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TESI SULLA DISLESSIA
La dislessia è una malattia che rende incapaci
di riconoscere o leggere le parole scritte.
In genere chi è affetto da dislessia inverte parole o sillabe, rendendo
incomprensibili i suoi scritti.
E' causata da una disfunzione nervosa ma anche da una lesione celebrale.
ANALISI NEUROPSICOLOGICA
Prima di esporre nello specifico la
teoria neuropsicologica cognitiva, vorrei introdurre brevemente la teoria della
modularità della mente per poi mostrare nello specifico i punti di contatto di
entrambe le teorie.
Studiosi di discipline diverse si sono interessati spesso allo studio e
all'analisi della nostra capacità di acquisire la lingua o le lingue a cui
siamo esposti. Alcune caratteristiche di questa capacità hanno indotto alcuni
autori a ritenere che le strutture mentali che rendono possibile l'acquisizione
del linguaggio siano innate, specifiche, discontinue e dissociabili da altri
sistemi percettivi e cognitivi. Mentre la complessità di tale capacità ha
portato altri studiosi a considerare il linguaggio come un sistema innato, ma
che coinvolge una riconfigurazione di sistemi mentali e neurali che esistono in
altre specie e continuano a svolgere anche alcune funzioni non linguistiche.
Due delle teorie fondamentali che rappresentano gli indirizzi di ricerca sopra
esposti sono: la teoria della modularità (Fodor, 1983; Pinker e Bloom, 1990) e
la teoria cognitivista-funzionalista (Slobin 1973-1985; Bates e Mc Whinney
1989).
Secondo la teoria della modularità, il linguaggio viene acquisito e mantenuto
grazie a una facoltà che è indipendente dalle altre facoltà; per la teoria
cognitivista-funzionalista il linguaggio è acquisito e mantenuto attraverso
processi mentali/neurali che condivide con altri domini percettivi, cognitivi e
affettivi. In altri termini secondo il primo punto di vista il linguaggio è
inteso come un sistema modulare e le abilità linguistiche sono innate e
specifiche; l'approccio cognitivo-funzionalista, pur sostenendo la presenza di
abilità alla nascita, ritiene che la sofisticazione con cui i bambini
affrontano l'acquisizione del linguaggio si basi su abilità cognitive e
percettive più generali. Il linguaggio, in questo caso, è inteso come un'entità
complessa formata da vari componenti, ciascuno dei quali può avere
interrelazioni con una serie di componenti non linguistici: percettivi,
cognitivi e sociali. C'è interdipendenza tra lo sviluppo cognitivo e lo
sviluppo comunicativo, più nello specifico per quanto riguarda il rapporto tra
componenti comunicativi gestuali e lo sviluppo verbale.
Linguisti e psicolinguisti, influenzati dal punto di vista chomskiano, in
principio hanno indagato la capacità linguistica in termini di acquisizione
semantica e sintattica come separata da altri sistemi cognitivi per poi
ampliare le proprie ricerche includendo molti altri ambiti (fonologico,
morfologico, pragmatico) e affermare che la capacità linguistica: a) non si
identifica esclusivamente con la semantica e la sintassi e b) implica capacità
non linguistiche comunicative, percettive, cognitive.
I dati emersi dagli studi sull'acquisizione di lingue diverse hanno fatto
emergere, accanto a notevoli somiglianze, varie differenze tra le lingue e
l'esistenza, all'interno della stessa lingua, di una variabilità individuale
tra i soggetti.
Un contributo importantissimo alla comprensione dell'acquisizione del
linguaggio viene soprattutto dall'analisi dei bambini che non acquisiscono il
linguaggio o lo acquisiscono in tempi e modi diversi da quelli dei bambini
cosiddetti "normali".
In molti di questi soggetti con disturbi specifici di linguaggio o con
particolari forme di ritardo mentale, il deficit può riguardare solo alcuni
aspetti della capacità linguistica e lasciare apparentemente intatte altre
abilità; in altri casi, invece, si intreccia in modo estremamente complesso con
altri deficit percettivi e/o cognitivi.
In ambito neurologico e neuropsicologico, gli autori sono portati ad affermare
che la capacità di acquisire un linguaggio sia un'abilità innata, ma che,
almeno inizialmente, non sia specifica e indipendente da altre capacità.
Ritengono che almeno inizialmente sia collegata a meccanismi cognitivi e
percettivi più generali e che solo in un secondo tempo il linguaggio,
soprattutto alcune abilità particolari, possono modularizzarsi costituendo dei
domini separati e molto specifici. I moduli dei neuropsicologi incorporano
fondamentalmente i principi della localizzabilità e della danneggiabilità
selettiva: condizione necessaria affinché un modulo sia alla base della
capacità di svolgere una certa classe di prestazioni è che tale capacità sia
localizzabile e dissociabile.
Per localizzabilità si intende che una lesione in una determinata area
cerebrale deve comportare l'impossibilità di svolgere qualsiasi prestazione
appartenente a quella classe; per dissociabilità (o selettività del deficit) si
intende che quando sono colpite le prestazioni di una certa classe tutte le
altre prestazioni cognitive rimangono intatte. Questi principi sono
irrinunciabili per l'esistenza stessa della disciplina, che trae le sue ipotesi
teoriche dai danni funzionali indotti da lesioni cerebrali più o meno estese.
A danneggiabilità e selettività si accompagna talora la specificità di dominio,
nel senso che in diversi casi sono stati riscontrati danni localizzati ad aree
di conoscenza assai specifiche, come i nomi propri, nomi di certi generi
naturali, ecc.
La neuropsicologia cognitiva ha quindi prodotto, nell'ambito di un approccio
modulare all'organizzazione delle funzioni cognitive, modelli che prevedono il
frazionamento del processo di lettura in una serie di operazioni cognitive
specificate che vengono effettuate a partire dall'analisi visiva della stringa
di lettere fino alla produzione della parola. Tali modelli si sono rivelati
molto influenti nell'analisi e nell'interpretazione delle dislessie acquisite.
Il modello più importante per le sue conseguenze teoriche è quello che si
riferisce al modello di lettura "del doppio accesso" (Sartori, 1984) o
"dual-route model" (Coltheart, 1978). Questo modello prevede che il "buon
lettore" utilizzi due strategie per leggere: una detta "dell'accesso diretto"
(o via lessicale) attraverso la quale il soggetto riconosce globalmente la
parola e arriva a pronunciarla dopo averla riconosciuta e richiamata dal suo
repertorio lessicale; l'altra detta "dell'accesso indiretto" (o via fonologica)
che richiede l'analisi delle subunità che compongono la parola (lettere o
sillabe) e attraverso le regole di conversione grafema- fonema, viene
ricostruita la catena fonologica che consente il recupero della parola nel
repertorio lessicale.
Nella prima strategia la rappresentazione fonologica della parola è
post-lessicale in quanto per pronunciare la parola stessa deve prima
riconoscerla visivamente e ritrovarla nel suo lessico ortografico, mentre nella
strategia indiretta la rappresentazione fonologica prelessicale in quanto la
parola può essere pronunciata senza alcun confronto con il repertorio
lessicale.
Si assume che il lettore usi entrambe le strategie utilizzando preferibilmente
la via lessicale in quanto più rapida e meno dispendiosa e ricorrendo alla via
fonologica solo quando incontra parole che non ha mai incontrato prima, oppure
quando le parole presentano delle eccezioni o sono molto lunghe.
Applicando questo modello ai disturbi della lettura sono stati identificati i
due sottotipi di "dislessia superficiale" e "fonologica" prima esposti. In
ciascuno di questi sottotipi il modello a due vie non è riprodotto in quanto
soltanto una via d'accesso è efficiente, mentre l'altra non è disponibile.
L'esistenza di questi sottotipi consentirebbe di dimostrare l'indisponibilità
di alcuni meccanismi molto specifici e selettivi nel processo di lettura.
Inoltre l'attuazione di una sola strategia di lettura supporrebbe l'ipotesi di
un sottosistema di lettura costituito da varie sottocomponenti separabili l'una
dall'altra, danneggiabili separatamente (Castles e Coltheart; Cossu e Marshall)
e quindi, dal punto di vista teorico, di una struttura modulare della mente.
ANALISI PSICOLOGICA
La ricerca psicologica ha posto al centro
dell'attenzione il problema relazionale del soggetto dislessico (evolutivo).
L'intento è quello di descrivere l'universo del dislessico, di analizzare il
suo modo di "essere nel reale in quanto dislessico", capire la sua condizione
non come condizione "disorganizzata", ma come tipo di consapevolezza in
rapporto con un mondo non organizzato secondo "il nostro comune sistema di
significati".
In base a questi presupposti il dislessico non è un bambino per il quale le
cose non hanno un senso o le parole hanno perduto il loro significato; per lui
le cose, le azioni e le parole, hanno un significato, ma questo significato,
"che è un significato per lui", si scontra con il significato che le cose, le
parole scritte e parlate, le azioni e i semplici gesti hanno per gli altri.
Questo "scontro" porta con sé una costante ricerca di punti di riferimento
"stabili" in un "universo di significati per lui" che non è caotico, ma ambiguo
e non stabile. Le cose sono di fronte a lui come per tutti, ma i rapporti che
esse hanno tra di loro o in riferimento a lui, sono mobili sfuggenti, bipolari
e ambivalenti: non c'è punto di vista intenzionale unitario.
Il soggetto dislessico vive in un universo instabile, si sente disorientato e
questa sua condizione è "cronica" in quanto l'ambiguità del significato esiste
per lui in tutte le dimensioni del suo mondo: direzione, significato, punto di
vista, sentimento e simbolo. Ogni parola può cambiare significato fino al punto
che il contesto contaminato dall'equivoco non serve più nemmeno come
riferimento.
Se deve usare una certa parola il dislessico ne vede nascere nella mente molte
vicine per significato o per forma; questo lo porta all'incertezza sulla scelta
di una o di un'altra o l'impiego di un suono per un altro o di una parola per
il suo analogo rovesciato.
L'incontro con la lettura porta il bambino dislessico a stabilire dei punti di
riferimento che gli serviranno per sfogliare il libro nel senso giusto, cioè
conformemente alle indicazioni e alle correzioni fatte dagli adulti. La ricerca
dei punti di riferimento comincia molto presto ed è facilitata dalla relativa
semplificazione della vita infantile prima dell'ingresso a scuola; con
l'entrata nell'universo scuola la necessità dei punti di riferimento, il loro
numero e la necessaria stabilizzazione aumentano in maniera brusca. Così il
bambino cerca di trovare punti fissi nella realtà materiale interna ed esterna
alla classe riferendosi ad oggetti fissi nell'ambiente; per questo teme il
cambiamento di posto all'interno della classe perché tutto il suo "sistema" si
rivelerebbe inefficace. Il disorientamento spaziale e temporale si accompagna a
un disorientamento affettivo.
Nello stesso tempo risultano fondamentali, per il dislessico, la motivazione ed
il desiderio di riuscire, di superare il suo disorientamento: il bambino
avverte più profondamente degli altri le reazioni ai suoi errori e si sente
escluso dal gruppo.
Cerca, per questo, di moltiplicare i punti di riferimento e i sistemi che
permettono di "accomodare" le risposte; cercherà di capire di capire di cosa si
tratta grazie alle illustrazioni, cercherà di imparare a memoria le didascalie
delle illustrazioni, davanti a testi senza illustrazioni ricorrerà ad un
approccio globale al testo per rendersi conto in modo approssimativo di che
cosa si tratta per poi improvvisare al momento opportuno.
Questi procedimenti, però, falliscono nel momento in cui la lettura si complica
diventando un mettere insieme le lettere semplificando e complicando la loro
unione. L'immaginazione è l'addetta a colmare le lacune fra i punti
decodificati, ma mentre il bambino cerca di decifrare, il senso globale si
perde.
Il più delle volte, alla fine del primo anno di apprendimento, le motivazioni
diventano negative e il bambino si mostra reticente e svogliato quando si
tratta di leggere.
BASI BIOLOGICHE
Fin dalla fine del 1800, in base alle
prime descrizioni di bambini con "cecità verbale congenita" (Morgan, 1896;
Hinshelwood, 1900), è stato ipotizzato che i dislessici evolutivi costituissero
un gruppo con caratteristiche peculiari non solo cognitive (elevata
intelligenza e specifico difetto di lettura) ma anche neurologiche a cattivi
lettori con ritardo generale del funzionamento intellettivo. In particolare gli
autori sopra menzionati, rifacendosi a Dejerine, che nel 1892 aveva descritto
un caso di alessia e agrafia acquisita a seguito di una lesione del giro
angolare di sinistra, postularono che anche nei casi evolutivi di dislessia
fossero danneggiate le porzioni posteriori dell'emisfero di sinistra.
Quasi un secolo dopo (1979) Galaburda e Kemper riportarono un caso di un
dislessico di vent'anni in cui l'esame post-mortem rivelò la presenza di
anomalie morfologiche confinate nel lobo temporale posteriore di sinistra.
Negli ultimi anni, con l'introduzione di nuove metodiche per lo studio della
morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo del sistema nervoso centrale è
stata notevolmente incrementata la ricerca di anomalie strutturali e funzionali
del sistema nervoso centrale di pazienti con dislessia evolutiva.
Alla domanda se il cervello di individui dislessici presenti alterazioni
strutturali hanno cercato di dare risposta studi effettuati su pazienti con
dislessia evolutiva, sia con l'uso di tecniche tradizionali (studi autoptici)
che nuove per lo studio della morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo
del sistema nervoso centrale.
Studi sul funzionamento cerebrale con la Tomografia a emissione di positroni
(PET) hanno evidenziato nei dislessici una riduzione del metabolismo del
glucosio nella regione perinsulare di sinistra durante l'attività di lettura
(Gross-Glenn e coll. 1986). Altri studi con la PET (1992) hanno dimostrato
anomalie nel flusso cerebrale nell'area temporoparietale di sinistra.
Alterazioni neuroanatomiche sono state riscontrate anche in aree corticali e
sottocorticali deputate alla percezione visiva e acustica che sono state messe
in relazione con difficoltà dei dislessici a livelli più periferici del
processamento sensoriale e percettivo. Sembra, quindi esserci una convergenza di
dati neuroanatomici e neurofisiologici a favore di un'organizzazione e di un
funzionamento cerebrale atipici in pazienti con dislessia evolutiva. E' stato
ipotizzato, infatti, che la dislessia sia riconducibile a un difetto di
lateralizzazione funzionale degli emisferi sinistri cerebrali.
LE CARATTERISTICHE DELLA DISLESSIA
Esistono più forme di dislessie?
Una prima distinzione viene fatta tra dislessia acquisita e dislessia
evolutiva. Questa distinzione concerne "l'epoca" in cui insorge il disturbo di
interpretazione dell'ortografia.
Nel caso della d. acquisita un soggetto che è in grado di leggere normalmente
inizia a compiere errori oppure non riesce più a riconoscere le parole con la
stessa facilità. Di solito queste difficoltà di decodifica sono la conseguenza
di qualche evento patologico che ha determinato lesioni nelle aree corticali
che sono coinvolte nel processo di decodifica.
La d. evolutiva si manifesta invece dall'inizio del processo di apprendimento
della lettura. Il bambino mostra subito difficoltà a riconoscere le lettere
dell'alfabeto, a fissare le corrispondenze fra segni grafici e suoni, e ad
automatizzarle, cioè a compierle in modo rapido e senza sforzo apparente.
Il primo segno riconoscibile della d. evolutiva è il lento e faticoso apprendimento
della lettura ad alta voce. Bisogna tuttavia sottolineare che la lentezza
nell'apprendere la lettura non è un elemento sufficiente per definire un
bambino dislessico, poiché i tempi di apprendimento sono diversi da soggetto a
soggetto e quindi, in alcuni casi, il ritardo di un bambino nell'imparare la
lettura potrebbe essere riconducibile alle caratteristiche di un sistema che
necessita di tempi più lunghi per completarsi.
La distinzione tra i due tipi di dislessia non è, quindi, solo una questione di
"epoca" di comparsa, ma è più profonda e complessa innanzitutto poiché nella d.
acquisita il soggetto ha già appreso il processo di decodifica e la sua
capacità viene danneggiata dalla lesione; mentre nella d. evolutiva la prima
conseguenza, e anche la più evidente, è la difficoltà nel processo di
apprendimento del codice scritto.
In secondo luogo la d. acquisita è riconducibile a una lesione, mentre la d.
evolutiva ha cause diverse, non lesionali, ma congenite che interessano sempre
il substrato neurobiologico coinvolto nella realizzazione del processo. Inoltre
il danno acquisito può provocare conseguenze molto più circoscritte rispetto
alla condizione congenita, per cui spesso la d. acquisita ostacola solo la
lettura o alcuni dei suoi aspetti come per esempio il riconoscimento di parole
nuove; mentre nel caso della d. evolutiva il disturbo è molto più esteso e,
soprattutto nelle fasi iniziali, può interessare tutto il sistema scritto,
compresa la scrittura delle parole e la letto-scrittura dei numeri.
Anche la possibilità di rieducazione è molto diversa nelle due condizioni. Nel
caso della d. acquisita si tratta di recuperare una funzione che il soggetto
possedeva già. Il recupero dipende dalla gravità della lesione, dalla vastità
delle aree corticali interessate e dall'età dell'insorgenza: ogni atto
specifico della rieducazione ha lo scopo di reintegrare la funzione persa o
danneggiata.
Nel caso della d. evolutiva il soggetto deve acquisire una funzione che ancora
non possiede avvalendosi di un sistema neurobiologico che ha delle peculiarità
che ne ostacolano l'apprendimento: si tratta di mettere in atto misure che
agevolino l'acquisizione del processo di decodifica e la sua automatizzazione.
Dopo questa introduzione è importante sottolineare che non è esatto definire
dislessico qualunque bambino che non impara a leggere. Un bambino, infatti,
potrebbe avere difficoltà a imparare il processo di transcodifica per motivi
diversi, che non sono necessariamente legati a una peculiarità delle strutture
cerebrali coinvolte nei processi di elaborazione dell'ortografia.
Per esempio, il bambino affetto da sordità non impara le corrispondenze
suono-segno perché ha difficoltà a percepire i suoni della lingua. Oppure un
bambino che presenta un deficit intellettivo potrebbe imparare le
corrispondenze tra segni e suoni, ma non essere in grado di riconoscere le
parole a causa di un lessico insufficiente, oppure perché non riesce a compiere
in modo adeguato la fusione dei suoni. Inoltre potrebbero esserci bambini
culturalmente deprivati con difficoltà nella lettura.
Questa difficoltà, dunque, non è di per sé un elemento sufficiente per definire
un soggetto come dislessico, poiché si parla di dislessia solo quando il
disturbo di transcodifica è isolato e non può essere messo in relazione con
altri disturbi di cui la difficoltà di lettura può essere considerata una
conseguenza indiretta.
LE CARATTERISTICHE DEL DISLESSICO
"Perché questo bambino non riesce a leggere? Perché scrive così male? Perché sembra sempre così confuso?"
La definizione della dislessia evidenzia
innanzi tutto il fatto che fra i molti bambini che trovano difficoltà
nell'apprendere a leggere e a scrivere, solo una piccola percentuale è
dislessica.
Alcuni bambini, come i sordi o i portatori di handicap psichico, presentano
problemi di lettura uniti ad altri tipi di difficoltà di apprendimento. Altri
bambini, invece, arrivano alla scuola elementare con lacune nell'area
percettiva da attribuire al non uso o al cattivo uso delle abilità di base:
poco movimento, impacci psicomotori, scarsa attitudine al ritmo, alla
segmentazione della parola in sillabe, limitata competenza linguistica di
origine socioambientale, insufficiente attitudine all'analisi del linguaggio e
al suo uso, carenza di stimolazioni.
Il dislessico è invece, in genere, un bambino dotato di un'intelligenza vivace
e curiosa, si esprime con disinvoltura usando un linguaggio ben strutturato.
Cambia completamente atteggiamento di fronte ad un testo scritto: si agita, è
pervaso da uno stato d'ansia, diviene insicuro.
La sfiducia in sé accentua le difficoltà di comprensione e nello stesso tempo
lo distacca dal proprio gruppo classe.
Nel leggere compie elisioni, sostituzioni, inversioni di fonemi, confonde i
suoni omologhi. Assume atteggiamenti e posture anomali nell'esecuzione di un
compito che per lui è troppo complesso e fonte di insuccesso.
Il suo è un problema specifico relativo all'automatizzazione, velocizzazione,
del processo di lettura. Non trova difficoltà particolarmente gravi nel
linguaggio orale, ma nei compiti legati alla lingua scritta, sia relativi alla
decodifica, sia relativi alla comprensione e all'espressione.
I dislessici dimostrano una particolare lentezza nella ricostruzione dei
significati, a mano a mano che aumenta la complessità e la lunghezza del brano
da leggere. Solo se guidati riescono a cogliere il valore comunicativo e gli
scopi del linguaggio come "comunicatore" di idee diverse, poiché mancano loro
le capacità metalinguistiche, cioè le capacità di cogliere il significato della
parola distaccandola dal contesto.
Ciò che sembra inficiare lo studio e disincentivarne la pratica, sono i tempi
lunghi di lettura ed il dispendio di energia attentiva per controllare e
correggere gli errori di decodifica; per questo il bambino dislessico evolutivo
non accede a conoscenze che, dal punto di vista concettuale, potrebbe benissimo
assimilare.Inoltre la disabitudine a frequentare il testo gli impedisce di
raffinare i metodi attraverso i quali si apprende.
DESCRIZIONE CLINICA
Dal punto di vista clinico la dislessia
evolutiva è considerata un disturbo complesso attribuibile a cause molto
diverse.
Dalla maggior parte degli autori è descritta come un disturbo della codifica
fonemica non sempre legata ad un precedente disturbo del linguaggio; più
precisamente, gli studi neuroanatomici parlano di "deficit funzionale derivante
da piccole alterazioni neuroanatomiche di natura costituzionale".
Anche se descritta come un disturbo di codifica fonetica, non sempre legata ad
un disturbo del linguaggio, i bambini dislessici mostrano una difficoltà di
apprendimento di letto- scrittura legata alla primaria "difficoltà" di
decodifica fonologica, in quanto questo processo necessita della decodifica dei
segni scritti.
In molti casi al disturbo legato alla lettura sono associati deficit nella
scrittura, nell'operazione con i numeri, così come emergono la
disorganizzazione e la difficoltà di comprensione, la confusione di spazio e
tempo.
Alcuni autori sostennero che all'origine della dislessia evolutiva ci fossero
problemi legati al processamento visivo, cioè affermarono che il disturbo
responsabile della difficoltà di lettura fosse di tipo visuopercettivo per cui
il soggetto avrebbe incontrato difficoltà a percepire o a ricostruire la
configurazione della parola scritta. Mentre altri pensarono che i dislessici
avessero qualche lesione cerebrale o nervosa, o una disfunzione congenita che
interferiva con i processi mentali necessari alla lettura.
Studi recenti hanno dimostrato l'esistenza di una base biologica della
dislessia: il cervello dei bambini dislessici presenta delle alterazioni nel
suo funzionamento. Mentre nei soggetti cosiddetti "normali", quando leggono,
aumenta il flusso di sangue in alcune zone cerebrali, attivandole, questo
processo non avviene nei soggetti affetti dalla dislessia.
LA DIAGNOSI DELLA DISLESSIA
La diagnosi della sindrome, secondo alcuni autori, può essere fatta a tre livelli: il primo è limitato alla descrizione del sintomo, il secondo riguarda la classificazione e il terzo la formulazione diagnostica.
Descrizione della capacità o del sintomo: corrisponde al
primo momento dell'iter diagnostico; momento nel quale i genitori o gli
insegnanti chiedono spiegazioni sull'incapacità di apprendimento del bambino in
un settore.
La dislessia è un problema psicosociale che nasce, quindi, in un individuo
dall'incontro di questo con una prestazione; spesso le difficoltà non sono
immediatamente evidenti e questo fa sì che una valutazione compiuta da
esaminatori diversi possa portare a differenti conclusioni.
Il problema della "capacità di lettura" riguarda prestazioni diverse come la
correttezza, la rapidità e la capacità di comprensione del testo scritto.
Classificazione e formulazione diagnostica
Classificazione diagnostica: la classificazione del disturbo di apprendimento
della lettura come "dislessia" implica il riconoscimento della sua specificità.
Il deficit di lettura del dislessico è inaspettato visto il suo livello
intellettuale, la sua adeguatezza emotiva, il suo idoneo curriculum scolastico,
la sua motivazione ad apprendere e il suo ambiente sociale di provenienza.
Poiché spesso i bambini con ritardo di apprendimento della lettura presentano
più problemi contemporaneamente, la diagnosi di dislessia implica
necessariamente un'operazione di interpretazione dei fattori eziologici in
gioco: la classica definizione di dislessia li farebbe corrispondere a danni
neurologici ed ereditari mentre azzererebbe quasi i problemi pedagogici, quelli
emotivo- relazionali e socio- culturali.
Formulazione diagnostica: in questa fase le valutazioni dovrebbero essere
finalizzate all'intervento riabilitativo. Poiché la comprensione della
patologia del processo di lettura avviene attraverso il confronto con la
normalità, è necessario un riferimento ad un preciso modello di evoluzione di
questo processo; modello che individui le capacità di base che costituiscono un
prerequisito necessario al processo stesso (sviluppo intellettuale, sviluppo
emotivo, analizzatore visivo, analizzatore uditivo, funzioni superiori).
LA DISLESSIA FONOLOGICA
E' stata osservata per la prima volta nel
1979 da Beavois e Derousnè su un paziente francese che aveva una prestazione
bassa nella lettura di non- parole associata ad una buona, ma non perfetta,
lettura delle parole; commetteva errori morfologici (ad es. andare- andato).
Nel 1980 è stata classificata da Shallice e Warrington come una dislessia a
"componente singolo" ipotizzando che il deficit alla ricodificazione fonologica
spieghi il disturbo.
L'area lesa in tutti questi pazienti è relativamente ristretta ed è situata
nella regione frontale inferiore, vicina e forse coincidente con l'area di
Broca, cioè i lobi frontali che Broca ritenne (1861) che fossero la sede del
linguaggio espressivo.
I pazienti dislessici fonologici che presentano un'abolizione completa della
lettura delle non- parole sono molto pochi; la maggior parte cerca di leggerle
e compie errori visivi (ad es. bane- pane). Inoltre essi commettono, quando
leggono a voce alta delle parole, una certa percentuale di errori visivi,
alcuni errori morfologici e qualche volta saltano addirittura la parola, mentre
non fanno errori semantici (cioè non sostituiscono le parole con altre di
significato affine) nella lettura a voce alta e non mostrano di essere
influenzati dall'effetto concretezza delle parole. I soggetti in questo caso
sono in grado di compiere in maniera adeguata il compito di decisione lessicale
(discriminare gli stimoli che sono parole da quelli che non lo sono) e la loro
comprensione è buona.
Temple e Marshall (1983) pubblicarono la prima descrizione dettagliata delle
caratteristiche di un soggetto affetto da dislessia fonologica evolutiva.
Questi leggeva le parole regolari e irregolari con la stessa facilità, ma era
molto carente nel pronunciare parole poco familiari e non- parole. La sua
lettura di parole non era perfetta, poiché tendeva a compiere errori di tipo
visivo (ad es. "cheery" letto come "cherry"; "bouquet" come "boutique") e
morfologico ("cautios" letto come "caution"; "appeared" come "appearance")1;
così come la lettura di non- parole o di parole reali ma insolite era mediocre.
Non commetteva, invece, errori semantici nel leggere ad alta voce parole
singole.
Questi errori vennero interpretati come la tendenza del soggetto ad usare la
strategia dell'accesso visivo approssimativo.
L'esistenza di questi due sottotipi di dislessia evolutiva consentirebbe di
dimostrare l'indisponibilità di alcuni meccanismi molto specifici e selettivi
nel processo di lettura; infatti, come analizzerò nel capitolo sull'analisi
neuropsicologica della dislessia, l'utilizzo di una specifica strategia di
lettura a scapito di un'altra supporterebbe l'ipotesi di un sistema lettura
costituito da componenti separabili l'una dall'altra e danneggiabili
separatamente ( struttura modulare della mente ).
LA DISLESSIA NELLA LETTURA
La dislessia è un disturbo che ostacola il normale processo d'interpretazione dei segni grafici con cui si rappresentano per iscritto le parole. Viene definita come un "deficit di sviluppo" che ha origine da alterazioni di natura neurobiologica non rientrante in un quadro psicopatologico.
Alcuni bambini leggono male, ma comprendono ciò che leggono. Questo può creare confusione sul significato dell'espressione "deficit di lettura". Ma, allora, cosa si intende per "deficit"?
Prima di definire il significato di questo termine, o meglio, come viene inteso in riferimento alla dislessia, vorrei introdurre l'argomento "lettura".
Che cosa significa leggere?
Con il termine lettura si intende un processo che consente di comprendere il contenuto di un testo scritto. Questa attività è il risultato di una serie di processi molto complessi che comprendono:
La dislessia interessa solo alcuni di questi processi, i primi tre, mentre non riguardala fase di comprensione di una frase o di un testo.
I primi tre processi vengono considerati come le fasi di un'unica attività, chiamata attività di "decodifica" o "transcodifica", in quanto consente di trasformare il codice scritto in codice orale, quello che usiamo per esprimerci verbalmente.
Nel lettore esperto è molto difficile distinguere l'attività di decodifica dal processo di comprensione, poiché, quando un individuo legge un testo ha l'impressione di accedere direttamente al significato.
L'importanza di questo processo viene messa in evidenza proprio dal dislessico, cioè dal soggetto che presenta difficoltà nelle attività di decodifica.
La dislessia è un disturbo che riguarda unicamente la trasformazione dei segni in suoni; concerne, quindi, il processo d'interpretazione dei segni dell'ortografia.
LA DISLESSIA PROFONDA
La
dislessia profonda è un grave disturbo della lettura che colpisce di solito pazienti
con vaste lesioni all'emisfero dominante. E' caratterizzata
dall'incapacità di leggere le non- parole e dalla produzione di "paralessie
semantiche1" nella lettura a voce alta, cioè sostituzioni di una parola con
un'altra ad essa associata o appartenente alla stessa sfera semantica.
I sintomi della dislessia profonda sono numerosi e tendono a comparire sempre
assieme con questa sindrome. Essi sono:
la presenza di errori semantici nella lettura ( paralessie semantiche)
la produzione di errori visivi (pane- cane)
la produzione di errori morfologici (andare- andato)
effetto della categoria grammaticale con le parole funzione che sono lette meno
bene rispetto alle altre
effetto concretezza per cui le parole concrete sono lette meglio di quelle
astratte
la lettura delle non- parole è impossibile
la disgrafia è sempre presente
si rileva un deficit alla memoria verbale a breve termine
Il sintomo cruciale, quello che differenzia la dislessia profonda dalle altre
sindromi, è, come già accennato, la produzione di paralessie semantiche nella
lettura a voce alta; i pazienti con dislessia profonda, quando leggono delle
parole isolate, commettono degli errori che mantengono una relazione di
significato con lo stimolo loro presentato: liberty- freedom; little- small;
child- girl; e per l'italiano matrimonio- gioia.
I soggetti affetti da dislessia profonda nel commettere errori semantici
possono utilizzare per esempio parole che sono sinonimi come liberty al posto
di freedom, oppure parole che esprimono una relazione di parentela come zio
invece nipote, oppure un'associazione di idee come antico al posto di vaso.
GL ERRORI DEL DISLESSICO
Il dislessico è quasi sempre anche "disortografico"
in quanto le cause che contrastano una normale acquisizione della lettura
rendono impossibile la corretta esecuzione di un esercizio di dettatura o di
una composizione.
Gli errori che si riscontrano più di frequente nella scrittura del dislessico
sono i seguenti:
Confusione tra le consonanti costituite dagli stessi elementi strutturali, ma con diverso orientamento (a, o, s, c, gl, gh) o con strutture diverse, ma con analogie sonore (f-v; d-t; p-b; c-g; s-z)
Inversioni dell'orientamento di lettere di una sillaba o di più sillabe in una parola (la- al; li- il; per- pre)
Elisioni letterali o sillabiche effettuate all'inizio o alla fine della parola (pomeriggio- pomeriggi; porta- pota; pane- pne)
Sillaba ripetuta in una parola più volte
(nascondono- nascondonono; caricare- caricacare; mangiato- mangiangiato)
Assimilazione della parola precedente o seguente, assimilazione dell'articolo
al nome (il sole- ilsole; sul prato- sulprato)
Divisione della parola in più frammenti o sillabe (andiamo, an-dia-mo)
La grafia può essere irregolare.
Gli errori tipici del disortografico possono essere così schematizzati:
sostituzioni fonologiche: b/p; t/d
sostituzione dei grafemi: a, e, o; m, n (grafemi fisicamente uguali)
elisioni, omissioni, immissioni: TRENO- TENO; TAVOLO- TAVOLTO
trasposizioni: CINEMA diventa CIMENA
errori di regola: perdita dell'acca, ch, sc, gl, ci; sbagli nell'uso delle doppie e dell'accento
separazione e fusione illegali di parole: LAGO diventa LA -GO; LA SCUOLA diviene LASCUOLA
errori di identificazione del singolo suono e sequenzialità dei suoni: esempio la parola GATO viene letta GATTO.
I GRADI DELLA GRAVITÀ DEL DISLESSICO
La distinzione classica fino ad ora
utilizzata dagli psicologi e studiosi in questi campi è tra:
Dislessia costituzionale: considerata la più grave e la meno curabile,
ricollegata ad una lateralizzazione mal strutturata ed a disturbi del
linguaggio; si trovano, oltre ai sintomi significativi, perturbazioni gravi a
livello dell'orientamento e della lateralizzazione, con problemi di livello
intellettuale e di personalità legati intorno ad insuccessi scolastici.
Dislessia evolutiva: si manifesta in occasione dei primi esercizi scolastici; i
sintomi sono meno numerosi e le perturbazioni sono meno gravi e ciò incoraggia
la rieducazione.
Dislessia affettiva: diagnosticata nei casi in cui non si ritrovano né disturbi
del linguaggio né della struttura spazio- temporale, ma un blocco affettivo che
si esprime nel campo della lettura; è una reazione d'insuccesso localizzata nella
lettura.
Nel momento della diagnosi, tutte le forme di dislessia sono il risultato di un
processo partito dal disturbo della relazione Io- universo nell'età sensibile e
che si sviluppa nei primi mesi o anni della scolarità.
Prima della prova scolastica le radici della dislessia esistono, ma essa non si
è ancora rivelata; alcuni aspetti come il ritardo del linguaggio, le turbe del
comportamento, l'instabilità e la goffaggine possono essere già percettibili.
Entrando nella scuola elementare, si instaura una stretta relazione tra il
clima socio- affettivo (rapporto con le insegnanti e i compagni), i risultati
scolastici e il clima affettivo familiare.
Trovandosi di fronte alla sua difficoltà d'apprendimento, il bambino cerca di
reagire con tutta la sua buona volontà e con il timore di venir emarginato dal
gruppo del quale fa parte e che procede nel suo lavoro scolastico senza
problemi.
Le sue reazioni a questa situazioni possono essere varie: il progresso
compensatorio sugli altri piani; l'estensione del blocco alla scrittura e al
linguaggio; la generalizzazione del blocco a tutte le materie; la ricerca di
compensazioni per l'insuccesso intellettuale.
L'IPERLESSIA
I dislessici evolutivi che presentano una
buona capacità di lettura a voce alta, ma una comprensione molto povera sono
chiamati iperlessici. Iperlessia è un termine usato per la prima volta nel 1968
dagli Silberberg per connotare il riconoscimento della parola scritta scisso
dalle capacità di comprensione della parola stessa. Negli anni successivi è
stato utilizzato per indicare quei bambini in cui l'abilità in lettura era
nettamente superiore alle aspettative basate sia sulle capacità cognitive sia
su quelle linguistiche, intese come capacità di comprensione del linguaggio.
I disturbi dell'iperlessico sono rappresentati in modo diverso a seconda degli
autori: dai problemi motori di differente natura (aprassia, disprassia,
instabilità, disturbi dell'attenzione, anomalie di lateralizzazione), ai
problemi comportamentali (tendenza all'isolamento, comportamenti di tipo
ossessivo), ai problemi di comunicazione (mutismo, iperverbalismo).
Questa variabilità clinica della sindrome iperlessica è correlata alla
molteplicità delle teorie sulla eziopatogenesi1 e sui meccanismi di
apprendimento della lettura che sono raramente spiegabili da teorie genetiche
ad orientamento psichiatrico, neuropsicologico, cognitivista.
Secondo Berton (1978) nei bambini iperlessici "la lettura fonologica è
concretamente in anticipo rispetto alla lettura semantica", il processo di lettura
utilizzato è quindi l'opposto di quello del bambino "normale" in cui le
capacità semantiche sono in genere più avanzate di quelle fonologiche.
Iperlessia e dislessia costituiscono due diverse varianti, non opposte,
entrambe fondate su un disturbo delle relazioni simboliche.
Questa ipotesi viene sostenuta da Healy e coll. (1982) i quali ritengono che
questi disturbi, così come sono presenti nella dislessia, si ritrovano anche
nei bambini iperlessici; inoltre il legame tra questi due disturbi si dimostra
più saldo in seguito al dato da loro trovato di una familiarità, soprattutto
nella linea paterna, nei disturbi di linguaggio e/o di apprendimento.
Diversa, invece, appare la teoria neuropsicologica sostenuta da alcuni autori
come Cossu e Marshall (1986-1988) per i quali l'iperlessia fornisce un supporto
clinico all'organizzazione modulare della mente, che discuterò nei cap. 17 e
18.
Un problema molto importante che si pongono gli studiosi di questa sindrome è
la correlazione tra lettura e comprensione; tra i pochi autori che hanno
indagato la comprensione della lettura c'è un accordo sostanziale: il bambino
iperlessico legge ad un livello superiore, ma comprende secondo il suo livello
cognitivo.
Uno dei casi descritti da Silberberg e Silberberg (1968) riguarda un bambino di
nove anni, con un Q. I. di 64, quindi notevolmente inferiore alla media, il cui
linguaggio verbale era scarsamente sviluppato, ma che, nonostante ciò, era in
grado di leggere come un bambino di dieci anni. Un dato significativo era che
il bambino comprendeva ciò che aveva letto soltanto nella misura in cui la sua
"intelligenza lo consentiva". Per questo bambino, come per gli altri bambini
iperlessici, l'abilità nel leggere ad alta voce è sviluppata fino a un livello
che supera tutte le altre abilità cognitive. Vi sono inoltre indizi del fatto
che la lettura ad alta voce vada oltre la comprensione e che il bambino
iperlessico non sia in grado di comprendere quello che legge con facilità ad
alta voce. Questa particolare capacità dell'iperlessico di leggere viene
attribuita alle condizioni ancora intatte dei collegamenti fra le unità di
riconoscimento visivo della parola e le unità fonetiche di produzione della
parola.
Huttenlocher e Huttenlocher, con lo studio di un bambino iperlessico di sette
anni, giunsero alla conclusione che le parole vengono riconosciute attraverso
uno "schema visivo" (l'equivalente delle unità di riconoscimento visivo della
parola), il quale si ricollega al significato delle parole (le rappresentazioni
fonetiche di produzione della parola) e infine, separatamente, a uno "schema
uditivo" (le unità fonetiche di produzione della parola. Huttenlocher e
Huttenlocher notarono che nei soggetti iperlessici "il deficit osservato
potrebbe consistere in un'abilità molto ridotta di associare gli schemi delle
parole con i relativi significati". Malgrado questo deficit, la lettura ad alta
voce è ancora possibile grazie ai collegamenti diretti fra schemi visivi e
schemi uditivi.
LETTURA LETTERA-LETTERA
E' stata, forse, la sindrome maggiormente
studiata fino agli anni '70. Può essere considerata, sul piano funzionale, come
la conseguenza di un'eliminazione di collegamento tra il livello di
identificazione delle lettere e le vie visiva e fonologica.
L'impossibilità di attivare il sistema di riconoscimento delle parole impedisce
una lettura visiva "globale" e la parola deve essere ricavata, in modo
indiretto, dalle singole lettere attraverso un meccanismo che generalmente non
viene utilizzato.
Tutto ciò fa sì che i soggetti affetti da questa sindrome commettano molti più
errori nelle parole lunghe che non in quelle corte, che il tempo di lettura
aumenti a seconda del numero di lettere che costituiscono lo stimolo; inoltre
essi possono arrivare al significato della parola solo se prima la leggono
correttamente lettera per lettera. La comprensione è, quindi, lenta e
laboriosa.
L'alessia pura è stata classificata secondo i livelli linguistici compromessi
in:
alessia verbale: caratterizzata da una buona abilità nel
riconoscimento dei grafemi isolati anche se sono rilevabili dei deficit nel
riconoscimento degli stessi quando sono inseriti in un contesto significativo.
La lettura lettera per lettera è scadente e avviene sillabando; il
riconoscimento globale della parola è impossibile.
alessia letterale: i soggetti sono incapaci di leggere le
lettere anche se sono in grado di riconoscerle.
alessia per frasi: non ci sono difficoltà di lettura delle
singole lettere; vi sono difficoltà sulle sillabe, ma non sulle singole parole.
Il soggetto con alessia pura non presenta deficit linguistici, cioè è in grado
di comprendere il "linguaggio parlato" mentre perde la sua capacità di capire
la parola scritta. Nei casi più gravi ci sono difficoltà nella lettura anche
delle lettere e vengono confuse quelle simili visivamente (d-b; m-n; p-q); nei
casi più lievi, invece, leggono correttamente le singole lettere, ma quando si
trovano di fronte alle parole, scandiscono prima tutte le lettere, di solito a
voce alta, per poi unirle. All'aumentare della lunghezza della parola aumenta
anche il tempo impiegato a leggere e il numero degli errori; chi è affetto da
alessia pura per comprendere una parola deve prima leggerla lettera per
lettera, quindi, ogni condizione sperimentale che impedisca questo tipo di
lettura impedisce, automaticamente, anche la comprensione. Ciò dà l'idea della
difficoltà e della fatica che questi soggetti affrontano nella lettura e anche
del tempo che impiegano a svolgere questa attività che non è più un piacere.
MODELLO STANDARD DI LETTURA
Questo modello, che si ritiene alla base
dell'idea di modularità della mente, rappresenta le strategie di lettura di un
soggetto considerato "buon lettore".
Il primo stadio di "analisi visiva" sottopone lo stimolo ad un'analisi delle
caratteristiche distintive e lo codifica in modo che possa alimentare lo stadio
di riconoscimento delle lettere. Lo stadio di "identificazione delle lettere"
le identifica in modo astratto.
Il sistema di "riconoscimento delle parole" è composto da tanti riconoscitori
quante sono le parole della lingua, fornisce una risposta (cioè il
riconoscimento di una data parola) solo se una data soglia è stata raggiunta.
Quindi, se il sistema di riconoscimento delle parole ha acquisito un'evidenza
percettiva.
La via di lettura che inizia da questo stadio può essere denominata via visiva
o via lessicale per distinguerla dalla via fonologica o non lessicale che si
basa sulla ricodificazione fonologica.
La via lessicale a sua volta si divide in due: una semantica e una non-
semantica; entrambe attivano il meccanismo di "produzione delle parole".
La via visiva semantica rappresentata nello schema dal passaggio dal
riconoscimento visivo delle parole alla loro produzione attivando il
significato della parola nel "sistema semantico"; alcuni sintomi propri di
alcune forme di dislessia come l'effetto concretezza (il fatto che le parole
concrete vengano lette in maniera più accurata di quelle astratte) e l'effetto
di categoria grammaticale (nel quale i sostantivi sono letti meglio delle
parole funzione) sono stati identificati da Morton e Patterson (1980).
La via visiva non-semantica connette, invece, direttamente il "sistema di
riconoscimento" con il "sistema di produzione" delle parole senza passare per
il significato. Questa via permette di spiegare l'esistenza di una lettura di
parole accurata in assenza di comprensione.
La via fonologica costruisce la "forma fonologica" delle parole e delle non-
parole date le lettere che sono state identificate negli stadi precedenti, che
rappresentano il livello astratto dell'identificazione delle lettere, e
attraverso l'applicazione di regole grafema- fonema.
L'ultimo stadio, quello dell'articolazione (sistema articolato della figura),
produce la parola o la non- parola che è stata elaborata dai meccanismi
precedenti e rappresenta la fase finale del processo di lettura.
Applicando questo modello ai disturbi della lettura sono stati identificati due
sottotipi di dislessia: la dislessia superficiale e la dislessia fonologica.
In ciascuno di questi sottotipi il modello a due vie non è riprodotto, in
quanto soltanto una via d'accesso è efficiente. Come già ampiamente descritto
in precedenza, nel caso della dislessia fonologica il soggetto incontra
difficoltà con le parole irregolari o con le non- parole in quanto può usare solo
l'accesso diretto o via lessicale (semantica). Nel caso della dislessia
superficiale, invece, il soggetto legge allo stesso modo parole e non- parole,
senza mostrare alcun vantaggio per le parole più frequenti; inoltre non è in
grado di leggere in modo corretto le parole irregolari (in italiano le parole
con l'accento irregolare).
E' importante aggiungere che, per quanto riguarda l'italiano, la nostra
ortografia ha un rapporto molto più univoco e trasparente tra suoni e segni
rispetto all'ortografia inglese e quindi la via fonologica appare molto
semplice e naturale, soprattutto nelle prime fasi dell'apprendimento della
lettura.
Sicuramente anche in italiano l'accesso diretto viene utilizzato dal lettore
efficiente ma, contrariamente a quanto accade per la lingua inglese nella quale
la via lessicale è indispensabile fin dall'inizio per imparare a pronunciare le
parole, nell'ortografia italiana la via lessicale può essere attivata
successivamente, come risultato dell'automatizzazione dei processi di codifica fonologica,
dal momento che in essa ha le sue radici.
Vi sono dati sperimentali che dimostrano che, nonostante l'adozione della via
fonologica, i bambini già a partire dalla classe prima elementare mostrano un
vantaggio derivante dall'influenza di componenti lessicali. Leggono, infatti,
più rapidamente e in modo maggiormente accurato le parole più frequenti, cioè
le parole più usate e quindi conosciute.
I bambini italiani raggiungono l'apprendimento e l'automatizzazione dei
processi di codifica in tempi molto rapidi e anche i dislessici, pur non
riuscendo a raggiungere mai a raggiungere un'efficienza uguale a quella dei
pari livello scolastico, riescono ad automatizzare le procedure di lettura
entro il tempo dell'obbligo scolastico.
Alcuni autori italiani (tra i quali Tressoldi), partendo dall'ipotesi
dell'organizzazione gerarchica delle varie fasi dell'apprendimento (modello di
Frith) sostengono che, data la natura del nostro sistema ortografico, non si
potrebbero trovare dislessie fonologiche pure, ma solo dislessie superficiali o
miste. Per questo motivo considerano un limite del modello a due vie il non
considerare l'interazione fra la strategia lessicale e quella fonologica:
l'indipendenza delle due vie, che costituisce un'assunzione di base del modello
standard, non rende conto delle numerose prove che gli autori dispongono a
favore dell'influenza della conoscenza lessicale sui processi di assemblaggio
fonetico.
I PROBLEMI DI LETTURA NEL DISLESSICO
Vi sono fattori linguistici che influenzano in misura molto consistente la possibilità di leggere e riconoscere una parola.
La frequenza d'uso di una parola nel lessico infantile e il suo valore d'immagine (cioè il grado di concretezza) sono molto importanti, per cui a parità di lunghezza e di complessità ortografica, è più facile leggere una parola frequente e facilmente immaginabile come "cane", rispetto alla parola poco frequente e molto astratta "pena". Anche se entrambe sono costituite da quattro lettere, la scarsa rappresentabilità della parola "pena" nel lessico dei bambini ne rende difficile il riconoscimento.
Un altro fattore importante è la lunghezza della parola. E' molto più facile leggere la parola "cane", piuttosto che la parola "albero", a causa del maggior numero di lettere da leggere e da convertire in suoni. Inoltre è tanto più difficile ricostruire una parola attraverso la fusione di suoni singoli disposti in sequenza, tanto maggiore è il numero di suoni da considerare. Entrambe le parole sono ad alta frequenza e ad alta immaginabilità, per cui la differenza di difficoltà deriva unicamente dalla quantità di lettere da esaminare e di suoni da fondere.
Un altro elemento che interferisce con la facilità di leggere una parola è la complessità ortografica. La parola "matita" è più facile da leggere della parola "strada". Pur avendo lo stesso numero di lettere costituenti, la parola "strada" accosta una serie di suoni più difficili da pronunciare insieme rispetto alla parola "matita", dove l'alternanza di consonante e vocale è regolare e facilita certamente la ricostruzione della parola per via sillabica (ma-ti-ta). Anche se "strada" è composta da due sole sillabe, la sua ricostruzione attraverso la lettura richiede a un principiante maggior impegno, poiché la formazione di una sillaba complessa è certamente più laboriosa rispetto alla sillaba semplice. Un bambino che ha difficoltà di acquisizione della lettura si eserciterà più facilmente e con maggior profitto se deve leggere parole semplici, brevi, frequenti e immaginabili, piuttosto che parole complesse e sconosciute. Nel primo caso potrà infatti contare sulle sue conoscenze lessicali per compensare le difficoltà di decifrazione o di fusione dei suoni, mentre nel secondo caso troverà ulteriori ostacoli.
Un altro fattore di complessità è costituito dall'impiego di diversi tipi di carattere per rappresentare le lettere. La maggior parte dei bambini non incontra difficoltà ad apprendere corrispondenze multiple, ma i dislessici, che hanno bisogno di grande stabilità per imparare le corrispondenze tra i segni e i suoni, incontrano molti ostacoli dalla presentazione simultanea di caratteri diversi usati per rappresentare graficamente lo stesso suono. I dislessici, quindi, non sono in grado di apprendere il corsivo e riescono invece a utilizzare con più facilità lo stampatello maiuscolo in quanto più stabile e più facile da discriminare dal punto di vista percettivo.
I PROCESSI DI LETTURA E SCRITTURA
I modelli della psicologia metacognitiva
sottolineano l'aspetto processuale della lettura, la complessità e la
molteplicità dei diversi sottosistemi impiegati.
Prima della scolarizzazione il bambino usa il linguaggio quasi esclusivamente
come mezzo di comunicazione. Quando inizia la scuola invece apprende a
riflettere sul linguaggio identificando e analizzando gli elementi e le
strutture che lo compongono. Il termine "metalinguistica" si riferisce alla
capacità di usare il linguaggio per analizzare, studiare, conoscere il
linguaggio stesso.
La lettura diventa un processo interattivo che implica sia il testo, sia ciò
che il lettore ne trae, in base alle sue conoscenze di fondo. Come evidenzia
Cornoldi, il soggetto normolessico utilizza contemporaneamente operazioni
semantiche (top- down) e operazioni sintattiche (bottom- down), cioè, durante
la lettura analizza e mette in continua relazione i dati ed i concetti letti.
La difficoltà di decodifica è propria dei sistemi di scrittura alfabetica in
quanto il segno grafico non rappresenta l'oggetto o l'evento, bensì i fonemi
poiché non esiste corrispondenza diretta tra evento fono-articolatorio ed unità
percettive; ogni gesto fono-articolatorio produce informazioni per più unità
fonemiche.
L'accesso al significato avviene per via mediata, tramite il
linguaggio. Questo comporta una strutturazione dei metodi di apprendimento
diversa da quelli alla base dell'apprendimento per esempio del sistema
ideografico (memorizzazione).
L'organizzazione mediata dei sistemi alfabetici crea difficoltà alla ricerca ed
all'individuazione dei processi che devono essere controllati dal bambino per
accedere alla scrittura.
Se, quindi, nei sistemi alfabetici la scrittura rappresenta la lingua, la
premessa per l'apprendimento e l'utilizzazione del sistema scritto è costituita
dalla conoscenza della lingua stessa.
Il bambino giunge a scuola con una sufficiente padronanza della lingua, sembra
in grado di controllare le strutture della sintassi e della morfologia.
Tuttavia questo non consentirà al bambino l'acquisizione immediata della
lettura, che non deriva automaticamente dalla capacità linguistica
dell'individuo.
Il bambino deve affinare le proprie abilità metalinguistiche, deve imparare a
riflettere sul significato del segno scritto e sulla sua funzione comunicativa;
i processi di lettura e di scrittura comportano, cioè, una doppia cifratura:
dalle sequenze di lettere alla struttura fonemica della parola e da questa al
significato.
Tale operazione di simbolizzazione costituisce l'essenza delle operazioni
metalinguistiche sulle quali si articola il processo di lettura e scrittura.
Per cogliere il significato della "stringa (sequenza) fonologica" della parola,
il bambino deve riuscire a compiere delle operazioni sulla stringa stessa,
altrimenti è costretto ad immagazzinare ogni singola parola scritta come fosse
un'entità autonoma.
E' stato dimostrato (Liberman e Coll) che un bambino in età prescolare incontra
notevoli difficoltà nell'effettuare delle operazioni metalinguistiche
esplicite, soprattutto nella scomposizione fonemica, poiché per il bambino
risulta impossibile separare le caratteristiche fisiche del significato dalla
struttura del significante.
Con l'osservazione dell'ambiente che lo circonda, il bambino comincia a
rendersi conto di abitare un luogo in cui segni e disegni posti sugli oggetti
corrispondono, per gli adulti, ai nomi degli oggetti. In questo modo comincia a
costruire un " lessico ortografico primitivo" grazie al quale riesce ad
associare una sequenza di lettere ad un certo oggetto, senza avere una
coscienza della struttura fonologica interna della parola.
Per poter accedere al sistema scritto in modo produttivo, il bambino dovrà
riuscire a dissociare la componente del significante da quella del significato.
LA TEORIA MODULARE DELLA MENTE
Lo sviluppo delle neuroscienze contribuì
allo sviluppo della psicologia scientifica sul piano della corrispondenza tra
funzioni cerebrali e attività mentali.
Un particolare rilievo, da questo punto di vista, ebbe l'attività scientifica
dello scienziato austriaco Franz Joseph Gall (1821-25). All'attività di ricerca
anatomico- funzionale Gall associò un'attività speculativa che lo portò a
proporre una "psicologia delle facoltà", con cui sostenne una suddivisione
"verticale" (in termini fodoriani): in altri termini, il pensiero matematico
piuttosto che musicale, ma anche la vaghezza, la fiacca, come facoltà
psicologiche, sarebbero separate completamente le une dalle altre.
La concezione opposta sosteneva che vi sono dei "processi orizzontali", al
servizio di tutte le facoltà, come la memoria, la percezione ecc. Per Gall,
invece, la memoria musicale non avrebbe alcun rapporto con la memoria per la
matematica. Egli fece il tentativo di combinare la "psicologia delle facoltà"
con le analisi neuro- anatomo- funzionale del cervello. Sosteneva che ogni
facoltà ha una sua sede cerebrale specifica; che l'esercizio di una facoltà (o
anche una sua dotazione innata) comportava uno sviluppo particolare, in senso
di accrescimento fisico, dell'area cerebrale relativa; sosteneva inoltre che
tale zona cerebrale quantitativamente accresciuta, premendo contro la scatola
cranica, la deformasse. La conseguenza sarebbe stata la presenza sulla scatola
cranica di asimmetrie che avrebbero consentito, da un'ispezione del cranio, la
determinazione delle predisposizioni dell'individuo.
Questo aspetto dell'opera di Gall non venne mai accolto con particolare
entusiasmo dalla comunità scientifica; si dovette attendere il 1861 perché il
discorso della localizzazione cerebrale delle funzioni mentali potesse
riaprirsi. Quando, cioè, Broca scoprì il centro cerebrale del linguaggio articolato,
rilevando che chi aveva una lesione nel piede della terza circonvoluzione
prerolandica sinistra perdeva la capacità di articolare il linguaggio, pur
conservando tutte le altre funzioni linguistiche, a cominciare dalla
comprensione.
Venivano così progressivamente individuati altri centri, la cui lesione
corrispondeva alla perdita di altre funzioni mentali, del linguaggio (le
cosiddette afasie), della rappresentazione cognitiva di cose o eventi (le
agnosie), della capacità pratica di compiere azioni servendosi o meno di
utensili (le aprassie). Tutto ciò porterà i neuropsicologi clinici ad affermare
un'analitica rappresentazione cognitiva delle funzioni mentali.
Lo stesso Fodor, del quale parlerò nel prossimo capitolo, si ricollega
esplicitamente alla "psicologia delle facoltà" tramontata con la morte di Gall.
In questo capitolo esaminerò più nello
specifico la teoria della modulare di Fodor per confrontarla con il modello
neuropsicologico di modularità.
Secondo Fodor "l'architettura cognitiva" si distingue, per quel che riguarda i
sistemi periferici di analisi dell'input, in particolare percezione e
linguaggio, in strutture verticali (moduli) che "trasformano computazionalmente
gli input in rappresentazioni".
Sono modulari, quindi, soltanto alcuni "sistemi periferici di input e output",
deputati a funzioni quali la percezione visiva e uditiva, l'elaborazione del
linguaggio e il controllo motorio; cioè i sistemi percettivi in senso stretto,
il cui output non è ancora una rappresentazione concettuale vera e propria. I
sistemi di input si collocano a metà tra i trasduttori sensoriali, che
convertono "l'energia che li colpisce in segnali elaborabili dai sistemi di
input" e i sistemi centrali.
E' importante sottolineare come Fodor non ritenga la mente uniformemente
modulare; infatti la "cognizione centrale", l'insieme delle attività cognitive
in si "fissano le credenze", si traggono inferenze e si prendono decisioni, non
presenta le caratteristiche di modularità dei sistemi periferici di input.
Il modulo è un sottosistema di elaborazione delle informazioni che possiede
delle caratteristiche sostanziali quali la specificità per dominio,
obbligatorietà del funzionamento, velocità, incapsulamento informazionale.
Specificità per dominio significa che il tipo di dati elaborati da un modulo
concerne esclusivamente una ristretta area di conoscenza. I moduli sono
strutture altamente specializzate che possono analizzare tipi di input
differenziati da modulo a modulo; un modulo che per esempio serva a individuare
il soggetto in una frase udita non può svolgere un altro tipo di compito. Per
ciò che concerne in modo particolare il linguaggio è importante sottolineare
che il modulo dell'analisi costruisce rappresentazioni della struttura
grammaticale delle frasi, ma non rappresentazioni più profonde di livello
semantico o pragmatico.
Un'altra caratteristica del modulo è la sua attivazione automatica
(obbligatorietà) in presenza del tipo specifico di input che è deputato ad
analizzare. Non si può impedire che il modulo entri in azione nelle circostanze
appropriate di funzionamento; per esempio non si può evitare di udire una frase
proferita nella propria lingua o di avvertire una sensazione tattile quando si
posa la mano su una superficie.
I moduli fodoriani sono "isolati informativamente" dal resto del sistema
cognitivo, quindi il soggetto può accedere esclusivamente all'output del
modulo, cioè alle rappresentazioni finali e non alle eventuali rappresentazioni
intermedie di cui non è consapevole. D'altra parte questo "isolamento" sottolinea
il fatto che il modulo sia incapsulato informazionalmente, cioè che durante il
suo funzionamento, non può avere accesso né in generale alla rappresentazione
delle conoscenze dell'individuo, né ad informazioni provenienti da altre parti
del sistema cognitivo dell'individuo.
La proprietà di accessibilità limitata unita alla caratteristica di
incapsulamento informativo determina una netta separazione tra un modulo e il
resto del sistema. Il modulo lavora in modo indipendente e autonomo ed è solo a
livello della sua interfaccia di output che i "processi centrali" possono
accedere ai dati elaborati dal modulo.
Secondo Fodor "è l'incapsulamento informativo a costituire il cuore della
modularità" . Questa caratteristica risulta fondamentale nei casi di percezione
visiva, nell'analisi della sintassi e nel riconoscimento lessicale per spiegare
i fenomeni di feed-back, cioè l'apparente uso nei processi di analisi
percettiva di informazione di "alto livello", non specifica dello stimolo
percettivo.
Esempi di questo fenomeno sono le reintegrazioni di fonemi o di particolari
visivi: se in una sequenza di suoni linguistici percepiamo l'assenza di un
fonema, inseriamo il presunto fonema mancante sulla base dei fonemi precedenti
e successivi, indipendentemente dal fatto che il fonema in questione fosse
realmente presente nella sequenza.
Nella prospettiva modularista questi fenomeni vengono spiegati affermando che
gli effetti del feed- back (le integrazioni o correzioni) intervengono sui
risultati dei sistemi di input, non sulle loro elaborazioni.
Anche le illusioni ottiche sarebbero una prova a favore dell'incapsulamento,
poiché sono casi in cui il modulo visivo sbaglia per ragioni intrinseche ai
suoi principi di funzionamento; ricorrere alla nostra conoscenza non evita
l'errore, ma lo corregge a posteriori.
Fodor respinge così la concezione top- down della percezione, in base alla
quale la codificazione percettiva di uno stimolo è determinata in larga misura
da credenze e attese più o meno consapevoli del soggetto.
Nella lettura a prima vista l'interpretazione iniziale della frase è data dal
solo ricorso a indici sintattici; solo in un secondo momento entreranno in
gioco fattori semantici.
L'analizzatore sintattico, la componente dell'elaboratore linguistico che computa
le relazioni grammaticali tra le parole, funziona applicando regole che tengono
conto della categoria sintattica delle parole e non sono guidate
dall'informazione semantica o da altre informazioni di "alto livello".
E' questo che fa sì che si possa parlare di incapsulamento informazionale
dell'analizzatore sintattico e quindi della sua modularità.
Lo stesso discorso può essere fatto a proposito del "riconoscimento lessicale".
Come lo si può analizzare dal punto di vista modulare? Il processo di selezione
degli elementi lessicali è influenzato dalle conoscenze sintattiche e
semantiche?
Il "riconoscimento lessicale" è l'insieme dei processi che, dato un certo input
acustico e fonetico, selezionano un elemento tra quelli contenuti nel lessico
mentale. Potrebbe sembrare legittimo, in questo caso, congetturare che le
conoscenze dei sistemi centrali siano inviate all'elaboratore lessicale
determinando una facilitazione del riconoscimento delle parole. Fodor risponde
a questa congettura distinguendo tra associazioni lessicali e giudizi: una cosa
è istituire un nesso associativo tra elementi del lessico e un'altra cosa è
disporre della conoscenza che si ha degli elementi in oggetto.
Per Fodor l'idea di base è che "la struttura logica e grammaticale di una frase
è determinata unicamente (se non ambigua) dalla sua costituzione fonetica;
quest'ultima è a sua volta determinata unicamente da certe sue proprietà
acustiche". Quindi "il riconoscimento della forma linguistica non può essere
guidato dal contesto, perché non è il contesto che determina la forma; e il
fatto che la forma linguistica possa essere poi riconosciuta deve essere
determinato da processi in larga misura incapsulati. Così il sistema dell'input
linguistico specifica la forma linguistica, e forse anche logica, di ogni
enunciato appartenente al suo dominio. In questa proposta è implicito che non
faccia più di questo".
La concezione modulare implica per Fodor che i processi rapidi, obbligati e
incapsulati informazionalmente formano un sistema funzionalmente rilevante per
la comprensione del linguaggio poiché "trasmettono delle rappresentazioni di
enunciati che appaiono perfettamente sensate se considerate come delle
rappresentazioni di enunciati: (cioè) rappresentazioni che specificano i
costituenti morfemici, la struttura sintattica, la forma logica".
Per completare l'esposizione della teoria fodoriana è importante introdurre le
altre proprietà dei moduli: la realizzazione neuronale fissa (plausibile in
base all'idea che i moduli siano selezionati geneticamente) e la
danneggiabilità selettiva.
Per quanto concerne la seconda caratteristica, questa è una conseguenza
dell'incapsulamento e della realizzazione neuronale fissa: un danno
circoscritto a un gruppo di circuiti neuronali può colpire esclusivamente le
funzioni eseguite dal modulo corrispondente. Fodor descrive, quindi, l'afasia e
l'agnosia come turbe funzionali che seguono un ben preciso modello; non possono
essere spiegate riconducendole a un mero decremento quantitativo di capacità
globali orizzontali come la memoria, l'attenzione, la capacità di risolvere
problemi. (.) L'analisi degli input è ampiamente influenzata da circuiti
neurali specifici, connaturati, e dall'altro le patologie dei sistemi di input
sono causate da lesioni di questi circuiti specializzati. (.) Ogni meccanismo
psicologico che sia funzionalmente distinto può subire dei danni selettivi".
La dislessia in base a questa teoria, potrebbe essere considerata come il
risultato del malfunzionamento di uno o più moduli, cioè di una o più unità computazionali
geneticamente predisposte a svolgere computazioni molto specifiche, in questo
caso quelle predisposte per la decodifica e la trans-codifica dei segni
grafici.
Questa organizzazione, così articolata e specifica, è confermata dalla
letteratura sui disturbi di lettura, scrittura e calcolo che consente di
documentare danni settoriali e specifici.
LE TEORIE DELLA DISLESSIA
Kussmal (1877) e Morgan parlarono di
cecità alla parola, il secondo in termini di difetto dello sviluppo nel giro
angolare sinistro del cervello. Fino ai primi anni del 1900 il disturbo venne
affrontato da un punto di vista prettamente organico.
Orton (1925-1937) fu il primo ad occuparsi in modo scientifico, con il ricorso
a esperimenti, del disturbo della lettura adducendo come causa il mancato
sviluppo della dominanza emisferica del linguaggio. La mancanza di dominanza
laterale provoca una percezione visiva distorta con una conseguente confusione
spaziale, poiché non avviene la cancellazione dell'immagine nell'emisfero non
dominante.
Con Eustiss nel 1947 si iniziò a guardare alla difficoltà di lettura come parte
di un quadro comprendente goffaggine, difficoltà di linguaggio, ambidestrismo,
mancinismo, predisposizione ereditaria nella lenta maturazione neuromuscolare e
nella lateralizzazione inadeguata.
Drew (1956) analizzò attentamente i disturbi alla base dei problemi di lettura:
difficoltà nello spelling, nell'orientamento, nella lateralizzazione,
deficienze motorie e di scrittura, scarsa capacità attentiva.
Rabinovitch (1956) fu il primo a considerare la possibilità che le difficoltà
di lettura potessero essere associate a disordini del linguaggio.
Hermann (1959) parlò di mancanza di lateralizzazione, confusione
sinistra-destra, agnosia digitale, difficoltà nella lettura, nella scrittura e
nel calcolo, deficiente apprendimento dei simboli.
A partire dalla prima metà degli anni 70, soprattutto con Bakker (1972), si
guardò al dislessico come ad un soggetto che presenta difficoltà nella
percezione temporale nella sequenza degli stimoli verbali. In questo caso non
c'è relazione tra dislessia e disturbi (disfunzioni) del linguaggio.
Sempre negli anni 70 si iniziò a distinguere tra dislessia visiva e dislessia
uditiva.
La lettura e la scrittura sono funzioni autonome, raggiungibili anche senza uno
sviluppo intellettivo nella norma.
Cossu distingue tra due componenti: la prima è il complesso di abilità e
competenze che il bambino controlla per decifrare una stringa visiva; la
seconda componente è quella di accesso al significato, accesso lessicale che
avviene attraverso la "ricodificazione fonologica".
La competenza fonologica, cioè la capacità di analizzare separatamente i suoni
all'interno della parola, è fondamentale.
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