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Categorie fluide nel mondo sociale- Norme e valori- Devianza e normalità - Le teorie sulla devianza
In questo capitolo tratteremo di alcuni aspetti della devianza quale fenomeno trasversale, e vedremo come, le varie teorie interpretative del fenomeno deviante, contribuiscano a definire un quadro variegato delle dinamiche dei comportamenti di conformità e di devianza.
Avendo rilevato la trasversalità del fenomeno deviante, pare opportuna una riflessione sul concetto di categoria sociale[1].
Quando ci si riferisce a una persona particolare, includerla in una determinata categoria equivale a formulare una ipotesi personale sul suo conto, in base ad alcuni attributi rilevati in quella persona. Il processo di categorizzazione spesso genera la tendenza a cercare solo gli elementi - attributi - in grado di confermare le nostre aspettative, la nostra ipotesi.[2]
Questa ipotesi ci farà da guida, pur restando in una sorta di limbo cognitivo, dove ognuno esercita la facoltà di operare un costante feedback sugli attributi medesimi . Tuttavia, allo scopo di non rinunciare a una guida, che consenta di orientarsi sulla scorta di elementi permanenti, nell'opera di categorizzazione, invece di basarsi su rigide modalità di inclusione - del tutto o niente - si potrebbe assumere come riferimento una struttura fluida, sfumata, organizzata attorno a un elemento centrale, un prototipo che rappresenti la categoria meglio di altri .
In base alla teoria della prototipicità, infatti, l'inclusione di un nuovo esemplare nella categoria avverrebbe in maniera probabilistica, in attesa di conferme e smentite che derivano da una azione di feedback. Goffman conferma le dinamiche di feedback quando afferma che "siamo stati proprio noi ad attribuire quei requisiti", quegli attributi, con una sorta di beneficio di inventario, poiché "non siamo coscienti della loro natura finché non siamo costretti a decidere se corrispondono o no alla realtà".
Decidere l'inclusione o l'esclusione di un individuo in una categoria, non si presenta in questo caso come un compito meramente cognitivo, di organizzazione e classificazione delle informazioni disponibili. Per dirla con Goffman l'identità sociale attuale della persona è la categoria a cui possiamo dimostrare che appartiene e gli attributi che è legittimo assegnargli".
L'inclusione di un dato elemento in una categoria, equivale a un riconoscimento di identità sociale. E' un'operazione che richiede delle prese di posizione su che cosa sia la realtà: singoli e gruppi contrattano, a volte ingaggiando una vera e propria lotta per il riconoscimento sociale della propria identità e dei propri valori[5].
Abbiamo visto quale importanza abbia, ai fini dell'assegnazione di una identità sociale l'individuazione di un certo numero di attributi riconoscibili nell'interazione sociale. Ma come fare a orientarsi in questo processo di assegnazione, stante la velocità quasi "futuristica" entro cui solo collocate le relazioni sociali non ancora post industriali? La mutevolezza delle maschere indossate dagli attori sulla scena sociale, non agevola l'individuazione di certi attributi.
In tal senso, si trova conferma nelle riflessioni di Meyrowitz, quando parla del disorientamento prodotto nelle relazioni sociali, a opera del continuo passaggio di ruoli, a cui è soggetto ogni individuo, nel rappresentare scena e retroscena . Qui risultano sfuggenti le caratteristiche di individui che si producono in rappresentazioni di ruoli differenti nei diversi contesti. Così come, sfuggenti, sono i connotati di una società fluida in cui, per dirla con Beck, " ci si trova ad operare sul vulcano delle civiltà, in presenza di un grande magma eruttivo che sconvolge i dati tradizionali e i contorni ufficiali di ruoli e status" .
In un sistema sociale dalla struttura sfocata, fatta di identità fluide, le categorie fluide si presentano come uno strumento indispensabile di modernità. Una preziosa risorsa che deve mettere in guardia affinché, nel processo di individuazione di regolarità finalizzato alla prevedibilità dell'azione sociale, non si trascurino i rischi connessi a un troppo facile e acritico etichettamento.
In generale la devianza viene definita come il complesso delle violazioni alle norme, ovvero degli scarti rispetto alle aspettative sociali.
Da questa definizione risulta quanto sia importante l'accordo sul concetto di norma, al fine di determinare quali comportamenti debbano essere ritenuti conformi a essa.
Nel concetto di norma confluiscono elementi culturali e sociali, cioè che hanno a che fare con una struttura sociale o una struttura culturale di cui si compone una società[8].Il concetto di norma, quindi, assume valore diverso a seconda che costituisca fondamento di analisi culturale o sociale.
Secondo un approccio oggettivo, possiamo considerare la norma quale complesso di regole, istituzionalmente prescritte, che regolano i rapporti formali fra le varie componenti sociali.
In un approccio soggettivo, possiamo considerare la norma quale complesso di regole, fondate su valori culturali individuali e collettivi, che regolano le relazioni sociali. Stando al primo approccio, la norma tenderebbe a generare una adesione di tipo coatto, in forza dei mores istituzionali. Nel secondo approccio, invece, si realizzerebbe una adesione fondata sul consenso - inteso quale momento di condivisione del senso della norma, in virtù dei valori condivisi. Qui il consenso alla norma è dato in forma individuale, ovvero quale grado di adesione, secondo la scala dei valori propri a un individuo.
Sull'argomento interviene Lemert quando afferma che " soltanto gli esseri umani definiscono, regolano e controllano il comportamento degli altri esseri umani." Tuttavia, nella sua validità, tale affermazione lascia trapelare una distanza dalle posizioni di Merton, il quale rileva anche l'esistenza di una "gerarchia culturale di valori"; quella gerarchia di valori che influenza la struttura sociale (quel complesso organizzato di relazioni sociali, attraverso le quali si contratta, attorno alla rivendicazione dei valori propri dei componenti i vari gruppi sociali).
Al di là del consenso attorno alla definizione teorica, esistono differenze notevoli circa i criteri da adottare per l'analisi della devianza.
Il valore e il fondamenti della norma, costituiscono un forte argomento di confronto delle varie teorie sulla devianza, intesa proprio nella sua valenza di azione non conforme.
In tal senso, Giddens si esprime dicendo che "la devianza può essere definita come non conformità a una data norma o a un complesso di norme accettate da un numero significativo di individui, all'interno di una comunità o società"[9]. Egli, tuttavia, non tarda a chiarire che il dato oggettivo della non conformità rimanda al problema della definizione di ciò che deve essere ritenuto conforme, asserendo che "nessuna società può essere facilmente suddivisa tra coloro che deviano dalle norme e coloro che le rispettano". Questo proprio perché la norma è il risultato di una contrattazione culturale e sociale, soggetta a una continua ridefinizione attraverso l'interazione sociale.
La norma istituzionalizzata - le regole istituzionalmente prescritte - non possono essere assunte come lo spartiacque attorno al quale operare una separazione dei buoni dai cattivi, poiché essa rappresenta la cristallizzazione dei valori della cultura dominante, in un dato contesto e periodo storico. Essa ha valore relativo. Come dire che autorizza, forse, a un giudizio culturale e, non mai, a un giudizio morale e assoluto.
In tal senso vale ancora citare Giddens:
la maggior parte di noi, in certe occasioni, trasgredisce norme di comportamento generalmente accettate. A molti è accaduto talvolta di commettere piccoli furti, come prendere qualcosa da un negozio senza pagare o appropriarsi sul posto di lavoro di piccoli oggetti per uso privato, ad esempio della carta da lettere. Molti individui hanno fumato marijuana, [.] , fatto uso di farmaci illegali o partecipato a pratiche sessuali proibite
Questa descrizione ci riporta a comportamenti che, pur essendo devianti, passano quasi inosservati fra le pieghe di certa parte della cultura, proponendo una lettura in chiave di relativismo culturale, Tuttavia, questi individui rappresentano il prototipo di quella che Lemert chiama deviazione primaria[10]:
la deviazione primaria, a differenza di quella secondaria, è poligenetica, ossia è il prodotto di tutta una serie di fattori sociali, culturali, psicologici e fisiologici, che si combinano in forme occasionali o ricorrenti. Anche se socialmente può essere considerata o addirittura definita sgradita, la deviazione primaria presenta implicazioni marginali per lo status e la struttura psichica della persona interessata. I problemi che ne derivano vengono fronteggiati da ambo le parti nel quadro dei rapporti fra status contigui. Ciò avviene mediante la normalizzazione[11] che fa si che la devianza venga percepita come una normale variazione, come un problema di vita quotidiana, o mediante forme di gestione o di controllo nominale che non giungono ad ostacolare in misura determinante i modi fondamentali di adattamento che la gente mette in atto per andare d'accordo .
E' da notare che, gli stessi comportamenti, in un'altra cultura, sarebbero stati pesantemente sanzionati, così come sarebbero stati sanzionati se tenuti a opera di individui appartenenti ad altre etnìe, culture, o strati sociali (zingari, africani, ecc.).
Molti bambini, ad esempio, fanno cose come entrare nel giardino degli altri, rompere finestre, rubare frutta o marinare la scuola. E' probabile che in un quartiere benestante i genitori, gli insegnanti e la polizia considerino questi come aspetti relativamente innocenti del processo di crescita. Nei quartieri poveri, invece, "le stesse manifestazioni possono essere viste come prova di una tendenza alla delinquenza giovanile"[13]. Come dire che ogni attore sociale viene colto nel contesto - da qui la difficoltà a ricondurre il significato di un gesto colto nei non luoghi, o se si va oltre il senso del luogo- in cui si sviluppa la sua azione, perché è in quel contesto, in quel quadro di significati, che assume valore simbolico.
Un comportamento non verrà sanzionato per il suo significato emergente, ma per la familiarità[14] che segnala, con una certa classe di comportamenti. Sarà questa familiarità a costituire una unità di misura - quella che gli stessi giudici chiamano "la ragione del crimine" .
Si processerà una certa funzione sociale del comportamento, prima di etichettarlo e avviarlo nella rete della reazione sociale.
Ed è in questa fase di gestione relativa dei valori, che alcuni significanti vengono caricati o sviliti di significati devianti.
E' risaputo che in alcuni gruppi sociali ristretti, il fatto di ricoprire una solida, influente posizione equivale all'autorizzazione a deviare. Il rapporto che il deviante ha con questo tipo di gruppo e il modo in cui è considerato dagli altri membri sono tali da impedire, proprio in virtu della stessa deviazione, ogni tentativo di ristrutturare il contesto stesso
Si tende in qualche modo a coprire un comportamento operato dai membri di un gruppo o cultura, o quantomeno ad ammortizzare il suo impatto deviante, attraverso una sorta di accomodamento precario della devianza, evitando la stigmatizzazione del comportamento stesso. Si tratta del "passare" e del mascheramento, della copertura, di cui Goffman riferisce, a proposito della gestione dell'immagine dello stigma nell'interazione sociale.
Una operazione di chirurgia cultural-cognitiva, attraverso la quale si autorizza una deriva culturale dei valori, in una sorta di relativismo etico, di disimpegno critico.[17] Come dire che, per definizione o decreto, determinate pratiche culturali, siano esse di gruppi dominanti o minoritari divengono o meno reati, passibili di sanzioni o coperture, imposte dal gruppo o dalle élite dominanti. Sellin ha richiamato anni fa l'attenzione sulle implicazioni di ciò nella sua discussione su cultura, conflitto e criminalità.
Alla luce di queste esemplificazioni, possiamo trarre una prima conclusione: che la devianza è anche una questione di pluralismo di valori.
".L'incontro con la propria diversità imprigionata
e l'incontro con la diversità
sepolta nei ghiacciai della formazione sociale che ci comprende,
sono i due poli dell'arco voltaico
in cui scocca la scintilla del desideri."
R. Curcio[19]
Quando abbiamo assunto la valenza trasversale della devianza, volevamo dire che l'ambito del concetto di devianza è molto vasto, proprio perché vasto è il panorama culturale da cui estrarre la definizione di ciò che è deviante e ciò che è conforme.
Nel paragrafo precedente abbiamo visto come, anche dal punto di vista lessicale, si tenda ad assimilare la conformità alla normalità - Lemert parlava di normalizzazione. Questo comporta, di rimando, che, consciamente o inconsciamente, alla devianza si associ una idea di anormalità - anche se nella semantica delle relazioni sociali, appare sempre più difficile ritagliare i contorni delle identità sociali, stante il grado e la velocità, con cui la tecnologia provoca mutamenti e mobilità sociale.
Tuttavia, vale la pena spendere una riflessione sullo scarto che passa fra la percezione di normalità e anormalità.
La diversa valenza che si attribuisce al concetto di normalità, potrà risultare utile, nel prosieguo della trattazione, per stabilire come i rapporti sociali risultino viziati dallo stigma.
Nella costruzione di un modello esplicativo di qualsiasi fenomeno sociale, ci serviamo - consciamente o inconsciamente - di una serie di metafore. Queste sono, per loro natura, fuorvianti, perché rappresentano solo un'approssimazione descrittiva della realtà sociale[20].
"Nella nostra percezione della realtà sociale ci troviamo di fronte a schemi precostituiti[21]. Nelle nostre conversazioni quotidiane ci serviamo di termini specifici , come "zoppo" "bastardo" "demente", che diventano fonte di metafore e immaginazione" . Anche nella costruzione di un modello mentale percorriamo delle scorciatoie cognitive , a bordo degli stereotipi che abbiamo costruito, proprio per semplificare l'opera di comprensione del mondo di cui facciamo parte, o di quello attiguo. Talvolta ci fidiamo delle apparenze, tal altra no, così come detto a proposito delle categorie fluide. Uno stereotipo viene costruito allo scopo di ancorare a esso le scelte personali. Questo si rivela indispensabile, per operare tali scelte nei momenti di crisi, in mancanza di tempo per riflettere su un dato accadimento. Sappiamo che a livello individuale, gli stereotipi vengono costruiti attorno alla propria identità. Per ognuno, il concetto di "normalità", si sostanzia in relazione alla prossimità rispetto al proprio dato: come dire, che riteniamo più o meno normale tutto ciò che si discosta dai nostri riferimenti, entro un range definito.
Ma come fare a orientarsi nel mondo delle relazioni, dove il punto di riferimento non sono i valori personali, ma i valori di un certo numero di persone. Come fare a identificare il format della normalità?
Può darsi che la nozione di essere umano normale sia nata dall'approccio medico verso l'umanità o dalla tendenza di vaste organizzazioni burocratiche come lo Stato nazionale a trattare i propri membri, almeno sotto certi aspetti, come se fossero uguali. [.] E' interessante osservare come sembra che nel genere dell'autobiografia popolare si sia raggiunto un accordo per cui un personaggio discutibile dimostra la propria pretesa di essere considerato normale, dichiarando di avere moglie e figli e, stranamente, affermando di trascorrere con loro le feste di Natale.[24].
Potremmo agganciare il concetto di normalità, a tutto ciò che sia funzionale al sistema sociale, in relazione ai bisogni psico-biologici degli individui, e definire anormali tutte le pratiche, o attività, che contrastino con tali imperativi funzionali, ovvero, che tendano a sconnettere il complesso delle istituzioni, o a frustrare i bisogni individuali. Ma qui ci troveremmo di fronte al problema antico, dello stabilire che cosa sia funzionale, o accessorio, al mantenimento di un sistema .
Benché ci si possa, parzialmente, orientare, nella distinzione mertoniana fra funzioni "manifeste" e "latenti"[26], si può concludere che la determinazione delle funzioni, in una società culturalmente differenziata, è condizionata in larga misura dai particolari bisogni, e dai valori dell'osservatore - ritorna il pluralismo dei valori.
Potremmo, ancora, agganciare il concetto di "normalità", al sistema delle aspettative: considerare la "normalità" rispetto alla reazione che ci si può aspettare a livello psicologico, rispetto a determinate condizioni sociali, anche se essa non è approvata culturalmente. James Plant parla della reazione normale , da parte di persone normali, a condizioni che sono anormali[27].
Potremmo, ancora, tentare di individuare il concetto di "normalità", in rapporto a certe differenze biologiche, evidenti o evidenziabili, della persona o della sua personalità. Magari stabilendo come unità di misura della conformità, il grado di somiglianza dei suoi tratti di personalità, con quelli della cultura dominante; ovvero misurare l'influenza dei connotati psico-fisici, per stabilire in che misura, ed entro quale limite, i rapporti con questi individui possano svilupparsi in termini normali o patologici. In poche parole: stabilire rispetto a che cosa, una peculiarità di un individuo debba essere considerata una anomalia, - visto che, per dirla con Goffman, rispetto ad un modello ideale ognuno è portatore di stigma[28] - e ancora, se da questa anomalia biologica si debba inferire una anomalia sociale, riproponendo il dubbio di Foucault: è anormale il mostro umano - lo stigmatizzato per natura - o è anormale il mostro morale . Come dire: è la condotta che genera anormalità, o è l'anormalità a generare la condotta non conforme (la percezione di essere considerati anormali, in base a una normalità ideale, definita dalle regole del controllo sociale).
Attorno a questo dubbio, e a quelli che abbiamo segnalato in questo paragrafo, ruotano le varie teorie sulla devianza che andremo, ora, ad esplicitare brevemente.
Le teorie sulla devianza
La riflessione sui comportamenti che oggi chiamiamo devianti, è antica quanto la storia dell'uomo, proprio perché si fonda sulle norme che in ogni tempo hanno regolato i rapporti fra gli individui, in relazione alla disponibilità o al sacrificio di spazi di libertà. Tuttavia il fenomeno della devianza invoca una riflessione profonda solo con l'età della rivoluzione industriale e con l'urbanizzazione.
Pur se in qualche modo collocate su un percorso autonomo, le teorie di ogni sorta hanno da sempre subito l'influenza degli orientamenti culturali dominanti.
Ed è così che, il positivismo tardo ottocentesco, finiva per inferire anche le tematiche sociali. "Così, ad una visione statica della società si accompagna, in Comte, la curiosità per il suo funzionamento e per le attività cerebrali, viste come indici di benessere o malessere sociale"[30]. L'approccio biologico alla devianza rappresenta uno dei primi tentativi di spiegare la criminalità e la devianza.
Il criminologo italiano Cesare Lombroso, nella seconda metà dell'800, riteneva che i tipi criminali potessero essere individuati da tratti fisici, come dalla forma del cranio. La diminuzione o l'aumento dei delitti, per Lombroso, non dipende tanto dalla diversa organizzazione della società, quanto dalla eliminazione della condotta antisociale. Questa non rappresenta il frutto di una scelta razionale, ma è determinata da fattori ereditari e ambientali. Egli giudicava la maggior parte dei deviati, come individui biologicamente degradati o minorati. Attraverso l'espediente dell'analogia (la trasgressione come sintomo) e del riduzionismo (la trasgressione come disturbo della condotta, della mente e quindi del cervello) si costruivano criteri in grado di tradurre in malattia ogni forma di reato morale[31]. La garanzia della prevenzione, sarà agganciata alla capacità di fare previsioni, fondata sul principio biologico, di matrice positivistica.
Nello stesso periodo, fu Gabriel Tarde a contrapporre, alla teoria di Lombroso, elementi di riflessione sulla devianza, che viaggiavano sul piano della spiegazione della criminalità in termini psicologici.
Come le interpretazioni biologiche, anche le teorie psicologiche della criminalità, associano la delinquenza a un particolare tipo di personalità. Alcuni hanno suggerito che in una minoranza di individui si sviluppi una personalità amorale, o psicopatica[32]. Non è chiaro se la psicopatia comporti inevitabilmente tendenze criminali. Ne consegue che le teorie psicologiche sulla criminalità possono spiegare soltanto alcuni aspetti della delinquenza.
Potrebbero, invece, essere un supporto per l'individuazione di un rapporto di causalità con l'interazione e il controllo sociale. Potrebbe darsi che non siano tanto le caratteristiche individuali a stimolare il comportamento deviante, quanto le caratteristiche del gruppo.
E' con Durkheim che la riflessione sulla devianza si sviluppa in una prospettiva sociologica. Egli, nello studio della società, sostiene l'importanza di partire dall'esame dei fatti sociali, la cui interpretazione deve essere condotta alla luce della coscienza collettiva. Vorremmo indicare come, nel breve passaggio che Durkheim dedica a questo argomento, si affacci una possibilità di "valutare positivamente l'atto deviante in quanto atto politico di ribellione profetica nei confronti dell'esistente" .Una valutazione di alcune forme della devianza quale profezia sociale di un "non ancora", riconoscendo il carattere dinamico della società, che si ridefinisce nell'azione sociale .
L'analisi durkheimiana della criminalità, pone in risalto la rilevanza che la dimensione normativa, e i bisogni sociali dell'individuo, hanno nel determinare il tipo di approccio che questi instaurerà con la società. Si prospetta, così, la possibilità che il tipo di rapporto che si svilupperà fra individuo e società, potrà essere determinato sia dall'alterna riuscita del processo di socializzazione, sia dal grado di soddisfazione dei bisogni individuali.
Nei decenni centrali del ventesimo secolo, i sociologi si sono impegnati in un dibattito con attenzione crescente nei confronti della sociologia di Max Weber e di Emile Durkheim. A partire dal 1940 una parte considerevole dei problemi sociali tradizionali, è stata categorizzata come devianza o comportamento deviante.
Talvolta, la devianza viene definita come il complesso delle violazioni delle norme, ovvero degli scarti rispetto alle aspettative sociali.
Un gruppo di sociologi richiamandosi a Durkheim, Parson e Merton, si è occupato della eziologia della devianza, con l'obiettivo di identificare l'origine della deviazione, nella discontinuità, nell'anomìa, nelle tensioni esistenti nella struttura della società.
Nella prospettiva della tensione strutturale[35] data da Merton, la deviazione trae origine dal variare delle scelte compiute dagli individui, orientate al conseguimento di mete e fini culturalmente fissati, rapportate alle disuguali opportunità di accesso ai mezzi.
Vale la pena qui, seppur sinteticamente, analizzare i principi attorno ai quali ruota la teoria di Merton.
Tra i vari elementi di una struttura sociale o culturale, due rivestono una importanza immediata. [.] Il primo elemento è rappresentato dalle mete, scopi, interessi che sono definiti culturalmente e si presentano come obiettivi legittimi [.], le mete principali comprendono una serie di aspirazioni[.], sono le cose per cui vale la pena di lottare, e sono una componente fondamentale, anche se non esclusiva, di ciò che Linton ha chiamato "progetti esistenziali di gruppo". V'è poi un secondo elemento della struttura sociale, che definisce, regola e controlla i modi accettabili secondo i quali tali mete possono venire raggiunte. In alcune società esiste ancora un certo equilibrio fra l'importanza attribuita alle mete culturali e il rispetto delle pratiche istituzionalizzate. "Un equilibrio effettivo fra codeste due fasi della struttura sociale può mantenersi finché vi sono soddisfazioni per gli individui che si conformano ad entrambi gli obblighi culturali; cioè soddisfazioni risultanti dal raggiungimento delle mete, e soddisfazioni risultanti direttamente dai canali istituzionali - utilizzati - per il raggiungimento di esse . La valutazione va data in termini di prodotto e in termini del processo, in termini del risultato e in termini dell'attività. A questo modo, in un ordine basato sulla competizione, vi debbono essere soddisfazioni che derivano, in modo continuativo, sia dalla partecipazione pura e semplice a quest'ordine, sia dal fatto di superare i concorrenti .
Come dire, che si deve impostare l'interazione sociale nei termini di una pedagogia sociale, in cui si ponga l'accento sui valori; sull'arricchimento che si trae dalla condivisione di una esperienza; sulla possibilità di reinvestire il frutto dell'esperienza in un'altra occasione possibile.
Se l'interesse viene spostato unicamente sul risultato del competere, allora è abbastanza comprensibile che coloro i quali sono perennemente sconfitti possano adoperarsi per un cambiamento delle regole del gioco.
Inoltre
La cultura può essere siffatta da portare gli individui ad indirizzare la loro emotività verso l'insieme dei fini sanciti culturalmente, mentre i metodi prescritti per il raggiungimento di questi fini offrono assai minori appigli all'emotività. Attribuendo una importanza così diversa alle mete e ai procedimenti istituzionali, questi ultimi possono venire talmente danneggiati dal risultato che viene attribuito alle mete, che il comportamento di molti individui finirà per limitarsi solo a considerazioni di convenienza tecnica.() In genere il procedimento che si mostra più efficace tecnicamente, non importa se sia o meno legittimo, viene preferito alla condotta prescritta istituzionalmente.
Come dire, che si attua una deriva culturale verso uno stereotipo efficientista, in cui i valori di liceità, vengono considerati un retaggio di una cultura obsoleta, fuori moda, sostituiti dalla cultura dell'arrivismo.
Via via che questo processo di attenuazione continua, la società diventa instabile; e si sviluppa in essa quello che Durkheim ha chiamato anomia.
Una interpretazione dell'anomìa può consistere in quella sorta di disorientamento di cui l'individuo fa esperienza nel momento in cui, una struttura sociale si trova in assenza di un sistema di regole attorno alle quali era organizzata la struttura culturale.
La norma è interiorizzata come una sorta di oggetto di accordo, qualcosa capace di fornire conferme sulla propria identità sociale, sul proprio ruolo.
Se i valori assumono significato di orientamento culturale, le norme svolgono funzione di orientamento dell'azione sociale.
Le norme vengono assunte da un individuo come riferimento in funzione delle quali sentirsi partecipe di una realtà prevedibile. Il disorientamento che si ingenera, è dovuto all'improvvisa presa di coscienza di trovarsi in un contesto, privato dei riferimenti idonei a fornire un senso di sicurezza, in funzione di una certa prevedibilità. Qui, la reazione dell'individuo, è quella di autodeterminarsi, in funzione di quei riferimenti che gli paiono più prossimi, qualora la struttura sociale non sostituisca il vecchio sistema di norme con un altro in grado di soddisfare le aspettative della struttura culturale[37].
Il modo in cui si sviluppa questo processo, che sbocca nell'anomia, può essere intravisto in una sequenza di episodi familiari, istruttivi benché forse banali. Vincere il gioco anziché vincere secondo le regole del gioco, implicitamente può significare l'uso dei mezzi che sono tecnicamente efficienti, sebbene illegittimi. Da varie fonti sgorga un continuo incitamento ad avere un'alta ambizione (.) Il simbolismo dell'uomo comune che si eleva allo stato della sovranità economica, è profondamente radicato.
In altre parole, Merton ha modificato il concetto di anomia, riferendolo alle tensioni cui è sottoposto il comportamento individuale, quando le norme accettate dal soggetto entrano in conflitto con la realtà sociale.
Secondo Merton, dunque, la devianza è il prodotto secondario delle disuguaglianze economiche, viste quali inadeguatezza dei mezzi per il raggiungimento di fini culturalmente definiti.
Qui, a integrazione della tensione strutturale per inadeguatezza del rapporto mezzi fini, si potrebbe ipotizzare una tensione di natura cognitiva. Questa porterebbe a una reazione,[38] da parte dell'individuo; a un attrito psichico che si genererebbe nell'individuo, nel cogliere, la deriva dei valori culturali condivisi , come una sorta di tradimento sociale. Il tradimento di un patto stipulato sulla scorta di valori che, intanto, hanno perso di significato. Come dire che mentre per alcuni i valori fondanti della cultura continuavano a essere i riferimenti ai quali ispirare l'interazione sociale, per altri gli stessi valori avevano perso di significato, ed erano stati sostituiti da quei valori di arrivismo contrabbandati dai mezzi di comunicazione di massa, con buona pace della cultura dominante.
Alla luce di questo assunto, si potrebbe dare maggiore completezza alla teoria mertoniana - così come esposta da Lemert:
Nella visione della società di Merton, così come in quella di Parsons e prima di lui di Durkheim, si attribuisce una importanza centrale al concetto di struttura. Merton intende la struttura come una fonte variabile di pressioni e tensioni (.). Secondo Merton, le società hanno una struttura culturale distinta e separabile da una struttura sociale, consistendo la prima in un complesso organizzato di valori normativi, e la seconda in un complesso organizzato di relazioni sociali. La anomia designa, ovvero deriva da una dissociazione fra le due strutture (.)
Infatti, accettando la tensione cognitiva, potremmo dire che, la dissociazione fra le due strutture, avviene sia per dissonanza dei valori (piano dei valori ovvero struttura culturale), sia per dissonanza comportamentale (piano delle relazioni, dei ruoli, ovvero struttura sociale). Sul piano della struttura culturale, la dissociazione si organizza sia attorno alla diversa considerazione dei valori culturali (poiché oggi anche chi dispone di mezzi adeguati sceglie di adire strategie alternative per il raggiungimento dei fini) sia attorno alla scelta delle diverse strade per il raggiungimento dei fini. Sul piano della struttura sociale, la dissociazione si organizza, invece, attorno al tradimento delle aspettative di ruolo.
In questo modo si ridurrebbe il campo di significazione della devianza, che risulterebbe meno una azione imposta dal peso dell'inadeguatezza dei mezzi, e più una azione volontaria motivata: sul piano dei valori culturali, motivata dalla perdita di significato dei valori (che autorizza una deriva verso strategie alternative a quelle istituzionali); sul piano delle relazioni sociali - valori morali di fiducia nella lealtà dell'altro - motivata da quello che abbiamo chiamato tradimento (sia dei valori morali, che del ruolo[40]).
Ne viene fuori, così, anche una più ampia spiegazione della devianza dei cosiddetti colletti bianchi: mentre la deviazione operata dagli appartenenti a status inferiori, ruoterebbe attorno a una deriva sociale (per tradimento di valori morali e delle aspettative di ruolo confidate negli altri significativi, poiché moralmente elevati), la deviazione degli appartenenti a status superiori, ruoterebbe attorno a una deriva culturale (i valori della correttezza nella scelta dei mezzi di competizione sono stati sostituiti dal valore del risultato).
In entrambi i casi, tuttavia, la devianza passa per una assunzione dei rischi connessi a una scelta.
L'assunto che qui ho esplicitato, potrebbe trovare riscontro in Lemert quando dice:
.abbiamo proposto una teoria della deviazione fondata sull'assunzione dei rischi invece che su una concatenazione semplice di mezzi e fini. Essa considera la deviazione (o la conformità) come risultato di una tra le diverse sequenze possibili di mezzi e fini, che non può essere spiegata completamente senza tener conto di fattori accidentali e del controllo sociale attivo[41].
E, aggiungerei, di un certo elemento volontaristico-valutativo, rintracciabile nell'assunzione di rischi, così come descritta dallo stesso Lemert[42].
E qui ritengo che si possa trovare il collegamento fra la teoria di Merton e la teoria dell'associazione differenziale sviluppata da Sutherland, così come praticato da Cloward e Ohlin[43]. Ricordiamo che Sutherland asserisce che in una società che contiene subculture diverse, alcuni ambienti sociali tenderebbero a incoraggiare la devianza, mentre altri no. Qui gli individui diventano deviati associandosi ad altri che sono portatori di norme criminali, in una sorta di osmosi culturale, un contagio morale e una educazione al crimine . Sutherland ritiene che il comportamento criminale venga appreso prevalentemente all'interno dei gruppi primari, in particolare nei gruppi dei pari.
Tuttavia, ritenendo che ogni cambiamento avvenga sulla scorta di una motivazione, avremmo che, il comportamento deviante operato da soggetti provenienti da ambienti non governati dalla cultura criminale, sarebbe motivato oltre che dal disorientamento causato dall'anomìa, anche da quel senso di tradimento delle aspettative culturali, verificatosi nei gruppi secondari della struttura sociale, talvolta supportato da un inadeguato approccio da parte dei gruppi primari - famiglia .
Un altro approccio alla comprensione della devianza, sul quale ritorneremo spesso nel prosieguo della trattazione, è noto come teoria dell'etichettamento. Secondo Becker "i gruppi sociali producono la devianza ed è deviante quel comportamento che viene etichettato come tale"[46].I sostenitori di questa teoria interpretano la devianza non come un insieme di caratteristiche relative agli individui o ai gruppi, ma come processo di interazione fra devianti e non devianti . Come dire che l'interazione sociale sarebbe viziata dal pregiudizio dovuto a una etichetta, a uno stigma. Una volta che un individuo sia stato etichettato come delinquente, viene considerato come indegno della fiducia da parte di alcuni altri (insegnanti, potenziali datori di lavoro). L'individuo ricadrebbe, allora, in un comportamento criminale piu grave, allargando la frattura che lo separa dalle convenzioni sociali. Lemert definisce devianza primaria l'atto iniziale di trasgressione, e devianza secondaria l'atto di socializzazione (metabolizzazione) dell'etichetta imposta.
L'etichettamento sarebbe dovuto principalmente alle agenzie di controllo sociale, in grado di imporre agli altri una definizione convenzionale di moralità. Qui la deviazione è in stretto rapporto causale con il controllo sociale. Oggettivamente possiamo accettare che sia la devianza primaria che quella secondaria siano una determinazione in funzione dello scarto rispetto alla normalità idealizzata nel controllo sociale. Ma se per ciò che riguarda la devianza secondaria il rapporto con il controllo sociale risulta piuttosto chiaro, in funzione del pregiudizio che vizia le relazioni sociali, non risulta altrettanto chiaro il rapporto che passa fra l'atto di trasgressione primaria e il controllo sociale. Si potrebbe ipotizzare, qui, che il controllo sociale intervenga quale elemento capace di acuire le reazioni di individui che presentano già una particolare condizione psicologica riguardo alla propria identità , in una interazione simbolica.
L'interesse per i risvolti dell'interazione simbolica in rapporto al controllo sociale, ai fini della comprensione e dell'analisi della devianza, sono alla base di una nuova sociologia della devianza, sostenuta dai componenti la scuola dei neo-chicagoans[49]. Essi hanno centrato il loro lavoro sulle conseguenze del controllo sociale e dell'ordine morale, e hanno cercato di mostrare in che modo le categorie ella devianza vengano impiegate ed applicate a individui e gruppi. Essi hanno dato diffusione a concetti come quello di reazione sociale, di stigma, di degradazione, di mortificazione del sé, di discrezionalità della polizia e di tipizzazione, nozioni che si sono rivelate adeguate a dare dimostrazione di come le agenzie e le istituzioni apparentemente organizzate in vista di compiti assistenziali, rieducativi, riabilitativi e terapeutici, diano forma e significato alla devianza, e giungano a stabilizzarla come devianza secondaria . Per quanto riguarda il processo attraverso il quale gli individui divengono devianti, essi ricorrono ai concetti di carriera morale, carriera deviante , eventualità, deriva, senso di ingiustizia, incapsulamento, punto critico, crisi d'identità e devianza secondaria, parte dei quali abbiamo già incontrato nel corso di questa trattazione e che ritroveremo più avanti, con l'intento di indagare i riscontri sperimentali (attraverso interviste, questionari e rilievi sul campo).
Rabbie e Horwitz (1988), per esempio, ispirandosi alla concezione lewiniana, sottolineano che "il gruppo sociale è piu di una categoria" cit. in Serino C., Percorsi del sé, Roma, Carocci Edotore, 2001, p. 76;
Serino C., Percorsi del sé, Roma, Carocci Edotore, 2001, p. 46;
"Richiamandosi esplicitamente al pensiero di Wittgenste in, Rosh verifica sperimentalmente l'idea. "
Meyrowitz J., Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Bologna, Baskerville, 1995;
R.K. Merton, Teoria e struttura sociale, 3 voll., Bologna, Il Mulino, 1971. Secondo Merton, le società hanno una struttura culturale distinta da una struttura sociale. La prima consiste in un "complesso organizzato di valori normativi", e la seconda in un "complesso organizzato di relazioni sociali";
E. M. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Milano, Giuffré Editore, 1981, pp. 87-130;
Della normalizzazione ci occuperemo piu avanti, nel quadro delle dinamiche attraverso le quali si realizza la ristrutturazione dell'identità sociale, verso l'acquisizione della identità di deviato;
Sull'incidenza del gruppo familiare in relazione alla normalizzazione, cfr.: P. Bertrando, Nodi familiari, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1997;
Sul concetto di deviazione secondaria, di cui ci occuperemo piu avanti nel corso della riflessione sulle conseguenze psichiche delle pratiche di internamento, cfr.: E. M. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Milano, Giuffré Editore, 1981, pp. 87-130;
Il concetto di familiarità con la devianza, riporta a una sorta di rapporto confidenziale, una specie di assuefazione biologica all'idea e al comportamento deviante. Come dire che alcuni, in certi contesti si nutrano di un humus deviante, per osmosi o per una sorta di cannibalismo sociale. Il concetto di familiarità con la devianza, nelle diverse accezioni, è riscontrabile nel diritto, proprio in tema di circostanze del reato o della personalità del reo;
M. Foucaul, Gli Anormali - Corso al Collège de France (1974-1975), Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2000;
A. Salvini, in introduzione a E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Milano, Giuffré Editore, 1981;
M. Ciacci e V. Gualandi, in Costruzione Sociale della Devianza, (a cura di), Bologna, Il Mulino, 1977;
Vedremo in seguito, come i media influiscano sulla formazione degli stereotipi di normalità nell'opinione pubblica;
E. M. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Milano, Giuffré Editore, 1981, pp. 15-16;
R. K. Merton in M. Ciacci e V. Gualandi, Costruzione Sociale della Devianza, (a cura di), Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 206-207
M. Foucaul, Gli Anormali - Corso al Collège de France (1974-1975), Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2000 - pp. 79-102. ". l'individuo mostruoso, stando alle regole e alle distinzioni delle specie naturali, era sempre, se non sistematicamente per lo meno virtualmente, associato alla criminalità. Poi, a partire dal XIX secolo, il rapporto si inverte, e si avrà ciò che potremmo definire il sospetto sistematico di mostruosità al fondo di ogni criminalità. Dopo tutto, ogni criminale potrebbe benissimo essere un mostro, così come un tempo il mostro aveva qualche probabilità di essere un criminale:" La riflessione su quanto riferito da Foucault, tuttavia, va raffrontata, sia con le implicazioni cognitive che la percezione dello stigma comporta, così come evidenziato da Goffman in Stigma; sia con gli effetti che produce la stigmatizzazione nell'età adolescenziale, così come in quella adulta, in termini di labelling theory. Si possono rilevare, così, le inferenze del problema psichico sulle relazioni sociali: il controllo sociale determina un etichettamento, il quale comporta una ristrutturazione del sé, che si ripercuote nelle dinamiche sociali.
A. Salvini, in introduzione a E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Milano, Giuffré Editore, 1981;
M. Ciacci e V. Gualandi, introduzione a "Costruzione Sociale della Devianza", (a cura di), Bologna, Il Mulino, 1977;
Una profezia, quella di Durkheim che possiamo vedere avverarsi in quella ribellione nei confronti dell'esistente, che si può leggere tra le righe di certa cultura hacker, nelle trasgressioni civili contro la globalizzazione, nei movimenti pacifisti, ecc;
M. Ciacci e V. Gualandi, introduzione a "Costruzione Sociale della Devianza", (a cura di), Bologna, Il Mulino, 1977, pp.206-218
Un approccio al problema dell'anomia può portare a risultati più soddisfacenti, rapportandosi a tutti quei contesti di relazione in cui si verifichino traumatiche fratture degli equilibri costituiti: rottura degli equilibri familiari a seguito di separazione; rottura degli equilibri normativi sociali a seguito di mutazione delle condizioni economiche - vincite o lasciti inaspettati; improvviso attualizzarsi di una meta che comporta un repentino cambiamento di status. Tutte condizioni, insomma, che comportano una ristrutturazione del sé individuale e del sé sociale, che possono determinare reazioni di segno opposto, depressione o aggressività, ribellione e innovazione Vs isolamento e rinuncia - anche secondo i 5 tipi di risposte alle tensioni, di cui parla Merton.
Delle reazioni individuali parleremo quando si tratterà delle reazioni sociali. In quella sede la reazione individuale verrà messa in relazione alla reazione sociale, ma anche in relazione alle mutate condizioni culturali apprese, partendo dai tipi di azione sociale di Weber: l'azione razionale rispetto allo scopo e quella rispetto al valore.
Il passaggio dalla cultura partecipativa alla cultura dell'arrivismo, da quella del rispetto per i metodi a quella del privilegio per il risultato, di cui parla Merton;
Sul tradimento, e nello specifico sul tradimento di ruolo, cfr.: G. Turnaturi, Tradimenti L'imprevedibilità nelle relazioni umane, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2000;
Assunzione di rischi e comportamento deviante, in E. Lemert, "Devianza, problemi sociali e forme di controllo," Milano, Giuffré Editore, 1981, pp 52-54;
Così come segnalato da E. Giddens in Fondamenti di Sociologia, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 162-163;
E. Lemert, "Devianza, problemi sociali e forme di controllo," Milano, Giuffré Editore, 1981, p. 42, dei gruppi primari;
E. Goffman, Asylums - Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza, (1961),Torino, Giulio Einaudi Editore, 2001
Ktsuse, Goffman, Erikson, Becker, Lemert. Sono questi gli autori che proprio Lemert cita "Devianza, problemi sociali e forme di controllo," Milano, Giuffré Editore, 1981; in cui egli cita anche Tannenbaum come autore di un'opera prodromica a questo approccio: "Crime and Community" del 1938;
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