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ANORESSIA - il peso delle apparenze




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ANORESSIA















il peso delle apparenze











































Un motto latino scandisce l'ingresso nell'universo della scarnificazione,

"quod me nutrit me destruit", ciò che mi nutre mi distrugge. Una frase tatuata sulla pelle di Angelina Jolie e riprodotta sui blog inneggianti alla magrezza. E' l'emblema di una malattia che fa morire, ma che su Internet è una promessa di perfezione per migliaia di ragazze accomunate dall'identico obbiettivo: diventare magre "oltre le ossa" , come implorano loro stesse nei centinaia di siti e blog Pro Anoressia (Pro Ana): Ana, come è chiamata dalle teenager la guerra contro il cibo, è una dea potente, capace di radunare schiere di adepte. L'inferno trabocca di foto rubate alle passerelle e alle riviste: il ventre piatto di Gemma Ward, le coscie spolpate di Victoria Beckham, le braccia esili di Angelina Jolie. Tra gli adolescenti, questa e' la malattia psichiatrica a più alto tasso di mortalità.

Basta digitare qualche parola chiave per entrare in un labirinto di blog collegati dove ragazze giovanissime esaltano l'estremo digiuno e si incoraggiano a vicenda nel dimagrire oltre il limite, blog in cui si parla solo di calorie e controllo della fame, parola bandita come inammissibile. Mangiare è la peggiore delle eventualità, la sconfitta suprema. Le immagini prima di tutto. In gergo si chiama thinspiration, cioè ispirazione per essere magre, ed è una sezione di foto di modelle, alcune ritoccate per esasperare l'assenza di carne. Per ogni sito oscurato (sono illegali) ne nasce subito un altro che propone la filosofia Ana: trucchi per ingannare i genitori, suggerimenti per vomitare (si consigliano sciroppi da lavanda gastrica), istruzioni all'uso dei lassativi, idee crudeli per distrarsi dal pensiero del cibo. Fra i siti che promuovono l'anoressia, 257 mila contengono la parola chiave pro-anorexia, 18.600 pro-axa, 14.200 thinspiration, 577 anorexicnation e altri neologismi che testimoniano - dicono i ricercatori - di una crescente tendenza antropologica verso una subcultura anoressica.

La malattia è una mistica con tanto di credo e comandamenti. Un'ossessione codificata in un codice di simbologie e amuleti. Uno fra tutti, il braccialetto, rosso per le ana e blu per le mia (sta per Bulimia). Si ordina online e arriva a casa, privacy garantita. Indossarlo corrisponde a sentirsi parte integrante di una setta.

Ecco alcuni brani dalle chat online:

"Due dita in gola non fanno la felicità. Quei Kg in meno però sì. Io ho bisogno di eccellere, o di illudermi di farlo. La più brava, la più bella (per quanto mi è concesso), la più magra. Sono ambiziosa fino alla distruzione e amo me stessa al punto da morire. Odio il cibo, che mi allontana dalla perfezione, e qualsiasi cosa che deturpa l'immagine che ho costruito nella mia mente. Io sono una bambola che non ha bisogno di parlare. L'importante è, dovunque la posi, che tutti la ammirino. Così mi sento. Egoista e vanitosa. Orgogliosa. Scema. Devo perdere peso, poi si vedrà." Kivia.

"Devo dimagrire per essere più adeguata, so di essere carina e non grassa, ma non mi basta, io devi dimagrire assolutamente, perché detesto il grasso e amo le ossa, corpi scheletrici come quello di Kate Moss, di Mischa Barton, di Lindsay Lohan.e voglio essere bella come loro."

"La mia vita si basa sul mio peso, vive del mio peso, si nutre del mio peso e io con lei.No, non sono pazza né tanto meno malata.voglio solo essere magra e provare, anche solo per un giorno quello che prova Gemma Ward quando sfila per Oscar de la Renta.chiedo troppo??"

"Ho deciso, da oggi ricomincio con ana e mia, stamani ho mangiato un cornetto vuoto ma poi l'ho rivomitato, anche se mi sa che è passato troppo tempo e quindi ne avrò buttato fuori solo ¼."

"Ti capisco troppo quando dici che odi essere "normale" .anche io voglio la perfezione del mio corpo.magra oltre le ossa. Ananellanima."

"Mi piace l'ironia tagliente con la quale la dottoressa mi dice che sono un'idiota nel consumare 150 kcal al giorno. E' facile vomitare parole che hanno il gusto della pena e della falsa compassione. Prendere le redini della propria verbalità e assumersi il pieno controllo delle proprie sostanze: questo mi ci vuole."

"Oggi, dopo due anni, mi sono tornate le mestruazioni. Non capisco perché. Eppure non sono ingrassata, peso sempre 37 kg. Però ho qualcosa di diverso in faccia. Sembro più felice. Bimba84, 19 anni, 1.67 cm. 37 kg."

"Per fortuna a pranzo mia madre non c'è e a cena fingerò un malore improvviso che mi impedirà di mangiare.adoro queste interpretazioni da oscar!!! Comunque ho ritrovato la forza grazie alle mie meravigliose amiche ana, senza di loro sarei perduta!!! Il nostro obbiettivo è entrare in una taglia 38.mah, lo spero tanto.Comunque ho già deciso cosa mi devo mettere sabato prossimo per andare a ballare, tutte cosche ora mi stanno strettine ma che sabato mi staranno da dio.tra cui jeans taglia 26.siiiiiiiiiiiiii.Gonnabeskinny"


L'ANORESSIA è un disturbo del comportamento alimentare che manifesta una condizione di disagio psicologico ed emotivo che porta all'estremo rifiuto del corpo e della voce. Rifiuto che è un grido, un  appello, un perdono piuttosto che una vendetta. Rifiuto che comunica visivamente tanto più quanto il corpo si dissolve e la voce sparisce; è un disturbo psichico legato a problemi familiari, a fragili equilibri emotivi o a carenze affettive su cui fanno leva con maggiore facilità condizionamenti sociali e culturali.

L'anoressia è figlia del nostro benessere, della nostra opulenta civiltà occidentale, frutto di mode e modelli distorti, di una cura ossessiva per la forma fisica.

Di solito inizia con una dieta al fine di migliorare la propria immagine. La persona anoressica non si sente mai magra abbastanza, colpisce duramente il corpo, lo attacca nelle sue funzioni vitali e può condurre a gravissime conseguenze fisiche quali insufficienza renale, osteoporosi, alterazioni cardiovascolari, perdita dei denti e dei capelli.
La persona che soffre di anoressia ha una bassissima stima di sé e tende a soffrire anche di bulimia che la porta ad ingerire enormi quantità di cibo. Il senso di colpa ce ne deriva, costringe ad escogitare pericolose condotte eliminatorie quali vomito autoindotto, abuso di lassativi e diuretici. Si instaura con il cibo una vera e propria dipendenza paragonabile a quella che lega il tossicodipendente alla droga.

Ormai abbiamo imparato a riconoscere l'anoressia nei profili incavati, nelle braccia ossute, nelle scapole e nei bacini sporgenti. Sono soprattutto le modelle ad inseguire costantemente questo ideale di magrezza innaturale, dal momento che il mondo della moda lo impone. E mentre la bambola Barbie, accusata di essere un esempio fuorviante, perché rappresentava un'immagine distorta - troppo perfetta e magra - della donna, veniva assolta.'per mancanza di prove', negli anni Settanta era Twiggy a lanciare la moda delle indossatrici scheletriche.




Del resto, la moda, il cinema e lo spettacolo ci impongono ogni giorno un canone estetico femminile sempre più esile ed incorporeo. Il bombardamento delle immagini pubblicitarie da parte dei mass media, per non parlare poi delle diete, in agguato dietro ogni pagina di giornale, non fanno che consolidare questo standard, alle cui regole si cerca d'istinto di attenersi.

Un tempo non si conosceva la vera natura di certi squilibri alimentari: l'anoressia non era considerata una malattia nervosa (fu riconosciuta tale solo nel XX secolo) ed è per questo che solo a posteriori è stato possibile diagnosticarla a molti celebri personaggi del passato. Il che ha ridimensionato le cause sociali ed estetiche, mettendo in luce l'elemento psichico quale principale fattore della malattia.

Elisabetta d'Austria (1837-1898), la principessa Sissi moglie dell'imperatore Francesco Giuseppe, per mantenere un peso di 50 chili (era alta 1 metro e 72) si imponeva delle diete rigorosissime ed attività sportive come il nuoto, l'ippica e lunghe passeggiate. Le quattro gravidanze la spinsero a diete sempre più drastiche, che inventava lei stessa, a base di carne cruda, sangue di bue, moltissimo latte. I frequenti disturbi nervosi e la depressione, causati dalla fragilità emotiva e dall'incapacità di sopportare la rigidità delle regole di corte, in particolare il controllo severo e impietoso della regina madre (che non le mostrò mai affetto), sono stati da molti storici e biografi attribuiti all'anoressia nervosa.

Una principessa infelice dei nostri tempi è stata Diana Spencer (1961-1997). Tutti ricorderanno le sue dichiarazioni alla televisione, in cui confessò la bulimia, il fallimento del matrimonio ed il rapporto difficile con la regina Elisabetta, suocera dal carattere ferreo.

E soffrì quasi certamente di anoressia anche un personaggio discusso e controverso come Evita Duarte (1919-1952), moglie del presidente argentino Juan Domingo Perón. Sin dall'infanzia ebbe problemi col cibo e una vera e propria ossessione per la forma fisica. Criticata spesso per lo sfoggio sfrontato di ricchezza (famosi i suoi inopportuni defilé di abiti, pellicce e gioielli di lusso, durante il viaggio presidenziale nell'Europa prostrata dalla guerra), seppe anche farsi amare dalle classi più deboli e più povere della popolazione.

















Non lascia spazio alle interpretazioni l'ultima campagna promossa da Nolita, anzi colpisce duro e proprio per questo il suo messaggio arriva alle donne! La firma è quella di Oliviero Toscani, ed è per un No deciso all'Anoressia!

La protagonista della campagna è la magrissima giovane francese Isabelle Caro, che nel settembre scorso è apparsa sui giornali e sui manifesti affissi nelle maggiori città. Il suo corpo, di soli 31 chili, è stato scelto come testimonial per la campagna pubblicitaria, accompagnata dallo slogan 'No anoressia'.

Una sola foto drammatica e controversa che nella settimana della moda di Milano è apparsa come una provocazione, ma soprattutto un allarme su una tragedia del nostro tempo. La modella francese ha accettato di esporsi nuda allo scatto di Oliviero Toscani per mostrare a tutti la realtà di una malattia che insieme alla bulimia, vede coinvolte oltre due milioni di persone in Italia. 'Mi sono nascosta e coperta per troppo tempo - afferma Isabelle - adesso voglio mostrarmi senza paura, anche se so che il mio corpo ripugna'. Una malattia lunga 15 anni, che l'ha ridotta a pesare 31 chili: 'Le sofferenze fisiche e psicologiche che ho subito hanno un senso solo se possono essere d'aiuto - spiega la ragazza francese - a chi è caduto nella trappola da cui io sto cercando di uscire'.

Oliviero Toscani si avvale in maniera evidente di questa logica comunicativa e l'immagine di Isabelle ha una struttura facilmente riconoscibile con coordinate visive di immediata comprensione.

La posa è quella della Venere di Urbino di Tiziano , nuda, l'immagine della bellezza e della seduzione, così come ci è stata tramandata da secoli di pittura. Richiama, inoltre, nella gestualità e nella postura, le moderne veneri da calendario; ma questa Venere, che invita ad entrare nell' Immagine con la posa sensuale e lo sguardo, non attrae, fa indietreggiare; è una Venere sconfitta , malinconica, non piace,disgusta e procura fastidio. Presenta l' altra faccia della femminilità, la seduzione resta una vuota forma in un contenuto di fragilità e vulnerabilità. Siamo sempre stati abituati ad una Venere fiera e vincitrice, mentre questa si presenta confitta, riportata dalla sfera del mito a quella dell'umano.

Isabelle è lì, sola, piccola ma gigante, si impone ma non dice nulla, non fornisce nessun strumento di comprensione; la forza di un' immagine isolata, costringe a fermarsi e a riflettere, lascia tutto all'osservatore.

La mancanza di un orizzonte culturale condiviso, ha fatto si che oggi sia impossibile trovarsi di fronte ad un' immagine senza la relativa spiegazione o didascalia. Infatti, non esistono più immagini lasciate alla libera interpretazione, l' osservatore viene sempre portato per mano nella lettura e comprensione dell'opera .

Immagini come queste invitano a riflettere su quanto siano cambiati i canoni di bellezza nel corso dei secoli. Basta pensare agli esempi primitivi delle veneri preistoriche, che davano un messaggio di salute, prosperità, fertilità (basta pensare alla donna con cellulite di courbet); oppure anche rievocare le innumerevoli rappresentazioni del cibo, spesso in tavole imbandite (ad esempio, banchetto di Cleopatra di Giovanni Battista Tiepolo oppure nozze di Cana di Veronese).

Fin dall'antichità, l'atto del mangiare ha sempre avuto una funzioni simbolica. Tanto che al cibo è stata spesso data una forma specifica associata a un significato con (come le uova, le colombe pasquali o le ostie sacre). L'uovo ad esempio è il simbolo universale del rinnovamento periodico della natura, del ciclo delle rinascite, e questo simbolismo è stato cristianizzato identificando l'uovo cosmico con Cristo che risorge. Anche l'ostia rappresenta simbolicamente la 'carne' di Cristo, unendo sia la forma circolare dell'uovo che la materia del pane, presente nel rituale dell'ultima cena. Lo stesso pane ha un valore simbolico che spicca in tutte le rappresentazioni dell'ultima cena: è il corpo di Cristo. È il cibo più raffigurato in tutti i pranzi sacri e nella maggior parte dei pranzi laici. Insieme al pane, è il vino che costituisce la sostanza eucaristica, è il sangue del Cristo che è contenuto nelle brocche e nei bicchieri dell'ultima cena. La mela ad esempio, era già un simbolo importante nella mitologia greca, era un attributo di Venere e delle tre grazie. Quando è in mano ad Adamo e Eva è il frutto proibito del paradiso e un simbolo della caduta dell'uomo. In mano a Gesù Bambino la mela diventa invece simbolo della sua missione di redenzione.

Il pesce è un antico simbolo del battesimo; in seguito rappresentò anche la persona del Cristo, infatti le lettere della parola greca ICTUS venivano lette come iniziali della parole greche corrispondenti 'GESÙ CRISTO FIGLIO DI DIO SALVATORE'. È attributo di Sant'Antonio da Padova, di San Pietro Apostolo, di San Zeno Vescovo. Pesci compaiono nella raffigurazione della pesca miracolosa e della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Anche l'acqua rimanda al significato rituale della fonte battesimale; in senso biblico indica Dio come sorgente di vita. Infine nel senso cristiano esso simbolizza lo Spirito Santo.

Nella tradizione artistica si possono osservare diversi esempi di donne in cui la resa di una fisicità filiforme corrisponde ad un malessere esistenziale, (è specchio di un' anima tormentata). Nell' arte il corpo della donna e i nudi femminili assumono una diversa valenza a secondo dell' artista che le ha realizzate o interpretate: sono forme, figure che ci comunicano il loro pensiero.

Edvard Munch, uno dei primi e più significativi esponenti della pittura espressionista europea, spesso ritrae nudi di donne in tutta la loro sofferenza fisica e psicologica.

Alle figure della realtà esterna e oggettiva, Munch oppone le immagini della sua tormentata visione interiore, sostituendo gli aspetti concreti del mondo con gli ossessionanti fantasmi che costellano la sua complessa intimità.
L'uso costante di linee ondulate, i colori accesi e infuocati o soffocati repentinamente (come da una brusca manciata di cenere), l'onnipresente spettro della violenza, ora impercettibile, ora come un'esplosione violenta e diretta, sono gli elementi che l'artista sfrutta per simboleggiare ed esternare il suo cedimento agli spettri dell'interiorità travolta da un senso sempre più vivo di crescente angoscia.

(La modella parigina)

Il dipinto, La pubertà, rappresenta un'adolescente nuda, seduta di traverso su un letto appena rifatto, simbolo di una verginità intatta. Il corpo della fanciulla appare sessualmente acerbo: ai fianchi che sono già di donna si riscontrano le spalle ancora infantili, i seni appena abbozzati, e l'intero corpo è scarno segnato da un eccessiva magrezza. Nei suoi occhi vi è un sentimento di smarrimento e di rimpianto per la fanciullezza perduta alla quale non ci si sente preparati. Tale senso di angoscia è evidenziato e materializzato dall'ombra proiettata sul muro. Un'ombra informa e inquietante, indipendente dal personaggio che la genera. In prospettiva è l'ombra stessa della morte, quella che ha accompagnato l'artista per tutta la sua tormentata esistenza.

Sebbene il quadro fosse letto all'epoca della sua esecuzione come un'accusa alla società del tempo, oggi la critica è propensa a credere che in opere come questa Munch giunge a esplorare quella linea di confine tra l'organico e lo psichico che è alla base del pensiero freudiano.











Un atro artista che riprende questo problema è Pablo Picasso,in particolare nella sua prima fase di espressione artistica, "il periodo blu".

Ad esempio questi due dipinti, Il suonatore di mandolino e Pasto frugale.

Entrambi mostrano segni tangibili di una società ormai segnata dalla fame, infatti ci sono elementi, come la struttura del fisico, quasi pelle e ossa, la tavola con i resti di una misera cena, gli sguardi persi nel vuoto ma profondi. Le figure assumono una dignità epica e in esse tecnica ed espressività si fondono in modo omogeneo e totale, si può affermare quindi, che il tema è consono alla vena pauperistica (povertà).







Un altro esempio di arte moderna che rappresenta l' anoressia e l'inquietudine che essa provoca è questa maestosa statua di marmo. Si possono individuare tutti gli aspetti fisici ma anche psicologici di una persona che soffre di problemi alimentari, infatti la testa è china, ricurva su stessa, come se avesse un peso troppo grande da sorreggere, gli arti e l' intero corpo sono segnati da una magrezza troppo evidente.

La donna non ha volto, per far comprendere a pieno l'insicurezza, la fragilità e l'inconsapevolezza di un dolore terribile che solo apparentemente è invincibile.

(artista non riconosciuto)


Durante gli anni del primo Novecento si afferma a Vienna uno dei pittori giovani di più contrasto, criticato tanto aspramente dalla società dell' epoca, da finire in carcere per l'immoralità dei soggetti ritratti, ma tanto acclamato dai contemporanei, Egon Shiele.

Il pittore è testimone di una crisi di valori che investe un' intera generazione e la sua arte è l'espressione di un disagio di uno spirito smarrito, infatti rifiuta la tradizione artistica corrente e si erge a precursore della nuova pittura della Secessione. Il dolore e la disperazione del sofferente, la pena dell' uomo impotente di fronte ai malesseri della società borghese e la paura della guerra trovano prepotentemente sfogo nei suoi dipinti, infatti sono tappe obbligate nella sua storia di pittore maledetto.

Shiele è il pittore dei volti scheletrici delle donne, dove manifesta una continua inquietudine esistenziale, una crisi dell'identità dell' uomo. Nelle sue opere, il corpo, nudo o vestito, con le mani tese in modo innaturale, è il luogo deputato di una realtà interiore che non prescinde dall'esperienza fisica. Al contrario, il corpo ne diventa rappresentazione.



Così Egon Schiele, in Autoritratto con modella davanti allo specchio (1910), ponendosi di fronte a noi, ci invita ad entrare nella sua opera, a lasciarci coinvolgere dal suo mondo, definendo in tal modo, quell' ansia di comunicazione in cui la conoscenza si fa reale in quanto proposta, esposta al confronto, alla dialettica. Come a dire che senza comunicazione non c'è conoscenza reale ma astratta. Il pittore offre allo sguardo altrui la propria realtà che, si concentra nella riflessione sull'immagine femminile e sul rapporto uomo donna individuato come nodo cruciale e fondante della società.


Anche in Italia all' inizio del Novecento abbiamo un artista del calibro di Munch e Picasso, Amedeo Clemente Paul Marino Modigliani.

Egli dipinse numerose donne, graziose creature dal volto minuto, il collo lungo e gli occhi a mandorla, che egli modellava partendo dalla scura profondità dello spazio, al pari di uno scultore. Ciò che contava per Modigliani non era la precisione del ritratto, bensi l'armonia interna del quadro. La composizione del suo nudo è in sè così equilibrata, che le forme estremamente allungate del corpo e la posizione contorta dei fianchi non appaiono mai come un 'errore' nel disegno. I singoli elementi del quadro, al di là di qualsiasi verosimiglianza, sono pensati solo in virtù della loro resa figurativa.

E così, su queste basi, nel 1910 realizzò le prime 'teste' caratterizzate da una forma tondeggiante oppure da un ovale molto allungato. Le prime sono di solito costituite da un elemento cilindrico, il collo, sul quale si innesta il volto circolare con i caratteristici occhi a mandorla privi di pupilla e carichi di mistero, il naso sottile e stilizzato e i lobi delle orecchie adornati da orecchini. Nelle seconde, invece, l'allungamento del viso si inserisce nel collo   diventandone il naturale prolungamento. Ed è proprio la volontà di far assomigliare i corpi a fusti di colonne o a cariatidi che fornisce una prova ulteriore di come la modernità di Modigliani attinga al passato, al gotico italiano, ma anche all'arte greca.

Una caratteristica pressoché costante dei ritratti di Modigliani, inoltre, è l'approccio frontale. In tal modo l'artista penetra nel personaggio, il volto è visto come una astrazione botticelliana, bizantina o africana, il tratto tende a diventare sempre più essenziale, la figura umana subisce un assottigliamento, acquisisce angolature inconsuete e tende a diventare un'icona, (ossia viene "disumanizzato").
E così i volti di poeti, pittori, scultori, prosatori, ma anche di mercanti, gente di teatro o semplicemente dei tipi da bar prendono anima sulla tela di Modigliani pur rimanendo immobili, con le mani posate sulle ginocchia o conserte e lo sguardo spesso perso nel vuoto, quasi a voler ulteriormente sottolineare la loro solitudine isolata in una malinconia senza scampo.

Guardando nella più recente arte contemporanea potremmo mettere a confronto due operazioni artistiche che, pur riferendosi ambedue al tema del rifiuto del cibo, sono diametralmente opposte: le sfilate di corpi femminili nudi, o molto parzialmente coperti, organizzate da Vanessa Beecroft e l'opera dell'artista canadese Jana Sterbak, intitolata Vanitas: Flesh Dress for an Albino Anorectic (1986).

Vanessa Beecroft spoglia le sue modelle fino alla nudità completa, le espone in galleria, come statue viventi.

La loro magrezza è resa ancor più evidente dalla mancanza di qualsiasi difesa. Nessun ornamento, riparo, velo, di fronte all'occhio dello spettatore, anche se la provocazione non rientra direttamente negl'intenti dell'artista.

Obiettivo della performance è piuttosto quello di rilevare la presenza di un corpo totalmente indifeso, che tende a rendersi quasi trasparente, quasi invisibile. Un corpo che anela d'essere visto, d'essere colto, nonostante la sua nudità, oltrepassando il confine ambiguo del pudore. Anzi, un soggetto che usa l'immagine evanescente del corpo per cercare disperatamente di riaffermare la sua essenza profonda.

Ma, nello stesso tempo, questi corpi, che espongono pacatamente la loro magrezza, enunciano anche un pensiero radicale e rivoluzionario: come gli stessi comportamenti anoressici possono confermare, questi corpi sofferenti sono in realtà anche a dimostrare il superamento di qualsiasi bisogno, così del cibo come di qualsiasi altra cosa esterna, essendo capaci di autonomia ed autosufficienza.

L'opera di Jana Sterbak, Vanitas, consisteva in una performance, durante la quale l'artista si presentava al pubblico indossando una veste realizzata cucendo insieme delle fette di carne cruda.

Il sanguinante vestito organico, con cui Jana Sterbak si autoritrae in posizione di rilassato abbandono, si offre all'interpretazione e alla comunicazione anche con l'ausilio di un titolo, che evidenzia il "sintomo" patologico di una sofferenza terribile: la sofferenza di chi non riesce a farsi "vedere" e a farsi "riconoscere".

Per questo motivo, facendosi testimone del dramma anoressico, che, a sua volta, è metafora dell'invisibilità femminile in un mondo ostinatamente maschilista, Jana si mette la carne sopra la pelle, drappeggiandosi sul corpo una tunica fatta di nervi, muscoli, tendini, fibre e sangue.

L'interno si rovescia al di fuori e si ostenta, offrendosi allo sguardo diretto e chirurgico dello spettatore, uno sguardo che taglia, che fa a fette, che mette a nudo, che dà la carne. Ma, finalmente, uno sguardo che "vede", uno sguardo che giudica, uno sguardo che si accorge del corpo, altrimenti invisibile, che gli si presenta davanti.

L'opera della Sterbak, tuttavia, non intende affatto indicare un contenuto morale o aprire questioni metafisiche; al contrario, essa si prefigge solo di enunciare l'invisibilità del femminile in questa civiltà dell'immagine, che utilizza prevalentemente il corpo della donna per veicolare ogni tipo d'informazione pubblicitaria, sociale, politica e ideologica.

Punizione dell'altro attraverso la punizione di sé: tu non mi vuoi vedere ed io sparisco ai tuoi occhi. Non potrai non accorgerti che la mia ombra si assottiglia sempre più fino a sparire .

Un'altra opera di Jana è dedicata al tema della riaffermazione del corpo: Télecommande II. Remote control II (1989).

In questa performance, l'artista si muove nello spazio espositivo avvalendosi di un meccanismo semovente; si tratta di uno scheletro in giunco di una sottogonna a campana, quale si usava in secoli passati, dotato di ruote, motorizzato elettricamente, e comandato dall'artista stessa, che vi si infila dentro, rimanendo sospesa da terra.

La grande gonna,possedeva, un tempo, un significato sessuale molto determinato, quello di richiamare immediatamente, nell'ostentazione della bellezza callipigica (un bella parte intermedia del corpo), la funzione fondamentalmente procreatrice e materna della donna.

La trasparenza dello scheletro/struttura in giunco mette a nudo l'esilità, la fragilità, la delicatezza femminile, sottoposta all'obbligo sociale della finzione riproduttiva.

Questa macchina ostensiva, così repressiva ed erotica nello stesso tempo, è resa dalla Sterbak celibe della sua funzione simbolica, in quanto messa, per così dire, a nudo. Nudo scheletro strutturale di un'architettura coercitiva, costruita dal maschio intorno alla sua idea di donna-madre, veicolo biologico che gli assicura la sua continuità evolutiva.

Un paragone infine può essere fatto con le figure di Botero; estremamente diverse da quelle raffigurate in precedenza, perché la sua Donna (ma anche l'Uomo) sfoggia sempre taglie forti, e certo non osserva alcuna dieta nell'immaginario dell'artista colombiano. Niente di più artistico o espressivo di una forma voluttuosa, per questo ha dedicato la sua arte allo studio degli esseri viventi nella loro pienezza. L'artista dilata la forma, uomini e paesaggi acquistano dimensioni insolite, apparentemente irreali, dove il dettaglio diventa la massima espressione e i grandi volumi restano indisturbati. I paffutelli soggetti boteriani sono dunque il frutto della sua personale tecnica, dello studio sulla rotondità dei volumi, ma il risultato è sicuramente un inno (in)volontario al realismo artistico d'un essere umano in sovrappeso, una sfida ai canoni convenzionali di bellezza in una società consumistica basata sull'apparire sempre belli, perfetti.E' questa l'immagine che i media dovrebbero propinare.chissà che, perseverando, non possa sortire buoni effetti.

La descente aux enfers

En France on estime que 1.5% des adolescentes sont anorexiques, et dans neuf cas sur dix, l' anorexie toucherait des femmes.

Cette maladie détruit la personne moralement et physiquement, et peut endommager un grand nombre de fonctions. Le minceur est un diktat , un critère d' élégance et réussite, les héroïnes modernes sont des mannequins squelettiques.

Apparue en France depuis deux ans, la communauté « pro-ana », pour pro-anorexique, créée la polémique. Elle se manifeste de plus en plus par l'intermédiaire de sites Internet qui font l' apologie de l'anorexie comme « mode di vie ». Pour eux, « être pro-ana », c' est contrôler son corps, faire preuve de volonté. Les internautes échangent des conseils et des « trucs » pour s'affamer et atteindre in idéal de silhouette décharnée ; pour exemple on y trouve la liste des aliments et des médicaments vomitifs ou des conseils pour paraitre plus lourde sur la balance.

Juridiquement , l'incitation à l'anorexie ne représente pas une infraction en France et les « pro-ana » se défendent contre ceux qui s'élèvent contre de telles pratiques dangereuses pour la santé en brandissant la liberté d'expression. Mais aujourd'hui la proposition de loi UMP qui punit deux ans de prison et 30.000 euros d'amende les responsables de sites Internet qui incitent les jeunes filles à l'anorexie.

En Italie il y a un 'code éthique' pour combattre l'anorexie dans le monde de la mode a été signé entre le gouvernement italien, la Fédération de la mode italienne et l'association Alta Moda, qui regroupe les couturiers italiens présentant leurs collections à Rome et Milan. Le code qui 's'engage à protéger la santé des modèles qui participent aux défilés, fait la promotion d'un mode de vie sain', a souligné la ministre de la Santé Livia Turco.

Son homologue français Xavier Bertrand, a donné la direction à un groupe d'experts qui devra réfléchir à l'apparence du corps dans la publicité et la mode.

Mais l'Italie est la seule à mettre des mots sur les choses et à proposer des contraintes réelles. Le contrat signé entre les dirigeants italiens et la fédération de la mode prévoit l'interdiction des défilés aux jeunes filles de moins de 16 ans et aux modèles dont l'indice de masse corporelle est inférieur à 18.

Il est temps que la société cesse d'avoir un comportement schizophrénique à ce sujet.parce que nous ne pouvons pas penser de combattre réellement l' anorexie si les medias donnent comme modèle des « femmes » toujours plus minces et plus transparentes.

L'idéal féminin étalé dans les médias est celui d'une silhouette dont la maigreur ne frappe même plus. Les mannequins très minces, maigres, représentent le modèle parfait à atteindre pour des millions de femmes. Le culte de la minceur est devenu le signe de la femme active, qui sait se dominer.

Amélie Nothomb

Biographie de la faim.

'La faim, c'est moi': dans ce livre, Amélie Nothomb nous livre son autobiographie, principalement son enfance et son adolescence. Elle nous raconte ses jeunes années à travers le prisme de la faim. Mais il ne s'agit pas seulement de la faim de nourriture, mais de la faim de boisson, d'amour, de livres, d'écriture, et d'une folle curiosité pour la vie.

Fille de diplomate, Amélie est ballottée de pays en pays. Quasiment née au Japon, qui reste à jamais pour elle une sorte de paradis perdu, elle connaitra successivement les chocs culturels de la Chine communiste, de l'Amérique capitaliste, du Bengladesh tiers-mondiste.

Elle se décrit comme alcoolique à huit ans, anorexique à quinze ans, adulée par ses camarades de classe à dix ans, victime d'un viol collectif à douze ans. Tout cela raconté sans aucune émotion. Le style est toujours aussi léger, autant que l'insouciance d'un enfant.

Robert des noms propres nous raconte le parcours d'une jeune fille, Plectrude, à travers son enfance et son adolescence. Plectrude est née sous de dramatiques auspices: sa mère tue son père et se suicide après l'avoir baptisé de ce nom étrange: Plectrude. Comme sa mère le dit, cela préviendra les autres qu'elle est exceptionelle.
Plectrude sera élevée comme par Clémence, sa tante, qui va, du moins au début, considérer la petite comme sa fille, l'adorer et la gater en tout sens. Mais Plectrude est quelqu'un d'exceptionnel. Elle fait partie de celles qui ont la grace et la beauté, et qui ne vivent que de ça et que pour ça. Mais très vite, elle va se choquer contre le monde de la réalité, un monde dur et cruel, dans lequel la beauté n'a pas toujours la place qu'elle mérite. L'école primaire d'abord. Puis l'école des petits rats de l'opéra. La jeune fille dépérit, mais sa mère ne le voit pas. Plus tard elle deviendra chanteuse et amie de l'écrivaine Nothomb. Mais Amélie Nothomb dans ce roman s'imagine également la biographie de son assassin, une personne hors norme forcémement, quelqu'un au parcours tumultueux et beau. Le roman se lit bien, et avec beaucoup d'humour. Le style d'Amélie Nothomb est clair et efficace. Elle capte en peu de mots les aspects cruciaux de la vie d'une enfant lors de son enfance et de son adolescence. L'humour est léger et très noir à la fois. Le portrait de Plectrude, la liberté de l'enfance est à la fois charmant et brutal. Hélas le livre ne tient pas toutes ses promesses, la fin est bizarre et déplacée, même si elle est plein d'humour.

L'anoressia nella storia

Se si esclude l'età della pietra di cui non abbiamo sufficienti fonti storiche ma in cui si presume venisse apprezzata nell'uomo una corporatura possente e muscolosa data la prevaricante importanza di richieste di sopravvivenza su quelle culturali, nelle prime fonti storiche tramandateci, vengono celebrate figure di gran coraggio e forza fisica, il Davide dell' Antico Testamento, l'Achille dell'Iliade, l'Ulisse dell'Odissea, e ancora Alessandro il Grande e Giulio Cesare.
Nella grecità classica del V sec. a.C. si contrapponevano due tipologie diverse di 'uomo' in relazione allo stile di vita imperante.
Ad Atene, città dedita alla filosofia e alla vita nell' 'agorà' , il cittadino medio è raffigurato come 'rotondo' e panciuto mentre cammina comodamente nei dintorni dell''agorà' gustando prelibatezze locali, ben diverso è invece l'aspetto che ha simboleggiato per secoli la vicina Sparta, la cui cultura era imperniata sui valori del vigore fisico e della potenza militare, e la corporeità celebrata era atletica, muscolosa, fornita di larghe spalle, snella, pronta alla battaglia.
Durante l'apice dell'impero romano c'era una stridente differenza tra la popolazione che aveva cibo insufficiente e quella che ne aveva in abbondanza.
E' interessante accennare ai banchetti della nobiltà romana, che con il passare degli anni, e con l'ingrandirsi dell'impero, diventavano sempre più sfarzosi e con dozzine di pietanze sempre più esotiche e particolari.
La pratica alimentare perdeva il suo fine nutritivo sostituito da un tono propriamente voluttuoso; uomini patrizi in buona salute praticavano pattern di iperalimentazione fino alla saturazione seguiti da vomito in un apposito settore detto 'vomitorium', per poi, una volta vuotato lo stomaco, potersi di nuovo lasciare andare ad altre ingordigie alimentari.
Queste pratiche alimentari pur bizzarre non possono tuttavia essere definite puramente bulimiche perché il vomito non era provocato al fine di non ingrassare ma per poter gustare ancora altre pietanze con lo stomaco libero, i nobili romani erano infatti molto ghiotti e ingordi e le loro ampie pance non facevano pensare che tenessero molto alla snellezza fisica, anzi, anche le matrone romane mostravano con l'abbondanza delle forme tutta la loro opulenza e importanza.
Tuttavia anche tra gli antichi romani la dieta era una pratica adottata sia per ragioni estetiche che salutari, serviva per purificare il corpo dalla tossicità di certi alimenti.

Tra gli scritti di Ippocrate figura anche un trattato sulla dietetica, consigliata sia per scopi preventivi che terapeutici e secondo Plinio il Vecchio alcuni medici prescrivevano ai malati diete così rigide da farli quasi morire di fame mentre altri tendevano rimpinzare di cibo i loro pazienti.
Vi era poi chi digiunava per motivi spirituali; gli aderenti alla corrente dello Gnosticismo, sviluppatasi verso il II e il III sec. d.c., consideravano tutto il mondo materiale corrotto e praticavano l'ascetismo, con l'astensione quasi totale dal cibo e dai beni terreni.
L'ascetismo cristiano trae le sue origini dalle teorie di Platone, secondo cui l'anima era prigioniera del corpo aspirando al ricongiungimento con il divino; soltanto con l'emancipazione dal mondo dei sensi lo spirito poteva liberarsi e realizzare il suo potenziale divino attraverso la privazione dal cibo e da altre necessità terreno.

Il digiuno ascetico trova negli uomini la massima espressione anche nel mondo religioso, dei monaci anacoreti che in seguito alla 'mondanità' della chiesa, decisero di ritirarsi nei deserti dell'Egitto e della Palestina, per dedicarsi totalmente al Signore.

'Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche' nelle narrazioni delle vicende di tali casi si possono riscontrare svariati caratteri distintivi della diagnosi di questa patologia. Il digiuno come forma di penitenza per dei peccati commessi è una pratica molto antica che ha da sempre accompagnato il destino degli uomini, riecheggia nei Salmi Babilonesi, e sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento troviamo pubblici digiuni per placare la collera divina in concomitanza con catastrofi o guerre.
Il cibo soprattutto nel cristianesimo è poi spesso associato al peccato e l'ingordigia di cibo alla tentazione del demonio. Non è forse l'irresistibile morso di una mela a precludere l'Eden ad Adamo ed Eva ed a relegarli alla terrena peccaminosità?
Nel corso della storia si è assistito sovente a situazioni di carestia, dovute a guerre, siccità, piogge o gelo eccezionali che compromettevano il raccolto; i mezzi di sostentamento, come il grano o la selvaggina erano oggetto di venerazione, desiderati e temuti, o offerti in sacrificio agli dei come il bene più prezioso.
Non stupisce quindi il sospetto e l'inquietudine che destavano nella comunità coloro che sceglievano volontariamente di non cibarsi. Ponevano gli altri in una situazione di destrutturazione cognitiva, erano destabilizzanti per la vita comunitaria ed era facile che si interpretasse il loro comportamento come opera di spiriti maligni che avevano invaso il corpo e lo nutrivano di nascosto.
Il rapporto tra l'astinenza dal cibo e la possessione demoniaca ha un'origine molto antica e compare già in un testo cuneiforme babilonese, anche nel mondo occidentale abbiamo testimonianze scritte di questa credenza, soprattutto in epoca bizantina e medievale, questo fu il motivo per cui i digiunatori vennero più spesso affidati alle cure di esorcisti e stregoni che dei medici e le sante ascetiche guardate con malafede e sospetto.

Il corpo della donna nel Medioevo

Nel Medioevo il controllo, le rinunce e le torture al proprio corpo erano intese non tanto come rigetto del fisico, ma come modalità di accesso al divino. Gradualmente le manifestazioni di rinuncia al proprio corpo divennero una peculiarità delle donne, per cui questo periodo è stato definito quello delle 'Sante anoressiche'. Vediamo di capire il perché evidenziando alcuni punti fondamentali:

Soffermandoci specificamente sull'anoressia come caratteristica di santità, essa compare nel 1200 e termina nel 1500 quando Teresa d'Avila,Margherita da Faenza o Angela da foligno e Santa Caterina da Siena(santa spagnola che partecipò con forza mistica e spirituale alla riforma cattolica, rinvigorendo interi ordini religiosi) cominciò ad usare costantemente un ramoscello d'ulivo per indurre il vomito e liberare totalmente lo stomaco, onde poter accogliere degnamente l'ostia consacrata che divenne la sua unica fonte di sostentamento. Da un'indagine condotta da Rudolph Bell su 170 sante italiane del Medioevo, la metà presenta una caratteristica anoressia.

L'anoressia e le altre manifestazioni corporee diventano nel Medioevo l'unica possibilità per la donna di affermare il proprio potere nel ruolo sociale, mistico-religioso.

Santa Caterina da Siena

È in questo contesto di vita medievale che va considerata la storia di S. Caterina. Caterina nasce nel 1347 nella numerosa di Jacopo Benincasa, tintore. La madre, donna di carattere molto deciso e pratico, atea, di grande forza fisica ha da sempre con Caterina un rapporto fortemente competitivo e intrusivo. Caterina accetta ben preso una sfida che durerà tutta la vita, col desiderio di essere capita e di farsi confermare dalla madre nelle sue scelte. A sette anni, dopo la visione del Cristo, mentre ritornava a casa da una visita alla sorella decide di 'togliere a questa carne ogni altra carne, per quanto ne sia possibile'. All'insistenza della madre per farla mangiare inizia a gettare di nascosto la carne sotto al tavolo. A 15 anni troviamo una svolta significativa. La sorella Bonaventura muore di parto: e la madre vuole che la figlia sposi il marito diventato vedovo. E in questa circostanza che si verifica quello che verrebbe attualmente definito lo 'scompenso anoressico'. Perde metà del proprio peso e si oppone alle insistenze di Lapa con un digiuno che conferma la propria dedizione a Dio e la rinuncia alla propria 'corporeità'. Nemmeno l'intervento di Don Tommaso della Fonte, il parroco confessore da cui i genitori la inviarono (da notare l'analogia con l'invio allo psichiatra nelle situazioni attuali) riesce a far desistere Caterina. Il dubbio che si tratti di possessione demoniaca è alimentato dal fatto che all'impressionante dimagrimento corrisponde una iperattività e una grande forza fisica e mentale che fanno continuare Caterina nella sua determinazione. Caterina si rinchiude nella sua piccola cella e inizia a flagellarsi, non si nutre e non dorme tra la rabbia e la disperazione della madre che pur non potendo opporsi più di tanto conferma la sua incomprensione.

Assume tutti i giorni l'eucarestia continuando costantemente il digiuno: 'Per non dare scandalo prendeva talvolta un poco d'insalata e un po', di legumi crudi e di frutta e li masticava, poi si voltava per sputarli. E se per caso ne inghiottiva anche un solo minuzzolo, lo stomaco non le dava requie finché non l'avesse rigettato: e quei vomiti le davano tanta pena che le facevano gonfiare tutto il volto. In tali casi si appartava con una delle amiche e si stuzzicava la gola con uno stelo di finocchio o con una piuma d'oca, fino a che non si fosse sbarazzata di quanto avesse inghiottito. E questo chiamava 'fare giustizia'. Il pensiero di essere delusa dagli altri, o essere lei a deludere Dio aumenta i suoi conflitti e accentua l'anoressia. Per tre mesi si rinchiude in cella nutrendosi solo di qualche goccia d'acqua, col dubbio che la sua vita possa essere stata costellata da una serie di errori. Dubbio con cui muore (il 29 aprile 1380 a 33 anni!) nell'incertezza del senso del suo olocausto.

La 'santa anoressia' è stata interpretata come una risposta alla struttura sociale e patriarcale del cattolicesimo Medievale. Per quanto riguarda S. Caterina la scelta avvenne nell'adolescenza, in un periodo cioè di opposizione ad una famiglia che sembra ripetere gli stereotipi attuali. Una figura materna forte, competitiva che vuole guidare la figlia verso un ruolo sociale altamente apprezzabile. Un padre periferico che lascia dirigere la moglie ed è in questo senso deludente per la figliola. La 'santa anoressia' diviene l'unica maniera per autonomizzarsi ed uscire da un destino segnato dalla famiglia e dalla società. Per perseguire questo obiettivo bisogna impegnare però, tutte le proprie forze e non pensare ad altro (nemmeno a se stessi) durante tutta la propria vita. Rimane tuttavia il desiderio di essere riconosciuto in questa ribellione. Così è stato anche per Caterina: sempre lì lì per essere confermata e riconosciuta, ma mai del tutto: sempre in lotta per farsi capire oscillando tra illusioni e delusioni. Dal mettersi costantemente in dubbio trae la propria forza e la costanza per continuare la sua iperattiva missione religiosa. Le possibili disconferme vengono così evitate non confrontandosi con gli altri ma solo con Dio. Dio solo non la può deludere e solo con Lui è consentito lasciarsi andare alle emozioni più intense. Da Lui riceve dopo non poche 'messe alla prova' la garanzia di non essere mai delusa e abbandonata. In tutto questo si inserisce la necessità costante di controllo totale del proprio corpo. Cedere al cibo è come cedere al peccato, deludere Dio, perdere tutto il proprio potere faticosamente guadagnato, annullare un senso di identità conquistato attraverso l'opposizione alle regole familiari. Poco importa allora se non ci si sente capiti (nel Medioevo come ai nostri giorni). L'incomprensione diventa la spinta a proseguire. La sfida continua, un modo per confermare il proprio senso d'identità. Così Caterina conquista la più che meritata Santità, il titolo di Dottore della Chiesa, di Patrona d'Italia e d'Europa. Il periodo delle sante anoressiche ha però breve durata. Già nel secolo XVI la Chiesa non tollera più l'ascetismo e le anoressiche vengono etichettate come streghe e inviate al rogo. Storie come quella di S. Caterina possono aiutare a capire chi è ancora alla ricerca di una propria identità e a differenza delle sante anoressiche, evita ancora di confrontarsi con la realtà per il terrore di poter sbagliare.


Gli artisti della fame (digiuno per professione)

Dalla fine del XIX sec. fino agli anni '30 del XX i cosiddetti 'artisti della fame' e 'scheletri viventi' si servirono per fini spettacolari del loro digiuno prolungato e del loro estremo dimagrimento, solevano esibirsi dietro compenso nelle fiere, nei circhi e nei parchi di divertimento.
Essi rappresentano una variante più moderna delle fanciulle digiunatrici medievali, perché entrambi cercavano sensazione tramite le loro capacità digiunatorie, ma a differenza delle ragazze digiunatrici erano quasi tutti maschi e esibivano le proprie gesta a scopo di lucro.
Lo splendore e il declino degli artisti della fame e delle loro gesta in tutte le principali città d'Europa ci sono giunte grazie agli innumerevoli resoconti fatti da scrittori e cronisti dell'epoca e ciò perché la lotta dell'uomo contro l'istinto naturale della nutrizione era fra ciò che più colpiva l'immaginario popolare e che rendeva questi spettacoli fra i più apprezzati nelle fiere.
La descrizione psicologica più profonda sugli artisti della fame ci viene offerta da Franz Kafka nella sua novella 'Un digiunatore' in cui lo scrittore praghese narra della vita dei digiunatori e dei loro spettacoli.

La storia della letteratura ci riserva qualche sorpresa, e annovera tra i più famosi anoressici Franz Kafka (1883-1924). In una sua lettera del 1921 leggiamo: «Se l'aspirazione alla perfezione mi rende impossibile raggiungere la donna, dovrebbe rendermi impossibile anche tutto il resto, il cibo, l'ufficio, ecc. Questa impossibilità esiste di fatto, l'impossibilità di mangiare ecc., salvo che non dà così rudemente nell'occhio come l'impossibilità di prender moglie».

Il rifiuto del cibo, in questo grande scrittore del Novecento, è associato di frequente al rapporto tormentato col padre, di cui proprio l'avidità nel mangiare è una delle manifestazioni di fisicità che infastidisce maggiormente il figlio. «Poiché tu, in considerazione del tuo vigoroso appetito e di una tua particolare attitudine, mangiavi tutto rapidamente, bollente e a grossi bocconi, anche tuo figlio doveva affrettarsi, e a tavola regnava un cupo silenzio, interrotto dalle esortazioni: 'Prima mangia, poi parla".


Secondo Kafka l'origine dello sbigottimento degli spettatori derivava dall'intuizione che in quegli uomini 'ci fosse qualcosa che non funzionava', qualcosa di misterioso e sospetto da scoprire, ma questo mistero non risiedeva in un inganno sul digiuno teso dall'artista agli spettatori, il suo vero inganno stava nel presentare la sua inclinazione come una virtù, il suo digiunare come una prodezza, mentre invece il digiuno per lui era la cosa più facile del mondo ed il mangiare invece la cosa più ardua.
 Quello che colpisce é l'identificazione della persona con l'atto del digiunare, nonché l'esaltazione narcisistica per questa loro particolare caratteristica sovente presente nel soggetto anoressico che, di fronte alla fragilità del proprio Io e alla indecifrabilità del proprio sistema sensoriale trova nel sintomo anoressico, nel controllo sull'ingestione di cibo, un'esperienza di continuità e di coerenza del sentimento di esistenza di sé.
Il racconto di Kafka 'il digiunatore' oltre a rappresentare una descrizione

storicamente affidabile del fenomeno degli artisti della fame, ci offre uno 'spaccato' della personalità del digiunatore di un coinvolgimento, una introspezione personale, una sensibilità verso le sfaccettature del suo animo tali da aver portato molti studiosi a riconoscere in questo racconto le prove della patologia alimentare di cui probabilmente lo stesso scrittore soffriva.
In effetti attraverso la vita e le opere di Kafka come quelle di altri letterati dell' 800 e '900 quali: Byron e Barrie si possono rilevare molti tratti caratteristici della personalità degli uomini anoressico-bulimici.
Kafka e Lord Byron cercarono per molti anni di conformarsi ad un ideale ascetico e spirituale che si erano prefissi . Nell'opera di Kafka è presente del masochismo, la sua tendenza autodistruttiva, la volontà di soffrire, di immolarsi, di trascendere infine con la morte la propria corporeità vista come sordida e ingombrante (vedi 'La metamorfosi') nel desiderio mai sazio di mettere finalmente a tacere quel profondo senso di colpa che come si può evincere ne 'Il processo' avrebbe costituito il suo imperdonabile peccato. Kafka scelse di condurre una vita ascetica, monacale, segnata da rapporti con le donne (soprattutto epistolari) nei quali il sesso ricoprisse una parte marginale e fosse preclusa la possibilità della vicinanza, dell'affetto, visti come paurosi, incontrollabili.
Byron dopo un'adolescenza da obeso e donnaiolo impenitente si prefisse e raggiunse un drastico dimagrimento, di cui non fu mai soddisfatto, limitando la sua dieta a pasti vegetariani e sottoponendosi a periodi di isolamento ascetico, interrotti talvolta da grandi scorpacciate a cui rimediava con il vomito.
Sia in Kafka che in Byron è inoltre presente l'ossessione per il proprio corpo: in Byron nella sua incessante ricerca di un fisico sottile che lo portò a perdere 60 kg in 4 anni, a rimanere sempre ossessionato dalla paura di ingrassare e a sottoporsi a esercizi fisici continui; nello scrittore del 'Processo' nei suoi continui riferimenti al corpo magro, ossuto, piegato da esibire all'Altro nell'attesa di un 'nutrimento desiderato e sconosciuto', nonché nei suoi vissuti di estraniamento corporeo ossessivamente ricordati.

La vicenda di Barrie mette in luce un altro tratto familiare alla personalità anoressica, il rifiuto della maturità sessuale e delle responsabilità ad essa collegate.
La vita di Barrie sembra ricalcare in maniera impressionante il romanzo che lo rese celebre 'Peter Pan", il bambino che non voleva crescere' ed è tra le righe di questa e altre sue opere che si può leggere 'l'idillio della leggerezza', leggerezza
intesa sia in senso materiale che in senso lato.
Come il protagonista del suo romanzo, Barrie mantenne anche in età matura un aspetto e dei modi fanciulleschi, smise di crescere quando all'età di 14 morì improvvisamente il fratello maggiore, primogenito in famiglia e prediletto dalla madre, quasi come a voler
conservare per lei in eterno l'aspetto del ragazzo morto.
In molti suoi racconti troviamo personaggi che si rifiutano di crescere (Peter Pan) e di mangiare (Moira), in 'Little Mary' la protagonista Moira acquisisce il potere miracoloso di guarire le persone e spiega il segreto dei suoi poteri nel portare la gente a mangiare di meno 'La gente soffre perché mangia troppoQuando ci si toglie il peso dallo stomaco si riprende a pensare in modo sano.'
La difficile presa in carico della sessualità matura, del corpo adulto è una componente prioritaria nei disturbi alimentari, sia maschili che femminili.


























Emily Dickinson


Madness is often said to be the essence of pure genius. The American poet  Emily Dickinson (1830-1886) most probably suffered from nervous anorexia a long with other various psychic disturbances. From when she was thirty years old, she chose a solitary an aseptic life, locked in her room away from the rest of the world. In spite of living as a recluse, detached from the real world, Dickinson was very able at bringing violent passion to her verses, drawing on her life experiences, experiences that were observed rather than lived, desired but never achieved.

She turned down food as her only nutrition was poetry. Increasing desire through deprivation the poet renounces the fuelling of the body and pushes the spirit beyond the limits of the material world. Questa «fame fredda, senza sosta, senza fine» in the lines of Emily Dickinson is an emptiness that can never be filled, the same that tormented Virginia Woolf, Karen Blixen, and many other female writers.

It is estimated that two-thirds of the entire body of her poetry was written before 1866.

Dickinson's poems are unique for the era in which she wrote; they contain short lines and typically lack titles. Her poems also tend to deal with themes of death and immortality, two subjects which infused her letters to friends. Apart from the major themes discussed below, Dickinson's poetry frequently makes use of humor, puns, irony and satire. Dickinson uses identical rhyme (sane, insane) sparingly. She also uses eye rhyme (though, through),often also called visual rhyme and sight rhyme, which refers to a similarity in spelling between words that are pronounced differently and hence, not an auditory rhyme. An example is the pair slaughter and laughter.

Emily Dickinson was a woman of wit, passion and privacy.

Dickinson's poems reflect her 'early and lifelong fascination' with illness, dying and death. Perhaps surprisingly for a New England spinster, her poems allude to death by a wide variety of methods: 'crucifixion, drowning, hanging, suffocation, freezing, premature burial, shooting, stabbing and guillotinage'. Dickinson's most psychologically complex poems explores how the loss of hunger for life leads to death itself arriving at 'the interface of murder and suicide'. Pain plays a necessary role in human life. The amount of pain we experience generally exceeds the joy or other positive values that contrast such pain. Pain earns us purer moments of ecstasy and makes joy more vital. The pain induced by loss or lacking enhances our appreciation of victory, success, etc.; the pain of separation indicates the degree of our desire for union, whether with another human being or God. Food imagery is associated with this theme; hunger and thirst are the prerequisites for comprehending the value of food and drink.


Emily Dickinson is now considered a powerful and persistent figure in American culture. Although much of the early reception of her works concentrated on Dickinson's eccentric and secluded nature, she has become widely acknowledged as an innovative pre-modernist poet.


Hunger

I had been hungry all the years;
My noon had come, to dine;
I, trembling, drew the table near,
And touched the curious wine.

'T was this on tables I had seen,
When turning, hungry, lone,
I looked in windows, for the wealth
I could not hope to own.

I did not know the ample bread,
'T was so unlike the crumb
The birds and I had often shared
In Nature's dining-room.

The plenty hurt me, 't was so new,
Myself felt ill and odd,
As berry of a mountain bush
Transplanted to the road.

Nor was I hungry; so I found
That hunger was a way
Of persons outside windows,
The entering takes away.


You can feel the speaker's hunger and inability to eat literally, so that 'I had been hungry all the years' becomes a poem about anorexia or a poem about poverty and homelessness. Or you can read hunger metaphorically as standing for the speaker's desire for what she lacks and what others possess; the specific lack may not be important. She places the word to be defined ('hunger is') at the end of the poem and uses a past tense verb, rather than the present tense; look at the last three lines ('hunger was').

The speaker's circumstances changed so that she is able to eat. However, now that she is no longer hungry, she has learned that the food she was denied (or denied herself, if you think she suffers from anorexia) is not as satisfying or fulfilling as she imagined while she was hungry.

La anorexia en España

Tambièn en espaňa hay una lucha contre la anorexia para la prevenciòn y la cura de esta malattia. A.L.A.B.E.N.T.E. es la Asociación para la Liberación de la Anorexia y Bulimia en Tenerife.

Se fundó el 1 de Marzo de 1995 por familiares de personas con Trastornos de la Conducta Alimentaria. Esta asociación nace para proporcionar información y asesoramiento a los familiares y allegados de las personas que padecen  estos trastornos alimentarios.

A partir del año 2001, A.LA.B.E.N.T.E., empieza a funcionar como Centro de Día, contando por tanto con un comedor terapéutico (medias mañanas, almuerzos y meriendas), con la finalidad de que las personas con Trastornos de la Conducta Alimentaria tuvieran un centro de tratamiento especializado en la recuperación de los hábitos alimentarios, pudiendo enfrentarse a su mayor dificultad "comer".  La base de la mejoría de los trastornos alimentarios, consiste en alcanzar una alimentación equilibrada para simultáneamente trabajar todos aquellos aspectos que están afectando psicológicamente a la persona como las obsesiones con el peso, la talla, la imagen corporal, el miedo a engordar, baja autoestima, aislamiento social, relaciones familiares y sociales deterioradas, estado de ánimo inestable, mezcla de ansiedad y tristeza. 

En muchos casos se necesita ayuda terapéutica para afrontarlo y esto cobra una especial importancia, por cuanto, la familia juega un papel determinante en la evolución y mejora de la enfermedad.Muchas de estas personas persiguen un objetivo válido, que es sentirse mejor con ellas mismas, a través de su imagen corporal, controlando la alimentación y el peso, pero no tiene en cuenta que a menudo los medios que utilizan no solo con inadecuados sino que además resultan nocivos (no comer, vomitar, abuso de laxantes, diuréticos, ejercicio físico, etc). Esto sucede porque carecen de información o la que tienen es incorrecta.Su componente sociológico es muy fuerte, dado que comienza su aparición en el momento del desarrollo de la personalidad de quien la padece, adolescencia, en el que la imagen, lo que los demás piensan de ellos. es muy importante. Afecta más a las mujeres que a los hombres (de cada 10 afectadas 1 es chico). Los jóvenes se ven atados, indefensos ante unos modelos estéticos que se prolongan de forma equívoca y dañina sobre muchos de ellos, que por querer estar a la moda y por miedo a sentirse rechazados caen en hábitos inadecuados, buscando cuerpos ideales que no consiguen y enfermando física y psicológicamente.

Pérez Galdós escribiò en 1878 Marianela la novela nos explica la historia de una niña llamada Marianela, personaje en el que plasma sus ideales de pureza y entrega.

Era muy fea y la gente le decía que no servía para nada. Había perdido a sus padres y vivía con una familia del pueblo de Socartes. Era un pueblo minero y el gran jefe e ingeniero era Carlos Golfín, el cual tenía gran bienestar social. Nela hacía de lazarillo a un chico ciego, Pablo. Carlos tenía un hermano, Teodoro, médico que era muy bueno y había recorrido las Américas. Teodoro va al pueblo para examinar a Pablo y conoció a los dos jóvenes mientras se dirigía a casa de su herman ya que fueron ellos los que le guiaron porque se había perdido.

Nela y Pablo eran grandes amigos, y él le había prometido amor eterno en muchos de los paseos que daban. Como no la podía ver no conocía su rostro y sólo sabía la belleza interior de Nela. Ella se lo dijo en muchas ocasiones que no era guapa, pero él no lo creía posible, ella también le quería mucho.

El médico al examinar al chico, vio que podría devolverle la vista. En una operación, Pablo recobra el sentido que predomina en el ser humano.

Antes de ser operado vino su prima, que era muy guapa y amable. Entonces los tres iban a pasear, y Nela se sentía muy desafortunada porque veía que Florentina le robaría a Pablo como él llegara a ver.

Florentina se prometió que si salía bien su primo, haría de un pobre una persona con todos los cuidados del mundo. Nela fue la afortunada, pero rechazo la "oferta"y en saber que la operación salió bien, huye de él para que no la vea, porque comparada a su prima Florentina, su belleza es nula. Intenta suicidarse para ir con su madre, pero don Teodoro lo impidió e hizo volver a Nela a la casa. Una vez allí, Pablo ansioso de verla, se encontró con una persona muy fea. Se compadeció de ella pero al tocarla se dio cuenta que era Nela y ella , por el shock muere.

Marinela era una muchacha de estatura pequeña, delgada, con un cuerpecillo miserable y busto poco constituido. Su cabello dorado oscuro y maltratado, sueltos, cortos y rizados. Sus pies eran ágiles y pequeños. Su rostro también era delgado, muy pecoso. Parecía una mujer atrapada en un cuerpo de niña, ja que sus 16 años de madurez, no los aparentaba con el cuerpo. Tenía una frente pequeña y una nariz sin gracia; los ojos negros y vividores, donde brillaba una luz de tristeza. Sus labios eran chicos y siempre sonreían. Su boca era fea.

Sus palabras eran recatadas y humildes dando características de un carácter formal y reflexivo. No tenía ni padre ni madre y vivía en la morada del señor Centeno, capataz de ganado en las minas. Allí no estaba bien cuidada. Ella misma se decía que no servia para nada. Ya tenia en la mente su inutilidad y fealdad.


Negli ultimi anni, secondo recenti indagini, i disturbi alimentari sono in allarmante crescita.
Secondo un'indagine condotta su un campione di 3.894 pazienti dall'Associazione per lo studio e la ricerca sull'anoressia, la bulimia, l'obesità e i disordini alimentari, sono le donne il 96,8% dei soggetti colpiti, contro un 3,2% di uomini; il 68% ha un diploma di scuola superiore ed è laureato il 12%. In poco meno di un caso su tre (28,5%) lo status socio-economico della famiglia di provenienza e' alto, e medio nel 56% dei casi. Solo il 15,3% di chi soffre di disturbi alimentari proviene da una famiglia di ceto poco abbiente.
Ad ammalarsi di anoressia, oggi, sono anche i bambini, già a partire dagli otto anni, mentre l'incidenza del disturbo tra le adolescenti (nella fascia 12-25 anni) è di 3-5 casi ogni mille ragazze. Negli ultimi anni a soffrire di anoressia e bulimia anche le over-40, spesso il disturbo è legato alla paura di invecchiare.
















INTERPOLAZIONE STATISTICA (formato pdf/tabella in excel)




x x

y y =


i=6

x'i y'i

b i=1                    = b =


i=6                         

(x')2

i=1




a = y - b x = 220.660,66 - (10) (20.942,859)   a =



y - y = b ( x- x )


y - 220.660.66 = 20.942,859 (x - 10)


y = 20.942,859x - 209.428.59 + 220.660.66


y =11.232,07 + 20.942,859x



I1 197.321,25 = I2 = 35.872,2570 =

1.323.964,03 220.660,68



7.720.912.923,62

=

14.942.688.607,16











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