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Roma e Bisanzio: un confronto storico




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Roma e Bisanzio: un confronto storico

Le capitali dei due Imperi Romani hanno rappresentato nella visione della storia due realtà ritenute per troppo tempo inconciliabili, ma in realtà le due civiltà erano animate da un unico spirito, un'unica matrice: l'idea dell'Impero. L'Impero come entità capace di raccogliere e offrire una patria comune a genti assai diverse tra loro per razza, cultura e religione. Per secoli l'Impero d'Oriente è stato considerato con sufficienza, tanto da meritarsi l'epiteto 'bizantino', un appellativo denigratorio rispetto alla descrizione ufficiale. Gli abitanti, infatti, si chiamavano Romei, o Rhomaioi, e questo sta a testimoniare la continuità della tradizione, rispetto agli indegni epigoni franco-germanici. Quali attributi possiedono, infatti, l'impero di Carlo o di Ottone per essere appellati 'Romano'? Poco, per non dire nulla. E quello "bizantino"? Molto, per non dire tutto. Le differenze, certamente, sono numerose, alcune anche sostanziali, ma mai tali da giustificare il ghetto della storia in cui la realtà bizantina è stata relegata in passato. Descritta una sorta di Gezabele corrotta e sanguinaria, responsabile di aver tradito gli antichi ideali del mondo greco-romano, essa al contrario ha rappresentato la rivalsa e la sopravvivenza di Roma nel mondo medievale. E' interessante osservare le affinità tra le due città Stato sin dalle loro rispettive origini: entrambe hanno un fondatore eponimo (Romolo e Byzas) dai connotati mitico- leggendari, entrambe edificate su sette colli e in una posizione strategica notevole. Roma, infatti, è punto d'incontro tra gli Etruschi a nord ed i Greci a sud e beneficia di un clima fortemente propizio. Bisanzio sorge sul Bosforo, il punto di volta per i traffici dal  Mar Nero alle steppe ucraine, vero granaio d'Europa. Sarà lungamente contesa dalle potenze che si avvicenderanno di volta in volta nel corso delle guerre fratricide greche: si poteva ben dire allora che chi tiene il Bosforo domina l'Egeo, e chi tiene Bisanzio, domina il Bosforo. Tali caratteristiche non devono essere considerate da poco: furono proprio queste che persuasero Costantino I a sceglierla come nuova capitale, quell'11 maggio dell'anno 330. L'Imperatore fu mosso, pare, da presagi e superstizioni (uno su tutti: la costa orientale del Bosforo rammentava troppo il fato funesto della perduta e leggendaria Ilio) ma anche da considerazioni pragmatiche. Dalla Tracia, infatti, potevano essere agevolmente raggiunte le frontiere sarmatiche e persiane, da troppo tempo fonte di gravosi problemi per l'Impero. Da quel momento in avanti la storia di Bisanzio si muoverà sui solchi già tracciati dalla sua gemella antenata Roma, nel tentativo di emularne la gloria. Se i confini geografici di Bisanzio cambieranno col passare del tempo, analoga sorte non toccherà a quelli ideali, che saranno sempre rivendicati. Sulla scia della tradizione si colloca sempre la concezione della massima Autorità politica e simbolo stesso dell'impero: l'Imperatore.
E' stato detto - in maniera assai miope a dire il vero - che il Princeps Romano, un primo tra pari, fu sostituito dal Basileus-Dominus, Isapostolo, irraggiungibile nella sua Maestà divina. E' più opportuno, invece, evidenziare il carattere di 'magistratura' del titolo imperiale. Chi a Bisanzio accede al trono deve ricevere la triplice acclamazione elettiva da parte dell'esercito, del Senato e del popolo prima di essere incoronato nella basilica di Santa Sofia: una triplice acclamazione che trova la propria innegabile matrice nell'analoga istituzione dell'antica Roma. Diversi Imperatori, poi, considerarono il proprio governo un vero e proprio 'mandato morale' attribuito loro dal popolo piuttosto che un'investitura divina. Un'ennesima riprova è costituita dalla norma che regolava la successione del potere: sia a Roma che a Bisanzio vi furono dinastie di Imperatori, ma il principio della continuità dinastica non era mai automatico o scontato. Se si osserva la celeberrima (ed intricatissima!) dinastia Giulio - Claudia, si nota come molti regnanti non avessero, in realtà, alcun vincolo di sangue con il precedente (Tiberio ed Augusto ad esempio). E' anche vero, d'altronde, che in circostanze straordinarie, quasi sempre in tempo di crisi, veniva acclamato come deus ex machina l'erede di una gloriosa dinastia; pensiamo alla metà dell'XI secolo, con gli ultimi Macedoni, o alla decisione di inviare Giuliano in Gallia perché cugino dell'Imperatore.
L'aura di sacralità dalla quale era pervasa la figura dell'Imperatore, quindi, non abbagliò mai la mentalità romano-bizantina a differenza del mondo persiano - arabo. L'Imperatore rimaneva sempre e comunque un uomo, e come tale poteva subire gli avversi colpi del destino. E' significativo al riguardo sottolineare come a Bisanzio, in 1058 anni di storia, su 107 imperatori solo 37 morirono di morte naturale e una mezza dozzina in guerra. A Roma si verificò più o meno la stessa drammatica proporzione nell'età aurea del principato: in 126 anni 11 Imperatori su quattordici morirono di morte violenta. Come non trovare sinistramente veritiera l'affermazione di Mommsen, quando parla di 'autarchia temprata dal diritto di regicidio'?  Il potere imperiale rivela - se visto sotto questa prospettiva - un inaspettato lato 'democratico', giacché chiunque o quasi può accedervi. Se non si contano i tentativi d'insurrezione militare, è emblematica l'avventurosa storia di Basilio, fondatore della dinastia Macedone. Basilio non militava neanche nell'esercito, ma proveniva dal volgo ignorante; solo alle proprie forze ed alla straordinaria tenacia riuscì nell'intento di indossare la porpora imperiale. Un evento del genere apparirebbe inconcepibile in un qualsiasi altro regno occidentale, dal Medioevo in poi.

Per rimanere nell'ambito politico-amministrativo si può notare come a Bisanzio, con la creazione degli Esarcati da parte di Maurizio II prima e dei Temi Eracliani poi, si sia avuto un recupero della coesistenza dei due poteri: quello civile e quello militare, un tempo la norma nella Roma repubblicana ma consuetudine desueta nel Basso Impero. L'importanza di questi provvedimenti si rivela fondamentale: saranno proprio gli Esarcati ed i Temi a suonare a più riprese la riscossa di Bisanzio nei periodi bui. Infatti, fu Eraclio, figlio dell'Esarca di Cartagine, a salvare Costantinopoli dalla morsa Avaro-Persiana, ed altrettanto provvidenziale giungerà Leone III, già Stratega del Tema Anatolico, respingendo la marea islamica. Più in generale si deve alla struttura dei Temi la sopravvivenza stessa dell'Impero, dalla lotta per l'esistenza a quella per la difesa dei confini, fino alla ripresa dell'espansione. Sarebbe forzosamente deviante paragonare le insurrezioni militari succedutesi nei secoli sempre nell'ambito dei Temi a quelle che avvenivano al tempo dell'Impero Romano, quando le Legioni di stanza nelle varie province sostenevano la causa del proprio generale?
A questo punto occorre inevitabilmente accennare alla natura dell'esercito Romano-Bizantino. I Bizantini privilegiarono la cavalleria rispetto alla classica fanteria pesante sia perché possedevano un'invenzione sconosciuta ai Romani, la staffa, sia perché trovarono nelle popolazioni nomadi eurasiatiche nemici straordinariamente mobili negli spostamenti. Ma a parte la considerazione di  questi aspetti tecnici, le somiglianze tra i due eserciti appaiono numerose. Intanto va precisato che né i Romani, né i Bizantini (e d'altronde nemmeno i Greci) amavano la guerra. Più che fonte di gloria, la consideravano una necessità. Certo, non furono indenni dal furore bellico e dall'odio viscerale verso il nemico, ma la loro "sete di sangue" non si rivelò mai neanche lontanamente paragonabile a quella delle nazioni medievali. Sia l'esercito Romano che quello Bizantino si reggevano su una rigida disciplina, sullo stretto collegamento dei reparti in ogni singola fase dello scontro e su di un'efficientissima rete logistica che permetteva di superare qualsiasi avversità posta dal clima e dall'ambiente nei quali si trovavano a combattere. Pensiamo, per esempio, a Cesare in Germania o a Basilio II nei Balcani). Se Roma prima e Bisanzio poi furono capaci di resistere quasi sempre in condizione d'inferiorità numerica, ciò si deve alla loro indiscussa superiorità strategica e tattica. Non va, inoltre, trascurata la capacità - rimasta una pratica consolidata ed efficace per tutta la storia dei due imperi - di mettere le popolazioni barbare ostili l'una contro l'altra. Merita, infine, considerazione un aspetto spesso trascurato nelle analisi della storia militare: il ruolo della flotta. E' un luogo comune sostenere che i Romani, a differenza dei Bizantini, furono mediocri navigatori. In realtà i primi erano sì gente di terra, ma i secondi non lo furono meno: infatti, con i mezzi tecnici a disposizione sarebbe stato possibile raggiungere le Americhe, ma le paure e le superstizioni riguardo al Mare Oceano erano troppo radicate e così le rotte rimasero sempre modeste, mai lontane dalle familiari coste del Mediterraneo. Roma, in ogni caso, fu trascinata alla guerra sul mare ed anche lì le sue battaglie navali riproponevano la logica degli scontri sul campo; dopo la clamorosa vittoria di Anzio nel 31 a.C., clamorosa perchè perché ottenuta contro un nemico assai più esperto in navigazione bellica, il dominio marittimo romano è totale, e la sua marina si dedica soprattutto alle operazioni di vigilanza contro la pirateria. Tuttavia, le prime avvisaglie di inadeguatezza si hanno già nel III secolo d.C., quando flotte di barbari invasori iniziano le proprie impunite scorrerie nel Mediterraneo. La situazione non migliora con il IV secolo, e finalmente si giunge alle catastrofi del V sec.: Impero occidentale ed Impero orientale risultano impotenti a fronteggiare i Vandali di Genserico (la cui abilità "marinaresca" era frutto della sola improvvisazione). E nella storia bizantina propriamente detta? La minaccia dei Persiani nel VI sec. viene scongiurata soprattutto perché essi sono del tutto digiuni di arte marinara, ma nemmeno mezzo secolo dopo, sotto gli Omayyadi, gli Arabi si spingono fin sotto le mura di Costantinopoli. Si rivelerà decisivo per gli assediati il fuoco greco, e il suo inventore, il siriano Callinico, a buon diritto può essere considerato il salvatore della patria. Ma nemmeno quest'invenzione riuscì ad impedire che il Mediterraneo diventasse un "lago arabico", e l'impero fu costretto alla difesa nell'Egeo. Il ruolo della Marina fu sempre in secondo piano rispetto a quello dell'esercito: a retribuzione degli Strateghi dei Temi marittimi era sempre inferiore a quella dei loro omologhi terrestri e le usurpazioni militari da parte di ammiragli sono solo un paio a fronte di innumerevoli tentativi effettuati dai generali dell'esercito. Nei periodi di "smilitarizzazione" l'arma considerata più sacrificabile era proprio la marina e tale mentalità condusse ai disastrosi esiti che tutti gli storici conoscono.

Sarebbe, tuttavia, ingeneroso ricordare soltanto le sconfitte e gli insuccessi: per lungo tempo l'Impero fu l'unica potenza cristiana che resistette sul mare contro i pirati saraceni. Sarebbero venuti anche per la flotta giorni di gloria: quell'età d'oro che va dal 961 al 965, durante la quale ricordiamo le grandi operazioni anfibie di Creta e Cipro (per merito dei provvedimenti dell'imperatore Romano Lecapeno, uno dei rari casi di ammiraglio divenuto Basileus), con le quali Bisanzio riconquista la supremazia nel Mediterraneo orientale. Importanti vittorie si ebbero anche sotto i Comneni e i Paleologhi. Quel che mancò, tirando tuttavia le somme, fu la volontà rispetto alle effettive potenzialità.

Sempre a proposito delle imprese militari compiute dai due imperi, come non menzionare  quel ceto di contadini-soldati (a Bisanzio stratioti) sempre pronti, secondo una concezione abbastanza romantica, a lasciare la vanga per impugnare la spada, e ad affrontare fianco a fianco i nemici dell'Impero? Proprio costoro si rivelarono la solida ossatura dell'apparato militare. La loro importanza fu tale che sotto la dinastia Macedone ricevettero esenzioni dalle tasse (nonostante l'esosissimo fisco bizantino!). L'Imperatore Costantino VII arrivò a giustificare tale riguardo con una metafora molto eloquente: "Solo gli orsi mangiano le proprie dita quando sono affamati, ma i contadini sono più importanti delle dita: essi sono le mani stesse dello Stato!"

Si comprende, allora, come per lungo tempo i contadini romano-bizantini abbiano goduto di condizioni di vita nettamente migliori di quelle dei loro contemporanei.
La bramosia di terra denota il carattere "aristocratico" della società romana e bizantina (con aspetti più esasperati in quest'ultima), che faceva della proprietà terriera un segno distintivo e obbligatorio di nobiltà. Ma a differenza dell'occidente Europeo alto-medievale, l'economia non era fondata solo sull'agricoltura, ma su una preponderante attività commerciale che già a Roma si espandeva per tutto le terre allora conosciute. L'organizzazione delle comunicazioni per terra e per mare è a cura dello Stato, con la creazione di stazioni di posta e di servizio che servivano a garantire l'unità politica e strategica dell'impero. Numerosi fari vengono eretti lungo le coste e le città che su queste vengono edificate sono fornite di attrezzature portuali e bacini di carenaggio. Viene così realizzata l'unificazione economica del Mediterraneo, un'impresa che può sembrare scontata solo a chi ragioni col senno di poi. Coll'approssimarsi del Medioevo, a Bisanzio non diminuisce l'attività mercantile, si mantengono le antiche strade, le rotte marittime continuano ad essere solcate da navi piene di mercanzia: a buon diritto Costantinopoli è definita crocevia di tre continenti. L'essenza "cittadina" della società costituisce un'ulteriore e fondamentale differenza con l'Europa medievale ed elemento accomunante le due realtà, tanto che sia Roma che Bisanzio sono le "Città" per antonomasia. Nel mondo romano-bizantino è la campagna a fare da sfondo alle città, e non il contrario, e tale aspetto spicca ai nostri occhi per la sua modernità. Biblioteche, teatri, terme, ippodromi sono solo alcuni aspetti di una vita sociale che doveva essere anche di notte assai vivace e gradevole (come lamentavano certi Padri della Chiesa, con Giovanni Crisostomo in testa). A dire il vero alcuni storici "catastrofisti" parlano di involuzione delle città bizantine che, a seguito delle invasioni del VI e VII sec., si ridussero ad acropoli fortificate. Non v'è dubbio che si sia verificato in quell'epoca un evidente calo demografico, ma altrettanto indubbia fu la ripresa: nel X secolo i centri urbani superavano per numero e dimensioni il resto del mondo cristiano. L'economia monetaria si mantiene e il Nomisma aureo - il vecchio solidus, o bisante, - rimane valuta pregiata fino al XII secolo, meritandosi l'appellativo di "dollaro del medioevo". La stabilità economica consente il rafforzamento politico del potere centrale, e la circolazione monetaria diventa circolazione di uomini ed idee. Nel mondo romano e bizantino assistiamo, infatti, ad una mobilità sociale che non ha eguali nel mondo antico né in quello medievale: la società è rigidamente gerarchizzata solo nella forma, nella realtà nessuna carica o impiego sono virtualmente preclusi. In tal modo la vita cittadina trapassa da Roma a Bisanzio senza relativi sconvolgimenti, senza che siano perse le sue manifestazioni sociali e culturali. E' efficace osservare cosa Cecaumeno, generale in pensione, scriva ai figli, in una sorta di confessione-memorandum, ancora nell'XI sec.: invita a fuggire dalla vita mondana e dai suoi eccessi, utilizzando parole che non stonerebbero in bocca ad un moralista dei nostri tempi!

Con le città sopravvive anche l'attività intellettuale-artistica, ma in questo campo si manifestano differenze sostanziali tra le due realtà, derivanti da un diverso approccio alla comune matrice greca. I Romani, infatti, da essa trassero fonte d'ispirazione, ma anche e soprattutto, motivo di competizione per creare un proprio copiosissimo corpus letterario. I Bizantini piuttosto rimasero quasi oppressi da una sorta di sudditanza verso i loro illustri predecessori, ed è significativo come loro, pur profondamente cristiani, non rinunciarono mai al bagaglio culturale pagano (una sorta di rivalsa di Giuliano su Giustiniano, a ben vedere): Platone ed Aristotele continuavano a venir letti e spiegati. La letteratura pertanto risulta artificiosa, fine a se stessa, gioco per eruditi. La citazione ricercatissima, l'enigmatica metafora, il simbolo traslato sono gli elementi caratterizzanti la produzione intellettuale Esemplare anche la toponomastica, che faceva uso di termini ormai anacronistici per indicare popoli e regioni. Nondimeno abbiamo valide eccezioni: nell'epica il Digenis Akrites non sfigura dinanzi alla Canzone di Rolando o al Cantare del Cid, suoi contemporanei. E nella produzione storiografica le opere di storici come Procopio di Cesarea, Anna Comnena e Niceta Coniate sono veri e propri capolavori spesso ingiustamente trascurati.
Uguali differenze si hanno nell'arte figurativa: per il mondo romano è stato coniato il termine di arte "borghese" estremamente calata nel reale; il mondo bizantino vede per contro nell'arte la raffigurazione del Trascendente, dell'Assoluto: alla resa realistica dei lineamenti si sostituisce l'idealizzazione, la ieraticità, l'eroicizzazione della figura.

All'origine di questa divergenza sta il diverso ruolo della Religione.
A Roma la religione è elemento fondante dello Stato, e la pietà religiosa è espressione di osservanza dell'autorità politica. Ma i Romani sono un popolo estremamente scettico, conoscono il timore superstizioso, credono ai presagi ed alle profezie ma per il resto vivono nel presente, "hinc et nunc". Cicerone due millenni prima di Marx definisce la religione strumento garante dell'ordine sociale, e resta celebre l'aneddoto del generale che chiede all'augure come faccia a restare serio per tutta la durata del rito. Riprova di tale atteggiamento è l'accettazione nel pantheon di qualsiasi divinità straniera, e c'è persino il Dio Ignoto. A Bisanzio un tale approccio spassionato è inconcepibile, trascendente ed immanente sono inscindibili. Le dispute religiose, su argomenti che oggi appaiono astrusi e incomprensibili, coinvolgono tutti gli strati della società, dando origine talora a vere esplosioni di violenza. Ha un bel lamentarsi San Gregorio di Nissa a dire che chiedendo il prezzo del pane ci si sente rispondere che il Padre è più grande del Figlio ed ai bagni pubblici si sostiene che il Figlio viene dal Nulla!

La Religione si manifesta così con un duplice volto: da un lato elemento positivo, "collante" dell'Impero e civilizzatore di popolazioni barbare, dall'altro elemento disgregante e centrifugo, quasi manifesto di rivendicazioni autonomistiche (così la Siria e l'Egitto monofisisti saranno persi per sempre).
Per concludere degnamente non resta che ricordare come i due imperi risaltino ai nostri occhi per longevità, e che, anche dopo la loro caduta, continuino ad esportare il loro modello. La morte eroica di Costantino XI, per tragica ironia omonimo di Costantino il Grande come Romolo Augustolo, che si lancia contro schiere soverchianti di nemici, con indosso la porpora imperiale dei suoi avi è un degno epitaffio a più di due millenni di storia e gloria.





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