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ABBAZIA DI SAN PIETRO In Savigliano
LA STORIA
L'origine della chiesa e del monastero benedettino viene fatta risalire dagli storici a S. Fausto nel 585, di ritorno dalla città di Angiò in Francia, dove con S. Mauro e altri tre compagni si era recato per l'ordine di S. Benedetto a fondare il primo monastero dell'ordine. La notizia è confermata da numerosi scrittori locali e da una cronaca del monastero del sec. XIII.
Nel 707 Ariperto, duca di Torino, restituiva a Giovanni VII papa, i beni di cui re Rotari aveva privato la Chiesa in queste regioni. Il che fece nascere la tradizione che Ariperto II abbia fondato il monastero.
Rovinato dai Saraceni tra il 906 e il 919, venne ricostruito e rifondato nel 1028.
La chiesa era sorta su un tempio pagano dedicato a Diana, e l'abazia fu fondata dai coniugi Abellonio, dei patrizi saviglianesi.
I monaci benedettini vennero ad abitarla dalla sacra di S. Michele, da cui dipesero fino al 1191. In quell'anno il Papa Celestino III ordinò al monastero di S. Michele della Chiusa di restituire i beni tolti a quello di Savigliano, sotto pena di scomunica, e dichiarò di prendere il monastero di Savigliano sotto l'immediata protezione della S. Sede, come già aveva fatto Lucio, suo predecessore.
Le pretese della sacra e le rimostranze di S Pietro di Savigliano continuarono; per cui Innocenzo III nel 1211 ordinò al vescovo di Moriana e al priore del monastero di Acquabella di risolvere la causa. La causa fu terminata con l'intervento dell'Abate di Breme nel 1219. Nel 1380 fu incorporata alla badia di S. Pietro la pieve di S. Maria , a cui i monaci rinunziarono nel 1454 in favore dei frati francescani. La badia fu aggregata a quella di Montecassino; ma l'aggregazione non ebbe effetto fino al 1476.
La badia possedeva molti priorati, floridi per numero di monaci e ricchezza di poderi; tra cui il più illustre quello di S. Andrea nella stessa città, da cui trae l'origine e nome l'odierna chiesa abbaziale.
La badia fu soppressa nel 1802 e ristabilita nel 1829 col ritorno di Casa Savoia in Piemonte, depauperata dalle vaste possessioni e privilegi (Casalis).
Risoppressa nel 1855, vennero ciononostante concentrati in essa i monaci di Novalesa, giunti il 29 ottobre 1856. Fu sgombrata del tutto per decreto reale nel 1859 e occupata militarmente.
Dopo la soppressione vi restò ancora qualche benedettino addetto alla chiesa in quanto parrocchia. L'ultimo monaco-parroco fu D. Mauro Musi che si distinse per i grandiosi lavori di restauro e di abbellimento della chiesa, nel 1874 ricevette la dignità abbaziale e morì alla fine del secolo.
Il monastero di S. Paolo di Roma conserva ancora il diritto di riprendere il monastero di S. Pietro di Savigliano e l'arcivescovo di Torino, da cui dipende, prima della nomina di un priore-parroco, propone all'abate di mandare dei monaci ad officiare di nuovo l'antica chiesa abbaziale.
LINEE ARCHITETTONICHE
L'interno, a tre navate divise da pilastri con archi e volte a crociera cordonate ogivali, è rutilante di stucchi e ori, di affreschi e dipinti, in uno sfarzo tipicamente barocco.
Alla sua lavorazione lavorarono molti degli artisti saviglianesi attivi soprattutto fra il XVI e XVII secolo.
REPERTI STORICI
L'Abbazia benedettina di San Pietro si inseriva in una realtà abitativa di antica data, sicuramente almeno romana.
Testimonianze preziose a questo proposito sono, ad esempio, la lapide scoperta nel 1822 durante i lavori di rifacimento della facciata della chiesa abbaziale, e poi trasportata a Torino[1], e quella lunga lastra tombale in marmo, forse facciata anteriore di un sarcofago romano, per molti anni sfruttata come mensa dell'altare maggiore e ora custodita in una delle 5 cappelle della chiesa .
A partire dai primi decenni dell'XI secolo l'Abbazia di S. Pietro cominciò ad arricchirsi considerevolmente grazie ad innumerevoli donazioni.
LA FACCIATA
La facciata, certamente insolita con il suo aspetto monumentale e composito per le molte trasformazioni susseguitesi nel corso degli ultimi tre-quattro secoli, chiude uno dei lati di piazza Molineris.
Come il resto della chiesa e del restante monastero, aveva anticamente caratteri stilistici romanico-lombardi[3]. Sul finire del XV secolo, e poi ripetutamente fino alla metà del secolo scorso, le precedenti linee architettoniche furono completamente trasformate.
Nel sommarsi, non sempre omogeneo, di stili, prevalse una caratterizzazione complessiva tardo-manieristica cinquecentesca, soprattutto per quanto riguarda decorazioni e pitture.
L'attuale facciata si presenta in forme massicce, scandita da 4 semicolonne su alti plinti. Il suo ultimo rimaneggiamento è del 1822.
Le due semicolonne centrali incorniciano un portale di gusto manieristico, opera del 1589, che è preceduto da un protiro, con arco a tutto sesto, su colonnine.
Le due porte laterali sono della seconda metà del XVII. Caratterizzano inoltre la facciata tre grandi oculi su piani sfalsati.
INTERNO E OPERE
A decorare lo sfarzoso interno della chiesa operò, ad esempio, Giovanni Antonio Molineri, saviglianese, che dipinse ad affresco nell'abside, il «Martirio di S. Pietro» e il parallelo «Martirio di S. Paolo» intorno il 1621.
Allo stesso Molineri si deve il «San Girolamo», dipinto nella terza cappella sinistra, opera più matura di questo artista che ebbe largo influsso su altri pittori piemontesi attivi in Piemonte, come il fiammingo Jan Claret che a S. Pietro di Savigliano realizzo la grande pala con la «Madonna del rosario», datata al 1669.
L'opera di maggior rilievo all'interno di S. Pietro di Savigliano è tuttavia il polittico, entro ricca cornice intagliata, raffigurante, nei vari scomparti e nella predella, «Madonna con Bambino, Angeli, Annunciazione, Pietà e Santi» dipinto da Gandolfino da Roreto, o Gandolfino d'Asti.
Il 1510 è importante in relazione allo splendido polittico. In quest'opera, Gandolfino da Roreto pare aver superato le precedenti influenze liguri, per avvicinarsi maggiormente alla pittura lombarda conosciuta attraverso a lavori del bresciano Vincenzo Foppa e del Bergognone.
In S. Pietro si trovano altre opere artstiche che, non realizzate appositamente per quella chiesa, vi furono trasportate da altri edifici religiosi. E si tratta di lavori importanti, come il gruppo scultoreo in lecno della «Pieta», - il Crocifisso, la Madonna e S. Giovanni - opera di quei grandi scultori in legno che furono i fratelli Botto Giorgio e Pietro, saviglianesi anch'essi.
Il gruppo ligneo venne portato a S. Pietro dai Cassinesi dopo la soppressione della chiesa dei Cappuccini.
Dalla chiesetta dell'Arciconfraternita della Misericordia giunse invece a S. Pietro il «Cristo deposto», opera del luganese Carlo Giuseppe Plura, molto attivo in Piemonte a partire dal 1705 e che lavorò, soprattutto per la corte sabauda, in stretto contatto con lo Juvarra.
E, sempre alla mano dei fratelli Botto si deve il coro ligneo barocco, di ricche movenze e splendidi intagli, forse il capolavoro dei due fratelli saviglianesi.
Dietro l'abside della chiesa si alza il campanile barocco, ricostruito probabilmente da Francesco Gallo nel 1722.
A destra della chiesa, si aprono invece il chiostro dei monaci - profondamente trasformato rispetto all'originale - e i locali annessi all'ex monastero, ora sede di un istituto scolastico.
CHIOSTRO
L'attuale chiostro ha caratteri prevalentemente rinascimentali, a pianta quadrata, con sette arcate per lato, e fu costruito fra il 1505 e il 1616.
Le arcate, a tutto sesto sono sostenute da semplici colonne in pietra.
Il testo della lapide è: «Alla dea Diana Augusta, la maestra del culto Valeria Epitusa». La sua scoperta lascia supporre che l'Abbazia sia sorta sullo stesso posto occupato, in epoca romana, da un tempio pagano.
Il sarcofago, recita la scritta, fu usato per riporre le salme di «Lucio Gavio, figlio di Caio della tribù Pollia, edile, duoviro quinquennale; Gavia Prima figlia di Lucio; Bussenia Nepotula, figlia di Publio, moglie».
Della primitiva costruzione romanica, pochissimi i resti. Mortarotti cita: «gli archetti e la decorazione monocroma verde ad affresco con elementi stilizzati di foglie visibili sul muro esterno della navata centrale e dell'abside, e un tabernacolo rimasto nascosto dietro il secentesco coro in legno» mentre «le primitive colonne a fasci di stile romanico vennero riempite e portate a forma quadrangolare in epoca barocca».
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