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COSì PARLò ZARATHUSTRA
Friedrich Nietzsche
L'eterno Ritorno
Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero:
il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a
me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia.
'Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due
sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine.
Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella
lunga via fuori della porta e avanti è un'altra eternità.
Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un contro
l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il
nome della porta: 'attimo'.
Ma, chi ne percorresse uno dei due sempre più avanti e sempre più lontano:
credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?'.
'Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è
ricurva, il tempo stesso è un circolo'.
'Tu, spirito di gravità! dissi lo incollerito non prendere la cosa troppo
alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato e sono io che
ti ho portato in alto!
Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo,
comincia all'indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un'eternità.
Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso una
volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere
accaduta, fatta, trascorsa una volta?
E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche
questa porta carraia esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate
saldamente l'una all'altra, in modo tale che questo attìmo
trae dietiro di sé tutte le cose avvenire? Dunque
anche se stesso?
Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al
di fuori deve camminare ancora una volta!
E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo
chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne
bisbiglianti non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta? e ritornare a
camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a
noi, in questa lunga orrida via non dobbiamo ritornare in eterno?'.
Così parlavo, sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e
dei miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane ululare.
Non avevo già udito una volta un cane ululare così? Il mio pensiero corse
all'indietro. Sì! Quand'ero bambino, in infanzia remota: allora udii un cane
ululare così. E lo vidi anche, il pelo irto, la testa all'insù, tremebondo, nel
più fondo silenzio di mezzanotte, quando anche i cani credono agli spettri:
tanto che ne ebbi pietà. Proprio allora la luna piena, in un silenzio di morte,
saliva sulla casa, proprio allora si era fermata, una sfera incandescente,
tacita, sul tetto piatto, come su roba altrui: ciò aveva inorridito il cane:
perché i cani credono ai ladri e agli spettri. E ora, sentendo di nuovo ululare
a quel modo, fui ancora una volta preso da pietà.
Ma dov'era il nano? E la porta? E il ragno? E tutto quel bisbigliare? Stavo
sognando? Mi ero svegliato? D'un tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni,
solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna.
Ma qui giaceva un uomo! E proprio qui! il cane, che saltava, col pelo irto,
guaiolante, adesso mi vide accorrere e allora ululò di nuovo, urlò: avevo mai
sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo?
E, davvero, ciò che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi un giovane pastore
rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero
penzolava dalla bocca.
Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto?
Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e lì si
era abbarbicato mordendo.
La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava invano! Non riusciva a
strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca:
'Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!', così gridò da dentro di
me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me
buono o cattivo gridava da dentro di me, fuso in un sol grido.
Voi, uomini arditi che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo,
e chiunque tra di voi si sia mai imbarcato con vele ingegnose per mari inesplorati!
Voi che amate gli enigmi!
Sciogliete dunque l'enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione
del più solitario tra gli uomini!
Giacché era una visione e una previsione: che cosa vidi allora per
similitudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire? Chi è il
pastore, cui il serprente strisciò in tal modo entro
le fauci? Chi è l'uomo, cui le più grevi e le più nere fra le cose strisceranno
nelle fauci?
Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene! Lontano
da sé sputò la testa del serpente; e balzò in piedi.
Non più pastore, non più uomo, un trasformato, un circonfuso di luce, che
rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!
Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, e ora mi consuma una sete, un
desiderio nostalgico, che mai si placa.
La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora!
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