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Regina futurista nel contesto lomellino (2008)
A chiudere il 2008, in autunno quattro opere di Regina sono esposte alla rassegna Futurismo e modernità. Artisti e collezionisti in Lomellina, curata da Paolo Campiglio e Rachele Ferrario ed allestita al Castello di Vigevano ; nello specifico, a trattare dell'opera di Regina (oltre a Federica Rabai che redige la scheda biografica è Campiglio, che dunque - dopo aver seguito due tesi dedicate all artista - in questa occasione si occupa per la prima volta in prima persona della scultura reginiana . Campiglio, che svolge anche attività di critica sulla più stretta contemporaneità, è uno studioso molto attento soprattutto all'arte degli anni Trenta e Cinquanta, con particolare riferimento all'opera di Lucio Fontana (di cui dal 1995 si è occupato più volte) e delle collaborazioni tra artisti e architetti nell immediato secondo dopoguerra
La mostra si pone innanzitutto l'obiettivo di valorizzare artisti pavesi capaci di imporsi in ambiti più ampi, tra i quali senz'altro spiccano i casi di Regina e Barbara (che peraltro «in un panorama dominato dalla creatività al maschile e in un territorio da sempre ancorato alla tradizione come quello lomellino 665 risultano piuttosto anomali); posto questo, va anche segnalato che Campiglio - correttamente - precisa anche che entrambe le futuriste da lui prese in considerazione hanno in realtà avuto «una storia che è maturata in contesti cittadini e metropolitani», cosicché non sarà il caso di «enfatizzare il ruolo protagonista di queste personalità nel contesto lomellino
Per quanto riguarda Regina, diverse considerazioni di Campiglio sono molto interessanti. Innanzitutto, il critico evidenzia l'importanza del periodo torinese dell'artista, mettendo in luce «quanto per la giovane Regina abbia pesato la formazione [.] presso il maestro Giovanni Alloati e la frequentazione degli ambienti torinesi, in particolare l'amicizia con Fillia»: per quanto Campiglio ponga come un dato sicuro - e non come un'ipotesi quale in effetti è - il fatto che Regina frequentasse i futuristi torinesi già in quegli anni di apprendistato, non c'è dubbio che la sua ipotesi (e lo si vedrà nei prossimi capitoli) ha più di qualche sostanziale elemento di credibilità; inoltre, Campiglio è praticamente il primo - dopo gli accenni della Vescovo quasi vent'anni prima - a porsi il problema delle influenze che l'ambiente torinese può aver giocato nel delineare la personalità artistica di Regina. Poi, dopo aver elencato le prime esperienze espositive della scultrice (fuori e dentro il Futurismo) e dopo aver citato l'immancabile giudizio di Persico, il critico mette in evidenza - seguendo in questo Caramel - sia la vicinanza dell'artista a Brancusi, Gargallo e Gonzales, sia l abitudine reginiana di ricavare il soggetto della sua opera da un progressivo processo di astrazione dal dato reale Inoltre, subito dopo, Campiglio individua in alcuni svolgimenti della scultura milanese dell'inizio degli anni Trenta dei possibili stimoli per la svolta avanguardista di Regina
E non poteva rimanere estranea alla sensibilità di Regina [.] la mostra personale di Fontana del dicembre 1931 al Milione, voluta proprio da Persico, in cui lo scultore ribadiva l'intima necessità bidimensionale, tra scultura e pittura, pur in un'accezione di plastica colorata e ancora materica; sempre a Milano gli spunti di una scultura in metallo o in alluminio erano tanti: fece scalpore la maquette della Fontana, monumento a Giuseppe Grandi, (1 1) ideata dallo stesso Fontana con il cugino architetto, esposta al Castello Sforzesco insieme ad altri bozzetti alla fine del 1931, quell'alto cono dato da un semplice foglio di alluminio arrotolato, pubblicato da Persico nel 1 32 proprio su 'La Casa Bella'; o ancora la grande composizione bidimensionale e aerea, in ferro nichelato, Icaro che fugge le stelle ( 930) di Fausto Melotti collocata all'interno del Bar Craja, opera razionalista di Luciano Baldessari Luigi Figini e Gino Pollini allora appena inaugurata e sfolgorante nella Milano del centro, sempre pubblicata da Persico; in quello spazio moderno, che sicuramente Regina frequentò, accoglievano gli avventori, tra l'altro, due manichini in alluminio di Marcello Nizzoli esposti in vetrina, due sculture astrattizzanti che avevano il sapore della sperimentazione scenografica di Schlemmer al Bauhaus e insieme parevano una traduzione tridimensionale degli uomini-macchina di Depero.
Infine, prima di accennare a tangenze reginiane (ma più contenutistiche che formali) con Mino Rosso, Thayaht e Andreoni, Campiglio - citando tra l'altro anche Caramel - sintetizza rapidamente quelli che a suo parere sono i termini dei rapporti di Regina con il Futurismo
Se Caramel definisce i rapporti con il futurismo piuttosto tangenziali e climatici, ribadisce tuttavia l'importanza dell aeroscultura per Regina, come ipotesi di antiscultura in cui era palese il processo di smaterializzazione o come nozione di scultura-oggetto, con esiti polimaterici e di tono ludico munariano; così come sembrava appartenerle l'indicazione di Prampolini della plastica come evocazione dei sensi legata alla percezione dello spazio. Appare chiaro dunque come Regina, pur non aderendo spiritualmente ai proclami marinettiani e lontana dalle polemiche artistiche, sentisse la necessità di condurre una ricerca estetica tale da poter essere affiancata alle proposte futuriste di quegli anni, persino in alternativa alla iniziale, pronta attenzione di Edoardo Persico [.]. Viene fatto di pensare che fin dalle prime mostre l'artista esponesse anche i bozzetti in carta e spilli, in realtà opere autonome, come quello per L'amante dell'aviatore [.], opera che rivela senza intermediari il processo di esecuzione del lavoro e conserva insieme il sapore ludico del 'taglia e cuci', l'apparente semplicità del fare e la leggerezza, l'intima fragilità dell'ipotesi plastica. Una manualità che dovette allora carpire l attenzione di Rosa Menni Giolli, che amava pubblicare sculture di Regina in importanti riviste di moda femminile come 'Eva', esempio di una magica fantasia creativa che avrebbe potuto incantare anche la sensibilità di Gio Ponti.
Gli spunti critici offerti da Campiglio dimostrano non solo un'eccellente conoscenza dell'opera reginiana, ma anche una chiara volontà di contestualizzazione della sua opera in un ambito ben più vasto, in cui in particolare - e Campiglio è il primo ad avanzare tale ipotesi relativamente a quanto accade fuori dal Futurismo e dalla Galleria del Milione - sono soprattutto le sperimentazioni dell'ambiente milanese a giocare un ruolo decisivo.
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