'arresto si equivalevano in percentuale con i disoccupati[7], mentre circa 1.405 detenuti erano in cerca di prima occupazione. Del restante 43.2% - tranne le casalinghe (350), gli studenti (452), i ritirati dal lavoro (328), altra condizione e i militari di leva (9) - non si ha alcuna notizia relativa all'inserimento nel mercato del lavoro.
Per quanto riguarda la zona geografica di nascita, circa un terzo dei detenuti è nato all'estero. Di questo tipo di detenzione si parlerà comunque oltre[8].
Relativamente alla distribuzione per fasce d'età della popolazione detenuta, agli anziani continuano ad essere preferiti i giovani. I giovani adulti, detenuti tra i 18 e i 21 anni, rappresentano circa il 2.4% del totale. Tra i 21 e i 29 anni vi rientra il 25.5% della popolazione, mentre la fascia di età compresa tra i 30 e i 39 anni occupa il 37% del totale. La curva comincia a decrescere con la fascia dei quarantenni (22%), mentre il 13% è costituito soggetti che hanno più di 49 anni.
L'incidenza dei detenuti tossicodipendenti è del 27.7% sul totale dei detenuti, di cui 1.860 sono in terapia con il metadone, mentre i detenuti alcooldipendenti, al dicembre del 2003 risultano essere invece 1.157, pari al 2.2% della popolazione carceraria.
Per quanto riguarda i sieropositivi, bisogna specificare che, poiché il test è volontario, il numero degli affetti da HIV potrebbe risultare sottostimato. Se ci si attiene ai dati disponibili, i portatori del virus rappresentano il 2.5%, di cui il 63% non manifesta i sintomi della malattia[9].
Per quanto riguarda lo stato civile, la maggior parte dei detenuti (56.8%) è celibe o nubile, contro i 34.1% dei coniugati: il restante 9.1% è vedovo, separato o divorziato.
Rappresentano il 4.6% della popolazione detenuta, il 42% circa delle quali è costituito da straniere.
Sono suddivise in 8 istituti e 52 sezioni femminili all'interno di carceri maschili[10].
La tipologia dei reati commessi dalle donne si ravvisa per la stragrande maggioranza delle detenute nella violazione delle leggi sulla droga e nei reati contro il patrimonio[11]; negli ultimi anni inoltre si è aggiunto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Pur non essendo incriminabile lo status di prostituta, sono stati raccolti sotto la voce prostituzione reati legati a tale condizione, come oltraggio, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, violazione del foglio di via, atti osceni, rissa, e così via . Per reati connessi al vagabondaggio sono invece spesso incarcerate le donne rom.
Quanto finora detto è indicativo della marginalità - principale causa della recidiva - nella quali le donne vivevano in stato di predetenzione: le donne detenute infatti entrano in carcere per brevi - tendenzialmente, infatti, la popolazione femminile detenuta è condannata a pene non molto lunghe - ma ripetute permanenze[13].
Per quanto riguarda la condizione delle detenuti madri, gli Stati europei sono invitati[14] a "sviluppare ed usare pene alternative al carcere per le donne con figli piccoli", e di utilizzare la pena detentiva di donne incinte o con figli piccoli "quale ultima risorsa per coloro le quali sono accusate di gravi reati e che rappresentano un pericolo per la comunità" . Ciò per i provati effetti nocivi che la detenzione delle madri causa ai figli. Per quanto riguarda l'Italia, attualmente sono circa 50 i bambini rinchiusi in carcere con la propria madre, in quanto l'ordinamento penitenziario stabilisce che la madre detenuta può tenere presso di sé i figli fino all'età di tre anni ; ammesso che nel carcere o nella sezione ci sia l'asilo nido, però, spesso non è disponibile un numero sufficiente di agenti di polizia per tenerlo aperto e poterne usufruire. In ogni caso all'interno di esso gli standard di igiene sono molto bassi e la privacy è del tutto assente . Molti gli effetti patologici che l'ambiente del carcere provoca sui bambini: irrequietezza, crisi di pianto frequenti e immotivate; problemi del sonno, in quanto sono sottoposti a bruschi risvegli; disturbi alimentari; peggioramento dello sviluppo motorio e cognitivo, poichè l'ambiente carcerario limita l'esplorazione e l'esercizio, e perché appena i bambini iniziano a camminare sono costretti a stare molto tempo sui seggioloni. Intuibili i danni emozionali e relazionali.
"Il bambino vive una condizione che non è di normalità, mancano figure di riferimento maschili", spiga la direttrice di un carcere femminile[18], "e poi manca il contesto del gioco con i coetanei. Questo non può non influire: la madre ha un attaccamento molto forte con il bambino, anche perché probabilmente rappresenta il legame con l'esterno; il bambino anche ha un attaccamento eccessivamente forte anche perché in questo momento ha bisogno di un sentimento di sicurezza maggiore, perché percepisce che non è in una condizione di normalità".
Le strutture attraverso le quali transitano i minori colpevoli di reato sono essenzialmente i centri di prima accoglienza (c.p.a.)[19], gli istituti penali per minorenni (i.p.m.) , gli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni ( U.S.S.M.) , le comunità . Dal 1977, infatti, la politica penale per i minori tende ad utilizzare il carcere come ultima risorsa solo per i comportamenti più gravi, quando non risultano sufficienti altri strumenti di controllo sociale, mentre dal 1988 vengono abolite le case di rieducazione, i gabinetti e gli istituti medico psico-pedagogici, i pensionati giovanili, le scuole e i laboratori speciali - strutture, cioè, ispirate al modello degli istituti correzionali - cercando di privilegiare invece strutture di piccole dimensioni inserite nel territorio, quali le case famiglia.
Gli attuali indirizzi politica penale e processuale, inoltre, cercano di evitare al minore l'ingresso nel sistema detentivo, fonte di stigmatizzazione e frequente iniziazione a carriere criminali[24]; l'intervento penale nei confronti della delinquenza minorile, dunque, si ispira ai principi di decarcerizazione e di depenalizazione. Ad esempio, in caso di tenuità e occasionalità del fatto si applica il non luogo a procedere se la mediazione attivata dal pubblico ministero in fase pre-processuale ha esito positivo , ma anche la messa alla prova, misura che in Italia per gli adulti è applicata solo in fase di esecuzione, come visto in precedenza, mentre per i minori si può applicare anche in fase di sentenza. Si utilizza spesso il sistema della mediazione penale, tecnica di gestione dei conflitti - in Italia usato solo nell'ambito della giustizia minorile - mediante l'intervento di un terzo neutrale, che attraverso incontri e scambi tra le parti aiuta a trovare una soluzione.
Quanto detto finora mette in evidenza come la detenzione sia impostata secondo il principio del massimo riduttivismo carcerario, mentre la pena - la quale ha finalità prevalentemente rieducativa - è estremamente individualizzata e viene scelta tra i vari modelli dal magistrato in base alle necessità del minore[26].
Per quanto riguarda le caratteristiche socio-demografiche dei minori, la maggioranza è di sesso maschile, mentre relativamente all'età si nota la preponderanza di soggetti di età compresa tra i sedici e i diciassette anni[27]. Si nota tuttavia una forte presenza di minori non imputabili, costituito soprattutto da stranieri spesso senza documenti di identità - per i quali l'età viene stabilità solo dopo un esame radiografico disposto dal giudice - e da bambine.
Passando a esaminare la tipologia dei reati commessa più frequentemente, si nota la prevalenza di reati contro il patrimonio - soprattutto scippi, furti, borseggi e rapine - seguiti da violazioni delle leggi in materia di stupefacenti[28]; quest'ultimo è un fenomeno in crescita, in quanto le associazioni mafiose coinvolgono ragazzi giovanissimi nel ruolo di corrieri, sfruttandone la non imputabilità . Il ragazzo minore di 14 anni non può infatti essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato, perché è considerato incapace di intendere e di volere : solo se egli è considerato pericoloso, può essere sottoposto a misure di sicurezza. Il minore di età compresa tra i 14 e i 18 anni, invece, può essere punito ma solo dopo che, con ogni mezzo di prova, sia accertata la sua capacità di intendere e di volere .
Quella dei ragazzi della mafia e della camorra è una tematica per certi aspetti nuova e comunque in evoluzione, la quale crea nuovi interrogativi: sulla valenza di un eventuale trattamento risocializzativo, sul pericolo che l'esperienza carceraria costituisca un rinforzo positivo alla loro identità deviante - quasi una sorta di promozione sociale nella loro società - , o comunque che vadano a rappresentare un focolaio di mala per altri detenuti minori. Bisogna tuttavia operare una distinzione tra i minori coinvolti nella mala, in quanto, a seconda della vicinanza con le famiglie, essi hanno una diversa probabilità di entrare in carcere e di essere difesi, e diverse modalità nella creazione dei legami con i coetanei: per forza di cose anche un eventuale trattamento correzionale sortirà effetti diversi[32]. Le situazione nelle parole di un operatore : "Quelli che sono inseriti nei circuiti criminali dello spaccio vengono finanziati dall'organizzazione, che si preoccupa di mandare loro soldini. Gli altri, invece . povera gente che vive con i sussidi che diamo noi dei laboratori e delle scuole. E poi fuori trovano altre situazioni, ritornano nello tesso tessuto sociale da dove provengono, stesse amicizie, gli stessi fattacci, gli stessi incontri, le stesse famiglie scassate, e quindi poi quello che si fa qua non serve a niente. Ma anche questi che adesso si stanno adoperando a fare il cavalluccio, per fare il manufatto, quando escono, ma quale artigiano se lo prende? O quale impresa si prende un delinquente quando c'è tanta gente per bene senza fare niente?".
L'affermazione di un minore straniero detenuto rende in poche parole l'idea di questo destino: "E quindi mi arrestavano, esco, dopo un a settimana sto un mese in carcere, dieci giorni, una settimana . e poi esco, vado di nuovo, mi prendono . è la vita, così[34]".
Tra i reati contro la persona, a carico soprattutto dell'utenza italiana, si nota che diminuiscono gli omicidi[35], le sevizie e gli stupri di gruppo.
Relativamente alle caratteristiche giudiziarie, si nota che i condannati definitivi rappresentano il 37% del totale, l'89% dei minori fa ingresso nelle strutture un sola volta, mentre il restante 11% - composto in larga parte da stranieri e nomadi - vi transita più volte.
Per quanto riguarda la zona di provenienza, infine, si nota che il 57% del totale dei minori è costituito da stranieri e nomadi, il 33% dei quali di sesso femminile[36]. Nello specifico, l'utenza straniera è costituita in larga parte da soggetti provenienti dall'Est europeo - ivi inclusi i nomadi - e dal nord Africa - soprattutto Marocchini - i quali, rispetto agli Italiani, hanno età inferiore. I rei minori stranieri sono in maggioranza negli istituti del nord e del centro Italia, mentre negli istituti del sud c'è una netta prevalenza di soggetti italiani.
Secondo il Rapporto CENSIS 2001, tuttavia - guardando ai dati relativi ai ragazzi denunciati alle forze dell'ordine e alle procure in Italia negli ultimi dieci anni - la delinquenza minorile è in calo.
STRANIERI
Come già detto, gli stranieri costituiscono circa il 33 % della popolazione detenuta. Nello specifico, il 50.1% della popolazione carceraria straniera è costituito da Africani, con una prevalenza di Magrebini: Marocchini (21.9%), Tunisini (11.6%) e Algerini (7.8%), mentre sul versante dell'Europa dell'est gli Albanesi, con il 16.1%, Rumeni e cittadini della ex Jugoslavia (entrambi con il 7.2%) risultano essere in maggioranza. Poco incisiva la presenza di Asiatici (4.3% sul totale), mentre per quanto riguarda gli originari del continente americano, rilevante è la presenza di centro e sud americani, che rappresentano il 7.6% delle popolazione detenuta straniera. Si può quindi vedere come la stragrande maggioranza dei detenuti provenga da aree socio-economicamente svantaggiate e che molto spesso in Italia non riesce a regolarizzare la propria posizione - non può quindi beneficiare dei servizi sociali, sanitari, scolastici e previdenziali - e ad inserirsi in un circuito lavorativo legale: quasi scontata la formazione di una larga sacca di criminalità derivante da questo nuovo tipo di emarginazione sociale.
I reati più frequentemente ascritti agli stranieri, rispetto agli italiani, sono quelli relativi alla violazione delle normativa sugli stupefacenti, seguiti poi dai reati connessi alla prostituzione ed alla violazione delle leggi sull'immigrazione. Significativa inoltre la quota di reati contro il patrimonio, soprattutto furti. È stato fatto notare[37], tuttavia, che a volte un atto previsto reato dalla nostra legge, non lo sia poi per un'altra cultura o etnia: ad esempio la religione islamica e il diritto coranico non vietano l'assunzione di droghe leggere, mentre per i nomadi la sottrazione di beni a soggetti non appartenenti alla tribù non è motivo di condanna morale. Ovvie le implicazioni che ne scaturiscono: quale efficacia avrà per questi soggetti un trattamento risocializzativo?
È anche vero, tuttavia, che le garanzie degli stranieri in sede processuale risultano essere meno tutelate: per la minor possibilità di nominare un difensore di fiducia, per le ovvie difficoltà linguistiche[38], per la scarsa conoscenza del sistema giuridico italiano e per la minor attenzione prestata da quest'ultimo nei confronti dei soggetti più marginali. In fase esecutiva, inoltre, quest'utenza raramente può usufruire delle misure alternative, in quanto la maggior parte di questi detenuti versa in condizioni di irregolarità e non può garantirsi, dunque, un domicilio ed un lavoro certificati. "Il carcere è veramente in questo caso lo specchio della società: esso ci permette di leggere in forma macroscopica fenomeni di discriminazione e sanzione verso il diverso, che nella società fanno ormai parte di un comportamento quotidiano che potrebbe essere definito come razzismo strutturale ".
La legge di riforma tutela comunque questo tipo di detenzione, in virtù del rispetto dei principi fondamentali sanciti dalla costituzione ed alla tutela dei diritti della persona. Viene dunque tutelata l'identità nazionale e culturale, in quanto il trattamento penitenziario è caratterizzato da imparzialità, ma risponde comunque a criteri di individualizzazione.
In carcere è anche disposta la tutela dell'identità religiosa[40]: le direzioni degli istituti penitenziari, pertanto, favoriscono le pratiche religiose inerenti a culti diversi da quello cattolico e si impegnano a rimuovere eventuali ostacoli all'esercizio di tale diritto , sia in forma individuale che associata. C'è la possibilità per i detenuti che professano un religione diversa da quella cattolica di riconoscere o nominare un rappresentante qualificato, il quale potrà organizzare i servizi e le attività religiose ed effettuare visite pastorali ai detenuti della sua religione. Generalmente i detenuti vengono raggruppati per nazionalità, lingua o religione, per evitarne l'isolamento all'interno del carcere.
Viene inoltre tutelato il diritto al lavoro extramurale, nell'ambito della concessione delle misure alternative alla detenzione, del quale si può fruire anche senza permesso di soggiorno, purché la direzione dell'istituto rilasci un atto attestante lo stato detentivo, considerato alla stregua di un soggiorno obbligato. Solitamente, una volta scontata la pena, si procede all'espulsione del detenuto straniero. L'espulsione è considerata in genere una misura di sicurezza, qualora il giudice abbia riconosciuto il reo come socialmente pericoloso: essa è dunque una pena accessoria di quella alla detenzione, che può però essere revocata per buona condotta[42]. L'espulsione, però, può essere decretata anche per altri motivi: come sanzione alternativa a condanne inferiori ai due anni, e come sanzione amministrativa; in seguito a condanne per delitti contro la personalità dello Stato - come i reati di terrorismo - .
Tuttavia vi è anche la possibilità, per i detenuti stranieri che ne facciano richiesta, di chiedere trasferimento e scontare la condanna nel proprio paese[43]. Generalmente, però, non si usufruisce di tale opportunità, in quanto, come si vedrà nel capitolo 3, il ritorno in patria in regime di detenzione costituisce in larga parte un evento estremamente mortificante, senza contare che le condizioni di detenzione in molti Paesi sono pessime. Generalmente si avvalgono di tale misura solo i delinquenti più pericolosi, quelli legati alle organizzazioni criminali, in quanto, per gli appartenenti alla microcriminalità - autori di reati dettati più dalle condizioni di indigenza ed esclusione sociale che da altro - "la prospettiva di un ritorno alle miserrime condizioni di vita alle quali hanno tentativo di sottrarsi, costituisce certamente una remora al definitivo abbandono del nostro Paese" .
TOSSICODIPENDENTI E SIEROPOSITIVI
Per quanto riguarda i detenuti tossicodipendenti, bisogna distinguere tra coloro che sono stati condannati per reati connessi alla criminalità diretta da quelli connessi alla criminalità indiretta: la prima comprende tutti quei reati commessi sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, mentre nella seconda rientrano quei delitti commessi con la finalità di procurarsi denaro per acquistare tali sostanze[45]. Entrambe sono la causa dell'alto numero di detenuti tossicodipendenti nelle carceri italiane. La diversa reazione sociale a questo fenomeno ha comunque portato nel corso degli anni al mutare delle risposte normative.
Nell'intenzione del legislatore del 1975, ma ancor più di quello del 1990, il carcere deve costituire per il tossicodipendente un incentivo al cambiamento del proprio stile di vita. Viene dunque disposto[46] un percorso trattamentale a prescindere dal consenso del detenuto, attraverso l'istituto della custodia attenuata, circuito penitenziario speciale, all'interno delle comuni strutture penitenziarie, nel quale inserire i detenuti con problemi di tossicodipendenza: tali istituti sono concepiti in maniera più aperta, custodialmente parlando, rispetto al carcere tradizionale, sono più integrati nel territorio. L'idea è che le normali condizioni detentive possano andare a peggiorare le condizioni psicologiche e sociali, oltre a quelle fisiche, dei detenuti tossicodipendenti; si vuole inoltre assicurare loro un regime differenziato in senso positivo , ed evitare il contatto di questi ultimi con gli autori di altri reati, in quanto oltre che garantire la tutela della loro incolumità , eviterebbe la diffusione delle sostanze stupefacenti.
Tali istituto prevede dunque la fruizione di spazi per le varie attività di gruppo e per l'attività lavorativa, ma anche alcuni accorgimenti per valorizzare il programma trattamentale, come l'uso di celle singole, la cucina comune autogestita, un diverso arredamento delle sale per i colloqui. Fin troppo ovvia l'impossibilità di mettere in pratica ovunque questi propositi, a causa del sovraffollamento e delle carenza delle strutture.
Tuttavia non tutti i detenuti tossicodipendenti sono ammessi alla custodia attenuata: vengono privilegiati i soggetti minori di venticinque anni, già condannati o comunque alla loro prima esperienza detentiva, non molto pericolosi socialmente e più sensibili al trattamento di recupero. Il giudizio di idoneità è formulato dal direttore dell'istituto, previa osservazione dell'equipe trattamentale. Il detenuto dovrà poi accettare il programma terapeutico individuale e di gruppo.
Per quanto riguarda il trattamento penitenziario del detenuto tossicodipendente, inoltre, giocano un ruolo di spicco le misure alternative alla detenzione, in quanto rendono più umana la pena, preparano i detenuti ad un reinserimento nella società libera, permettono di conservare i rapporti con la famiglia e con la comunità di appartenenza. Ovviamente tutto ciò comporta dei rischi: innanzi tutto il pericolo che, ritornando a contatto con il suo ambiente, il tossicodipendente ritrovi le stesse situazioni che hanno portato alla commissione dei suoi crimini, e torni dunque a ad usare sostanze stupefacenti e a delinquere. C'è inoltre la possibilità non remota che il detenuto spacciatore - poniamo in regime di semidetenzione, semilibertà o in permesso premio - possa fungere da ponte tra detenuti e comunità esterna[49].
In riferimento invece ai detenuti sieropositivi, bisogna dire che molti contraggono il virus dell' HIV proprio in carcere, a causa soprattutto dello scambio di siringhe infette o di loro surrogati, ma anche della promiscuità che comporta inevitabilmente l'uso comune di molti oggetti, tra i quali i sevizi igienici. Il carcere poi contribuisce ad abbassare le difese immunitarie di tali soggetti, aggravando così le loro condizioni di salute: si tende comunque a concedere ai soggetti affetti da HIV conclamato la misura alternativa della detenzione domiciliare, in quanto sussiste "uno stato di salute incompatibile con il carcere"[50]. Solitamente questi soggetti sono raggruppati, per prevenire disordini all'interno dell'istituto, incentivando così ulteriori ghettizzazioni tra i detenuti stessi.
Le categorie in base alle quali sono stati raggruppati i singoli reati sono state desunte dal codice penale.
Tale dispersione delle detenute in piccole sezioni loro destinate, è uno dei principali problemi legati alle condizioni di detenzione femminile. Si auspica quindi l'eliminazione di tali sezioni, poiché essendo numericamente inferiori, esse corrono il rischio di essere trascurate, oltre che essere automaticamente escluse, a causa delle piccole dimensioni, dalla realizzazione di progetti relativi e corsi scolastici e professionali, o progetti comunque mirati a specificità femminili.
Generalmente le detenute straniere che violano la normativa sugli stupefacenti non sono, a differenza delle italiane, tossicodipendenti: esse sono accusate per lo più di spaccio e detenzione. Sull'argomento anche F. FACCIOLI, Le donne in carcere: la composizione sociale, i reati, le pene, in AA. VV., Donne in carcere, Milano, 1992.
Solitamente tali reati vengono commessi dalle immigrate africane, dell'Europa dell'Est e dei paesi balcanici.
Raccomandazione n. 1469 del 2000 dell'Assemblea parlamentare del Comitato per gli Affari Sociali, la Salute e la Famiglia, del Consiglio d'Europa, riguardante "Madri e bambini in carcere".
In Italia ciò si è attuato mediante l'introduzione degli istituti della detenzione domiciliare, di cui all'art. 47-ter della legge di riforma, e dell'assistenza all'esterno dei figli minori, di cui all'art. 21-bis della medesima legge.
Ospitano anche e soprattutto i detenuti cosiddetti giovani adulti, ovvero soggetti maggiorenni che hanno commesso il reato da minori e che sono seguiti dai servizi minorili fino al compimento dei ventuno anni di età; vi sono inoltre ospitati minori in custodia cautelare.
Ai quali vengono segnalati i minori dall'Autorità Giudiziaria, sono utilizzati soprattutto per gli istituti della sospensione del processo e della messa alla prova, oltre che per le sanzioni sostitutive delle pene brevi, quali la semilibertà. Proprio per tale caratteristica, essi comportano particolare investimento di risorse ed energie più di altri, e comunque non possono prescindere dal coinvolgimento cosciente dei minori interessati.
Strutture dalle dimensioni strutturali e organizzative connotate da forte apertura al contesto ambientale, usate soprattutto per l'esecuzione della messa alla prova e delle misure cautelari non detentive e del riformatorio giudiziario; possono essere comunità dell'amministrazione della giustizia o comunità private - associazioni e cooperative - con le quali vengono stipulate convenzioni al fine di aumentare la possibilità di accesso dei minori a questo tipo di struttura. Trattandosi di strutture a carattere non restrittivo, si connotano per un elevato tasso di allontanamento arbitrario, ad opera soprattutto di nomadi e stranieri.
G. PONTI, op. cit., 1999. Sull'argomento cfr. anche F. PALOMBA, Il sistema del nuovo processo penale minorile: aspetti giuridici, psicologici e criminologici, Milano, 1989.
Interessanti considerazioni da F. FITTIPALDI, Il regime differenziato del procedimento esecutivo minorile, Tesi di Laurea in Diritto dell'esecuzione penale Università degli Studi di Salerno Facoltà di Giurisprudenza, A. A. 1999 - 2000, in Diritto & Diritti, rivista giuridica elettronica pubblicata su internet all'indirizzo https://www.diritto.it, marzo 2001.
Intervistato dallo speciale del TG1 "Voci di dentro. I penitenziari dopo la legge sfollacarceri", andato in onda il 30 novembre 2003.
Durante gli interrogatori ed il processo, una larga fetta di imputati non ha potuto usufruire dell'interprete.
D. PADOVAN, "L'immigrato, lo straniero, il carcere: il nuovo razzismo nelle cittadelle occidentali", Dei delitti e delle pene, 1, 1993.
Non possono comunque essere espulsi i minorenni, le donne incinte e quelle che hanno da poco partorito; gli stranieri sposati con italiani, o conviventi con parenti di nazionalità italiana, e tutti quegli stranieri che corrono il rischio di essere perseguitati nei paesi di provenienza per motivi razziali, politici, religiosi.
Perché il trasferimento possa avvenire è necessario che la sentenza sia definitiva; che la pena da scontare sia superiore ai sei mesi; che il fatto per il quale sia stato condannato costituisca reato anche per la legge dello stato in cui chiedi di essere trasferito; che l'Italia e il paese dove chieda di essere trasferito siano d'accordo sul trasferimento. La condanna ricevuta in Italia sarà poi convertita in una condanna prevista dal codice penale dello stato di destinazione per lo stesso tipo di reato, ma mai aumentata, e il periodo trascorso nelle carceri italiane sarà detratto per intero dalla condanna che sarà assegnata. L'estradizione non può comunque avere luogo se la legge dello Stato richiedente prevede la condanna a morte per il reato oggetto della richiesta, o se il soggetto è già condannato a morte nello stato richiedente.
Sugli aspetti clinici e sulle valenze criminogene e vittimogene delle sostanze psicotrope, cfr. anche F. CARRIERI, C. SERRA, Tossicodipendenza e criminalità, Bari, 1997; G. PONTI, op. cit., 1999.
Consistente in interventi di urgenza per il controllo della dipendenza, e di sostegno psicologico e socio-pedagogico per il sostegno delle motivazioni. La cura e la riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti è affidata, dall'art. 96 del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, anche alle ASL. Si può vedere dunque nell'intenzione del legislatore, una concezione del carcere come parte integrante della società libera.
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